Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni


Massimo Montanari

Data pubblicazione
24 dicembre 2021

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Sommario: 1. Introduzione. – 2. Profili generali. – 3. La trama, in sintesi, del procedimento. – 4. Il problema del contraddittorio con i creditori. – 5. I presupposti della revoca delle singole misure di protezione erogate. – 6. Prognosi giudiziale di insuccesso delle trattative promosse con il ceto creditorio e caducazione generalizzata delle misure protettive che esse trattative supportano.


1. Introduzione

Il tema, che mi sono riservato in questa sede, del procedimento relativo alle misure protettive e cautelari che presidiano il nuovo istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa, quale introdotto, nel nostro ordinamento concorsuale ([1]), dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118 (recante il titolo di «Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia»), convertito, con modifiche, in l. 21 ottobre 2021, n. 147, questo tema, dicevo, non può certo essere esaurito nell’angusto spazio di tempo concesso alla relazione che sono stato chiamato a presentare nell’àmbito del presente incontro di studi. Le mie riflessioni si concentreranno, pertanto, su alcuni soltanto degli snodi, prescelti, chiaramente, tra quelli più problematici o densi di criticità, attraverso i quali si sviluppa la sequenza processuale in oggetto, non senza un preliminare quanto sommario tratteggio di quella che ne rappresenta la trama essenziale, regolata dall’art. 7 del suddetto decreto, passato pressoché indenne al vaglio operato in sede di conversione in legge del medesimo.

 

2. Profili generali

Al pari di quanto avvenuto per la figura che ne costituisce il genus proximum nel sistema del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora innanzi CCII), vale a dire quella composizione assistita della crisi che è parte integrante del sistema delle misure di prevenzione e allerta consegnatoci dallo stesso Codice e rimesso a futura memoria dal decreto sul quale verte oggi la nostra attenzione ([2]), anche la composizione negoziata si vede supportata, nel perseguimento dei suoi obbiettivi istituzionali, dalla possibilità, riconosciuta all’imprenditore coinvolto, di mobilitare apposite misure protettive, nella specie consistenti, al di là in quella che ne è la generale definizione, ex art. 2, lett. p), CCII, di «misure temporanee, disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza» ([3]): nell’interdizione dei creditori dalla possibilità di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore (art. 6, comma 1°, d.l. n. 118/2021); nell’inibitoria di azioni esecutive o cautelari sul patrimonio di quest’ultimo o su beni dal medesimo detenuti ai fini dell’esercizio dell’impresa (ibidem); nel divieto di addivenire nei suoi confronti alla declaratoria di fallimento o all’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza (art. 6, comma 4°); nel divieto, rivolto ai creditori interessati dalle misure protettive, di rifiutare unilateralmente l’adempimento dei contratti pendenti e di provocarne la risoluzione nonché di anticiparne la scadenza o di modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento delle loro pregresse spettanze ([4]).

 Differenti però, nel passaggio dall’uno all’altro di quegli strumenti, sono le modalità di innesco di tali misure. Giacché, se in sede di composizione assistita, necessario si rende a quel fine un apposito provvedimento del giudice, susseguente a consonante domanda di parte (così l’art. 20, commi 1° e 5°, CCII), nel quadro della composizione negoziata, viceversa, l’intervento giudiziale è richiesto in funzione confermativa o modificativa di misure già in essere (v. sub art. 7, comma 1°, d.l. n. 118/2021, dove si parla di ricorso con cui viene chiesta al tribunale non la concessione, bensì «la conferma o la modifica delle misure protettive»): e poiché l’innesco delle medesime non può, evidentemente, farsi risalire a una pronuncia dell’esperto, d’obbligo è ammetterne lo spiegamento ex lege, quale effetto automatico – seppur condizionato alla pubblicazione dell’atto di parte, di cui tosto dirò, nel registro delle imprese – di quell’istanza di applicazione di dette misure che, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, d.l. n. 118/2021, l’imprenditore è facultato a proporre così in una all’istanza di nomina dell’esperto negoziatore come con atto successivo ([5]).

 I conditores del decreto oggi in esame hanno in questo modo ripreso il regime di quasi- o semiautomaticità ([6]) adottato dal Codice della crisi per le misure protettive applicabili in fase di accesso alle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo e omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti (v., in particolare, i relativi artt. 54, comma 2°, e 55, comma 3°). Ma non si è trattato, per vero, di una riproduzione integrale di quel modello.

 Un primo momento di divaricazione può cogliersi in ordine alle tempistiche della richiesta di applicazione delle misure de quibus, che, come sappiamo, può essere avanzata con atto distinto e successivo rispetto a quell’istanza di nomina dell’esperto che funge da atto di avvio del procedimento di composizione negoziata della crisi; mentre di istanza giocoforza abbinata a quella di avvio della procedura occorre parlare trascorrendo alle procedure – ripeto: liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione – cui è riferimento negli artt. 54 e 55 CCII ([7]). E ancor più rimarchevole è il fatto che il giudice adito in vista dell’apertura di una di quelle procedure risulta automaticamente investito del compito di provvedere alla conferma, modifica o revoca delle misure protettive dianzi spiegatesi in forza della mera richiesta di parte ([8]); laddove, tornando alla composizione negoziata, quell’investitura pretende, come già, e parimenti, s’è visto, un’apposita domanda della parte interessata, in difetto della quale, o della cui tempestiva proposizione, dette misure verrebbero inesorabilmente a decadere ([9]).

 L’art. 7, comma 1°, d.l. n. 118/2021 prevede che, con lo stesso ricorso a mezzo del quale abbia a richiedere al tribunale la conferma o la modifica delle misure protettive già presenti sulla scena per effetto di una sua mera dichiarazione di volontà, l’imprenditore possa altresì domandare «l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative». Esorbita dai compiti di questa relazione quello di definire gli esatti contenuti delle misure poste per tabulas a presidio della composizione negoziata e della sua capacità di realizzazione dei fini che la legge ha inteso assegnarle, cercando in tal modo di offrire risposta, con riguardo a quelle specificamente catalogate come «cautelari», al quesito, a ben vedere preliminare, se un àmbito applicativo possa effettivamente essere loro riconosciuto nel presente contesto, a fronte di quell’autorevole, e difficilmente contestabile, insegnamento dottrinale per cui, «nelle procedure compositive, le misure cautelari hanno scarsissimo spazio, dal momento che esse possono essere sì chieste dalle parti del procedimento di apertura, ma in quelle procedure c’è una sola parte, il debitore, le cui esigenze cautelari sono normalmente soddisfatte dalle misure protettive» ([10]). Ma assodato che quell’àmbito applicativo non possa essere loro disconosciuto, a pena di veder ridotta a lettera morta la disposizione di legge testé evocata ([11]), doveroso è prendere atto dell’intento, qui perseguito dal legislatore, di mettere a punto un contenitore processuale uniforme ove le domande dirette rispettivamente alla conferma o modifica delle misure protettive ed alla concessione di quelle cautelari possano essere congiuntamente trattate e decise: operazione che è probabilmente all’origine di alcune delle criticità di cui sarà detto tra breve e certo implicante la sconfessione della scelta compiuta in sede di regolamentazione delle misure cautelari e protettive inserite nell’alveo del c.d. procedimento unitario per l’accesso alle procedure (maggiori) di regolazione della crisi o dell’insolvenza, dove la concessione delle une e la conferma delle altre seguono percorsi processuali nettamente distinti, come risulta dal confronto tra il primo e il secondo comma dell’art. 55 CCII.

