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Il credito prededucibile del professionista tra novità normative e giurisprudenziali


Federico Pani

Data pubblicazione
15 novembre 2021

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Sommario: 1. Inquadramento delle questioni. 2. Il credito professionale nella fase esecutiva del concordato. 2.1 L’attuale assetto giurisprudenziale. 2.2 Le novità del Codice della crisi. 3. Il credito professionale nella fase antecedente al concordato. 3.1 L’orientamento tradizionale. 3.2 La prededuzione per l’atto legalmente compiuto. 3.3 Il ritorno dell’utilità in concreto. 3.4 Qualche considerazione. 3.5 La disciplina del Codice della crisi.


1. Inquadramento delle questioni

Tra gli argomenti che, negli ultimi anni, hanno reso vivace il dibattito dottrinario e il confronto giurisprudenziale in ambito fallimentare vi è senz’altro l’inquadramento giuridico del credito del professionista la cui prestazione si inserisca in varia guisa nella vita di una procedura concorsuale. Fonte dei dubbi, ovviamente, non è la prelazione associabile a siffatta prestazione, pacificamente riconducibile nel perimetro dell’art. 2751-bis, n. 2, c.c.; piuttosto, nodo del contendere è l’attribuzione a tale credito, a determinate condizioni, del rango prededucibile, vale a dire della precedenza processuale che può aggiungersi a un credito, quale che sia la prelazione che lo assiste, per ragioni di carattere procedurale[1].

Sebbene il crocevia delle problematiche in argomento sia la fase di verifica del passivo in sede fallimentare, non è la natura prededucibile del credito professionale sorto nel contesto della procedura concorsuale maggiore a destare dubbi. Invero, nessuno dubita del fatto che il credito scaturente dalla prestazione del professionista nominato dal curatore in via autonoma (si pensi allo stimatore) o a seguito di autorizzazione del comitato dei creditori (come nel caso del c.d. coadiutore) o del giudice delegato (nell’ipotesi di nomina del legale per l’esercizio di un’azione giudiziale) abbia natura prededucibile[2]. L’unico credito sul quale tuttora le posizioni non sono del tutto univoche è quello maturato dal professionista che abbia assistito il creditore nella fase pre-fallimentare e che ha determinato la declaratoria del fallimento. Molti tribunali, infatti, gli attribuiscono carattere prededucibile, sia pure con rango interno chirografario[3]; più caleidoscopica, invece, è la posizione della Suprema Corte, la quale in casi siffatti ha, da un lato, riconosciuto una sorta di maxi-privilegio ai sensi degli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c. richiamando l'art. 95 c.p.c. e tracciando un parallelo tra procedura esecutiva e procedura fallimentare[4] e, dall’altro lato, riconosciuto la prededucibilità in favore del professionista che abbia assistito il debitore nella preparazione della documentazione per la proposizione dell'istanza di fallimento in proprio[5].

Là dove, invece, il credito professionale prededucibile si presenta decisamente problematico è la procedura di concordato preventivo. Invero, dopo un lungo lasso temporale di sostanziale indifferenza da parte dell’ordinamento verso il credito in questione[6], l’immissione nel sistema del binomio occasionalità/funzionalità a seguito della riforma del 2005-2007 ha determinato una progressiva estensione del perimetro della prededuzione, destinato ad accogliere proprio i crediti dei professionisti che hanno operato in funzione o in occasione del concordato preventivo. Apertura, quest’ultima, che ha per lungo tempo ottenuto il suggello della Corte di cassazione e che, tuttavia, è stato bruscamente rimessa in discussione, da un lato, da un orientamento minoritario sorto nella prima sezione della Corte medesima e, dall’altro lato, dalla disciplina contenuta nel c.d. Codice della crisi.

La vivacità a cui si accennava nell’incipit si deve essenzialmente a questi ultimi elementi di novità, sebbene indubbiamente quello che più interessa il ceto professionale è proprio il contrasto giurisprudenziale, non solo perché più attuale, ma anche perché i continui rinvii dell’entrata in vigore del Codice della crisi, associati ad interventi “ponte” più o meno in linea con le disposizioni codicistiche, hanno inoculato nei più il sospetto che il nuovo corpus normativo non vedrà mai la luce. Ad ogni modo, non appare inopportuno fare il punto della situazione atteso che, almeno fino al 16 maggio 2022 (nuova data in cui il Codice dovrebbe essere inaugurato), la riconduzione o meno del credito professionale sorto nei concordati preventivi nella categoria della prededuzione continuerà ad affaticare i giudici delegati in sede di verifica del passivo[7]. 

 

2. Il credito professionale nella fase esecutiva del concordato

2.1 L’attuale assetto giurisprudenziale

Si è poco fa accennato (in nota) allo stato della giurisprudenza antecedentemente alla modifica dell’art. 111 l.f., e si è visto che, in passato, era tendenzialmente escluso che un credito sorto nel corso di un concordato potesse assumere connotati prededucibili. Il quadro è oggi sensibilmente mutato; non solo per l’introduzione del binomio occasionalità/funzionalità, ma anche perché il concordato preventivo non ha più una finalità essenzialmente liquidatoria, potendosi coniugare (in tutto o in parte) con una prosecuzione aziendale, nel rispetto del paradigma dettato dall’art. 186-bis l.f.. E non a caso sono diversi i casi in cui la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la prededuzione del credito sorto «in occasione» della procedura concorsuale minore.

In linea generale la Suprema Corte ha fatto proprio un concetto non eccessivamente esteso di occasionalità, negando che esso vada inteso come pura e semplice coincidenza tra sorgere del credito e pendenza della procedura concordataria. È stato infatti affermato che «il riferimento all'elemento cronologico ("in occasione"), deve essere integrato, per avere un senso compiuto, con un implicito elemento soggettivo e cioè quello della riferibilità del credito all'attività degli organi della procedura; in difetto di una tale integrazione il criterio in questione sarebbe palesemente irragionevole, in quanto porterebbe a considerare come prededucibili, per il solo fatto di essere sorti in occasione della procedura, i crediti conseguenti ad attività del debitore non funzionali ad esigenze della stessa»[8].

