Giurisprudenza

Misure protettive atipiche nei confronti del garante


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Articolo

La gestione dei gruppi di imprese nella prospettiva del risanamento. Spunti dalla recente disciplina della “composizione negoziata della crisi” *


Giuliana Scognamiglio

Data pubblicazione
06 maggio 2022

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Sommario: 1. La direzione e coordinamento nella crisi del gruppo di società e gli strumenti negoziali di gestione della crisi. Cenni introduttivi sulla rilevanza del fenomeno dei gruppi nella disciplina della crisi e dell’insolvenza. – 2. Il gruppo di imprese e la composizione negoziata per la soluzione della crisi: l’ipotesi della conduzione unitaria delle trattative, contrapposta a quella della conduzione atomistica. – 2.1. Brevi considerazioni critiche sui poteri attribuiti all’esperto facilitatore, in particolare con riferimento alla composizione negoziata coinvolgente imprese di un medesimo gruppo. – 3. I presupposti (a) oggettivo e (b) soggettivo per l’accesso alla composizione negoziata delle crisi di gruppo: (a) la nozione di gruppo. – 3.1. Il limite della necessaria sottoposizione di ciascuna delle imprese del gruppo alla giurisdizione italiana. – 4. (Segue) (b) la probabilità di crisi o di insolvenza e la ragionevole perseguibilità del risanamento: la valutazione di tale presupposto in un’ottica di gruppo e di pianificazione del risanamento del gruppo.– 5. Composizione negoziata della crisi, piano di risanamento e rilevanza dei “vantaggi compensativi”. - 6. Una riflessione di sintesi.

* Il presente scritto è destinato alla raccolta degli Studi in onore di Paolo Montalenti.


 

1. La direzione e coordinamento nella crisi del gruppo di società e gli strumenti negoziali di gestione della crisi. Cenni introduttivi sulla rilevanza del fenomeno dei gruppi nella disciplina della crisi e dell’insolvenza.

Le procedure di crisi o di insolvenza, nella loro applicazione alla fattispecie del gruppo di imprese, sollevano, fra gli altri il tema della persistenza o meno, nel gruppo in crisi o insolvente, dell’attività di direzione e coordinamento ad opera del soggetto che di essa è investito sulla base del regolamento interno al gruppo, trovando solitamente evidenza in una specifica previsione statutaria della capogruppo (ove costituita in forma di società): il tema, in altri termini, se il “governo” del gruppo in crisi o insolvente permanga in capo al soggetto che ne aveva retto le fila, attraverso l’attività di direzione e coordinamento, finché il gruppo era in bonis ovvero passi in capo all’organo direttivo della procedura concorsuale; oppure, ancora, si determini una sorta di cesura, nel senso che il precipitare del gruppo in uno stato di crisi  (o addirittura di insolvenza) comporti l’affievolimento della direzione unitaria di gruppo e faccia riemergere in pieno l’autonomia delle singole imprese (per lo più si tratterà di società) che lo compongono ed il loro assoggettamento, singulatim ovvero come gruppo, alle regole della procedura concorsuale ed ai poteri dell’organo nominato, da un’autorità giudiziaria ovvero amministrativa, per dirigerla.

Il problema non è di immediata soluzione[1]; e la sua soluzione richiede probabilmente un ragionamento articolato, da sviluppare con riferimento alle diverse modalità di gestione della crisi d’impresa che il nostro ordinamento conosce. In particolare, è da ritenere che assuma rilievo, anche ai fini qui considerati, la distinzione fra procedure di governo della crisi dell’impresa (nel prosieguo, più brevemente, procedure di crisi) che postulano lo spossessamento del soggetto titolare dell’impresa stessa, e procedure che invece conservano all’imprenditore-debitore il possesso e la disponibilità del suo patrimonio e della sua azienda; così come assumono a  mio avviso rilievo le caratteristiche qualitative e l’estensione della crisi all’interno del gruppo, non essendo pensabile che la direzione e coordinamento di gruppo operi allo stesso modo nel caso di insolvenza acclarata di una o più controllate, o nel caso, ben diverso, in cui la crisi sia solo nello stadio iniziale ovvero lasci spazio a prospettive di risanamento, rispetto alle quali la capogruppo potrebbe svolgere un ruolo essenziale nella pianificazione dele iniziative più opportune.

La complessità del tema a cui si ha ora riguardo è accresciuta da ciò, che le norme che assumono l’attività di direzione e coordinamento di società come fattispecie non forniscono alcuna definizione o descrizione di tale fattispecie,  né si curano di individuarne gli elementi costitutivi, lasciando quindi all’interprete il compito di ricostruire, sulla base dei dati offerti dall’osservazione della realtà economico-sociale dei gruppi, il contenuto minimo della nozione, o di individuarne le possibili declinazioni. Non solo: anche la disciplina dettata con riferimento a detta fattispecie è scarna, se si ha riguardo alle disposizioni di carattere generale all’uopo introdotte nel codice civile[2]. Così, per esempio, non è precisamente individuato (rectius, non vengono forniti i criteri utili ad individuare) il momento dell’inizio, né quello della cessazione di detta attività e ci si limita soltanto a disciplinare, a questo proposito, uno dei possibili effetti dell’inizio o della cessazione, precisamente il sorgere del diritto di recesso in capo ai soci di società non quotate, qualora l’inizio o la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento (i.e., l’entrata o l’uscita di un’impresa dal gruppo) comportino  un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga lanciata un’offerta pubblica di acquisto (art. 2497-quater, comma 1, lettera c). Neppure sono disciplinati i presupposti per l’inizio o per la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, se non quelli ricavabili indirettamente dalla presunzione semplice che, a norma dell’art. 2497-sexies, collega la fattispecie della direzione e coordinamento di società a quella del controllo societario: collegamento dal quale è possibile inferirne uno di ugual natura fra la cessazione – per qualsiasi causa - di quest’ultima situazione ed il venir meno della prima. 

Si è già richiamata l’importanza che ai nostri fini può assumere la distinzione fra le procedure di crisi o di insolvenza che comportano, ovvero che non comportano, lo spossessamento del debitore-imprenditore.

Nei casi in cui non si verifica lo spossessamento nel senso più pieno della parola, salvo prevedere forme di controllo e di vigilanza sullo svolgimento della procedura o all’autorizzazione di specifici atti ad opera di un ufficio il cui titolare sia designato da una pubblica autorità (giudiziaria o amministrativa), è plausibile che il soggetto capogruppo continui ad esercitare  l’attività di direzione e coordinamento - così come configurata  anteriormente - sulle società del gruppo,  sia pure nei limiti e nel quadro di procedure che prevedono, o possono prevedere, un potere di vigilanza sul debitore in crisi e di autorizzazione del compimento da parte sua di specifici atti in capo ad una pubblica autorità (giudiziaria o amministrativa) e che assegnano, com’è ovvio, un ruolo significativo ai creditori, al consenso dei quali è in linea di massima  subordinato, con modalità e regole diverse a seconda del tipo di procedura, il progredire della medesima verso l’obiettivo auspicato dal debitore, coerentemente con le norme che disciplinano la singola procedura.

Alla direzione e coordinamento (rectius, al soggetto – persona fisica o giuridica - esercente detta attività) compete, innegabilmente, un ruolo importante sia nella scelta dello strumento maggiormente idoneo ad affrontare la crisi dello specifico gruppo, sia nella elaborazione del piano di riorganizzazione e ristrutturazione del complesso delle imprese riconducibili al gruppo in quanto assoggettate a quella direzione e coordinamento.

Di più: si è affermata[3] l’esistenza di uno specifico dovere della holding capogruppo di assumere, già ai primi segni della crisi, tutte le iniziative idonee ad attivare uno o più degli strumenti previsti dall’ordinamento per far fronte alla stessa, con l’obiettivo di evitare che essa si aggravi e soprattutto – nel caso dei gruppi – per circoscriverne la capacità espansiva, prevenendo il c.d. effetto domino[4].

Ciò non significa, per altro, che necessariamente l’intero gruppo, sotto l’egida del soggetto esercente l’attività di direzione e coordinamento, sia assoggettato alla procedura di gestione della crisi. In vero, come già accennato, lo stato di crisi, o di probabilità di crisi, o di insolvenza potrebbe riguardare solo alcune articolazioni (che corrisponderanno per lo più ad altrettante società) del gruppo e la parte “malata” del gruppo potrebbe non includere il soggetto o ente capogruppo, che potrebbe dunque, in linea di massima, rimanere esterno ed estraneo alla procedura; così come potrebbero sussistere solo rispetto ad alcune società del gruppo e non ad altre i presupposti specifici (ad es., la risanabilità, o la numerosità degli addetti e dipendenti dell’impresa) della procedura a cui si intenda accedere. Ma anche in questo caso il persistente esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, di cui si è assunta la continuità in assenza di spossessamento, giocherebbe probabilmente un ruolo nella selezione delle società del gruppo da avviare alla procedura così come nella elaborazione del piano, a seconda dei casi, di risanamento o di ristrutturazione ovvero di liquidazione, o a contenuto misto. Il piano, infatti, stante l’autonomia giuridica delle società del gruppo, in ipotesi diverse dalla capogruppo, che accedono alla procedura sarebbe formalmente elaborato a livello di queste ultime e da esse presentato, ma è verosimile che i suoi contenuti terrebbero conto delle direttive provenienti dalla direzione e coordinamento di gruppo ed i suoi obiettivi tenderebbero – nell’ambito di quella specifica area del gruppo, perimetrata dallo stato di crisi o di probabilità di crisi o di insolvenza – ad allinearsi, o comunque a non collidere, con le strategie più generali del gruppo, per lo meno fino a quando esse siano compatibili o conciliabili con gli obiettivi che la legge assegna alla procedura di crisi alla quale si intenda accedere.

Considerazioni non dissimili potrebbero ripetersi con riferimento al caso in cui, al limite, lo stato patologico che giustifica l’ingresso in una determinata procedura di gestione della crisi riguardi una sola società del gruppo: giova al riguardo osservare che anche in questa ipotesi dovrebbe trovare applicazione la norma, introdotta nel nostro ordinamento soltanto di recente (precisamente con il codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa, d. lgs. n. 14/2019, art. 289) e destinata ad assumere il valore di regola di generale applicazione, stante l’importanza che, nella materia che qui interessa, assume in ogni caso la disclosure dei rapporti di gruppo onde una determinata impresa è avvinta ad altre e la disponibilità delle informazioni relative alla struttura del gruppo ed alla sua composizione.

La regola appena ricordata è recente, come si diceva, ma l’attenzione specifica nei riguardi della fattispecie del fenomeno dei gruppi, nel contesto delle varie ipotesi di regolazione della crisi e dell’insolvenza dell’impresa, non costituisce una novità nel nostro ordinamento. È tuttavia clamoroso che la disciplina più ampia ed organica finora concepita al riguardo, che  è quella dettata - in attuazione dei criteri enunciati all’art. 3 della legge n. 155/2017, contenente i principi di delega per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa - dal già menzionato decreto legislativo delegato n. 14/2019, recante il codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa (nel prosieguo CCII), non sia – ad oggi (15 marzo 2022) -  ancora entrata in vigore, sebbene sia stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale oltre tre anni fa (nel febbraio del 2019).