 Ad essere rinnegata – e qui, direi, più opportunamente ([12]) – è stata anche un’altra delle scelte attuate in sede di discipline delle misure protettive ammesse a supporto della composizione assistita della crisi: dove il debitore aspirante all’inibitoria delle iniziative ostili dei creditori sarebbe tenuto a rivolgersi alla sezione specializzata in materia di imprese, ossia, più brevemente, al tribunale delle imprese (art. 20, comma 1°, CCII), mentre il procedimento va qui radicato presso il tribunale ordinario, individuato secondo la consueta regola di competenza di cui art. 9, comma 1°, l. fall.


3. La trama, in sintesi, del procedimento.

Volendo, come detto, fornire un rapido quadro d’insieme del procedimento cui sono dedicate le presenti riflessioni, dobbiamo parlare, allora, di una sequenza processuale disegnata con tratti di notevole dettaglio, al punto da doversi dubitare della concreta utilità della disposizione di chiusura di cui all’ult. comma del predetto art. 7 d.l. n. 118/2021, che rinvia, nei limiti, ovviamente, della compatibilità, alle norme del rito cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss c.p.c. ([13]). Ed invero, se spazio effettivamente residua per l’applicazione di taluna di quelle norme – in dottrina sono stati richiamati, a questo proposito, gli articoli in tema di cauzione, attuazione, revoca e modifica delle misure ([14]) –, ciò vale indubbiamente per le misure cautelari ([15]) ma non certo, al di là, forse, dell’art. 669-undecies, in tema di cauzione (e della disposizione, altresì, concernente la designazione del magistrato preposto), per la distinta species delle misure protettive, considerato che esse non abbisognano di un’attuazione coattiva e che revoca e modifica delle stesse sono già oggetto di regolamentazione ad hoc da parte della norma che si sta esaminando (v. infra, in questo stesso §). Ai provvedimenti che concedono o revocano misure protettive si attaglia, beninteso, anche la norma regolatrice del reclamo cautelare, ovverosia l’art. 669-terdecies c.p.c.: ma questa è oggetto di espresso e apposito richiamo da parte dello stesso art. 7, ult. comma, d.l. n. 118/2021, a riprova della sostanziale inutilità del rinvio appena prima compiuto alla generalità delle norme che disciplinano il procedimento cautelare uniforme.

 La costruzione del procedimento in esame prevede una fase iniziale, destinata a sfociare nel decreto di fissazione dell’udienza e nella notifica di questo alle controparti, connotata da una griglia di adempimenti severamente cadenzati nel tempo: a) il ricorso introduttivo ([16]) va depositato, presso la cancelleria del tribunale competente, lo stesso giorno della pubblicazione della richiesta di applicazione delle misure e dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto designato (art. 7, comma 1°, primo periodo) ([17]); b) entro trenta giorni da detta pubblicazione, l’imprenditore deve chiedere la pubblicazione nel registro delle imprese del numero di ruolo generale del procedimento instaurato (art. 7, comma 1°, secondo periodo); c) entro dieci giorni dal deposito del ricorso il tribunale deve fissare, con decreto, l’udienza di comparizione delle parti (art. 7, comma 3°, primo periodo). E tutto questo a pena di inefficacia o caducazione delle misure protettive precedentemente scattate (v. sub art. 7, comma 1°, ult. periodo, e comma 3°, 3° e 4° periodo) ([18]).

 All’udienza, che deve tenersi preferibilmente con sistemi di videoconferenza (art. 7, comma 3°) e si svolge con le più ampie garanzie del contraddittorio – ampie o forse addirittura ipertrofiche, come vedremo tra un attimo -, il giudice provvede agli atti istruttòri indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti e alle misure protettive da confermare o revocare/modificare (art. 7, comma 4°) ([19]). E all’esito di quelle verifiche, cui è legittimato a dar corso omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, statuisce, in composizione monocratica, sulle domande sottoposte al suo esame, con provvedimento in forma di ordinanza (art. 7, ult. comma), soggetto a reclamo (ibidem) ([20]) e per il cui tramite gli è consentito procedere a una selezione delle misure protettive destinate a sopravvivere, limitandole a determinate iniziative dei creditori o a determinati creditori o categorie di creditori (art. 7, comma 4°). E in ogni caso, relativamente alle misure confermate – nonché, eventualmente, per le stesse cautelari -, determina la durata entro un arco di tempo che non può essere inferiore a trenta giorni e superiore a centoventi (ibidem), con possibilità successiva: aa) di proroga, nei limiti di quanto necessario per il buon esito delle trattative, per un periodo complessivo non superiore a duecentoquaranta giorni (art. 7, comma 5°) ([21]); bb) e di revoca o abbreviazione della durata, ove le misure non siano congrue al buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti (art. 7, comma 6°).

 Questo, in estrema sintesi, il procedimento che emerge dalle previsioni dell’art. 7 d.l. n. 118/2021. Mettiamone a fuoco, ora, qualche risvolto problematico.

 

4. Il problema del contraddittorio con i creditori.

La pretesa di far confluire entro lo stesso alveo processuale la concessione delle misure cautelari e la conferma o revoca delle misure protettive si scontra o, almeno, collide con il fatto che, mentre le prime hanno precisi e ben individuati destinatari, le seconde sono tipicamente operanti in incertam personam, siccome chiamate a intercettare le iniziative spiegabili dalla generalità di coloro che compongono il ceto creditorio dell’imprenditore in difficoltà ([22]): con l’inevitabile conseguenza che regole calibrate su misure riconducibili ad una di quelle tipologie facciano poi fatica ad essere calate sulle altre.

 Emblematica, in tal senso, è la norma che regola il perimetro soggettivo del procedimento, ossia che individua i soggetti nei cui confronti va instaurato il contraddittorio, a mezzo della notifica del decreto di fissazione dell’udienza ([23]) di cui all’art. 7, comma 3°, d.l. n. 118/2021.

 Il tribunale, dice lo stesso art. 7 al successivo comma 4°, provvede agli atti di istruzione che risultino indispensabili e adotta, poi, le conseguenti decisioni «sentite le parti» ([24]); e qualora le misure protettive o i provvedimenti cautelari richiesti incidano sui diritti dei terzi, «costoro devono essere sentiti».

 Nulla quaestio per quanto attiene alle misure cautelari, anche se la tipologia delle cautele solitamente evocate in proposito ([25]) rende difficile l’identificazione di soggetti terzi che ne possano rimanere pregiudicati. Ma per quanto concerne le misure protettive ? Lasciamo perdere la problematicità, anche qui, dell’individuazione di soggetti terzi cui le misure in questione possano recare pregiudizio. Il problema vero è quello del significato da attribuire, da quest’angolo visuale, al riferimento compiuto alle «parti».