Il concetto di «riferibilità» appare facilmente calabile nel contesto dei concordati liquidatori. Invero, pressoché sempre il liquidatore giudiziale deve avvalersi di professionisti per raggiungere i risultati del piano concordatario. Viene così in interesse, in primo luogo, il credito dell’avvocato incaricato del recupero dei crediti che compongono l’attivo della procedura concorsuale; ma si pensi anche ad altre figure professionali che possono essere incaricate dal liquidatore per far fronte alle più varie problematiche che possono sorgere nel corso dell’attività di liquidazione, come ad esempio un geometra che debba occuparsi – se non della stima, già effettuata su impulso dei commissari nella fase antecedente all’omologa – degli adeguamenti catastali. A ben vedere, la fisionomia della prededuzione nel concordato preventivo liquidatorio non si presenta quindi così diversa rispetto a quella che si trova nella procedura fallimentare.

Più complesso, invece, risulta il quadro nel concordato con continuità aziendale poiché la giurisprudenza della Suprema Corte non pare essersi espressa in termini sempre perfettamente univoci.

Invero, alcune pronunce paiono assegnare particolare rilevanza al fatto che un certo credito sia espressamente contemplato all’interno del piano industriale oggetto dell’approvazione da parte dei creditori[9]. Un altro (probabilmente minoritario) orientamento, viceversa, non si sofferma solamente sul dato formale e fa leva, oltreché sull’occasionalità, sulla funzionalità di un certo credito nell’economia complessiva del concordato[10].

In controluce possono intravedersi le ragioni sottese a ciascuno dei due indirizzi ermeneutici. Il primo è maggiormente teso a tutelare la genuina espressione del diritto di voto da parte dei creditori coinvolti dal concordato in base all’assunto che essi debbano avere chiaro l’ammontare delle prededuzioni che potrebbero sorgere nel corso delle continuità e, quindi, di quanto possa essere elevato il rischio che il loro integrale soddisfacimento sarebbe pregiudicato nel caso in cui la procedura concordataria dovesse sfociare in un fallimento. Il secondo, invece, pare voler, da un lato, evitare che si determinino trattamenti differenziati fondati su profili di carattere meramente formale e, dall’altro lato, non penalizzare i terzi che si rapportino con un’impresa in crisi.

A parere di chi scrive, il secondo orientamento risulta maggiormente condivisibile. In primo luogo, le altre pronunce, che prima facie parrebbero enfatizzare particolarmente l’aspetto puramente formale, in realtà contengono un ragionamento che, in ultima analisi, è teso a valorizzare similmente l’esistenza di una stretta correlazione dell’obbligazione con le finalità proprie del piano, sicché a ben vedere il contrasto appena segnalato potrebbe essere per lo più solo apparente. In secondo luogo, sarebbe decisamente formalistico ancorare l’attribuzione della natura prededucibile di un’obbligazione al suo espresso inserimento nel piano concordatario: portando all’estremo una simile soluzione si addiverrebbe a conclusioni assolutamente paradossali e irragionevoli perché creditori che abbiano adempiuto una prestazione pressoché identica sul piano tipologico si troverebbero a essere trattati diversamente in ragione di un fatto puramente casuale e in alcun modo controllabile da loro (vale a dire, appunto, la previsione della stipula di un certo contratto in un atto del debitore). In terzo luogo, non può sottacersi come a livello sistematico sia rintracciabile un favor per la prosecuzione dell’attività aziendale nel contesto delle procedure concorsuali, sicché attribuire la prededuzione ai crediti strettamente correlati al funzionamento dell’impresa risulta più coerente con l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi decida di interfacciarsi con l’impresa nonostante il conclamato stato di crisi. D’altronde – e sul punto si avrà modo di tornare – la stessa logica pare essere sottesa al disposto dell’art. 161, comma 7, l.f., che facoltizza il debitore a compiere atti di ordinaria amministrazione pur in pendenza del termine di cui al comma sesto ed espressamente attribuisce natura prededucibile ai crediti che ne sono conseguenza.

Ciò non significa, tuttavia, che qualsiasi contratto stipulato durante il concordato in continuità debba ritenersi fonte di obbligazioni prededucibili; piuttosto, la Suprema Corte – anche a giudicare dalle fattispecie specificamente decise – sembra pretendere che tra obbligazione e finalità del piano sussista un nesso funzionale forte, vale a dire che l’attività dalla quale origina il credito sia assolutamente necessaria al fine di assicurare il funzionamento dell’attività imprenditoriale dalla quale debbono scaturire gli utili dai quali ricavare una parte delle percentuali da ripartire ai creditori concorsuali. Detto diversamente, non può assumere carattere prededucibile quell’obbligazione solo labilmente od occasionalmente correlata allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e, quindi, al soddisfacimento della massa[11].

Nel solco del primo dei due orientamenti, ad ogni modo, pare essersi posta la Suprema Corte in una recentissima pronuncia[12] avente ad oggetto proprio il credito di un professionista. La Corte, nel confermare la decisione del Tribunale, ha escluso la natura prededucibile valorizzando due aspetti: in primo luogo, la non riferibilità della prestazione agli organi della procedura, non essendo stato il professionista incaricato dagli stessi; in secondo luogo, la mancata inclusione dell’attività stragiudiziale oggetto della prestazione all’interno del piano concordatario; in terzo luogo, il mancato superamento da parte del professionista dell’eccezione di superfluità della sua prestazione[13].

Quale che sia l’orientamento che si ritenga preferibile, è certo che le maglie della prededuzione per il professionista nominato dalla società in concordato appaiono assai ristrette. Paradossalmente è proprio l’orientamento più rigoroso a offrire una sponda maggiore, giacché la prededuzione non potrebbe essere negata qualora una certa prestazione fosse contemplata nel piano concordatario; viceversa, appare difficile qualificare come strettamente funzionale (in senso forte) l’attività di un professionista nominato dalla società nell’ambito della continuità aziendale per una qualunque esigenza che la stessa dovesse incontrare (come ad esempio il recupero crediti o la gestione della contabilità o dei lavoratori).

 

2.2 Le novità del Codice della crisi

Se l’attuale assetto giurisprudenziale sembra lasciare spazio alla prededuzione del credito professionale nella fase esecutiva del concordato, a diverse conclusioni pare doversi pervenire sotto il vigore del Codice della crisi.

Invero, il Codice detta un’apposita disciplina al credito prededucibile oltrepassando sia il criterio cronologico che quello teleologico. I crediti professionali vengono espressamente menzionati alle lettere b) e c)[14], mentre le altre lettere attengono a tutt’altro e, segnatamente, a spese e compensi per le prestazioni rese dall'organismo di composizione della crisi di impresa e dall'organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento e ai «crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore e la continuazione dell'esercizio dell'impresa, i crediti derivanti da attività non negoziali degli organi preposti, purché connesse alle loro funzioni, i crediti risarcitori derivanti da fatto colposo degli organi predetti, il loro compenso e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi» (d).