È sul terreno del nuovo istituto della composizione negoziata della crisi (nel prosieguo anche CNC), introdotto con il d.l. 24 agosto 2021, 118, convertito nella l. 21 ottobre 2021, n. 147, che le disposizioni dedicate al gruppo sono invece già in vigore: esse disegnano pertanto la prima disciplina in materia di crisi del gruppo ad avere effettiva vigenza nel nostro Paese, se si eccettuano  la normativa sull’amministrazione straordinaria, nelle due varianti disciplinate rispettivamente dal d.lgs. n. 270/1999 e dal d.l. n. 347/2003, conv. in l. n. 39/2004, tarata tuttavia su un segmento particolare, quello delle imprese in stato di insolvenza qualificabili come “grandi” sulla base di determinati indici dimensionali, e le discipline speciali di settore (relative, ad esempi, alla crisi delle imprese bancarie e degli intermediari finanziari).

Nonostante il ritardo, dovuto in larga misura a vicende contingenti (quali lo scoppio della pandemia da Covid-19, foriero di effetti tutt’altro che lievi sulla disciplina della crisi d’impresa) e a fattori di criticità diversi, comunque non collegate al tema specifico qui considerato, l’esigenza di una disciplina generale della crisi  e dell’insolvenza riferite al fenomeno di gruppo era ed è tuttora fortemente avvertita, al punto che si tende a considerare la sua mancanza alla stregua di una grave lacuna. Quell’esigenza è motivata dalla possibile esistenza di uno specifico interesse di gruppo e del gruppo a far valere, anche nella fase della gestione della crisi o dell’insolvenza, il profilo dell’unità (unità della direzione, rispetto ad una o più fasi o funzioni delle imprese aggregate in gruppo, gestite in forma accentrata e coordinata per l’intero insieme) che immancabilmente caratterizza, sia pure in costante tensione dialettica con l’opposto tema della pluralità, il fenomeno dei gruppi di imprese.

Si dà spazio, per altro, anche nella recente disciplina della CNC, riprendendo in pieno, a quanto sembra, il ragionamento sottostante alle soluzioni al riguardo adottate dal CCII[5], alla possibilità altresì che detto interesse non sussista o non sia così forte da giustificare la continuità della conduzione unitaria di gruppo nelle varie fasi della crisi[6]: ciò potrebbe per esempio accadere nel caso di gruppi a conduzione fortemente decentrata, caratterizzati cioè da un elevato tasso di autonomia della gestione ovvero da un elevato tasso di disomogeneità fra le attività economiche delle imprese che ne fanno parte, o di gruppi nei quali il fenomeno della crisi è effettivamente circoscritto ad un segmento o ad un settore limitato, che potrebbe in ipotesi coincidere con una o alcune delle singole entità soggettive in cui il gruppo è articolato.

Ma là dove la struttura e la conformazione del gruppo, o le modalità della sua conduzione nella fase in bonis, siano tali da giustificare la conservazione del profilo della gestione unitaria anche durante la crisi, le imprese devono poter disporre di strumenti all’uopo adeguati, senza sentirsi eccepire - come sovente è avvenuto[7] - la mancanza di una disciplina positiva espressa e la necessità di tale disciplina per superare il dato oggettivo della distinta personalità giuridica o comunque della reciproca autonomia giuridica fra le imprese del gruppo.

Il tema dell’interesse alla gestione in chiave unitaria della crisi che abbia colpito il gruppo nelle (o in alcune delle) sue articolazioni soggettive emerge con particolare intensità con riferimento alle procedure che non comportino spossessamento e che siano accessibili già in una fase precoce, ai primi segni della crisi, quando essa si manifesta come non ancora irreversibile e tale da lasciare spazio a prospettive concrete di risanamento dell’impresa, anche tramite la sua riorganizzazione o ristrutturazione; caratteristiche, queste, che ricorrono entrambe nel nuovo istituto della composizione negoziata.

S’intende, in altri termini, osservare che quando la crisi dell’impresa, nella nostra ipotesi organizzata in forma di gruppo, è giunta ad un livello di gravità tale da lasciare come unica opzione quella della sua liquidazione, e questa liquidazione viene affidata ad organi nominati da un’autorità giudiziaria o amministrativa, previo spossessamento dell’imprenditore, viene a cadere, fra i vari profili di interesse del tema qui considerato, quello per così dire interno, attinente al governo del gruppo, che consiste nella elaborazione, da parte del soggette esercente l’attività di direzione e coordinamento, secondo le regole applicate in un determinato gruppo ed eventualmente codificati in un c.d. regolamento di gruppo, delle scelte strategiche ritenute più adeguate in funzione dell’obiettivo del superamento della crisi.  In una siffatta situazione, la direzione unitaria del gruppo è – come si osservava all’inizio -suscettibile di mantenere inalterata la sua operatività,  quindi la sua capacità di orientare il comportamento delle imprese ad essa sottoposte nel difficile frangente della crisi incipiente o della probabilità di crisi: stando a quello che ci insegnano i teorici dell’organizzazione aziendale,  dovrebbe essere questo il momento in cui tipicamente si manifesta la funzionalità del modello organizzativo del gruppo come modello di organizzazione dell’iniziativa economica capace di realizzare sinergie e di favorire l’allocazione razionale delle risorse finanziarie, facendole affluire, sulla base delle policies di gruppo e di accordi in ipotesi preventivamente stipulati fra le imprese del gruppo, là dove si palesano le più forti carenze o comunque si manifesta la possibilità di un loro utilizzo massimamente efficiente.

 

2. Il gruppo di imprese e la composizione negoziata per la soluzione della crisi: l’ipotesi della conduzione unitaria delle trattative, contrapposta a quella della conduzione atomistica.

Ferma la prospettiva generale fin qui delineata, s’intende ora volgere in particolare lo sguardo all’istituto della composizione negoziata della crisi: istituto che il nostro ordinamento conosce, come si è già ricordato, da pochi mesi, ma che sembra essersi già saldamente impiantato nel nostro tessuto normativo della crisi d’impresa, com’è confermato dall’integrale traslazione di detta disciplina negli artt. 12 e seguenti dello “Schema di decreto legislativo recante modifiche al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14,  in attuazione della direttiva UE 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad  aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva UE 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza)” (nel prosieguo, più brevemente identifico come “lo Schema di decreto legislativo” o “lo Schema”)[8], approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 13 marzo 2022. E poiché, come si diceva, è con riguardo alla composizione negoziata della crisi che la possibile rilevanza dei collegamenti di gruppo fra imprese è stata sancita da una norma di legge già effettivamente entrata in vigore, sembra razionale la scelta di dedicare le riflessioni che seguono specificamente alla disciplina del gruppo nella CNC, tenendo conto, nei limiti del possibile, del recentissimo Schema di decreto legislativo, ma riservando comunque ad altro e più ampio studio, da condurre sulla base dell’assetto auspicabilmente definitivo della disciplina ancora in itinere,  l’analisi – anche comparata – dei diversi strumenti di governo e gestione della crisi nei suoi progressivi stadi di sviluppo, che l’ordinamento pone a disposizione delle imprese organizzate secondo uno dei possibili modelli di gruppo.

 Principiando dal tema dell’accesso da parte dei gruppi di imprese alla CNC, osserviamo che il d.l. n. 118 (convertito nella legge n. 147/2021) prevede al riguardo, all’art. 13 (integralmente recepito nell’art. 25 dello schema di decreto legislativo[9]), due possibili percorsi: (a) l’iniziativa, sin dall’origine configurata come unitaria (art. 13, comma 2), di più imprese appartenenti al medesimo gruppo che versano nelle condizioni indicate nell’art. 2, comma 1 (i.e., in condizioni di squilibrio patrimoniale  o economico-finanziario tali da renderne probabile la crisi o l’insolvenza, ma al tempo stesso da non escluderne ragionevolmente la possibilità di risanamento); iniziativa che, per quanto all’inizio osservato, avrà verosimilmente il proprio antecedente in uno specifico atto di indirizzo della comune capogruppo e che consiste nel richiedere congiuntamente, al segretario generale della camera di commercio competente sulla base dei criteri enunciati nel comma 3 dell’art. 13 (comma 2 dell’art. 25 dello Schema), la nomina dell’esperto indipendente in funzione di “facilitatore” delle trattative fra le diverse parti interessate,  di cui all’art. 2, comma 2 (art. 12, comma 2, dello Schema); (b) l’impulso dei diversi esperti nominati a seguito delle domande spiegate all’origine separatamente da singole imprese del gruppo, affinché la composizione negoziata si svolga in modo unitario per tutte le imprese richiedenti, o per una parte di esse, appositamente individuate (art. 13, comma 8), nel qual caso la composizione, iniziata in maniera “atomistica” dovrebbe proseguire con l’ausilio dell’esperto designato di comune accordo fra quelli in origine nominati o, in mancanza di accordo, dell’esperto nominato a seguito dell’istanza presentata per prima.

La seconda ipotesi appare sotto diversi aspetti più problematica e complessa: agli esperti in origine separatamente nominati è infatti attribuito il potere di optare per la formula della conduzione unitaria della composizione negoziata, il che presuppone il preventivo accertamento da parte degli stessi (con quali modalità? con quali risorse? con quali strumenti istruttori? con quali conseguenze in caso di errore?) di legami fra le imprese aspiranti alla composizione negoziata, tali da rendere scarsamente proficua la strada della composizione atomistica, che pure le imprese interessate, nell’esercizio della propria autonomia imprenditoriale, avevano valutato come coerente con le rispettive esigenze e con le peculiarità della specifica aggregazione di gruppo o delle specifiche modalità di esercizio della direzione e coordinamento.

Inoltre, il percorso (b) lascia intravedere in filigrana la possibile tara del conflitto fra i diversi esperti nominati, per la designazione di quello che dovrà alla fine assumere effettivamente l’incarico della conduzione unitaria delle trattative, una volta divisatane l’opportunità; conflitto per il quale la legge prevede comunque un criterio di soluzione, identificato nella prevalenza dell’esperto nominato sulla base dell’istanza presentata per prima.