 Naturale viene pensare che si tratti dei creditori, anzi della indistinta generalità dei creditori, visto che, come già si è detto, è nei confronti della indistinta generalità dei creditori della parte istante per la composizione negoziata che si manifestano gli effetti di stay previsti dalla legge a protezione del patrimonio di quel soggetto in pendenza del tentativo di sistemazione della sua crisi aziendale. A tutti i creditori interessati da quegli effetti sarebbe dunque assegnato il ruolo di contraddittore necessario del debitore istante per la conferma delle misure de quibus. Ma svolgendo ad consequentias questa premessa, ne discenderebbe allora: a) che a tutti quei soggetti andrebbe notificato il decreto di fissazione dell’udienza e questo, si badi, non a cura dell’ufficio, bensì del debitore ricorrente ([26]); b) che in quanto il giudice ravvisi che a taluno di quei soggetti non sia stata effettuata la dovuta notifica del decreto, dovrebbe essere disposta l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti ([27]), con tutto quello che ne deriva in termini di necessario differimento dell’udienza e dilatazione dei tempi del processo; c) che in caso di spontanea costituzione in giudizio di un creditore pretermesso, ossia, appunto, che non abbia ricevuto la notifica del decreto, questi potrebbe pretendere la rimessione in termini, anche qui con possibile rinvio dell’udienza; d) per non dire, infine, della possibilità, che va ad esso creditore pretermesso riconosciuta, di invalidare la decisione finale del giudice denunciando l’omessa integrazione del contraddittorio a mezzo del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.

 Non è certo un caso, allora, che diversi tra coloro che si sono misurati con l’argomento abbiano convenuto su ciò, che gli oneri e le complicazioni processuali derivanti dalla configurazione come contraddittori necessari di tutti i componenti il ceto creditorio del debitore istante, siano, questi oneri e queste complicazioni, eccessivi/e ([28]) e vi si debba in qualche modo porre rimedio. E in quale specifico modo ? Evidentemente, sfoltendo il novero dei creditori cui quella veste, di contraddittore necessario, possa effettivamente essere riconosciuta ([29]). E così si è detto che quella veste potrebbe spettare: aa) ai soli creditori che abbiano intrapreso le azioni esecutive e cautelari già in corso alla data di avvio della composizione negoziata ([30]); bb) a questi si sono aggiunti i creditori che a quella data non si siano ancora attivati ma abbiano minacciato formalmente di farlo, attraverso la notifica al debitore dell’atto di precetto ([31]) nonché quelli che abbiano già presentato istanza di fallimento ([32]); cc) per finire, in aggiunta alle prime due categorie, con i dieci creditori più rilevanti in ragione dell’ammontare delle loro spettanze, visto che, tra i documenti che debbono corredare il ricorso giudiziale, vi è anche l’elenco, con annessa indicazione dei relativi indirizzi di posta elettronica, certificata e non, dei creditori facenti parte di quella sorta di top-ten ([33]).

 Ora, al di là di quest’ultima indicazione – ché, dell’onere di specificare gli indirizzi di posta elettronica dei primi dieci creditori, riesce difficile dare una spiegazione che non si correli alla necessità di notificare qualcosa a costoro ([34]) -, le altre hanno un sapore chiaramente empirico e convenzionale, che non può celare la loro fragilità sul piano della logica complessiva di sistema: ad es., perché soltanto i creditori che abbiano già notificato il precetto e non anche coloro che non l’abbiano notificato ma già dispongano del titolo esecutivo, titolo che magari non hanno ancora fatto valere recependo sollecitazioni o richieste di dilazione da parte del debitore ?

 Questo dimostra, io credo, quanto andavo dicendo in apertura, vale a dire che non sarebbe stata proprio da scartare a priori l’idea di definire un distinto percorso processuale per la concessione delle misure cautelari e per la conferma, modifica o revoca di quelle protettive, ad esempio invertendo, con riguardo a queste ultime, l’onere dell’iniziativa processuale, così che non fosse il debitore a dover chiedere la conferma delle misure precedentemente scattate, bensì i singoli creditori a fare opposizione al riguardo, instando per la revoca o modifica di quelle misure nella parte che specificamente li toccasse. Ovviamente, con la valvola di sicurezza rappresentata dall’ammissibilità di un’opposizione tardiva, fondata sull’impossibilità di una reazione tempestiva per le ragioni, consuetamente addotte a tal fine, di caso fortuito o forza maggiore.

 Mi sembra evidente che un sistema così impostato avrebbe risolto alla radice o fortemente ridimensionato i problemi e le complicazioni di cui poc’anzi ho dato atto. Così, però, non è stato e debbo farmene una ragione. Quello che però, a questo punto mi chiedo, alla luce del dato normativo così come venuto a consolidarsi con la legge di conversione, è se la conferma delle misure protettive nel contraddittorio dei creditori interessati, ossia, per quanto s’è visto precedentemente, tutti, sia effettivamente imposto da cogenti e insuperabili ragioni d’ordine costituzionale, attinenti, chiaramente, alla tutela del diritto di difesa in giudizio di quei soggetti. E il dubbio mi sovviene sulla scorta del raffronto con il Codice della crisi e con la disciplina ivi dettata per le misure cautelari e protettive correlate alla richiesta, da parte del debitore, di accesso alle procedure maggiori (leggi, more solito: liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti): dove l’art. 55, comma 2°, con riferimento alla concessione delle misure cautelari, adotta l’abituale formula per cui il giudice provvede «sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio»; mentre il successivo comma 3° si limita a prevedere che «il giudice, assunte, ove necessario, sommarie informazioni, conferma o revoca con decreto le misure protettive stabilendone la durata», senza riferimenti di sorta a una previa audizione delle parti e annessi oneri di instaurazione del contraddittorio: un assetto intorno alla cui costituzionalità i commentatori, compresi quelli più autorevoli e attenti, nulla hanno avuto a che obiettare ([35]).

 Sulla scorta di tutto ciò, non mi sembra un azzardo, allora, supporre che, per quanto attiene alla conferma o revoca delle misure protettive, il procedimento in esame non preveda contraddittori necessari ex lege, salvi al più, e per le ragioni anzidette, i primi dieci creditori per ammontare delle rispettive spettanze, eletti quasi a rappresentanti istituzionali della categoria. Resta fermo, naturalmente, il diritto degli altri componenti della categoria a far valere le proprie ragioni esplicando intervento volontario nel procedimento, sulla cui ammissibilità in tal sede non mi sembra ragionevole disputare ([36]).

 

5. I presupposti della revoca delle singole misure di protezione erogate.

Passando ad altro argomento, vorrei ora dedicare qualche parola alla questione inerente ai presupposti cui deve intendersi subordinata la potestà attribuita al giudice di revocare o modificare le misure protettive dispiegatesi ex lege in relazione all’avvio della composizione negoziata.