Non pare quindi esservi alcuno spazio per le prededuzioni professionali al di fuori dei restretti confini dettati dal Codice della crisi. Nemmeno l’ipotesi sub d), volutamente riportata per esteso, pare costituire un solido appiglio giacché, come già acutamente osservato, i crediti «legalmente sorti» devono riguardare la fase concorsuale in senso stretto, e quindi precedere l’omologa[15].

 

3. Il credito professionale nella fase antecedente al concordato

3.1 L’orientamento tradizionale

Se dunque sussiste un (sia pure forse solo apparente, per le ragioni già esposte) contrasto nella giurisprudenza di legittimità in merito all’estensione del recinto della prededuzione nella fase esecutiva del concordato, non meno acceso è il contrasto in merito al credito per l’attività professionale che (almeno in parte) precede la domanda concordataria, ma che tuttavia risulta funzionale in qualche misura alla procedura concorsuale. Si allude, in particolare, al credito del professionista (avvocato, commercialista e attestatore) che assista il debitore nella predisposizione di proposta e piano, indipendentemente peraltro dal fatto che il concordato abbia natura liquidatoria o preveda una continuità aziendale; questione recentemente approdata, in virtù dell’ordinanza n. 10885/2021, all’attenzione delle Sezioni Unite.

Giova ripercorrere allora le varie posizioni giurisprudenziali affacciatesi nel corso del tempo su una tematica così ricorrente nelle aule giudiziarie.

Una parte della giurisprudenza di merito, in fase di prima applicazione, tese a colorare il concetto di funzionalità con quello di utilità in concreto, attraverso una verifica a posteriori. In buona sostanza, veniva sovente sostenuto che in tanto i professionisti meritassero la prededuzione in quanto il loro lavoro si fosse rivelato effettivamente utile per il ceto creditorio e, in particolare, la procedura concordataria non fosse fatalmente sfociata nel fallimento.

La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, chiarì fin da subito che la verifica del nesso di funzionalità e strumentalità avrebbe dovuto essere compiuta controllando se l'attività professionale prestata potesse essere ricondotta nell'alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l'evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale comportare di per sé sola la frustrazione dell'obiettivo della norma, escludendo il ricorso all'istituto[16]. Ciò significa che l’esclusione del rango prededucibile non potrebbe fondarsi – quantomeno in via esclusiva – sulla non utilità in concreto della procedura stessa, attraverso una valutazione ex post, essendo piuttosto la funzionalità ravvisabile quando le prestazioni compiute dal terzo, per il momento ed il modo con cui sono state assunte in un rapporto obbligatorio con il debitore, confluiscano nel disegno di risanamento da quest'ultimo predisposto in modo da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria di una procedura concorsuale, a meno che non ne risulti dimostrato il carattere sovrabbondante o superfluo rispetto all'iniziativa assunta[17] o finanche la conoscenza da parte del professionista del carattere fraudolento dell’iniziativa assunta dal debitore[18].

 

3.2 La prededuzione per l’atto legalmente compiuto

In una prospettiva diversa, ma comunque in chiave largheggiante, si è posta Cass. 10 ottobre 2019 n. 25471 che, in una fattispecie che vedeva coinvolto il credito dell’attestatore che, proprio con la propria relazione di carattere negativo, aveva condotto inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità, ha introdotto un nuovo argomento. Invero, per riconoscere la natura prededucibile del credito non si è soffermata affatto sul concetto di funzionalità, ritenendo piuttosto che in tal caso vi sia una prededuzione tipicamente contemplata dalla legge. Ha richiamato, al riguardo, il combinato disposto dei commi 3 e 7 dell’art. 161 l.f.: il comma 3 sancisce che il piano sia accompagnato dalla relazione di un attestatore; il comma 7, ultimo periodo, prevede invece che «i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111». L’incarico conferito all’attestatore sarebbe insomma un «atto legalmente compiuto», originante un credito prededucibile, a meno che «il debitore non abbia abusato del concordato preventivo, aumentando la sfera della prededuzione e, quindi, anche alterando la par condicio creditorum, poiché è assolutamente ovvio il danno che i creditori anteriori possono subire per effetto del depauperamento dell'attivo (e della correlata riduzione della garanzia patrimoniale) che deriva da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili».

La medesima pronuncia ha fatto leva anche sul criterio dell’occasionalità, in base all’assunto che «il procedimento ìnnescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell'unico procedimento che rileva, semplicemente articolato in due fasi per così dire "interne"»[19].

 

3.3 Il ritorno dell’utilità in concreto

Una terza impostazione è stata recentemente inaugurata da Cass. 15 gennaio 2021 n. 639[20], che ha negato la natura prededucibile al credito del professionista che abbia assistito il debitore nella predisposizione del concordato allorquando il Tribunale non abbia disposto l’apertura della procedura, dichiarando il ricorso inammissibile.

Il punto di partenza del ragionamento è che «con la presentazione della domanda di concordato e, segnatamente, con la sua pubblicazione nel registro delle imprese, si instaura [infatti] un mero procedimento di "verifica"- tale è l'espressione testuale utilizzata dall'art. 162 comma 2° I. fall.- finalizzato ad accertare la sussistenza dei presupposti per l'ammissione alla procedura», per cui «solo se la verifica ha un esito positivo, il tribunale fallimentare, secondo quanto previsto dall'art. 163 I. fall., con decreto non soggetto a reclamo, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, provvedendo contestualmente alla nomina dei suoi organi (giudice delegato, commissario giudiziale) ed alla convocazione dei creditori», mentre «nel caso di esito negativo del procedimento, il tribunale emette invece una pronuncia di inammissibilità "della proposta", e non già "del concordato": ciò significa che la domanda di ammissione alla procedura, al pari di ogni altra domanda sottoposta alla previa delibazione del giudice, non è produttiva dell'effetto che con essa l'imprenditore intende conseguire fino a quando non risulti accertata la sussistenza dei presupposti necessari al suo accoglimento». Questa pronuncia ha quindi inteso disinnescare l’applicabilità del criterio cronologico, valorizzando particolarmente un dato letterale: ad essere dichiarata inammissibile è la proposta e non il concordato, che appunto si apre solo in assenza di declaratoria di inammissibilità.