Tornando al percorso (a), sembra che l’esito della domanda congiuntamente presentata dalle diverse imprese del gruppo non possa che essere positivo, sul presupposto che abbia avuto esito positivo la verifica, da parte del segretario generale della Camera di commercio, della sussistenza sia del requisito attinente alla condizione oggettiva in cui versano le imprese, sia di quello  attinente all’esistenza fra le imprese interessate delle tipologie di collegamento richiamate nel comma 1 dell’art. 13 cit., su cui si tornerà a breve (infra, paragrafo 3). Altrimenti detto: il potere della Camera di commercio di opporre un diniego alla nomina dell’unico esperto per le diverse società istanti sembra circoscritto alle ipotesi di carenza dei presupposti indicati rispettivamente nel comma 2 dell’art. 2  e nel comma 1 dell’art. 13; in presenza di detti presupposti, sembra che la Camera di commercio non possa svolgere valutazioni discrezionali riguardo all’opportunità e alla convenienza della scelta del percorso unitario ovvero riguardo al perimetro delle imprese coinvolte, né nel senso di escluderne una o talune, né nel senso di coinvolgere ex officio nella composizione negoziata di gruppo imprese che non avevano sottoscritto l’istanza congiunta.

Quindi, a seguito della richiesta congiunta pervenuta alla Camera di commercio competente (sulla base dei criteri indicati nel comma 3 dell’art. 13[10], l’esperto facilitatore, unico per l’insieme delle imprese richiedenti, verrà nominato e comincerà a svolgere il suo compito – così come descritto nel comma 2 dell’art. 2 [art. 12, comma 2, dello Schema] - in maniera unitaria per tutte le imprese del gruppo partecipanti all’iniziativa.

Potrebbe tuttavia succedere (art. 13, comma 6 [ora art. 25, comma 5, dello Schema]) che, nel corso della sua attività, l’esperto si renda conto di ciò, che la conduzione unitaria delle trattative è resa più difficile e gravosa dalla contestuale partecipazione di più imprese ovvero di troppe imprese; nel qual caso gli viene attribuito il potere di decidere che il negoziato con le controparti si svolga in maniera atomistica per ciascuna impresa del gruppo; così come può decidere (art. 13, comma 7 [art. 25, comma 6, dello Schema]) di invitare imprese del gruppo che non soddisfano il presupposto oggettivo indicato, in termini generali, nell’art. 2, comma 2 [art. 12, comma 2, dello Schema], a partecipare alle trattative congiuntamente con le altre, che invece si trovano in quelle particolari condizioni.

 

2.1.  Brevi considerazioni critiche sui poteri attribuiti all’esperto facilitatore, in particolare con riferimento alla composizione negoziata coinvolgente imprese di un medesimo gruppo.

L’attribuzione ad un professionista, sia pure munito dei requisiti di indipendenza previsti dall’art. 2399 c.c. (art. 4 [art. 16 dello Schema]) e designato da una pubblica autorità con il compito di facilitare un certo percorso negoziale diretto alla composizione della crisi, del potere di modificare la composizione soggettiva di una delle parti del negoziato, in tal modo forzando o comunque alterando quella che era stata la scelta delle imprese interessate, effettuata nell’esercizio della loro autonomia organizzativa nonché, verosimilmente, su indirizzo ed impulso dell’entità capogruppo, appare problematica e presta il fianco a rilievi, i quali investono altresì, a ben vedere, il potere di segno opposto, ma di contenuto strutturalmente simile, attribuito agli esperti plurimi, nominati disgiuntamente, di optare per la gestione unitaria della composizione negoziata ex art. 13, comma 8 [art. 25, comma 7, dello Schema].

Richiamando quanto già osservato altrove[11], sia pure con la cautela imposta dalla novità del testo normativo, sembra che i poteri in tal modo assegnati all’esperto facilitatore abbiano un’estensione notevolmente ampia (e contenuti non sempre chiaramente delineati), senza che ad essi sia, in termini espliciti, correlata alcuna responsabilità.  In vero:

(i)       per l’esercizio di detti poteri non sono previsti espressamente limiti di tempo;

(ii)    l’esistenza di un obbligo di motivazione sembra potersi affermare, alla stregua del tenore testuale delle norme, soltanto nei casi disciplinati dal comma 6 dell’art. 13 [art. 25, comma 5, dello Schema] (qui l’esperto dovrà allegare circostanze idonee a comprovare la gravosità eccessiva, dunque non proporzionata e disfunzionale rispetto all’obiettivo perseguito, della conduzione unitaria del negoziato per giustificare la propria decisione di passare, almeno per alcune imprese, ad una gestione atomistica del negoziato medesimo) e dal comma 8, mentre non sembra vincolato ad alcun obbligo di motivazione, né agganciato ad alcuna circostanza o presupposto oggettivo il potere di “invito” di cui al comma 7 del medesimo art. 13 [art. 25, comma 6, dello Schema], che – se esercitato con successo – sortirebbe l’effetto di coinvolgere nei negoziati imprese in bonis che il soggetto esercente la direzione e coordinamento di gruppo aveva evidentemente inteso lasciare al di fuori della vicenda della CNC;

(iii)  sembra che il potere previsto dal comma 6 dell’art. 13 (così come quello previsto dal comma 8) [art. 25, rispettivamente commi 5 e 6, dello Schema] non generi alcuna possibilità di contestazione da parte delle imprese investite dalle scelte discrezionali dell’esperto: il che appare singolare, tanto più se si considera che dette imprese sono per definizione sottoposte al potere di direzione e coordinamento di un’entità con funzione di capogruppo e che - in linea con quanto già osservato (supra, par. 1) - non vi è apparentemente alcuna ragione di ritenere che il potere di direzione e coordinamento del soggetto posto al vertice del gruppo venga meno a fronte del potere dell’esperto, quasi che il suo compito di facilitatore nella gestione della composizione negoziata della crisi giustificasse altresì il suo subentro nel ruolo che fisiologicamente spetta all’ente o società o persona capogruppo. Diversamente, nel caso previsto dal comma 7 dell’art. 13 [art. 25, comma 6, dello Schema], sembra che le imprese in bonis che l’esperto vorrebbe coinvolgere nelle trattative, in quanto destinatarie di un mero invito, possano semplicemente declinarlo e rimanere così fuori del negoziato per la composizione della crisi (così come, per converso, potrebbero essere le imprese stesse a farsi avanti, eventualmente su direttiva della capogruppo, per essere coinvolte, senza che la loro iniziativa possa incontrare ostacoli nei poteri di conformazione delle parti del negoziato attribuiti all’esperto);

(iv)   nulla si dice, poi, riguardo alla possibilità di interazioni ed interferenze tra l’esercizio, da parte del facilitatore, dei poteri che gli sono attribuiti e gli interessi ed i comportamenti di soggetti partecipi delle trattative in qualità di controparti dell’imprenditore, in particolare creditori, lavoratori ed altri stakeholders. In proposito, si può supporre legittima l’interlocuzione fra detti soggetti e l’esperto facilitatore, al quale gli stessi potrebbero fornire l’input o lo stimolo utile all’assunzione di determinate decisioni, per esempio in materia di coinvolgimento nelle trattative di imprese del gruppo ancora in bonis, oppure di passaggio dalla conduzione unitaria dei negoziati a quella atomistica nel caso in cui la prima risulti troppo complessa e costosa, in una parola disfunzionale rispetto all’obiettivo. Più difficile sembra invece ricostruire, nel silenzio del dato positivo, un potere di contestazione formale, da parte degli stakeholders coinvolti nella composizione negoziata della crisi dell’impresa, delle decisioni discrezionalmente adottate dall’esperto, in particolare - ma non solo – sul terreno della conduzione delle trattative a livello di gruppo, ai sensi dell’art. 13, comma 6 (ovvero dell’art. 13, comma 8);

(v)     non viene chiarito se, nel caso disciplinato dal comma 6 dell’art. 13 [art. 25, comma 5, dello Schema] , e cioè nel caso in cui l’espetto decida di convertire, totalmente o parzialmente, la gestione unitaria delle trattative in gestione atomistica, egli debba rimandare le imprese alla Camera di commercio, affinché presentino istanza per la nomina di ulteriori esperti, oppure possa mantenere comunque il ruolo in capo a sé stesso, anche con riferimento alle imprese che, sulla base della sua decisione, vengono poste al di fuori della composizione negoziata unitaria. Nel silenzio della norma positiva, il dubbio ha una sua ragion d’essere, anche perché la prima soluzione (rinvio delle imprese alla Camera di commercio per la designazione di ulteriori esperti) comporterebbe probabilmente l’inconveniente di un aggravio di tempo aggiuntivo a carico delle imprese interessate; tuttavia, dalla disciplina complessiva della composizione negoziata della crisi dei gruppi (ed in particolare dal comma 8 dell’art. 13) sembra potersi inferire che la previsione di un esperto facilitatore unico per più imprese dello stesso gruppo viene considerata coerente con, e perciò si giustifica in ragione dell’opzione per, la conduzione unitaria delle trattative; il che lascia pensare che si debba procedere in senso opposto (i.e., alla nomina di più esperti) nel caso in cui si intenda realizzare il diverso percorso della conduzione atomistica.

I concisi rilievi che precedono toccano un punto cruciale (forse il più complesso ed il meno limpido) della disciplina nel suo insieme, e cioè il corretto inquadramento giuridico della figura dell’esperto, dei suoi poteri e delle sue responsabilità: tema, questo, sui cui è facile prevedere che il dibattito, appena aperto, duri ancora a lungo, andando ben al di là della tematica dei gruppi e dunque dei limiti contenutistici di questo lavoro.

 

3. I presupposti (a) soggettivo e (b) oggettivo per l’accesso alla composizione negoziata delle crisi di gruppo: (a) la nozione di gruppo.

(a) Il presupposto soggettivo per l’accesso alla composizione negoziata di gruppo, tenuto conto del disposto dell’art. 2, comma 1, nonché della rubrica e del comma 1 dell’art. 13, va ravvisato nella condizione di titolarità di un’impresa agricola o commerciale che sia avvinta ad altre da collegamenti idonei a configurare l’insieme come un “gruppo di imprese”.  La definizione del gruppo di imprese dettata dal comma 1 dell’art. 13 richiama molto da vicino[12] quella enunciata nell’art. 2, lettera h), d.lgs. n. 14/2019 (nel testo modificato dal c.d. decreto correttivo (d.lgs. n. 147/2020)[13]; questa, a sua volta, si ispira, com’è noto, alla nozione di gruppo implicitamente[14] accolta dal codice civile (artt. 2497 e seguenti) nel testo novellato dalla riforma organica del diritto societario (d. lgs. n. 6/2003). Si è inteso evidentemente riaffermare una linea di continuità con le scelte definitorie già adottate, sul medesimo terreno della disciplina delle crisi d’impresa, dal CCII e motivate da una valutazione razionale di preferenza per soluzioni normative che evitino il proliferare incontrollato di nozioni di gruppo di imprese di volta in volta diverse, nella misura in cui la sostanza del fenomeno economico considerato non richieda una siffatta diversificazione.