 In via preliminare, mi sembra giusto porre in evidenza il salto di qualità che la normativa oggi in esame ha fatto registrare, per questa parte, rispetto al sistema congegnato nel Codice della crisi, là dove, per l’esattezza, si è previsto, a differenza di un Codice totalmente silente sul punto, che «le misure possono essere limitate a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori» (art. 7, comma 4°, ultimo periodo). Come acutamente rilevato da Giuseppe Bozza in sede di analisi della disciplina dell’art. 55, comma 3°, CCII – relativo, come sappiamo, alle misure protettive che possono accompagnare il percorso di accesso alle procedure maggiori -, se «al giudice […] non è concessa la possibilità di selezionare le azioni esecutive che vanno sospese e quelle che possono continuare […], il procedimento confermativo o revocatorio diventa un esercizio inutile, in quanto la decisione finale è a senso unico obbligato, […], non potendosi concepire una procedura concorsuale in cui tutti i creditori che ne hanno titolo possano aggredire il patrimonio del debitore» ([37]). E’ chiaro, allora, che, nel momento in cui si è introdotta quella possibilità di selezione, di un procedimento confermativo o revocatorio come «esercizio inutile» o a rime obbligate, non sia più dato parlare. Il problema resta quello di stabilire sulla falsariga di quali criteri o presupposti tale selezione vada condotta.

 Doveroso, in proposito, è far capo alle indicazioni del comma 6° del solito art. 7 d.l. n. 118/2021, dove si discorre di revoca o abbreviazione di durata di misure cautelari o protettive che «non soddisfano l’obbiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori». E’ vero che la norma attiene a un distinto sub-procedimento di revoca, avente ad oggetto misure già concesse o confermate a suggello del “procedimento-base” di cui al precedente 4° comma dello stesso art. 7[38]. Ma mi sembra fuori discussione che, se a dette situazioni di incongruità rispetto allo scopo di garantire il buon esito delle trattative o di sproporzione rispetto al pregiudizio sofferto dai creditori, è consentito guardare come a condizioni sufficienti per eliminare dalla scena misure protettive che abbiano già ricevuto il sigillo della conferma giudiziale, a maggior ragione esse potranno valere come condizioni sufficienti per negare alla radice quella conferma. E qualora poi questo ragionamento non dovesse pienamente persuadere, viene in soccorso la considerazione della diretta rispondenza di detti criteri con quelli dettati dalla Direttiva (UE) 2019/1023 (riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione: c.d. Direttiva Insolvency) ai fini della revoca o limitazione di quella sospensione delle azioni esecutive individuali che nella Direttiva medesima (v. sub artt. 6 e 7) assurge a paradigma delle misure protettive adottabili dai singoli ordinamenti nazionali ([39]).

 Volendo declinare in termini più concreti e specifici questi presupposti, ci si può riferire allora, sotto il primo profilo – incapacità a soddisfare l’obbiettivo del buon esito della trattativa -, a misure non coinvolgenti beni strategici ai fini del piano di risanamento che si vuole concertare con i creditori, tipo la sospensione dell’azione di rilascio di un bene non compreso nel ramo d’azienda dalla cui cessione ci si ripromette di trarre una quota rilevante delle risorse destinate a sorreggere quel piano medesimo ([40]); ovvero, sotto il secondo profilo – attitudine ad infliggere al creditore un pregiudizio sproporzionato rispetto al vantaggio atteso per il debitore e il suo progetto di composizione negoziata -, a casi in cui la misura possa compromettere la solvibilità del creditore o la stabilità della sua impresa oppure all’ipotesi in cui il creditore sia garantito dall’ipoteca su un bene di cui sia fondato temere un deprezzamento grave e irreparabile nel tempo in cui l’azione esecutiva al riguardo esperibile sia destinata a rimanere bloccata.

 Quest’ultimo riferimento è tratto direttamente dalla testé nominata Direttiva (UE) 2019/1023 (v. al Considerando n. 34, in fine), al pari del precedente (art. 6, paragrafo 9, comma 1°, lett. d) ([41]). E spunti pertinenti possono altresì ricavarsi dal Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021 - emanato in attuazione delle disposizioni di cui agli artt. 3, commi 2° e 4°, e 5, comma 2°, d.l. n. 118/2021 -, a mente del quale, ai fini della conferma o revoca delle misure protettive, il giudice dovrebbe valutare, inter alia, le conseguenze che ne possano derivare sugli approvvigionamenti e il rischio che i fornitori pretendano pagamenti delle nuove forniture all’ordine o alla consegna; oppure, nel caso di estensione delle misure protettive agli istituti di credito, il rischio che le esposizioni bancarie del debitore siano riclassificate a “crediti deteriorati”, con tutto quelle che ne può conseguire (v. alla Sez. III, sub 6).

 Non si dimentichi, inoltre, come i divieti di protezione introdotti dal decreto in rassegna sono destinati a interessare le azioni esecutive e cautelari aventi ad oggetto non soltanto i beni di cui il debitore sia titolare ma anche quelli di cui abbia la disponibilità per ragioni attinenti all’esercizio dell’impresa. E questo consente di ampliare ulteriormente il campionario delle ipotesi in cui sia dato al giudice di intervenire in via ablativa su quei divieti medesimi: penso al caso, con notevole frequenza emerso nella giurisprudenza nordamericana in tema di relief dall’automatic stay, dell’azione di rilascio coattivo del locatore la cui sospensione sia giudicata causa di deprezzamento grave o irreparabile del bene locato ([42]).

 

 6. Prognosi giudiziale di insuccesso delle trattative promosse con il ceto creditorio e caducazione generalizzata delle misure protettive che esse trattative supportano.

Rimane infine da chiedersi se sia consentito al giudice di procedere a una valutazione, ovviamente in termini di delibazione sommaria, circa le prospettive di successo delle trattative in atto, come premessa, per il caso di esito negativo di questa valutazione prognostica, di quello che sarebbe un provvedimento di revoca generalizzata delle misure protettive allo stato operanti. Non mi nascondo come questa possibilità sia direttamente accreditata dalla Direttiva Insolvency, là dove stabilisce, sub art. 6, paragrafo 9, comma 1°, che «gli Stati membri provvedono affinché l’autorità giudiziaria o amministrativa possa revocare una sospensione delle azioni esecutive individuali [allorquando]: a) la sospensione non soddisfa più l’obiettivo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, ad esempio se risulta evidente che una parte di creditori che ai sensi del diritto nazionale può impedire l’adozione del piano di ristrutturazione non appoggia la continuazione delle trattative [corsivo dell’a.]» ([43]). Ma sul fatto che il legislatore italiano si sia effettivamente orientato in questa direzione, mi permetterei di sollevare qualche dubbio.

 In proposito, comincerei subito con l’escludere che, diversamente da quanto traspare da un’autorevole esegesi dottrinale, sia proprio nella ricezione di quello specifico input della Direttiva (UE) 2019/1023 che andrebbe individuata la chiave per dare senso e fondamento costituzionale a quello che rappresenta senza alcun dubbio il segmento più discusso, e obbiettivamente più discutibile, della complessiva regolamentazione cui è stato sottoposto il procedimento qui rapidamente illustrato, vale a dire la già rammentata previsione di cui all’ultimo periodo del comma 3° dell’art. 7 d.l. n. 118/2021, a tenore della quale gli effetti protettivi prodottisi ai sensi del precedente art. 6, comma 1°, sono condannati a venire meno qualora, nel termine di dieci giorni dal deposito del ricorso, il giudice non provveda alla fissazione dell’udienza. Disposizione bollata come iniqua e incostituzionale ([44]), siccome destinata a far ricadere sulle spalle del povero debitore le infauste conseguenze dell’inerzia e inefficienza dell’organo giudiziario; eppertanto ricostruita nel senso che il vano decorso di quel termine sancirebbe un tacito diniego di fissazione dell’udienza - per acclarata inammissibilità della domanda ovvero, per l’appunto, insussistenza delle suddette prospettive di successo-, nei cui confronti sarebbe poi dato al ricorrente di reagire provocando il riesame di quella prognosi negativa per il tramite del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. ([45]).