Né, ai fini del riconoscimento della prededuzione, potrebbe farsi leva sul criterio teleologico della funzionalità. «La nozione di funzionalità (strumentalità) della prestazione dalla quale sorge il credito, cui consegue il diritto del creditore ad essere soddisfatto in prededuzione, non può invece essere ampliata fino al punto di comprendervi qualsivoglia attività resa nel mero tentativo, risultato infruttuoso, di accedere ad una determinata procedura, quand'anche, in luogo di questa, ne sia stata aperta una diversa e non voluta: restando al caso di specie (in cui alla constatata inammissibilità della domanda di concordato è seguita la dichiarazione di fallimento) una tale opzione interpretativa per un verso non tiene conto che la prestazione di assistenza del professionista, volta a favorire il cliente e non certo i creditori concorsuali, è del tutto scollegata dal vantaggio a costoro - in tesi derivante dalla retrodatazione degli effetti del fallimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato, vantaggio che piuttosto scaturisce dalla scelta dell'imprenditore (cui unicamente spetta la relativa decisione) di presentare tale domanda; per altro verso, finisce con l'agevolare la presentazione di domande di concordato prive di concrete possibilità di accoglimento e col pregiudicare i creditori concorsuali, ponendo a carico del fallimento i costi (spesso ingenti) di prestazioni superflue».

Infine, questa pronuncia ha escluso che possa parlarsi di prededuzione tipica, prevista dalla legge, in base al comma 7 dell’art. 161 l.f.: a quella norma, infatti, potrebbero ricondursi solo gli atti compiuti per l’ordinaria gestione dell’attività tipica dell’impresa.

Non potrà sfuggire che, con una simile presa di posizione, la Suprema Corte abbia in qualche misura riesumato il criterio dell’utilità in concreto originariamente fattosi strada presso la giurisprudenza di merito subito dopo l’introduzione del binomio occasionalità/funzionalità. Detto altrimenti, pare essere stato coniata una sorta di presunzione di superfluità o sovrabbondanza dell’attività professionale, scaturente dal sol fatto che una domanda non sia nemmeno riuscita a superare il vaglio di ammissibilità. Come sottolineato da attenta dottrina[21], tuttavia, il passaggio più innovativo della pronuncia in esame è costituito dalla “derubricazione” della fase antecedente al provvedimento di ammissione ad un segmento procedimentale privo dei connotati della concorsualità; ciò in contrasto con la ricostruzione sistematica più volte offerta dalla stessa Suprema Corte.

 

3.4 Qualche considerazione

L’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite, nel ripercorrere in maniera certosina tutti gli orientamenti presenti sul campo, non ha mancato di sottolineare i punti di forza e i punti critici degli stessi, con particolare riguardo alle posizioni da ultimo affacciatesi presso la Corte. Anche da tali sottolineature si trarrà spunto per alcune considerazioni.

Indubbiamente la tesi degli «atti legalmente compiuti» appare suggestiva e trova un addentellato nell’orientamento tradizionale della giurisprudenza secondo il quale i pagamenti dei professionisti che abbiano assistito la società nella fase preparatoria del concordato avvenuti durante la pendenza del termine di cui all’art. 161, comma sesto, l.f. costituiscono atti di ordinaria amministrazione non necessitanti di apposita autorizzazione[22]. Proprio tale inquadramento degli atti di ordinaria amministrazione, tuttavia, può spingere a chiedersi se il ragionamento compiuto dalla Suprema Corte non sia estendibile ben oltre la figura dell’attestatore, coinvolgendo anche (tra gli altri) l’avvocato e il commercialista che lavori per il debitore. D’altro canto, essendo quella di concordato preventivo una domanda giudiziale vera e propria, sussiste un obbligo di assistenza tecnica per la presentazione della domanda o della proposta integrativa ai sensi del comma 6 dell’art. 161 l.f., di talché, seguendo questa linea di pensiero, quantomeno il compenso del legale potrebbe essere inquadrato come prededucibile[23].

Sembra inoltre fondato il dubbio - avanzato da autorevole dottrina[24] e sottolineato, sia pure sinteticamente, anche dalla pronuncia n. 639 del 2021 - che il segmento normativo in esame («atti legalmente compiuti») non faccia affatto riferimento ai contratti stipulati con i professionisti che coadiuvano il debitore nella formulazione di proposta e piano, bensì agli ordinari atti commerciali di gestione dell’impresa; ciò anche valorizzando la ratio sottesa a tale previsione normativa, vale a dire non determinare il blocco dell’attività d’impresa a cagione del deposito della domanda di concordato rassicurando coloro i quali si interfacciano per ragioni commerciali con l’impresa che, nella successiva procedura concordataria o, nella peggiore delle ipotesi, nel fallimento, saranno preferiti rispetto a tutti gli altri creditori[25].

Va poi verificato fino a che punto la trama argomentativa della pronuncia in esame sia compatibile con il concetto di occasionalità fatto proprio dalla stessa giurisprudenza di legittimità quantomeno con riferimento al momento esecutivo del concordato. Come si è visto, infatti, la Corte di cassazione è ferma nell’affermare che non qualsivoglia obbligazione sorga «in occasione» nella procedura di concordato acquisisca il rango prededucibile, dovendovi essere una qualche riferibilità agli organi della procedura; ciò, expressis verbis, con il fine di evitare un allargamento del ventaglio di creditori prededucibili. Vero è, tuttavia, come già rilevato, che la stessa Corte (graniticamente) non dubita che i crediti dell'attestatore, dello stimatore titolato, del professionista redattore o coadiutore del piano in preparazione e del legale redigente la domanda si inseriscano nel contesto di un concordato in corso, e quindi «in occasione» dello stesso, e che essi siano frutto di atti di ordinaria amministrazione, come tali pagabili senza alcun tipo di autorizzazione da parte del giudice delegato (pagamenti, peraltro, non revocabili ai sensi dell’art. 67, comma 3, lettera g l.f.) e non meritevoli di soddisfacimento soltanto qualora se ne dimostri il carattere “eccedentario” o finanche fraudolento.