Il gruppo di imprese rilevante ai fini dell’art. 13 d.l.119 [art. 25 dello Schema] del nostro decreto presenta, dunque, le seguenti caratteristiche:

-            non include mai lo Stato o gli enti territoriali, che restano fuori del perimetro del gruppo, coerentemente in linea con la scelta già compiuta con il d.l. n.78/2009, convertito in l. n. 102/2009, che aveva a suo tempo fornito un’interpretazione autentica del primo comma dell’art. 2497 c.c., secondo la quale per “ente” (idoneo alla titolarità di un’attività di direzione e coordinamento) s’intendono “i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato (…): la norma ora in esame giustappone allo Stato la categoria degli enti pubblici territoriali, in tal modo sciogliendo un dubbio interpretativo emerso nella casistica giurisprudenziale e risolto dalla dottrina in maniera non univoca;

-            l’elemento essenziale ed indefettibile che collega l’una all’altra le legal entities che compongono il gruppo è dato dall’attività di direzione e coordinamento, la quale può far capo non solo ad una società o ad un ente (diverso, come si è detto, dallo Stato e dagli enti territoriali), ma anche ad una persona fisica: il che comporta, rispetto alla nozione testualmente accolta nell’art. 2497 c.c., un ampliamento del perimetro del gruppo, sì da ricomprendervi la fattispecie delle società sottoposte al comune controllo di un medesimo socio

-            soggetti passivi della direzione e coordinamento esercitata dall’entità capogruppo possono essere società, imprese o enti (ancora una volta diversi, con precisazione in questo caso superflua perché del tutto ovvia, dallo Stato e dagli enti territoriali);

-            sono contemplati sia il modello del gruppo verticale fondato sul controllo, diretto o indiretto, solitario o congiunto, sia quello del gruppo fondato su vincoli contrattuali, ad instar del modello a cui ha riguardo l’art. 2545-septies c.c., che descrive il modello del gruppo paritetico fra imprese cooperative;

-            l’attività di direzione e coordinamento, anche qui in linea con la scelta già operata nel c.c. e nel CCII, non viene definita nei suoi contenuti; viene tuttavia agevolato l’accertamento della sua esistenza sulla base dei criteri presuntivi indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 13. Alla stregua di detti criteri l’attività di direzione e coordinamento di più società o imprese si presume, salvo prova contraria, far capo all’ente o alla società tenuti alla redazione del bilancio consolidato di gruppo, nonché alla società o ente titolare, in forma solitaria o congiunta, in maniera diretta o indiretta, della posizione di controllo.

 

3.1. (segue) Il limite della necessaria sottoposizione di ciascuna delle imprese del gruppo alla giurisdizione italiana: rilievi critici.

Un ulteriore presupposto per l’accesso alla disciplina di gruppo della c.n.c. sembra essere costituito, stando al tenore dell’art. 13, comma 2 [art. 25, comma 1, dello Schema], dalla circostanza che ciascuna delle imprese appartenenti al gruppo abbia il proprio “centro degli interessi principali” (COMI nell’acronimo inglese)[15] nel territorio dello Stato italiano: altrimenti detto, l’istanza per la nomina di un unico esperto e la conduzione unitaria delle trattative non potrebbe coinvolgere le articolazioni del gruppo sottoposte, in relazione alla collocazione del loro COMI, ad una giurisdizione straniera.

Vale la pena osservare che la medesima soluzione era stata adottata, nel d.l.gs. n. 14/2019 (artt. 284 e 287), e prima ancora nella legge delega di cui esso costituisce attuazione (art. 3, comma 1, lettera d): in quel caso la sottoposizione di ciascuna alla medesima giurisdizione italiana vale ad identificare le imprese del gruppo legittimate a proporre con un unico ricorso la domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di sottoposizione alla liquidazione giudiziale di gruppo; più precisamente, vale a riconosce la giurisdizione italiana come quella competente in materia di concordato, di accordo di ristrutturazione dei debiti o di liquidazione giudiziale di gruppo soltanto con riferimento alle imprese, facenti parte del gruppo, che hanno in Italia il proprio centro degli interessi principali. Le imprese “straniere”, in ipotesi collegate a quelle “italiane” dal legame di appartenenza al medesimo gruppo, secondo un – assai diffuso - modello di gruppo transnazionale, non possono esser parte di una proposta (e piano) di concordato di gruppo, né chiedere di essere sottoposte ad una procedura di liquidazione giudiziale che le investa insieme alle società figlie o sorelle aventi il COMI nel nostro Paese.

Si tratta di una soluzione che va comunque coordinata con le disposizioni del regolamento UE 2015/848 sulle procedure d’insolvenza, applicabile, per quanto riguarda il nostro Paese, come testualmente risulta dall’Allegato A del citato regolamento, non solo alle procedure concorsuali liquidatorie aventi come presupposto l’insolvenza dell’imprenditore (da noi, tipicamente, il fallimento), bensì anche alle procedure come il concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti che possono non avere finalità liquidatorie né presuppongono necessariamente l’insolvenza del debitore. Ora, l’intero capo V di detto regolamento è dedicato alle procedure di crisi e di insolvenza di società facenti parte di un gruppo, sottoposte alla giurisdizione di diversi Stati membri: la ratio che ha ispirato le scelte operate dal legislatore italiano del CCII risiedeva nella ravvista opportunità di astenersi dall’intervenire in un ambito già disciplinato dal diritto europeo con uno strumento – il regolamento – idoneo a realizzare l’efficacia diretta ed immediata della disciplina nei singoli ordinamenti nazionali; una ratio che ha a mio avviso un senso, ma che sortisce l’effetto di lasciare prive di ogni regolamentazione le questioni di scelta del diritto applicabile riguardanti imprese nel gruppo collocate in giurisdizioni extra-UE, in un contesto socio-economico in cui è ben possibile che le propaggini cross-border di un gruppo di società si estendano al di là dei confini dell’Unione europea.

Nel caso ora considerato della CNC di gruppo, la situazione è completamente diversa e quella ratio non può essere invocata per giustificare la scelta, adottata dall’art.13 del d.l. 118/2021, e puntualmente ripresa dall’art. 25 dello Schema di decreto legislativo, di consentire l’accesso alla conduzione unitaria delle trattative sotto la guida di un unico esperto soltanto nel caso in cui tutte le imprese del gruppo abbiano nel territorio italiano il proprio centro degli interessi principali. Le imprese del gruppo aventi il COMI in un altro degli Stati membri (per non parlare di quelle sottoposte a giurisdizioni extraeuropee), resterebbero quindi del tutto prive della possibilità di accedere al percorso di risanamento unitario di gruppo, pur potendosi aprire, all’esito delle trattative, la strada, ad esempio, della domanda di accesso ad un concordato preventivo, eventualmente di gruppo, al quale potrebbero trovare applicazione, per quanto riguarda le eventuali società del gruppo sottoposte alla giurisdizione di un altro Stato membro, le forme di coordinamento previste dal regolamento UE 2015/848.

L’assetto che ne risulta non è a mio avviso soddisfacente[16]; né sarebbe sistematicamente  corretto ricercare la soluzione del problema in una possibile modifica dell’allegato A del regolamento europeo sulle procedure di crisi e di insolvenza (diretta ad includere anche la c.n.c. nel suo ambito di applicazione), perché la composizione negoziata della crisi non presenta caratteri tali da poterla in alcun modo ricondurre nell’alveo di dette procedure: essa non è una procedura concorsuale liquidatoria, né una procedura tendente alla ristrutturazione dell’impresa in crisi, come il nostro concordato in continuità aziendale, che rientra nella nuova categoria europea dei quadri di ristrutturazione, dalla quale la composizione negoziata è invece esclusa, come attestato dalla disposizione che l’art. 1 dello Schema di decreto legislativo introduce nella lettera m-bis dell’art. 2  d. lgs. n. 14/2019.

Una soluzione sistematicamente ragionevole del problema che si è testé segnalato potrebbe essere quella di ancorare la scelta della giurisdizione applicabile a criteri omogenei a quelli indicati nell’art. 13, comma 3 [art. 25, comma 2 dello Schema] ai fini dell’individuazione della Camera di commercio competente, e cioè: (i) alla presenza nel territorio dello Stato dell’entità a cui fa capo l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, attestata dalla pubblicità ex art. 2497-bis; ovvero in alternativa (ii) alla presenza nel territorio dello Stato dell’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria costituita dalla voce D del passivo nello stato patrimoniale ai sensi dell’art. 2424 c.c.

In altri termini, si dovrebbe consentire all’impresa capogruppo o a quella del gruppo che sia maggiormente indebitata di fungere da polo di attrazione nella giurisdizione italiana anche delle imprese del gruppo sottoposte, in  relazione al proprio COMI, alla giurisdizione di un altro Stato membro, le quali potrebbero venire ammesse alla composizione negoziata di gruppo e incluse nel relativo piano, evitando in tal modo di segmentare artificiosamente il gruppo di imprese in funzione della collocazione territoriale dei rispettivi COMI, già in una fase iniziale della gestione della crisi, in cui dovrebbe ancora dispiegarsi con ampiezza la discrezionalità delle scelte imprenditoriali e dovrebbe lasciarsi al soggetto esercente la direzione e  coordinamento di gruppo lo sfruttamento di ogni potenzialità del modello organizzativo, in funzione dell’obiettivo del risanamento del gruppo nel suo insieme e nelle singole articolazioni ancora “viable”. Non si porrebbe, verosimilmente, un problema[17] di riconoscimento ed applicazione extraterritoriale delle misure protettive e cautelari eventualmente adottate dall’autorità giudiziaria (in ipotesi, italiana) a norma dell’art. 13, comma 5 [art.25, comma 4 dello Schema]: infatti, dette misure vengono adottate, per espressa (e, aggiungerei, non chiara) previsione di legge, nei confronti della capogruppo ovvero dell’impresa del gruppo con la più alta esposizione debitoria, e cioè di quella impresa che, nel prospettiva testé articolata, comunque avrebbe il COMI in Italia e sarebbe comunque sottoposta alla legge del nostro Paese. Mentre potrebbe essere problematico il riconoscimento da parte dell’impresa del gruppo sottoposta alla giurisdizione italiana dell’atto (amministrativo) di nomina dell’esperto da parte della camera di commercio, posto che, secondo l’opinione prevalente, il regolamento Bruxelles I-bis assicura il riconoscimento dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non invece di quelli di un’autorità amministrativa.

Probabilmente, potrebbe essere utile ragionare ancora una volta sulla fattispecie della direzione e coordinamento di gruppo, movendo dal presupposto (supra, par. 1) che essa, nella fase in cui si colloca lo svolgimento delle trattative tendenti alla composizione negoziata della crisi, sia ancora pienamente esercitabile (ed effettivamente esercitata) dal soggetto investito del ruolo di capogruppo. La direzione unitaria di gruppo dovrebbe essere funzionale, nel contesto qui considerato, al governo e alla gestione sinergica e coordinata della crisi che ha investito le imprese appartenenti al gruppo medesimo o parte di esse, in un momento in cui detta crisi è ancora allo stadio iniziale di mera probabilità, e viene pertanto affrontata con uno strumento prevalentemente negoziale (rispetto ai quali dovrebbe potersi invocare il principio generalmente accettato della “choice of law” da parte degli interessati) e stragiudiziale: in quest’ottica, l’attività di direzione e coordinamento dell’insieme delle imprese aggregate non dovrebbe incontrare un ostacolo nella circostanza che alcune di esse sono soggette alla giurisdizione di un altro Stato, nel quale hanno il proprio COMI; tanto più se si ritiene che l’esistenza di una ragionevole possibilità di risanamento dell’impresa si traduca in un obbligo giuridico, in capo al titolare dell’iniziativa, di coltivare questa possibilità e se si considera che, nel caso dei gruppi, l’obiettivo del risanamento potrebbe richiedere, per essere efficacemente perseguito, il coinvolgimento potenzialmente di tutte le articolazioni del gruppo, indipendentemente dalla giurisdizione alla quale sono sottoposte, e cioè anche quando la legge ad esse applicabile è diversa da quella a cui è sottoposto chi esercita la direzione e coordinamento.