 In questo modo la parte non subirebbe impotente gli effetti dell’inoperosità giudiziale. Ma che questo basti a riportare effettivamente la norma entro i binari della legalità costituzionale, avrei francamente qualche esitazione ad ammetterlo ([46]), considerato che esportare nel campo del processo quella che, in buona sostanza, sarebbe una forma di silenzio-rigetto significa quantomeno disconoscere la garanzia costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e attentare, con ciò, al diritto di difesa delle parti, in quanto poste nella condizione di impugnare il provvedimento senza conoscerne le ragioni giustificative.

 Una lettura costituzionalmente orientata della norma richiede, per contro, che al vano decorso del termine predetto si ricolleghi l’esaurimento del potere del giudice singolo di fissazione dell’udienza con annessa attribuzione al collegio di un potere surrogatorio al riguardo, sollecitabile per il tramite esclusivo del reclamo, che nell’occasione fungerebbe allora da strumento per provocare l’esercizio di quel potere surrogatorio e non come rimedio impugnatorio avverso un provvedimento giudiziale che, obbiettivamente, non sarebbe venuto a materializzarsi ([47]): congegno macchinoso fin che si vuole e di dubbie razionalità e funzionalità ma, quantomeno, idoneo a ricondurre interamente entro la sfera dell’autoresponsabilità del ricorrente l’eventuale perdita degli effetti protettivi conseguiti con l’istanza di cui all’art. 6, comma 1°, del testo normativo in esame.

 Che poi, tornando alla questione originariamente affacciata, nell’esercizio di quel potere surrogatorio il collegio possa valutare se le trattative siano in grado di andare in porto o meno, questo lo si potrebbe anche arrivare a sostenere ([48]), ma sulla base di indici normativi per forza di cose diversi da quello appena passato in rassegna, che a quei fini si è rivelato assolutamente neutro e irrilevante.

 Non altrettanto certamente, specie se letta nella cornice della Direttiva Insolvency e delle sue prescrizioni, sarebbe a dirsi della già menzionata disposizione dell’art. 7, comma 6°, relativa alla revoca o abbreviazione di durata delle misure protettive e cautelari che non siano (più) in grado di assicurare il buon esito delle trattative. Ma neppure mancano indici di segno differente. E in tal senso penso, in particolare, al regime di quell’effetto di protezione sui generis, consacrato nell’art. 6, comma 4°, d.l. n. 118/2021, che è dato dal divieto di far luogo alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore istante per la composizione negoziata della crisi ovvero all’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza di quel soggetto, quale premessa per l’apertura nei suoi confronti di una procedura liquidatoria di tipo amministrativo ([49]): effetto di cui il legislatore, nel proclamare espressamente l’operatività sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, ha sancito la sottrazione ai poteri giudiziali di revoca o abbreviazione della durata, nel che non pare avventato leggere la testimonianza di un orientamento di fondo volto a escludere che il giudice, manovrando sulle misure protettive, possa interferire in maniera decisiva sulle sorti del procedimento di composizione negoziata e sull’attività dell’esperto a quel fine nominato ([50]). D’altro canto, ad accorgersi che l’atteggiamento dei creditori nei confronti del piano e delle proposte avanzato/e dall’imprenditore non preluda a un buon esito delle trattative, dovrebbe essere, ben prima che il giudice, l’esperto: che sia quest’ultimo, pertanto, a trarne le dovute conseguenze.



 * Il presente lavoro riproduce, con alcuni aggiornamenti e l’aggiunta delle note, la relazione presentata nell’àmbito del convegno «I nuovi scenari per la soluzione della crisi d’impresa» svoltosi a Reggio Emilia in data 29 ottobre 2021.

 ([1]) Anche se, a rigore, non di procedura concorsuale si dovrebbe trattare: cfr. S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 919 s.

 ([2]) Il cui art. 1, comma 1°, lett. b), attraverso l’inserimento, nel testo dell’art. 389 CCII, di un nuovo comma 1-bis, ha differito l’entrata in vigore del Titolo II della Parte prima del Codice, dedicato, per l’appunto, alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, al 31 dicembre 2023, laddove l’entrata in vigore del Codice nella sua restante generalità è fissata per il 16 maggio 2022 (così il relativo, e già menzionato, art. 389, così come modificato dall’art. 1, comma 1°, lett. a), d.l. n. 118/2021).

 ([3]) Nel caso, come subito vedremo, non si tratta di misure «disposte» dal giudice, bensì, semmai, dalla parte interessata e dal giudice semplicemente confermate. Ma questo, ben lungi dal configurare le misure protettive della composizione negoziata come deviazioni dal modello codicistico della figura, denuncia piuttosto l’approssimazione di quel modello o, meglio, dei suoi tratti definitòri, visto che di “conferma” e non di “disposizione” da parte del giudice occorre parlare anche a proposito delle misure protettive contemplate dagli artt. 54 e 55 CCII in relazione alle c.d. procedure maggiori (sulle ragioni di questa discrasia tra la definizione generale delle misure in discorso e la disciplina delle norme appena citate, cfr. G. Bozza, Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati, in www.ilcaso.it, 18 marzo 2019, 24 s.): v. infra, in questo stesso §.

 ([4]) Il fatto che questo articolato divieto sia comminato nei confronti dei «creditori interessati dalle misure protettive» induce a guardare ad esso come a provvidenza integrativa delle misure protettive stricto sensu intese precedentemente elencate, alle quali, per contro, è comunemente abbinato ed equiparato (per ogni altro, L. Baccaglini, F. De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, in Diritto della crisi, numero speciale novembre 2021, 58; per la classificazione di quella ora in discorso come «misura protettiva di diritto sostanziale di nuovo conio», v. P. Liccardo, Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole, in www.giustiziainsieme.it, 7 settembre 2021, § 3 ). A completare l’arsenale appena passato in rassegna sovvengono poi le previsioni dell’art. 8 d.l. n. 118/2021, a tenore del quale, «con l’istanza di nomina dell’esperto, o con dichiarazione successivamente presentata […], l’imprenditore può dichiarare che, sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, non si applicano nei suoi confronti gli articoli 2446, secondo e terzo comma. 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile, e non si verifica la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cu agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile». In virtù della presenza di un siffatto catalogo, è da escludere che la parte istante per la composizione negoziata possa beneficiare di misure di protezione atipiche (cfr., ancorché in forza di differente argomentazione, I. Pagni, M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, cit., 10; una posizione diversa sul punto è però espressa da F. Platania, Composizione negoziata: misure protettive e cautelari e sospensione degli obblighi ex artt. 2446 e 2447 c.c., in www.ilfallimentarista.it, 7 ottobre 2021, 5; e v. pure S, Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in www.dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021, 13; L.A. Bottai, La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative, in www.ilfallimentarista.it, 4 ottobre 2021, 10), a differenza di quanto, viceversa, può sostenersi per la composizione assistita del CCII, dove non è traccia di analoga predeterminazione di quelle misure.