Il rischio della prospettiva ermeneutica fin qui esaminata, com’è ovvio, è quello di aprire troppo lo spazio della prededuzione, favorendo situazioni purtroppo ricorrenti nei fallimenti, vale a dire l’accrescere di crediti per professionisti particolarmente elevati che, di fatto, finiscono per erodere gran parte dell’attivo che sarebbe destinato agli altri creditori, anche muniti di privilegi astrattamente tutelati al massimo (come quelli dei lavoratori). Prededuzioni che, per certi versi, quantomeno nel caso dei concordati in continuità, potrebbero finire per condizionare fortemente la stessa formazione del consenso da parte degli altri creditori. Invero, se si conclude che la pura e semplice esecuzione di una prestazione in costanza di concordato sia sufficiente a far scattare il rango prededucibile, con compensi legittimamente fissati dal debitore[26], i creditori potrebbero essere indotti ad approvare la proposta concordataria e non instare per il fallimento solo per non correre il rischio che, in un contesto eminentemente liquidatorio qual è quello fallimentare, le loro aspettative di credito finiscano per essere schiacciate (e frustrate) dall’ampia mole di prededuzioni nel frattempo maturata[27].

È proprio per fronteggiare tale rischio che la pronuncia del 2021 ha provato a stringere notevolmente le maglie della prededuzione. Pare nascondersi dietro questo arresto della giurisprudenza di legittimità la consapevolezza che far coincidere l’argine della prededuzione con l’eccezione di superfluità o di inadempimento da parte del curatore in sede di verifica del passivo equivalga a fornire al giudice delegato poche armi per motivare convincentemente il rigetto della prededuzione, con l’effetto (talvolta) di una crescita esponenziale dei crediti professionali preferiti nel riparto, a forte discapito dei creditori privilegiati (e ovviamente, a cascata, dei chirografari).

Sennonché anche il percorso argomentativo della pronuncia del 2021 si presta a qualche critica.

La prima è che l’inquadramento della fase pre-ammissione in termini di mera verifica, sprovvista dei connotati della concorsualità, si appunta su un argomento testuale scarsamente significativo (come sottolineato, correttamente, dall’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite) e non pare in linea con la ricostruzione data dalla dottrina[28] e sposata anche dalla giurisprudenza maggioritaria[29]. La seconda è che lo sbarramento dell’ammissione del concordato, che come detto determina la nascita di una sorta di presunzione assoluta di superfluità dell’attività professionale, pare svilire ingiustificatamente alcune prestazioni, potendosi verificare in concreto che il naufragio della proposta dipenda da fattori sopravvenuti o comunque non controllabili dal professionista stesso[30]. Oltretutto non può non tenersi conto del fatto – per il vero non affrontato dalla pronuncia, e quindi non necessariamente escluso – che giuste ragioni di esclusione della prededuzione potrebbero prescindere dall’apertura del concordato e collegarsi, ad esempio, a una revoca per atti in frode, necessariamente successiva all’ammissione.

Con ciò non si vuole sostenere – come per il vero da taluno, pur pregevolmente, affermato[31] – che la prospettiva della c.d. utilità concreta ai fini del riconoscimento del rango prededucibile sia incompatibile con la stessa struttura della prestazione d’opera professionale, dogmaticamente inquadrata come obbligazione di mezzi e non di risultato. Invero, tale approccio sembra confondere due piani tra di loro distinti, vale a dire quello del corretto adempimento della prestazione (che refluisce sul diritto al pagamento o, quantomeno, sul quantum debeatur) e quello dell’attribuzione di una preferenza processuale nella fase di soddisfacimento del credito in sede concorsuale[32]. Si vuole piuttosto rilevare che la previsione di una netta cesura (tra prededuzione e non prededuzione) connessa a un “giro di boa” procedimentale potrebbe risultare eccessivamente penalizzante per prestazioni che, sul piano oggettivo, risultano effettivamente funzionali ad affrontare efficacemente lo stato di crisi. Ciò sempre che non voglia aderirsi alla posizione di recente autorevolmente espressa secondo la quale, «dal momento che la prededuzione si attua all’interno della procedura concorsuale la cui apertura è lo scopo oggettivo della attività che genera il credito, la funzionalità di quest’ultima, e dunque del credito relativo, non può che essere apprezzata ex post, cioè dopo che la procedura, nella quale la prededuzione dovrebbe realizzarsi, sia stata aperta: il giudizio di funzionalità, in altre parole, implica che lo strumento impiegato abbia raggiunto il fine del suo impiego»[33].

L’impressione è che i due nuovi orientamenti si pongano su due estremi e che l’orientamento tradizionale costituisca probabilmente l’approdo più equilibrato in punto di diritto. L’adesione ad una delle nuove impostazioni rischia in effetti di tradursi o in un’eccessiva apertura o in un eccessivo rigore, mentre invece la giusta misura dovrebbe consistere nel verificare, volta per volta, il pregio dell’attività svolta, sanzionando con l’esclusione della prededuzione quei crediti connessi a prestazioni che a ben vedere si inseriscono in un contesto di crisi irrisolvibile o che agevolino iniziative sostanzialmente eccessive, abusive o fraudolente.

In quest’ottica la mancata apertura del concordato, lungi da costituire un’automatica tagliola, potrebbe rappresentare un valido spunto di riflessione per il giudice delegato al fine di escludere la prededucibilità, partendo ovviamente dai motivi sottesi alla declaratoria di inammissibilità. E così, ad esempio, la mancata apertura di un concordato preventivo liquidatorio per palese impossibilità di garantire il soddisfacimento del 20% dei creditori chirografari – ipotesi, invero, tutt’altro che infrequente soprattutto alla luce della recente ricalibratura della «fattibilità economica» da parte della Suprema Corte[34] – potrebbe senz’altro giustificare la negazione della prededuzione.

C’è peraltro un altro dato essenzialmente pratico da tenere in debita considerazione. Sovente l’atteggiamento particolarmente rigido del giudice delegato (e del Tribunale in sede di opposizione) costituisce non già la reazione a una prestazione icto oculi abusiva, superflua o negligente, bensì alla richiesta di pretese economiche assolutamente spropositate nel contesto concorsuale. Detto altrimenti, spesso risulta intollerabile che, per un’attività svoltasi in un intervallo temporale limitato nella fase di conclamata crisi aziendale, finiscano per sorgere crediti esorbitanti che pesano a tal punto sull’attivo potenziale da vanificare le prospettive di soddisfacimento di lavoratori, professionisti, artigiani e fornitori che hanno operato per l’impresa per anni. Il tutto – come se fosse una beffa – in virtù di uno strumento, quello concordatario, che sarebbe teoricamente deputato a offrire una maggiore tutela proprio al ceto creditorio.