In ogni caso, la soluzione qui ritenuta preferibile, comunque la si motivi, postula  probabilmente un intervento sul testo attuale della norma[18]; intervento che dovrebbe essere ancora possibile, perché lo Schema di decreto legislativo è ancora in itinere, dovendosi attendere per il prosieguo dell’iter il parere delle competenti commissioni parlamentari, e che andrebbe caldeggiato, se si condivide la valutazione di scarsa razionalità di un assetto normativo che, nella prospettiva peculiare della ristrutturazione in funzione di superamento della crisi, tende a ritagliare il perimetro dei gruppi di imprese lungo i confini del territorio dello Stato.

 

4. (b) La probabilità di crisi o di insolvenza e la ragionevole perseguibilità del risanamento: la valutazione di tale presupposto in un’ottica di gruppo e di pianificazione del risanamento del gruppo.

 

4.1. - (b) Quanto al presupposto oggettivo della composizione negoziata di gruppo, come si è constatato, la disciplina postula che le imprese istanti per la nomina di un unico esperto, ai fini della conduzione unitaria delle trattative (a norma del comma 2 dell’art. 13), o di più esperti, nel caso di opzione per la composizione atomistica ai sensi del comma 8 dello stesso art. 13, versino (art. 2, comma 1 [art. 12, comma 1 dello Schema]) in uno stato di probabilità di crisi o di insolvenza, riconducibile a condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, accompagnate tuttavia da una ragionevole previsione di perseguibilità del risanamento, da formulare sulla base del “test pratico” disponibile sulla piattaforma telematica nazionale istituita ai sensi dell’art. 3 [art. 13 dello Schema].

Trattandosi di imprese aggregate in un gruppo, è inevitabile domandarsi se il complesso presupposto oggettivo previsto dalla legge per l’accesso alla CNC debba o meno sussistere riguardo a tutte le imprese istanti.

Ad un primo esame della questione, e tenuto conto della circostanza che anche la disciplina in esame, come tutte le discipline fino ad oggi introdotte nel nostro ordinamento riguardo alla crisi dei gruppi, muovono dal principio del mantenimento della separatezza e reciproca autonomia giuridica del singole imprese, onde è caratterizzato il gruppo in bonis, la risposta affermativa (nel senso della necessaria verifica della sussistenza del presupposto oggettivo riguardo a tutte e a ciascuna delle imprese del gruppo) sembrerebbe quella maggiormente plausibile: se la risanabilità dell’impresa e lo stadio affatto iniziale (nel senso di mera probabilità) della crisi e dell’insolvenza costituiscono il titolo specifico che dà un senso al tentativo di composizione negoziata della crisi con l’ausilio dell’esperto facilitatore, mentre l’appartenenza al gruppo non costituisce di per sé titolo per l’accesso alla CNC[19], bensì soltanto presupposto per l’accesso ad una particolare modalità di conduzione delle trattative siano già in stato di insolvenza o per le quali il test di risanabilità abbia dato esito negativo devono rimaner fuori dalla CNC “di gruppo” e dal “piano” che si richiede all’imprenditore di redigere per affrontare il percorso di risanamento attraverso la medesima CNC.[20] .

Se si ragiona tuttavia alla stregua di un quadro sistematico più ampio, la soluzione appena prospettata in via di mera ipotesi non convince.

In vero, si è premesso (supra, par. 1) che, in questa fase, certamente la direzione unitaria di gruppo mantiene ancora la sua piena operatività, sebbene debba volgersi ad affrontare una situazione diversa da quella che caratterizza il gruppo in bonis, e precisamente una situazione complessiva di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, pur nell’ambito di un’impresa per la quale risulta comunque ragionevolmente perseguibile il risanamento (e dunque praticabile l’ingresso nella CNC). Ora, nella elaborazione delle strategie di risanamento dell’impresa, è possibile che il soggetto esercente la direzione e coordinamento del gruppo ritenga razionale e conveniente includere nel piano e concretamente coinvolgere altresì nell’operazione di risanamento imprese del gruppo rispetto alle quali non sussistono, allo stato, le problematiche di squilibrio sopra ricordate; quindi, imprese sane, alle quali verrebbe impartita la direttiva di fornire supporto operativo, per es. finanziario o anche di semplice patronage, al  progetto di risanamento ed alle trattative intraprese o che, nel corso della CNC, andranno ad intraprendersi con  le diverse parti interessate, oppure imprese allo stato vitali, ma la cui continuità aziendale dipende in prospettiva dalle imprese attualmente in difficoltà, e perciò sono direttamente interessate, in virtù delle relazioni economiche e produttive intercorrenti con le prime, all’effettivo risanamento delle stesse; una siffatta strategia sembra del resto testualmente ammessa dallo stesso legislatore che, all’art. 13, comma 7 (art. 25, comma 6, dello Schema) stabilisce che “possono partecipare alle trattative”, anche su invito dell’esperto, le imprese del gruppo  che non si trovano nelle condizioni indicate nell’art. 2, comma 1 [art.12, comma 1, dello Schema di decreto legislativo].

Una siffatta scelta legislativa merita a mio avviso di essere valutata favorevolmente. In vero, è noto a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con le tematiche della crisi e dell’insolvenza dei gruppi (rectius, delle imprese facenti parte di un gruppo) che uno dei nodi problematici risiede nella questione relativa all’ammissibilità, ed in tal caso ai limiti e alle condizioni, del coinvolgimento, nelle procedure previste per il governo della crisi o dell’insolvenza, delle imprese in bonis del gruppo: l’ipotesi della propagazione alle imprese rimaste indenni dalla patologia delle medesime procedure previste per le imprese “malate” del gruppo viene in generale considerata incompatibile con il principio della separatezza e reciproca autonomia dei patrimoni delle imprese facenti parte dell’aggregazione; principio che ha come corollario quello della separatezza delle masse passive, e cioè dei debiti e delle responsabilità.

Va tuttavia osservato che la soluzione affermativa, in punto di coinvolgimento delle imprese in bonis del gruppo, se appare affatto discutibile nel caso delle procedure concorsuali in senso stretto, in quanto presuppongono uno stato di impotenza patrimoniale o finanziaria e sono dirette all’attuazione della garanzia patrimoniale dell’impresa debitrice, solleva difficoltà teoriche molto minori in un caso, come quello della composizione negoziata, in cui il perno della vicenda è costituito dallo svolgimento, secondo buona fede, trasparenza e correttezza (art. 4, commi 4, 5, 6, 7), di trattative mirate alla ricerca di una possibile soluzione negoziale di uno stato di crisi o di insolvenza incipienti e non ancora effettivi (ma solo probabili).

Trattandosi di una vicenda che si dipana sul terreno dell’autonomia contrattuale e dell’autonomia d’impresa, sia pure assistita da un organismo di natura pubblicistica (la Camera di commercio) nella nomina dell’esperto e accompagnata da alcuni interventi dell’autorità giudiziaria,  la previsione di limiti alla partecipazione di altre imprese del gruppo (diverse da quelle che di per sé integrano il presupposto oggettivo dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario) sarebbe disfunzionale rispetto all’esigenza di massimizzare lo sforzo negoziale complessivo[21], tendente ad individuare “una soluzione idonea al superamento della situazione di crisi”, e, in concreto, ad uno degli esiti prefigurati nell’art. 11 (art. 23 dello Schema), quali soluzioni alternativamente praticabili alla conclusione delle trattative.

 

4.2. Imprese rispetto alle quali lo stato di crisi è più avanzato o per le quali non appaia ragionevole la prospettiva del risanamento e della continuazione dell’attività, o addirittura insolventi, non andrebbero invece coinvolte nell’istanza di accesso alla CNC e neppure nel piano, se non – indirettamente – attraverso la menzione in quest’ultimo della liquidità che in ipotesi potrebbe derivare dall’avvio delle operazioni di vendita dei loro assets, in funzione della liquidazione, volontaria o giudiziale, qualora risultasse eccedente rispetto al soddisfacimento dei creditori dell’impresa interessata (si pensi al caso in cui sia prevista la messa in liquidazione di un’impresa del gruppo che funge da scrigno immobiliare del medesimo e l’avvio delle operazioni di liquidazione possa far presumere, in relazione per esempio all’incremento di valore subito da alcuni degli immobili, il conseguimento di liquidità in misura superiore all’ammontare del passivo di detta impresa).

Infine, imprese del gruppo per le quali ricorrono i presupposti di cui all’art. 2, comma 1, possono rimanere (o essere lasciate) al di fuori dell’istanza di accesso alla c.n.c. e del piano, oppure è rintracciabile nel dato normativo un obbligo di includerle tutte?

A tale riguardo occorre probabilmente ragionare nel senso che la CNC, che nella sistematica dello Schema di decreto legislativo più volte menzionato dovrebbe sostituire[22] la disciplina dell’allerta e della composizione assistita della crisi, così come disciplinati nel d.lgs. n. 14/2019,  è uno strumento di intervento precoce a carattere volontario e largamente ispirato al principio di autonomia negoziale, che viene messo dal legislatore a disposizione degli imprenditori, ma è affidato – quanto alla sua concreta messa in opera - alla loro libera iniziativa: l’imprenditore, nessun imprenditore  può considerarsi obbligato a ricorrere ad detto strumento, anche se il rifiuto o la rinuncia ad avvalersene, in presenza dei presupposti di legge, potrebbe non andare esente da conseguenze in termini di responsabilità[23] nei confronti delle “parti interessate”[24] che dovessero riceverne un pregiudizio.

Applicando un siffatto modo di ragionare al quesito dianzi formulato, sembra quindi doversi escludere la configurabilità, in capo al soggetto che esercita la direzione e coordinamento del gruppo, di un obbligo di proporre l’istanza di nomina dell’esperto e di includere nella pianificazione del percorso di risanamento tutte le società del gruppo per le quali possa predicarsi la sussistenza dei presupposti che legittimano l’avvio della CNC. Tuttavia, nel piano si richiede all’imprenditore istante di dar conto dell’esistenza di eventuali altre imprese del gruppo “che presentano difficoltà economico-finanziarie o patrimoniali” nonché delle  modalità con cui si intende affrontare dette situazioni critiche: lo scopo è evidentemente quello di corroborare la serietà e l’utilità del ricorso allo strumento della composizione negoziata della crisi, che, nel caso di impresa organizzata in forma di gruppo societario, potrebbero essere frustrate se alcune delle entità soggettive che compongono il gruppo,  pur se fortemente interrelate dal punto di vista economico con le altre, venissero abbandonate alle loro difficoltà.