 ([5]) V., per ogni altro, G. Costantino, Le «misure cautelari e protettive». Note a prima lettura degli artt. 6 e 7 d.l. 118/2021, in www.inexecutivis.it, 15 ottobre 2021, 8; nonché Trib. Brescia, 2 dicembre 2021, in www.ilfallimentarista.it, con nota di F. Cesare, La prima decisione sulle misure protettive: per la convalida occorrono pubblicazione e accettazione. Sull’improprietà lessicale in cui sarebbe incorso il legislatore qualificando come «istanza» un atto con il quale non viene chiesto alcunché, visto che, come appena rilevato nel testo, le misure protettive che ne sarebbero oggetto si dispiegano automaticamente, v. G. Donnici, Uno sguardo d’insieme sulle misure protettive, cautelari e premiali previste dal decreto legge 118/2021, in www.ilfallimentarista.it, 11 novembre 2021, 5. Diverso discorso vale, naturalmente, per chi, muovendo dal presupposto che spazio vi sia, nella fattispecie, anche per misure protettive non nominate, ritiene che queste non siano suscettibili di innesco ipso iure ma siano elargite dal giudice a séguito di conforme richiesta di parte: F. Platania, op. cit., 5 s. e 8 (sulla falsariga, è d’uopo riconoscere, di quanto sostenuto da M. Fabiani, Le misure protettive nel codice della crisi, in Foro it., 2019, V, 228 s., con riferimento alle misure protettive contemplate da quegli artt. 54 e 55 CCII di cui immediatamente sarà detto nel testo). La ricostruzione tradisce, però, la lettera della legge, nella misura in cui, con riguardo alle misure protettive, il giudice è chiamato ad intervenire, come s’è visto, in via esclusivamente confermativa/modificativa. Né è concepibile che il termine «conferma» sia stato qui congiuntamente utilizzato nella sua accezione letterale e, altresì, come sinonimo di «concessione» o «adozione», tenuto presente che, se così fosse stato, allora si sarebbe parlato di «conferma» anche con riferimento ai provvedimenti cautelari di cui il debitore può nell’occasione fruire: laddove, e a ragion veduta, è di «adozione» di questi provvedimenti che la legge viene a parlare, come vedremo in immediato prosieguo di trattazione. In definitiva, ammesso (e non concesso: v. retro, alla nt. 4**) che misure protettive atipiche siano meritevoli di cittadinanza anche nel sistema della composizione negoziata, sarebbe comunque da escludere che il loro meccanismo di attivazione e consolidamento abbia a divergere da quello previsto per le misure tipiche.

 ([6]) Cfr., in luogo di altri, G. Bozza, op. cit., spec. 43 s.

 ([7]) Tantevvero che, a mente del comma 2° della prima di quelle norme, gli effetti, tendenzialmente inibitòri, in cui si compendiano le misure in questione prendono data dalla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda ex art. 40 CCII, ovverosia, appunto, la domanda di accesso alla procedura; mentre a rilevare agli stessi fini, in caso di composizione negoziata, è il giorno di pubblicazione nello stesso registro dell’istanza di applicazione delle stesse misure in una all’accettazione dell’esperto: sulle ragioni giustificative della soluzione normativa che impone, ai fini de quibus, la congiunta pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione di cui appena s’è detto, si vedano le puntuali considerazioni racchiuse in Trib. Brescia, 2 dicembre 2021, in www.diritto della crisi.it.

 ([8]) Alla quale è dunque lecito guardare come a tipica figura di Doppelfunktionellehandlung, idoneo a rivestire la duplice veste: a) di atto, sostanzialmente negoziale, di esercizio del potere accordato alla parte di generare gli effetti di protezione del proprio patrimonio rispetto alle possibili iniziative ostili dei creditori; b) e di domanda giudiziale, avente come petitum la conferma, da parte del giudice, dell’operatività di quegli effetti.

 ([9]) Per cui può parlarsi di misure soggette tanto alla già richiamata condizione sospensiva della pubblicazione nel registro delle imprese della relativa richiesta di applicazione (sull’esigenza di rendere edotti e, al contempo, tutelare i soggetti terzi rispetto a misure che ne comprimano i diritti, come ragione atta a dar conto di questa forma di pubblicità a dispetto dei tratti di riservatezza che debbono connotare l’esperimento della composizione negoziata della crisi, v. G. Donnici, op. cit., 3) come alla condizione risolutiva della mancata o tardiva istanza giudiziale di conferma e della negata conferma, ossia della revoca, da parte del giudice.

 ([10]) A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, 5a ed., Bologna, 2021, 141; per la speculare osservazione secondo cui i provvedimenti cautelari del d.l. n. 118/2021 avrebbero «intrinsecamente una funzione protettiva», cfr. I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 10.

 ([11]) L’enunciato trova riscontro nelle elaborazioni in materia dei primi commentatori, sulla scorta delle quali, anche delle misure che il debitore potrebbe qui richiedere a titolo di provvidenza cautelare, si potrebbe tratteggiare un catalogo, comprendente, ad es.: la sospensione dei contratti pendenti (G. Costantino, op. cit., 8; F. Platania, op. cit., 10); lo scioglimento di quei contratti medesimi (G. Costantino, op. loc. cit.; contra, però, F. Platania, op. cit., 11) e la loro rideterminazione per eccessiva onerosità sopravvenuta in conseguenza dell’emergenza pandemica (G. Costantino, op. cit., 9); il divieto di pubblicazione delle segnalazioni alla Centrale rischi (I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 11; F. Platania, op. loc. cit.); l’ordine di rilascio del DURC anche a dispetto di pregresse irregolarità contributive (F. Platania, op. loc. cit.). Di «innovazione di notevole importanza» ha comunque parlato, al riguardo, L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in www.dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, 25; agli antipodi, è lecito osservare, del giudizio espresso da L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 59, secondo cui il richiamo quivi operato ai provvedimenti cautelari assumerebbe «una portata davvero residuale».

 ([12]) Analogamente S. Leuzzi, op. cit., 14; L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 60.

 ([13]) Plaude invece alla scelta S. Leuzzi, op. loc. cit.

 ([14]) Cfr. L. Baccaglini, F. De Santis, op. loc. cit. Alle norme elencate nel testo aggiungerei pure l’art. 669-ter, ult. comma, sulla designazione del magistrato preposto alla trattazione del procedimento. Mentre qualche dubbio riterrei di esprimere in ordine alla possibilità di includere nell’elenco anche l’art. 669-septies, come, viceversa, professato da F. Platania, op. loc. cit. Non riesco, infatti, a vedere come si possa ammettere che, intervenuta la revoca, da parte del tribunale, di una data misura protettiva, sia dato alla parte di riportarla unilateralmente in vita, sia pure in via provvisoria, con la mera istanza di cui all’art. 6, comma 1°, d.l. n. 118/2021, considerato che, come riconosciuto dallo stesso F. Platania, op. loc.cit., il procedimento di “riattivazione” della misura non potrebbe comunque differire da quello regolato per la sua attivazione “originaria” dallo stesso art. 6 in comb. disp. con il successivo art. 7.