Non sarebbe (stato) allora inopportuno un intervento del legislatore volto a limitare il numero di professionisti nominabili dal debitore (chiaramente in funzione della complessità della crisi, valutabile sulla base dei dati di bilancio) e regolamentare i compensi dei professionisti che operano nella fase di crisi dell’impresa. Un simile intervento, certamente incisivo nell’ambito di un sistema improntato alla libera concorrenza, sarebbe giustificato dall’esigenza di bilanciare i vari interessi contrapposti, e in particolar modo quello dei creditori più sensibili, tutelati dal privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c.. Inoltre, si porrebbe in armonia che gli inputs provenienti dalla Direttiva UE n. 2019/1023 (c.d. direttiva insolvency), orientati verso una riduzione dei costi complessivi delle procedure concorsuali[35].

 

3.5 La disciplina del Codice della crisi

La suggestione da ultimo svolta è stata solo in parte (e malamente, come si dirà) raccolta dal Codice della crisi.

Le lettere b) e c) dell’art. 6 riconoscono la prededuzione ai crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e per la presentazione della domanda di concordato preventivo a condizione, rispettivamente, che gli accordi siano omologati e che la procedura di concordato sia aperta. In entrambi i casi, inoltre, è stata prevista una limitazione del compenso, sia pure solo a posteriori, e cioè da attuarsi in sede di riparto («nei limiti del 75% del credito accertato»)[36].

Come può notarsi, il Codice si muove nel solco dell’impostazione anticipata dalla pronuncia n. 639 del 2021, positivizzando la presunzione di non superfluità della prestazione per il caso di mancata apertura del concordato (o di difetto di omologa dell’accordo)[37]. Chiaro è l’intento – reso del resto palese dalla legge delega e, ancor più, dalla relazione accompagnatoria – di porre un argine all’impetuoso incedere della prededuzione, attraverso la previsione di ipotesi tipiche di prededuzione e l’eliminazione di formule ampie («in occasione o in funzione») che, nel tempo, hanno dato la stura alle interpretazioni largheggianti già esaminate.

L’ulteriore previsione, concernente la limitazione del compenso, non appare invece particolarmente condivisibile. In disparte la discutibile collocazione topografica, in quanto trattasi di regola inerente al riparto più che alla definizione o catalogazione delle prededuzioni, non se ne comprende fino in fondo l’utilità atteso che, per aggirare il taglio del 25%, sarà sufficiente per i professionisti fissare nella lettera d’incarico un compenso ulteriormente maggiorato rispetto a quello che, in difetto di tale norma limitativa, avrebbero in astratto preteso. Ciò a riprova del fatto che sarebbe stato maggiormente efficace un intervento a monte sulla libera quantificazione del compenso.

Rimane poi da capire se il diritto alla prededuzione finisca per consolidarsi in virtù dell’ammissione, rimanendo intangibile di fronte a fatti sopravvenuti quali la revoca[38]. Sembra corretto affermare che, in caso di provvedimento ai sensi dell’art. 173 l.f., venendo meno ex tunc l’effetto proprio dell’apertura, con ciò intendendo l’avvio dell’iter funzionale alla celebrazione dell’adunanza dei creditori, venga automaticamente meno anche il presupposto alla base del riconoscimento della prededuzione[39]. D’altra parte, una soluzione diversa risulterebbe palesemente irragionevole poiché potrebbe finire per premiare finanche professionisti che abbiano collaborato nella realizzazione di atti in frode.



[1] Sulla differenza tra prelazione e prededuzione si veda, per tutte, Cass. 11 giugno 2019 n. 15724.

[2] Più che sulla natura dei crediti suddetti, infatti, possono porsi problemi applicativi di non scarso rilievo sul versante del soddisfacimento dei crediti in questione nelle ipotesi in cui i fondi del fallimento siano pressoché nulli (giacché, se il credito prededucibile del curatore può essere posto a carico dell’Erario a seguito della sentenza additiva n. 174 del 2006 della Corte costituzionale, analoga conclusione non può serenamente essere compiuta in relazione agli altri crediti professionali alla luce del tenore testuale dell’art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002) e in cui invece i fondi vi siano, ma provengano dalla vendita di beni soggetti a ipoteca o pegno (stante il difficile coordinamento tra gli artt. 111-bis e 111-ter l.f.). Trattasi tuttavia si profili che esulano dal perimetro del presente lavoro.

[3] Tra le altre pronunce si veda Tribunale Firenze del 1° luglio 2014, pubblicata su Il Fallimento, 2014, n. 11, pag. 1236.

[4] Si veda Cass. 23 dicembre 2016 n. 26949.

[5] In questo senso Cass. 28 giugno 2019 n. 17596, richiamata dalla recentissima Cass. 20 settembre 2021 n. 25313.

[6] La giurisprudenza era infatti molto netta nell’affermare che in nessun caso potesse sorgere una prededuzione nel contesto del concordato con cessione dei beni, avendo quest’ultimo finalità meramente liquidatoria; di contro, veniva riconosciuta natura prededucibile al credito sorto nel corso dell’amministrazione controllata; procedura (oggi abrogata), che consentiva all’imprenditore in temporanea difficoltà, in presenza di comprovate probabilità di risanamento, di ottenere una sospensione per al massimo due anni dei pagamenti verso i creditori, e di proseguire la sua attività sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Tale assetto, tra l’altro, era stato sostanzialmente anche avallato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 32 del 1995, la quale aveva ritenuto ragionevole che venissero considerati in prededuzione «i crediti di gestione maturati nel corso della procedura di pregressa amministrazione controllata» in quanto ciò rispondeva all’esigenza di «riequilibrare la condizioni di maggior rischio contrattuale in cui tali crediti sono concessi e ad incentivarne così l’erogazione in funzione del positivo esito della procedura, nell’interesse di tutti i creditori». Per una disamina più approfondita si rimanda a G. B. Nardecchia, La prededuzione dei professionisti nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2020, n. 2, pp. 176 e seguenti. Per un excursus sull’evoluzione normativa antecedente alla riforma del 2005-2007 si veda anche S. Pacchi, La prededuzione dei professionisti nel concordato preventivo, in www.dirittodellacrisi.it, 27 ottobre 2021.