Altrimenti detto: non serve e non è funzionale (tenuto anche conto del possibile rischio di estensione della crisi all’interno del gruppo[25], secondo il già richiamato ”effetto domino”) intraprendere un percorso di superamento della crisi riguardo a determinate società del gruppo e non ad altre che versino parimenti in situazione critica e risultino parimenti suscettibili di risanamento, pur dovendosi rispettare l’autonomia dell’imprenditore in genere (dunque, anche dell’imprenditore che ha organizzato la propria attività secondo il modello del gruppo) nella scelta di soluzioni e di strumenti anche diversificati in relazione alle diverse entità partecipi dell’aggregazione: così, mentre per alcune società del gruppo si formula l’istanza di nomina dell’esperto in funzione dell’avvio alla CNC, per altre si potrebbe attingere all’interno della categoria dei c.d. quadri di ristrutturazione preventiva[26], e cioè proporre un concordato, liquidatorio o in continuità aziendale, ovvero tentare la strada dell’accordo stragiudiziale di ristrutturazione dei debiti ovvero, nella prospettiva dello Schema di decreto legislativo (art. 64-bis), del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione.

 

5. Composizione negoziata della crisi, piano di risanamento e rilevanza dei “vantaggi compensativi”.

È stato già sollevato, già nei primi commenti[27] al d.l. n. 118/2021 e alla disciplina della composizione negoziata della crisi, il tema della possibile rilevanza, ai fini di detta disciplina e specificamente della sua applicazione al fenomeno dei gruppi, della “teoria de vantaggi compensativi”. Non ritengo allora di potermi esimere da un cenno altresì a questo tema, tanto più in uno scritto che è dedicato allo Studioso unanimemente accreditato come l’autore di alcuni fra i più significativi contributi all’elaborazione di tale “teoria” nel nostro Paese.

Nelle brevi osservazioni che seguono, mi atterrò, con consapevole scelta metodologica, alla concezione “classica” (normativamente recepita in Italia con la riforma del diritto societario del 2003) dei vantaggi compensativi come criterio di valutazione dell’attività di direzione e coordinamento esercitata su un gruppo di imprese o società, nella prospettiva, che è quella dell’art. 2497, della tutela dell’integrità patrimoniale delle singole entità del gruppo e del corretto bilanciamento fra interesse dell’insieme e quello di ciascuna d esse. La precisazione si rende a mio avviso necessaria in relazione al diffondersi, nella letteratura recente, di impostazioni diverse, che tendono ad ampliare l’ambito di rilevanza dei vantaggi compensativi, facendone il criterio di misurazione e di valutazione comparativa dei benefici e degli inconvenienti prodotti nell’esercizio di una qualsiasi attività economica, rispettivamente a vantaggio o a danno dei diversi portatori d’interessi, direttamente o indirettamente investiti da quell’attività. In questa accezione, la teoria dei vantaggi compensativi assume una portata generale, che trascende il, e si sgancia, dal fenomeno dei gruppi, potendo essere utilizzata ed invocata in relazione a qualsiasi impresa, indipendentemente dalla sua forma organizzativa, in rapporto a diversi stakeholders che ruotano intorno ad essa.

Nella prospettiva del gruppo societario, e degli interessi specifici che a questo si ricollegano con riferimento al necessario equilibrio fra direzione e coordinamento e tutela dell’autonomia delle società eterodirette e della loro integrità patrimoniale, il significato e la portata della teoria di cui si discorre consistono nel legittimare la direzione unitaria di gruppo e la sua possibile incidenza negativa sul patrimonio di una o alcune delle società ad essa sottoposte, elidendo la responsabilità per i danni del soggetto a cui si imputa la direzione e coordinamento del gruppo, nella misura in cui i danni vengano neutralizzati attraverso l’attribuzione, che andrà espressamente prevista nella pianificazione delle politiche di gruppo, di uno specifico vantaggio economicamente misurabile di pari entità oppure attraverso l’assunzione di un impegno giuridicamente rilevante ad attribuirlo entro un lasso di tempo determinato.

Tornando alla domanda da cui si son prese le mosse, essa si risolve nell’altra, se il piano che il soggetto titolare del potere di direzione e coordinamento presenta al momento di intraprendere il percorso della composizione negoziata finalizzato al risanamento, in presenza di uno stato di mera probabilità della crisi  o dell’insolvenza, possa prevedere l’imposizione di sacrifici ad una o più società del gruppo e se la legittimità di una siffatta previsione sia subordinata alla programmata (ovvero contestualmente attuata) compensazione di detti sacrifici con corrispondenti vantaggi.

La risposta, a mio avviso affermativa, deriva in maniera piana (i) dall’assunto che ravvisa nel menzionato meccanismo di compensazione fra inconvenienti e benefici specifici derivanti dalla conduzione unitaria del gruppo la caratteristica peculiare dell’attività di direzione e coordinamento, così come normativamente recepita e disciplinata nelle note disposizioni del libro V del codice civile; (ii) dalla constatazione (supra, par. 1)  della necessaria persistenza della direzione e coordinamento di gruppo nella fase della trattative per la composizione negoziata della crisi, la conduzione unitaria delle quali, che è l’oggetto della disciplina qui esaminata, non si giustificherebbe se la direzione unitaria del gruppo si affievolisse o venisse comunque meno anteriormente all’inizio della CNC; (iii) dal rilievo che, anche nella CNC, assume il piano (in questo caso finalizzato al recupero della piena sostenibilità economica dell’impresa), dunque l’attività di pianificazione dei comportamenti dell’impresa, e dall’esigenza che detta pianificazione, nel caso di imprese aggregate in un gruppo, sia effettuata dal soggetto esercente la direzione coordinamento e riferita al gruppo nel suo insieme[28], con la possibilità, allora, della previsione, nell’ambito di detta pianificazione, del meccanismo compensativo di cui si è detto.

Può l’esperto “sindacare” il piano sotto il profilo della mancata previsione di vantaggi compensativi adeguati a compensare i pregiudizi che, per effetto della politica di gruppo, si prevede che verranno arrecati ad una o a talune dele società del gruppo? E che tipo di operazioni infragruppo potranno essere pianificare con l’obiettivo del recupero e del risanamento delle imprese del gruppo che siano “viable”? In particolare, potranno essere previste operazioni infragruppo che comportino, direttamente o indirettamente, trasferimenti di risorse da una in direzione di un’altra società del gruppo?

Singolarmente, nonostante il rilievo centrale che il piano assume (anche) nella composizione negoziata della crisi, l’unico riferimento allo stesso nella disciplina di fronte primaria è contenuto nell’art. 3, comma 2, d.l. 118/2021, così come modificato in sede di conversione dalla l. 147/2021, che ha riguardo ai materiali da rendere disponibili nella piattaforma telematica nazionale e gestita dal sistema delle Camere di commercio sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia e del Ministero dello Sviluppo economico; materiali tra i quali è inclusa “una lista di controllo particolareggiata (…) che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento (…)”. Per la definizione della lista di controllo particolareggiata, così come del protocollo di conduzione della composizione negoziata, la citata norma primaria fa rinvio ad un successivo decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia, che, come si è ricordato, è stato in effetti emanato alla fine di settembre del 2021.

La lettura di tale documento fornisce qualche risposta agli interrogativi che si sono poc’anzi formulati: apprendiamo, per esempio, da detto decreto (sez. III, par. 4.1.), che all’esperto designato per la conduzione delle trattative è richiesto di verificare la coerenza del piano sulla base della check list contenuta nella sezione II del citato decreto ed è attribuito il potere di chiedere all’imprenditore (nel caso del gruppo, deve ritenersi, al soggetto esercente l’attività di direzione e coordinamento) ogni ulteriore informazione che egli ritenga utile o necessaria, posto che l’imprenditore (o il soggetto capogruppo) ha il dovere di rispondere e di rappresentare la propria situazione (o la situazione del gruppo) in maniera completa e trasparente.

Dal medesimo decreto si evince che il piano può contenere la programmazione di operazioni infragruppo (sez. II, par. 6), le quali potranno avere, mutuando le espressioni adoperate nell’art. 285, comma 2, CCII a proposito dei piani concordatari di gruppo, natura contrattuale ovvero riorganizzativa, e che l’esperto, nella “valutazione” di dette operazioni, deve tener conto dell’interesse dei creditori delle singole imprese del gruppo: fermi i rilievi critici già espressi, anche ad altro proposito (supra, par. 2.1) sulla difficoltà di inquadrare giuridicamente la figura dell’esperto, l’estensione effettiva dei suoi poteri e l’ambito delle sue eventuali responsabilità, emerge chiaramente dalle ricordate previsioni del decreto dirigenziale che l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento trova il proprio limite nel pregiudizio dei creditori, dovendo essere le operazioni infragruppo contemplate nel piano, in cui esprime detto esercizio, valutate (con quali modalità e sulla base di quale potere? con quali conseguenze in termini di responsabilità per eventuali errori od omissioni commesse nella valutazione?) alla stregua dell’anzidetto criterio dell’interesse dei creditori delle singole imprese del gruppo[29]. A condizione che sia rispettato questo criterio, deve ritenersi che – come si è testualmente ammesso (art. 285, comma 2, CCII) con riferimento ai piani presentati unitamente alla domanda di concordato di gruppo - le operazioni infragruppo possono essere altresì tali da comportare trasferimenti di risorse da un’articolazione soggettiva all’altra del gruppo (purché siano funzionali ad una strategia di risanamento di imprese ancora recuperabili e non arrechino danno ai creditori di ciascuna delle imprese del gruppo)[30]:  se questo tipo di contenuti del piano di gruppo è ammesso nel caso del concordato, a fortiori dovrebbe essere ammesso nel piano di composizione negoziata della crisi, rispetto al quale il trasferimento di risorse fra società dello stesso gruppo solleva  forse minori problemi (ad esempio, sotto il profilo del possibile impatto della disciplina penalistica degli atti distrattivi), versando le imprese del gruppo, in ipotesi, in una situazione non coincidente con (e precedente) la crisi o l’insolvenza, che costituiscono, com’è noto, il presupposto per l’ammissione al concordato preventivo.

In ogni caso, a fronte dell’eventuale pregiudizio arrecato dalle operazioni infragruppo ai creditori di singole società del gruppo, ma anche ai soci esterni al controllo che eventualmente siano in esse presenti, i soggetti interessati potranno ricorrere ai rimedi di carattere risarcitorio azionabili in via generale sulla base delle disposizioni dell’art. 2497 c.c., mentre, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi del concordato di gruppo (a norma dell’art 285, commi 3 e 4, CCII), non potranno avvalersi del rimedio dell’opposizione all’omologazione della proposta e del piano di concordato, perché nella composizione negoziata non è previsto alcun intervento del tipo omologazione del piano da parte dell’autorità giudiziaria.