 ([15]) Ma nessuno avrebbe mai sollevato dubbi al riguardo anche in mancanza dell’espresso rinvio di cui all’ult. comma dell’art. 7, visto che, in forza della loro formale qualificazione di legge, tali misure ricadrebbero comunque entro il raggio d’applicazione della generale previsione di rinvio, per l’appunto alle norme del procedimento cautelare uniforme, di cui all’art. 669-quaterdecies c.p.c.

 ([16]) Ai fini della cui presentazione si rende necessaria l’assistenza di un difensore abilitato, a differenza della mera richiesta di applicazione delle misure in oggetto: cfr. F. Platania, op. cit., 5.

 ([17]) All’atto della presentazione del ricorso al tribunale l’imprenditore è tenuto altresì a depositare: «a) i bilanci degli ultimi tre esercizi oppure, quando non è tenuto al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA degli ultimi tre periodi di imposta; b) una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima del deposito del ricorso; c) l’elenco dei creditori, individuando i primi dieci per ammontare, con indicazione dei relativi indirizzi di posta elettronica certificata, se disponibili, oppure degli indirizzi di posta elettronica non certificata per i quali sia verificata o verificabile la titolarità della singola casella; d) un piano finanziario per i successivi sei mesi e un prospetto delle iniziative di carattere industriale che intende adottare; e) una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata; f) l’accettazione dell’esperto nominato ai sensi dell’articolo 3, commi 6, 7 e 8 [d.l. n. 118/2021], con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata» (art. 7, comma 2°): sulle funzioni cui dovrebbe assolvere questa corposa documentazione e sulle conseguenze, in termini di inammissibilità della domanda, di una sua eventuale mancanza, v., diffusamente, L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 61; nello stesso senso, Trib. Brescia, 2 dicembre 2021, cit.

 ([18]) Quid iuris ove alla richiesta di conferma delle misure protettive già presenti sulla scena si abbini quella di concessione di misure di natura cautelare ? Ai sensi dell’appena richiamato terzo periodo dell’art. 7, comma 3°, d.l. n. 118/2021, il tribunale che accerti come il ricorso non sia stato depositato entro il termine fissato nel primo comma, deve dichiarare l’inefficacia delle misure protettive «senza fissare l’udienza prevista nel primo periodo» (e lo stesso dovrebbe essere, pur in difetto di analoga previsione di legge, nel caso di omessa o tardiva richiesta di pubblicazione del numero di ruolo generale del procedimento: cfr. G. Costantino, op. cit., 11). L’inosservanza di detto termine non comporterebbe soltanto, dunque, la caducazione delle misure protettive che si volevano confermate ma anche la più generale improcedibilità dell’interposto ricorso. E’ da ritenersi, però, che ciò valga esclusivamente allorché la conferma di quelle misure abbia ad esaurire l’oggetto del ricorso medesimo, non potendosi giustificare la relativa comminatoria di improcedibilità se non al lume dell’esigenza di assicurare un tempestivo vaglio giudiziale di misure limitative di diritti (quali, indiscutibilmente, le protettive sono) rese operanti per effetto di una mera istanza di parte. Nella fattispecie illustrata in apertura di questa nota, pertanto, alla declaratoria di inefficacia delle misure protettive dovrebbe comunque accompagnarsi la fissazione dell’udienza, allo scopo della discussione sulle misure cautelari la cui concessione sia stata contestualmente richiesta (analogamente F. Platania, op. cit., 6).

 ([19]) A mente dello stesso art. 7, comma 4°, il tribunale provvede alla nomina, ove occorrente, di un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., che dovrebbe supportare l’autorità giudiziaria nell’espletamento dei suoi inediti compiti di verifica ex ante delle potenzialità dell’impresa (così I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 10), assumendo, almeno tendenzialmente, le vesti di consulente contabile (L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 62); sulla indeterminatezza delle funzioni che sarebbero a tale soggetto assegnate e sui problemi, che ne possono derivare, di sovrapposizione con la figura dell’esperto negoziatore, v. però F. Platania, op. cit., 9 s.

 ([20]) Nonché, e sempre a mente dell’appena citato art. 7, ult. comma, da comunicarsi entro il giorno successivo al registro delle imprese a cura della cancelleria: sulla pubblicità da riservarsi ai provvedimenti di merito che il tribunale è chiamato a pronunciare, v. diffusamente F. Platania, op. cit., 6 s. Quanto al menzionato reclamo, ne è stata condivisibilmente affermata l’esperibilità anche contro i decreti di anticipata definizione del procedimento per inosservanza dei termini di cui allo stesso art. 7, comma 1°: G. Costantino, op. loc. cit.

 ([21]) Sul dies a quo per il computo di questo termine, v. L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 63.

 ([22]) Nel descrivere quelli di protezione come divieti, di svolgere determinate attività o esercitare determinati poteri, rivolti ai creditori tout court, senza distinzioni di sorta, l’art. 6 d.l. n. 118/2021 è assolutamente inequivocabile nell’escludere la possibilità, per il debitore che chiede l’applicazione di quei divieti, di circoscriverne la vigenza ad alcuni soltanto dei componenti del suo ceto creditorio. Ma anche ad ammettere quella possibilità – così I. Pagni, M. Fabiani, op. loc.cit.; L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 59 -, il problema si porrebbe egualmente, visto non è affatto detto, e sarà anzi assai infrequente, che il debitore se ne avvalga effettivamente.

 ([23]) E, presumibilmente, anche del ricorso del debitore cui detto decreto accede: cfr. G. Donnici, op. loc. cit.

 ([24]) La norma richiede anche l’audizione dell’esperto, al quale dunque, in quanto oggetto di separato riferimento normativo rispetto alle parti, detta qualità di parte non può essere riconosciuta, «con tutte le conseguenze relative all’eventuale interesse a proporre domande, a chiedere precisazioni etc.»: così G. Donnici, op. loc. cit.

 ([25]) Si veda alla prec. nota 11.

 ([26]) Così, l’art. 7, comma 3°, d.l. n. 118/2021, secondo cui il ricorrente deve procedere alla notifica in questione in ottemperanza alle «modalità indicate dal tribunale che prescrive, ai sensi dell’articolo 151 del codice di procedura civile, le forme di notificazione opportune per garantire la celerità del procedimento».

 ([27]) L. Baccaglini, F. De Santis, 62; F. Platania, op. cit., 8.

 ([28]) Non convengono sul punto I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 11, che pongono l’accento così sulla possibilità di utilizzare i mezzi di comunicazione elettronica come sulla facoltà del giudice di stabilire le forme di comunicazione più opportune. Questo, però, vale soltanto a ridurre, e non certo ad azzerare, i rischi di non integrità del contraddittorio che si profilano nella fattispecie a voler muovere dal presupposto che tutti i creditori incisi dalle misure de quibus siano contraddittori necessari nel relativo procedimento di conferma.

 ([29]) Ciò che non può avvenire, come implicitamente presupposto da L.A. Bottai, op. cit., 11, avendo riferimento ai creditori che sarebbero «direttamente incisi» dalle misure in questione, visto che, per quanto poc’anzi si è detto, «direttamente incisi» lo sarebbero tutti.