[7] La ragione per la quale la prededuzione sorta nel concordato possa finire per confluire nella verifica del passivo fallimentare, come noto, è la regola della consecuzione delle procedure. Affinché possa riconoscersi la consecutio procedurarum è necessario verificare se le procedure coinvolte abbiano affrontato la stessa situazione di crisi; detto altrimenti, occorre valutare «partendo da un dato cronologico per passare, poi, ad una valutazione di carattere giuridico e/o economico, se l'imprenditore, nell'eventuale iato temporale fra le procedure susseguitesi fra loro, sia intervenuto fattivamente nella gestione dell'impresa ed abbia variato la consistenza economica del suo stato di dissesto in maniera sostanziale, introducendo elementi di rilevante difformità rispetto alla situazione in precedenza apprezzata dagli organi giudiziari» (in questi termini si è espressa Cass. 11 giugno 2019 n. 15724). Circa la rilevanza del «dato cronologico», cui pure la pronuncia sopra citata fa riferimento, è opportuno segnalare che un’analisi approfondita della giurisprudenza di legittimità mostra come, laddove si sia fatto riferimento alla rilevanza dello iato temporale tra le procedure (per esempio Cass. 16 aprile 2018 n. 9290 e Cass. 26 giugno 1992 n. 8013), si è inteso soltanto presumere che la distanza cronologica possa aver ragionevolmente determinato una variazione della situazione di crisi. Ne consegue che l’elemento portante nell’accertamento della consecuzione è e resta l’identità del contesto di dissesto affrontato.

[8] Cfr. Cass. 24 gennaio 2014 n. 1513 e, più di recente, Cass. 7 ottobre 2016 n. 20113.

[9] È il caso di Cass. 9 settembre 2016 n. 17911 che, occupandosi della fattispecie riguardante il credito di un fornitore di materie prime di un’impresa in concordato con continuità (e poi fallita), ha ritenuto di dover qualificare come prededucibile il credito sorto da rapporti instaurati «in conformità del piano industriale oggetto dell’approvazione da parte dei creditori e dell’omologazione da parte del Tribunale, in modo che si realizzi quella piena coerenza tra le obbligazioni assunte dall’impresa in concordato e il piano approvato». Nello stesso senso Cass. 12 luglio 2018 n. 18488 con riferimento a un contratto di leasing avente a oggetto un bene mobile aziendale, nella quale può leggersi: «in sostanza, non è sufficiente perché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell'obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima - ché in caso contrario tutti i crediti sorti nell'ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili - e che, comunque, l'assunzione di tale obbligazione risulti dal piano e dalla proposta».

[10] Particolarmente significativa è Cass. 10 gennaio 2018 n. 380, riguardante il credito di un fornitore di energia elettrica: in tal caso la Corte, sul rilievo che l’erogazione della fornitura fosse obiettivamente essenziale affinché l’attività della società in concordato con continuità (poi fallita) potesse proseguire, ha sancito la natura prededucibile del credito, precisando però come fosse del tutto irrilevante che il provvedimento di cui all’art. 180 l.f. (vale a dire l’omologa) «non prevedesse espressamente, fra le modalità di esecuzione del concordato, il rinnovo o la stipula di un nuovo contratto di somministrazione alla scadenza di quello in corso alla data dell’omologazione». Il focus di tale pronuncia, insomma, risiede nella valorizzazione della stretta funzionalità dell’obbligazione rispetto agli obiettivi previsti dal piano, indipendentemente da un’espressa menzione della stessa nel decreto di omologa o nel piano. Negli stessi termini, recentemente, si è espressa Cass. 26 gennaio 2021 n. 2656.

[11] Critico invece nei confronti dell’orientamento minoritario è G. B. Nardecchia, La prededuzione e la lesione della par condicio creditorum, in Il Fallimento, 2018, n. 4, pp. 418 e seguenti. L’Autore si sofferma particolarmente sui rischi di un eccessivo ampliamento del perimetro della prededuzione, così come in passato accaduto con l’amministrazione controllata, e sul deficit di tutela che rischiano di ricevere i creditori concorsuali. Le critiche sono sicuramente acute, ma vanno forse ridimensionate. Ciò proprio perché il nesso di funzionalità con le finalità del piano deve essere necessariamente forte, in modo tale da evitare la nascita di prededuzioni per certi versi abusive. L’esempio del contratto di fornitura energetica (relativo alla fattispecie del 2018) è invero piuttosto emblematico; e non si vede perché la sua mancata menzione nel piano avrebbe dovuto penalizzare il creditore in questione quando magari, per puro accidente del caso, nel piano risultino invece contemplate prestazioni diverse e assai meno essenziali per il funzionamento aziendale.

Per un altro punto di vista critico si veda L. Panzani, Ancora sulla prededuzione dei crediti sorti in esecuzione del concordato preventivo, in Il Fallimento, 2021, n. 7, pp. 938 e seguenti.

[12] Si allude a Cass. 10 agosto 2021 n. 22604.

[13] Sull’applicazione dell’orientamento in questione anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione si veda l’interessante contributo di V. Zanichelli, La prededuzione dei crediti tra interpretazioni attuali (incerte) e possibili soluzioni future, in Il Fallimento, 2020, n. 4, pp. 553 e seguenti.

[14] Su tale disciplina si tornerà più approfonditamente in seguito.

[15] In questi termini, L. Panzani, Ancora sulla prededuzione dei crediti sorti in esecuzione del concordato preventivo, cit., p. 940, nonché G. B. Nardecchia, La prededuzione e la lesione della par condicio creditorum, cit., p. 558.

[16] In questo senso, ex plurimis, Cass. 27 febbraio 2018 n. 12017.

[17] Cass. 220/2020.

[18] Cass. 2 luglio 2020 n. 13596.

[19] Tale impostazione è stata più recentemente seguita da Cass. 28 gennaio 2021 n. 1961, sempre coinvolgente il credito dell’attestatore, a parere della quale «il riconoscimento della prededuzione, in questo caso, costituisce un effetto automatico».

[20] Più precisamente, la pronuncia in questione si riallaccia a un precedente arresto del 2015 (n. 25589) rimasta piuttosto isolata.

[21] Cfr. G. B. Nardecchia, Le mobili frontiere della prededuzione, in Il Fallimento, 2021, n. 4, pp. 478 e seguenti.

[22] In questi termini Cass. 10 gennaio 2017 n. 280.