 

6. Una riflessione di sintesi

La previsione di una disciplina “di gruppo” della composizione negoziata della crisi è stata in generale salutata con favore: soprattutto è stata apprezzata da coloro[31] che, all’apparire del codice della crisi,  avevano correttamente sottolineato in termini critici la scarsa attenzione riservata dal d.lgs. n. 14/2019, nella sua versione originaria, al fenomeno dei gruppi di imprese, con riferimento specifico a quella fase delicatissima in cui gli scricchiolii si avvertono appena, le difficoltà si trovano ancora in uno stadio iniziale e non hanno raggiunto l’intensità e la gravità di uno stato di crisi o addirittura di insolvenza, ma potrebbero degenerare anche rapidamente in difetto di un intervento tempestivo, flessibile, ben tarato sullo specifico modello organizzativo dell’impresa, capace di tener conto adeguatamente del contesto in cui l’impresa, che si vuole coinvolgere nell’operazione di risanamento, effettivamente opera e, se del caso,  di tutto il fascio dei legami e rapporti di varia natura che la avvincono ad altre, sì da formare eventualmente un unico gruppo.

Le regole che si sono qui esaminate nei loro contenuti salienti costituiscono altrettanti tasselli della disciplina complessiva del gruppo e della gestione dell’impresa in forma di gruppo, con particolare riguardo alla sua fase “crepuscolare”: sono regole di “diritto della crisi”, in questo senso a carattere settoriale, ma anche regole che gettano una luce, in parte nuova, e comunque forniscono inediti spunti di riflessione sulla disciplina generale dell’impresa organizzata in form di gruppo e sulla sua conduzione ad opera del soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento. Anche da questo punto di vista, è stato opportuno introdurle nel nostro ordinamento, a completamento della disciplina dei gruppi nel concordato e nella liquidazione giudiziale. Il quadro complessivo presenta ancora lacune, incertezze ed asimmetrie sistematiche, sulle quasi si eserciterà il lavorio incessante dell’interpretazione: ma il passo avanti, rispetto ad un’epoca non lontana in cui tutto s’ignorava dei meccanismi di funzionamento e di conduzione del gruppo nelle varie fasi di sviluppo della crisi dell’impresa, è in vero affatto notevole.



*Il presente scritto è destinato alla raccolta degli Studi in onore di Paolo Montalenti.

[1] Esso è stato già oggetto di attenzione da parte della dottrina: cfr. N. Abriani, Holding e continuità aziendale nelle procedure di regolazione della crisi dei gruppi, in Dirittodellacrisi.it, 25 marzo 2021.

[2] Una valutazione diversa si potrebbe formulare riguardo alle norme del testo unico bancario relative ai gruppi bancari e all’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla capogruppo in quel contesto. Ma si tratta di norme di applicazione limitata ad un determinato settore. Di qui la scelta di fare riferimento, nel testo, in via tendenzialmente esclusiva, alle norme del codice civile.

[3] Cfr., in proposito, M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi d’impresa nei gruppi di società, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber Amicorum Pietro Abbadessa, 3, Milano, 2014, 2693 ss.

[4] Sul punto ancora M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi d’impresa nei gruppi di società, cit., 2725 ss.

[5] Nel CCII si sono espressamente disciplinate, com’è noto, la fattispecie della gestione unitaria della crisi o dell’insolvenza di gruppo, a seconda dei casi attraverso un concordato di gruppo, un accordo di ristrutturazione o un piano attestato di gruppo (artt. 284, 285, 286) ovvero attraverso una liquidazione giudiziale di gruppo (art. 287), e la fattispecie della gestione atomistica attraverso procedure di liquidazione giudiziale ovvero di concordato preventivo disposte e condotte separatamente per le singole imprese del gruppo (art.288), dando atto – anche in questo modo – di quella costante dialettica fra unità e pluralità che caratterizza il fenomeno dei gruppi di imprese. In proposito sia consentito rinviare a G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 413 ss.; Eadem, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Rivista ODC, 2019, 669 ss. Da ultimo v., anche per i riferimenti alla copiosa dottrina successiva, M. Callegari, Frammenti di disciplina dei gruppi nel codice della crisi alla luce del decreto correttivo e dello schema di decreto insolvency, in questa Rivista, 5 maggio 2022.

[6] Ovvero sussista inizialmente e venga meno in un momento successivo, sì da indurre, fra l’altro, ad escludere la razionalità o la convenienza di una soluzione unitaria di gruppo dopo l’esperimento della composizione negoziata. Si veda, al riguardo, l’art. 13, comma 10 [art. 25,comma 9 dello Schema di decreto legislativo], che disciplina il possibile esito della “composizione negoziata di gruppo”: si prevede, anche in quella fase finale, successiva alle negoziazioni fra l’imprenditore e le diverse “parti interessate”, la possibilità sia di una soluzione unitaria, tale da coinvolgere le diverse imprese del gruppo nel loro insieme, attraverso la stipulazione di uno dei tipi di accordo previsti dall’art. 11, comma 1, sia una soluzione atomistica, e cioè l’accesso in via autonoma delle singole imprese del gruppo ad una delle procedure (accordo di ristrutturazione dei debiti, piano attestato di risanamento, concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, concordato preventivo, fallimento alias liquidazione giudiziale, amministrazione straordinaria) menzionate nell’art. 11, commi 2 e 3 [art. 23 dello Schema, commi 2 e 3]. In argomento, e per una prima illustrazione delle incertezze interpretative a cui dà luogo questa disciplina, v. S. Bonfatti, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa. Esito della procedura: il contratto “biennale” e la convenzione di moratoria, in Dirittodellacrisi.it, 1° marzo 2022. Cfr. altresì B. Maffei Alberti, La nuova disciplina dei gruppi di imprese, in questa Rivista, 6 aprile 2022, 8 ss.                                                                                                                                                           

 

[7] Basti qui ricordare le pronunce della Corte Suprema che hanno escluso in radice la legittimità nel nostro ordinamento della versione “di gruppo” del concordato preventivo, fino a quando non intervenga una norma di legge a sancire la possibilità, per più imprese dello stesso gruppo, di presentare congiuntamente un’unica domanda ed eventualmente un unico piano (ovvero più piani fra loro collegati ed interferenti) di concordato: cfr. Cass., sez. I civ., 13 ottobre 2015, n. 20559; Cass., sez. VI civ., ord. 13 luglio 2018, n. 18761; Cass., sez. I civ., 21 novembre 2019, n. 30445. Come già si è ricordato, la norma di legge “enabling” è contenuta nel CCII (art. 284 ss.), ma non è, ad oggi (maggio 2022), entrata in vigore.                

[8] Il testo della Schema di decreto legislativo è reperibile al seguente indirizzo: https://www.dirittodellacrisi.it/news/pronta-la-bozza-di-schema-del-d-lgs-di-modifica-del-codice-della-crisi-e-di-recepimento-della-direttiva-insolvency

[9] Nel prosieguo le disposizioni relative alla CNC saranno citate secondo la numerazione che hanno nel d.l. 118/2021, convertito in l. 147/2021, perché questa è la disciplina allo stato effettivamente vigente. Per quanto possibile, sarà di volta in volta richiamata anche la nuova numerazione introdotta con lo Schena di decreto legislativo, che interviene, modificandolo in diversi luoghi e fra l’altro innestandovi la disciplina della CNC, sul testo del d.lgs, n. 14/2019.

[10] Detti criteri fanno riferimento alla Camera di commercio ove è iscritta la società o l’ente, avente sede nel territorio dello Stato, che viene indicato nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2497-bis, come il soggetto a cui fa capo l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, oppure, in mancanza (se la pubblicità prevista dall’art. 2497-bis non è stata eseguita o comunque non risulta identificabile nel territorio dello Stato la società o ente che esercitano l’attività di direzione e coordinamento), la società con sede nel territorio dello Stato che, rispetto alle altre del gruppo, presenta la maggiore esposizione debitoria, “costituita dalla voce D dello stato patrimoniale” di cui all’art. 2424 c.c., in base all’ultimo bilancio approvato e “caricato” nella piattaforma telematica ai sensi del comma 4 del medesimo art. 13. I medesimi criteri di individuazione della Camera di commercio competente a ricevere l’istanza congiunta delle imprese del gruppo sono recepiti nello Schema di decreto legislativo (art. 25, comma 2).

[11] G. Scognamiglio, in N. Abriani, G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 23 dicembre 2021, par. 3.

[12] La differenza fra le due definizioni è data da ciò, che in quella più recente è caduto l’inciso che aveva riguardo alla sottoposizione di più società, imprese o enti all’altrui direzione e coordinamento “sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto”. Tale modifica testuale non sembra però incidere in maniera sostanziale sul contenuto della nozione di gruppo: che la relazione fra le imprese ad esso appartenenti possa essere (e sia anzi di solito) fondata su un vincolo partecipativo, e precisamente su una partecipazione di controllo è facilmente desumibile dal criterio presuntivo espressamente richiamato, alla stregua del quale in presenza del controllo, diretto o indiretto, si presume l’attività di direzione coordinamento; che la medesima relazione possa essere altresì di natura contrattuale è desumibile dal richiamato, che è stato mantenuto anche nella definizione più recente, al “gruppo cooperativo paritetico”, come modello di gruppo in cui la direzione e coordinamento è esercitata sulla base di un contratto fra le società che ad essa si sottopongono.

[13] Lo Schema di decreto legislativo prevede una ulteriore modifica dell’art. 2, lettera h), d. lgs. n.14/2019, là dove sostituisce la definizione, ivi contenuta, del “gruppo di imprese” con quella, quasi identica (cfr. nota precedente), enunciata, nella disciplina della conduzione unitaria delle trattative ai fini della CNC, dall’art. 13 del d.l. 118.

[14] L’avverbio “implicitamente” è giustificato dalla circostanza che, a causa di remore non del tutto comprensibili da parte degli autori della riforma del diritto societario del 2003 a far apo ad una nozione che la giurisprudenza aveva accreditato di un significato e di un rilievo meramente economico (stante l’assenza di soggettività dell’insieme delle imprese aggregate) non ricorre, né nell’art. 2497, né in alcun luogo del capo IX del libro V del codice civile, l’uso dell’espressione “gruppo”, che viene invece utilizzata invece con ampiezza nel CCII e nel d.l. 118.

[15] Si tratta, com’è noto, di una nozione elaborata nell’ambito del diritto dell’UE e recepita nel CCII, il cui art. 2, comma 1, lettera m) definisce il COMI come il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abitale e riconoscibile dai terzi. Ai sensi dell’art. 3, comma 1, secondo periodo del regolamento (UE) n. 2015/848 sulle procedure di insolvenza, “Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale. Tale presunzione si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre mesi precedente la domanda di apertura della procedura d'insolvenza”.