 ([30]) F. Platania, op. cit., 7.

 ([31]) Così G. Costantino, op. cit., 10.

 ([32]) F. Platania, op. loc. cit.

 ([33]) Cfr. L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 62.

 ([34]) Ma non del tutto implausibile è ritenere che alla notifica di ricorso e decreto di fissazione dell’udienza a quei soggetti, il ricorrente debba addivenire in esecuzione non di un obbligo di legge, bensì di un ordine del giudice, emesso nell’esercizio di una sua mera potestà discrezionale: così F. Platania, op. loc. cit.

 ([35]) Così, ad es., M. Fabiani, Le misure protettive, cit., 230, ha osservato che, prima e in vista della revoca di quelle misure, sarebbe bene che il tribunale sentisse il debitore: ma nessun accenno ivi si trova a un’analoga interlocuzione con i creditori.

 ([36]) L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 62.

 ([37]) G. Bozza, Le misure protettive e cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 18 luglio 2021, 34.

 ([38]) In ordine alla necessità dell’attivazione di un nuovo procedimento per la revoca o modifica di misure già confermate o concesse, v. L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 63, che parlano, al riguardo, di un procedimento più snello di quello “base” e in cui il contraddittorio va instaurato solamente nei confronti delle parti costituite e direttamente toccate dalla misura alla quale si intende por mano.

 ([39]) Si veda, in particolare, l’art. 6, par. 4, secondo cui «gli Stati membri possono escludere determinati crediti o categorie di crediti dall’ambito di applicazione della sospensione delle azioni esecutive individuali, in circostanze ben definite, qualora tale esclusione sia debitamente giustificata e qualora: a) un’azione esecutiva non sia suscettibile di compromettere la ristrutturazione dell’impresa; oppure b) la sospensione comporti un ingiusto pregiudizio dei creditori che vantano tali crediti».

 ([40]) Sul rilievo decisivo che assume l’identità del bene su cui dovrebbe esercitarsi l’azione esecutiva al fine di stabilire se essa abbia a compromettere o meno la ristrutturazione dell’impresa, così che, nel caso di acclarata inoffensività dell’azione al riguardo, il blocco della medesima non possa dirsi funzionale ad assicurare il buon esito della trattativa, cfr. estesamente T. Richter, sub Art. 6, in C.G. Paulus, R. Damman (ed. by), European Preventive Restructuring, München-Oxford, 2021, 112 s.

 ([41]) In virtù dei peculiari meccanismi approntati dal nostro legislatore per lo spiegamento delle misure protettive de quibus, non hanno, viceversa, potuto aver séguito le previsioni dell’art. 6, paragrafo 9, penult. comma, della Direttiva, a tenore del quale gli Stati membri potrebbero limitare «la facoltà di revoca della sospensione delle azioni esecutive individuali a situazioni in cui i creditori non hanno avuto l’opportunità di essere ascoltati prima dell’entrata in vigore della sospensione» medesima. All’esigenza di preservare i creditori da un pregiudizio eccessivo può ricondursi una conferma che fosse meramente parziale delle misure precedentemente scattate disposta dal giudice al fine di evitare che un imprenditore che abbia attivato la composizione negoziata quando ancora in bonis, possa lucrare, per il tramite del ventaglio completo di esse misure, un vantaggio competitivo: cfr. I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 9.

 ([42]) Per i dovuti ragguagli e approfondimenti, si rinvia a V. Baroncini, Inibitorie delle azioni dei creditori e automatic stay. Studio su un sistema uniforme degli effetti protettivi vigenti nell’ordinamento concorsuale italiano, Torino, 2017, 278 ss.

 ([43]) E v. pure, ancorché nemmeno per questa parte la Direttiva abbia ricevuto attuazione nel nostro ordinamento, l’art. 6, paragrafo 1, comma 2°, a mente del quale «gli Stati membri possono prevedere che la autorità giudiziarie o amministrative abbiano la facoltà di rifiutare la concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali qualora tale sospensione non sia necessaria o non consegua l’obiettivo di cui al primo comma [agevolazione delle trattative sul piano di ristrutturazione]»: disposizione che assume rilievo ai presenti fini alla luce della precisazione contenuta nel Considerando n. 32, per cui, tra i motivi idonei a suffragare detto rifiuto, potrebbe «figurare la mancanza di sostegno da parte della maggioranza richiesta dei creditori».

 ([44] ) Cfr. G. Costantino, op. cit., 9; F. Platania, op. cit., 6.

 ([45]) Così L. Baccaglini, F. De Santis, op. cit., 61 ss., che la delibazione giudiziale esplicabile in quella sede circa le capacità della composizione negoziata di andare in porto assimilano al giudizio di fattibilità giuridica e/o economica del concordato preventivo (63). D’obbligo è precisare che, secondo gli autori, sarebbe opportuno, anzi doveroso, che il giudice formalizzasse tale diniego a mezzo di apposito decreto, onde consentire un’immediata cancellazione dal registro delle imprese delle iscrizioni relative alle misure protettive. Resta però il fatto che, a concretizzare tale diniego, l’inerzia giudiziale protrattasi per il tempo indicato dalla legge risulterebbe in ogni caso sufficiente, a prescindere dalla scelta del giudice di formalizzarla o meno.

 ([46]) Come lo escluderei senz’altro con riguardo alla soluzione proposta a quel fine da F. Platania, op. loc. cit., dove testualmente si legge che «un’interpretazione costituzionalmente orientata impone […] di ritenere che, a prescindere dalla caducazione delle misure protettive, rimanga, comunque, l’obbligo del giudice di fissare l’udienza per decidere sull’emanazione/convalida delle stesse». Sappiamo, infatti, che non è consentita al giudice l’emanazione ex novo di misure protettive alla stregua di quanto previsto per le cautelari (retro, nt. 5); e non si vede che cosa il giudice potrebbe convalidare, assodato che, per effetto della tardiva fissazione dell’udienza, le misure conseguite in via automatica alla pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza di cui all’art. 6, comma 1°, sarebbero eo ipso uscite di scena.

 ([47]) Così dicendo, non si crede di esprimere un concetto troppo distante da quello che ha inteso enunciare G. Costantino, op. cit., 11, là dove, ammettendo che il reclamo sarebbe esperibile anche nel caso di omessa fissazione dell’udienza da parte del giudice singolo, ha osservato che s’avrebbe, nella specie, a che fare con un rimedio concesso avverso «l’insipienza del legislatore».

 ([48]) E, ad avviso di F. De Santis, Istanza di conferma delle misure protettive e coeva pendenza delle procedure giudiziali pattizie: primi rompicapi interpretativi (osservazioni a margine di Trib. Brescia, 2 dicembre 2021), in www.dirittodellacrisi.it, 17 dicembre 2021, 5 s., lo sosterrebbe implicitamente anche la cit. Trib. Brescia, 2 dicembre 2021.

 ([49]) Per questa precisazione cfr., si vis, Montanari, I rapporti della composizione negoziata della crisi con i procedimenti concorsuali, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, cit., 96.

 ([50]) In termini fondamentalmente non dissimili, G. Fauceglia, Qualche riflessione, “in solitudine”, sulla composizione negoziata della crisi d’impresa, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 12 dicembre 2021, 5 s.