[23] È quanto sostenuto anche da M. Fabiani, Concordato preventivo e divieto (non previsto dalla legge) di pagamenti dei compensi professionali. Il pensiero unico recente dei giudici di merito, in Il fallimento, 2017, n. 5, pp. 583 e seguenti. Giova osservare come la pronuncia di legittimità in commento pare aver fatto propri pressoché integralmente i ragionamenti sviluppati dall’Autore nel contributo citato.

[24] Si allude ad A. Napolitano, La prededuzione per funzionalità del credito del professionista, in Diritto della crisi, n. 1, p. 53.

[25] A diverse conclusioni, invece, si potrebbe forse giungere nel contesto nel nuovo concordato semplificato, previsto dal D.L. n. 118 del 2020, convertito in Legge n. 147 del 2021. L’art. 18, comma 2, infatti, statuisce che dal momento del deposito del ricorso – successivo al fallimento della composizione negoziata – «si producono gli effetti di cui agli articoli 111,167,168 e 169 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267», sicché si potrebbe essere indotti a concludere che tutti i crediti successivi a tale momento siano senz’altro prededucibili. Quello che precede è ovviamente soltanto uno spunto, esulando dal perimetro del presente lavoro l’approfondimento delle implicazioni nella nuova, complessa e discussa, figura di concordato.

[26] Tanto più se si esclude, come in effetti appare opportuno, che il puro e semplice fatto che il compenso pattuito sia elevato trasformi un atto di ordinaria amministrazione in atto di straordinaria amministrazione suscettibile di previa autorizzazione: si vedano al riguardo le puntualizzazioni di G. Meo, I crediti professionali nel concordato preventivo tra “prededuzioni” e adempimento contrattuale, in Orizzonti del diritto commerciale, 2016, n. 2, p. 23.

In realtà, a parere di chi scrive, non è del tutto vero che la misura del compenso sia del tutto irrilevante, almeno seguendo le (condivisibili) coordinate tracciate recentemente da Cass. 29 maggio 2019 n. 14713. Se è vero, infatti, che gli atti conclusi dall’imprenditore, per essere considerati di ordinaria amministrazione, devono essere coerenti con il contesto di crisi in cui questo si trova e non essere in condizione di pregiudicare gli interessi della massa dei creditori, allora potrebbe affermarsi che il debitore dovrebbe limitare il numero dei professionisti e l’ammontare del compenso pattuito in proporzione alla situazione di crisi che si trova a fronteggiare onde evitare, per l’appunto, che le prededuzioni sui compensi possano finire per gravare in maniera esorbitante sui numeri complessivi della crisi.

[27] Vero è che (come fa notare M. Fabiani, Concordato preventivo e divieto (non previsto dalla legge) di pagamenti dei compensi professionali. Il pensiero unico recente dei giudici di merito, cit., p. 586) che i creditori ben potrebbero valutare sproporzionati i compensi pattuiti e non approvare il concordato nella prospettiva che, in sede fallimentare, possa essere contestato (dal curatore o da loro medesimi). Il fatto, però, è che in un contesto in cui il compenso è liberamente concordabile, non è affatto agevole eccepire la sovrabbondanza dello stesso, salvo dimostrare – ma ciò è assai complesso – la sussistenza di una frode occulta o – e la strada sarebbe ancora più in salita – la violazione del principio di buona fede. Si segnala, ad ogni modo, che sarebbe sempre attaccabile la clausola di quantificazione a forfait, come insegna un recente orientamento della Suprema Corte (si veda Cass. 30 marzo 2018 n. 79749). 

[28] Cfr. M. Fabiani, Concordato preventivo e divieto (non previsto dalla legge) di pagamenti dei compensi professionali. Il pensiero unico recente dei giudici di merito, cit., p. 585.

[29] Si veda, per tutte, Cass. 29 maggio 2019 n. 14713.

[30] Interessante, al riguardo, quanto sostenuto di recente da Cass. 2288/2020: «non si può cioè affermare che il citato esito infausto della domanda implichi di per sé che l'attestatore non abbia adempiuto alla sua prestazione, così da negarne ogni credito, trattandosi di piani valutativi distinti, sia per oggetto del giudizio (la proposta di concordato, l'atto del professionista), sia per tipologia di procedimento (il giudizio sull'ammissibilità del concordato, la verifica del credito concorsuale), sia per regole di iniziativa e accertamento giudiziali, oltre che disciplina probatoria». D’altro canto, come già in passato precisato dalla Suprema Corte, l’ammissione da parte del Tribunale non si traduce di certo in una sorta di approvazione dell’operato dell’attestatore, come tale meritevole della prededuzione (cfr. Cass. 22785/2018).

[31] Cfr. S. Ambrosini, Appunti in tempo di prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo e nell’eventuale successivo fallimento, in www.osservatorio-oci.org, giugno 2017. Impostazione più di recente ripresa da F. Di Marzio, Credito professionale e prededuzione, in www.giustiziacivile.com, 29 aprile 2021.

[32] Nello stesso senso ci pare essersi espressa S. Pacchi, La prededuzione dei professionisti nel concordato preventivo, cit., pp. 18 e seguente.

[33] A. Napolitano, La prededuzione per funzionalità del credito del professionista, cit., p. 51.

[34] Si veda, per tutte, Cass. 15 giugno 2020 n. 11522.

[35] Spunti in S. Pacchi, La prededuzione dei professionisti nel concordato preventivo, cit., pp. 19 e seguenti.

[36] Una sintesi efficace della novella normativa sul punto si può trovare in S. A. Cerrato, La prededuzione dei crediti dei professionisti tra conferme e prospettive, in Giurisprudenza italiana, 2019, pp. 1113 e seguenti.

[37] Condivisibile quanto osservato da G. B. Nardecchia, La prededuzione dei professionisti nel concordato preventivo, cit., pp. 182 e seguenti, in ordine alla potenziale contrarietà rispetto al principio di ragionevolezza del diverso trattamento tra professionisti che assistono il debitore negli accordi di ristrutturazione (dove rileva l’omologa) e quelli che assistono il debitore nel concordato (dove rileva l’apertura).

[38] Interrogativo che si pone G. Costantino, La prededuzione in attesa del codice della crisi, in Foro Italiano, 2021, pp. 877 e seguenti.

[39] Di diversa opinione sembra invece A. Napolitano, La prededuzione per funzionalità del credito del professionista, cit., p. 56, così come S. Ambrosini, Appunti in tempo di prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo e nell’eventuale successivo fallimento, cit., pp. 6 e seguente.