[16] Né vale a temperare la valutazione negativa espressa nel testo la circostanza (sottolineata da M. Spiotta, La solidarietà dei “vantaggi compensativi” alla luce della normativa emergenziale e della l. n. 147/2021, in questa Rivista, 29 novembre 2021, p.17; L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione, cit., in Diritto della crisi.it, 25 gennaio 2022, 14; e già L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, ivi, 25 agosto 2021, 46) che il requisito della sottoposizione alla giurisdizione italiana (i.e., della presenza in Italia del COMI dell’impresa) non è richiamato per le imprese in bonis del gruppo eventualmente coinvolte insieme alle altre nelle trattative e nel piano di risanamento. Anzi, una siffatta differenza di trattamento potrebbe essere invocata per corroborare l’esigenza di intervenire sul testo normativo per correggerla, nella direzione di consentire l’attrazione nella CNC del gruppo promossa da una società avente il proprio COMI in Italia delle società estere del gruppo medesimo, per lo meno (come si suggerisce nel testo) nel caso in cui a promuovere l’iniziativa sia la capogruppo esercente l’attività di direzione e coordinamento.

[17] Che sarebbe in ogni caso probabilmente risolvibile alla stregua del regolamento Bruxelles I-bis (regolamento UE n. 1215/2012, sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale). Sul punto mi sembra che si possano utilmente richiamare le condivisibili considerazioni (non riferite ovviamente alla CNC, bensì in generale agli strumenti di ristrutturazione preventiva dell’impresa) di D. Skauradszun, Brussels Ia or EIR Recast? The Allocation of Preventive Restructuring Frameworks, in International Corporate Rescue, 2019, 193 ss.

[18] Non mi pare infatti che la soluzione auspicata nel testo, e cioè la possibilità di attrarre nella disciplina della composizione negoziata di gruppo anche le società del gruppo sottoposte ad una diversa giurisdizione, possa essere fondata soltanto sul disposto dell’art. 26, comma 1, c.c., alla cui stregua “l’imprenditore che ha all’estero il centro degli interessi principali può essere assoggettato ad una procedura dir regolazione della crisi e [sarebbe stato preferibile la congiunzione disgiuntiva “o”] dell’insolvenza nella Repubblica italiana, anche se è stata aperta analoga procedura all’estero, quando ha una dipendenza in Italia”.

 

[19] In altri termini, non sembra rinvenirsi alcun indice normativo esplicito nel senso della valutabilità a livello di gruppo, e non della singola articolazione soggettiva del medesimo, dei requisiti per l’accesso alla CNC. Probabilmente, l’assenza di indicazioni normative specifiche risente della impostazione tradizionalmente adottata dal nostro legislatore, per la quale – anche nel caso di imprese aggregate in un gruppo – i requisiti oggettivi di accesso alla procedura vanno accertati e computati con riferimento a ciascuna impresa o società del gruppo: così è stabilito per esempio riguardo al requisito dell’insolvenza nella prima disciplina del gruppo in crisi introdotta nel nostro ordinamento (che, come già si è ricordato, è quella dell’amministrazione straordinaria: cfr. art. 81 d. lgs. n. 270/1999; diversamente, apre alla possibilità di computare a livello di gruppo, e non solo di singola impresa, il numero dei dipendenti e l’ammontare dell’esposizione debitoria, in quanto requisiti per l’accesso alla speciale forma di amministrazione straordinaria ivi disciplinata, l’art. 1 d.l. 347/2003, convertito in l. n. 39/2994), ma anche nel d.lgs. n. 14/2019 ci si è attenuti al medesimo criterio: cfr., con riferimento all’insolvenza che è il presupposto della liquidazione giudiziale, l’art. 287, comma 1; con riferimento allo stato di crisi  che è il presupposto del concordato preventivo, l’art. 284, comma 1.  Tale impostazione sembra confermata dallo Schema di decreto legislativo più volte richiamato.

[20] Riguardo al “piano” (precisamente denominato “piano di risanamento” che alle imprese aspiranti ad un percorso di CNC viene richiesto di redigere, la fonte primaria (d.l. 118, art. 2, comma 2) contiene solo un cenno minimo; il che sorprende, stante la centralità, a mio avviso, che al piano, variamente declinato nei suoi contenuti e nei suoi obiettivi, deve riconoscersi in tutte le procedure previste dall’ordinamento per il governo delle situazioni di crisi o di pre-crisi o di insolvenza dell’impresa.  Il piano da redigere ai fini della CNC riceve per converso ampia attenzione e disciplina nel Decreto dirigenziale citato, la cui sezione II contiene la nota check list particolareggiata, che, nelle intenzioni del regolatore, dovrebbe fungere da guida per la stesura del piano e per la verifica della sua coerenza rispetto agli obiettivi divisati. Vale la pena osservare che l’istituto del piano di risanamento di gruppo qui considerato e prodromico all’sperimento delle trattative perla composizione negoziata della crisi, non ha molti punti di contatto, se non appunto nel nome, con l’omonimo istituto disciplinato dal Testo unico bancario (d. lgs.  n. 385/1993) agli artt. 69-quinquies e seguenti: in quel caso si tratta di uno strumento di cui le banche e le entità capogruppo di gruppi bancari (così come le banche “indipendenti” da ogni legame di gruppo, cfr. art. 69-ter TUB) devono dotarsi – con delibera dell’organo amministrativo da sottoporre all’Autorità di vigilanza ai fini delle valutazioni di cui all’art. 69-sexies – fin dall’inizio della propria attività, salvo aggiornarlo almeno annualmente o comunque nel caso di mutamenti significativi intervenuti nella struttura organizzativa del gruppo e salve le esenzioni previste dall’art.69-decies. Il piano di risanamento di gruppo ai sensi del TUB “individua misure coordinate e coerenti da attuare” con riferimento alle diverse società del gruppo ed al gruppo nel suo insieme, ivi incluse le società estere incluse nella vigilanza consolidata, “se di interesse non trascurabile per il risanamento del gruppo”, e con l’obiettivo di “ripristinare l’equilibrio patrimoniale e finanziario del gruppo bancario nel suo complesso e delle singole banche che ne facciano parte” (art. 69-quinquies, commi 1 e 3). La decisione di attuare una o più delle misure previste nel piano viene adottata dall’organo amministrativo della capogruppo, là dove se ne ravvisino i presupposti economico-finanziari; tale decisione dev’essere “comunicata senza indugio alla Banca d’Italia”, così come la decisione (di segno opposto) di “astenersi dall’adottare una misura, pur ricorrendone le circostanze” (art. 69-octies).

[21] Cfr. M. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it., 23 novembre 2021, 5-6, ad avviso del quale l’imprese del gruppo che sia in bonis può utilmente “partecipare alla negoziazione sottoscrivere l’accordo di ristrutturazione”: potrebbe infatti rilasciare garanzie nell’interesse del gruppo, offrire un supporto tramite l’erogazione di finanziamenti (che dovranno per altro essere autorizzati dal giudice ai sensi dell’art. 10 d.l. 118 [art. 22 dello Schema di decreto legislativo]) se destinati al rimborso secondo il \regime della prededuzione, supportare ed in qualche modo garantire il compimento di operazioni straordinarie, volte alla ristrutturazione del gruppo (ad es. impegnarsi  all’approvazione di aumenti di capitale, o alla rinuncia a diritti di opzione, o a votare a favore di fusioni o scissioni infragruppo, ecc.).

[22] Lo si desume da ciò, che, a tenore dell’art.6 dello Schema, il titolo II della parte I del d. lgs. n.14/2019, dedicato alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, è sostituito da un nuovo titolo II, dedicato alla “composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per l’anticipata emersione della crisi”.

[23] Tale responsabilità potrebbe essere fondata sull’art. 2086, comma 2, c.c. (nel testo modificato dal CCII); ovvero sull’art. 4 dello stesso CCII; nonché sulle norme ed i principi in tema di responsabilità degli amministratori di società in quella che è stata chiamata la “la fase crepuscolare” (twilight zone) della società.

[24] Concetto, questo, che svolge un ruolo importante ed anzi cruciale nella disciplina europea degli strumenti di ristrutturazione preventiva di cui alla direttiva UE 2019/1023, dalla quale è mutuato.

[25] Rischio espressamente menzionato anche nel Decreto dirigenziale del 30 settembre 2021, cit., sez. III, par. 5.2.3.

[26] Si tratta delle misure e delle procedure “volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale”. La nuova categoria, la cui denominazione corrisponde alla traduzione in lingua italiana dell’inglese “preventive restructuring frameworks” (utilizzata nella direttiva UE 2019/1023), non include, per espressa disposizione della lettera m-bis, che lo Schema di decreto delegato propone di introdurre nell’art. 2, comma 1, d.lgs n. 14/2019, la composizione negoziata.

[27] Cfr. P. Montalenti, Crisi d’impresa e risanamento aziendale: prime riflessioni, in NDS, 2021, 10, 1595; M. Spiotta, La solidarietà dei “vantaggi compensativi” alla luce della normativa emergenziale ecc., cit., 16 ss.;

[28] Il già ricordato decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia, emanato il 30 settembre 2021 sulla base della previsione contenuta nell’art. 3, comma 2, del d.l. 118/2021, come modificato dalla legge di conversione n. 147/2021,  fornisce, fra l’altro, indicazioni operative per la redazione del piano attraverso la formulazione di una check list, che si articola in una serie di domande, alcune delle quali espressamente riferite al caso del piano redatto per un gruppo di imprese (cfr. sez. II, par. 6 del citato decreto). Dette domande sollecitano ad esempio il redattore del piano a specificare se il piano riguardi il gruppo nel suo insieme ovvero le singole imprese che lo compongono, a dar conto dei rapporti economici, finanziari e patrimoniali infragruppo, ad illustrare le operazioni infragruppo, specificando se esse siano suscettibili di arrecare pregiudizio ai creditori di una o più imprese del gruppo, e così via.

[29] Criterio a sua volta coerente con il principio di reciproca autonomia giuridica delle imprese appartenenti ad un medesimo gruppo, che si atteggia come regola di separatezza delle rispettive masse attive e passive nelle procedure concorsuali e come regola di salvaguardia dell’interesse dei creditori delle singole imprese nelle fasi di progressione della crisi anteriori all’insolvenza.

[30] Non essendo in questa sede possibile approfondire la disamina della disciplina delle operazioni e dei trasferimenti di risorse infragruppo dettata dal CCII, si rinvia all’ampia indagine di M. Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi d’impresa, in Rivista ODC, 2021, 627 ss.

[31] Cfr. ad es. L. Benedetti, Frammenti di uno statuto organizzativo delle società del gruppo in crisi ricavabili dal sistema dell’allerta: prime considerazioni, in Riv. dir. comm., 2020, I, 715 ss.