Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Concordato preventivo e soggetti protetti nel codice della crisi dopo la Direttiva Insolvency: i creditori e i lavoratori *


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
01 giugno 2022

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Sommario: 1. Il concordato preventivo e la tradizionale “stella polare” dell’interesse dei creditori. – 2. I quadri di ristrutturazione preventiva e la tutela dei posti di lavoro nella Direttiva Insolvency. – 3. Il codice della crisi fra shareholders e stakeholders: la travagliata genesi dell’art. 84. – 4. La continuità aziendale e la conservazione dei posti di lavoro. – 5. La “cornice” costituzionale: utilità sociale e tutela del lavoro.

* Il presente contributo costituisce l’anticipazione, in forma “embrionale”, di un più ampio lavoro destinato a Giurisprudenza commerciale.


 

1.        Il concordato preventivo e la tradizionale “stella polare” dell’interesse dei creditori.

L’art. 160 della legge fallimentare, cioè la disposizione di esordio (e cardine) della disciplina sul concordato preventivo, risulta priva – com’è noto – dell’individuazione dei soggetti i cui interessi l’istituto in questione mira a tutelare, essendo piuttosto incentrata sul contenuto del piano concordatario, a sua volta ancorato ai concetti di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti[1].

Pur in assenza di una tale esplicita enucleazione, non si è mai dubitato che i destinatari della protezione normativa siano elettivamente i creditori, giacché la tutela di interessi “altri” rispetto al loro riveste – come già in altra sede rilevato[2] – natura “accidentale” e quindi non necessaria.

Ciò costituiva un dato assolutamente acquisito nel vigore della legge del 1942: il concordato veniva definito come “modo di regolazione dell’insolvenza mediante un accordo tra debitore e creditori volto a trovare il punto di equilibrio tra l’interesse del debitore ad offrire la minima percentuale possibile ai creditori e l’interesse opposto di questi ultimi. La struttura della procedura, così come consegnataci dalla legge del ’42, non lascia spazio al perseguimento di altre finalità”[3].

All’indomani delle riforme del biennio 2005-2006 (e dunque già prima dell’introduzione dell’art. 186-bis sul concordato con continuità aziendale) si è osservato in dottrina che “la nuova legge fallimentare, ridisegnando la fisionomia del concordato preventivo, intende offrire agli operatori economici un percorso meno difficoltoso che in passato per uscire dallo stato di crisi […] e, al tempo stesso, ai creditori la possibilità di operare una scelta consapevole circa la conservazione dei complessi produttivi, il tutto nell’ottica dell’interesse generale alla salvaguardia delle attività economiche”[4].

Assunto, questo, condivisibile, con l’opportuna precisazione – secondo chi scrive – che, da un lato, la scelta di proseguire l’attività attraverso il concordato è rimessa, “in una prospettiva scevra da ‘dirigismi’ di sorta, esclusivamente alla decisione dell’imprenditore (pur quando si tratti di imprese di grandi dimensioni), dall’altro, che l’assenza di prospettive risanatorie non preclude affatto l’accesso al concordato”[5]: trovando questa affermazione plastica conferma nel rilievo che anche nell’ambito del concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis la cartina di tornasole per valutarne l’ammissibilità è che sia debitamente scrutinato dall’attestatore il requisito del “miglior soddisfacimento dei creditori”, destinato a far premio su qualsiasi altro interesse astrattamente meritevole di tutela.

Ora, l’impostazione anzidetta riflette, implicitamente, il timore che il riconoscimento di interessi ulteriori rispetto a quello del ceto creditorio (dei cc.dd. stakeholders: dipendenti, fornitori, imprese ausiliarie, ecc.) possa andare a detrimento degli interessi, di ordine prettamente patrimoniale, dei creditori[6]. E non sembrano estranee a un siffatto approccio al problema le critiche mosse a più riprese, per certi versi comprensibilmente, alla disciplina dell’amministrazione straordinaria, la cui prima disposizione, di carattere volutamente – e dichiaratamente – generale, parla soltanto del perseguimento di “finalità conservative del patrimonio produttivo”, le quali assurgono pertanto a un rango sovraordinato a quello dei creditori dell’impresa insolvente: il che ha indotto taluni a parlare, in chiave fortemente critica, di risanamento “finanziato” dai creditori[7] e di “mito” della conservazione dell’impresa[8].

Si spiega dunque in questo modo l’assenza, nella disciplina del concordato anteriore al codice della crisi, di riferimenti alla sorte dei lavoratori, i quali sono considerati alla stessa stregua degli altri creditori[9].

 

2.        I quadri di ristrutturazione preventiva e la tutela dei posti di lavoro nella Direttiva Insolvency

La Direttiva UE n. 1023 del 2019[10] è, come ben noto, il documento normativo in cui si registra la forte saldatura tra l’incentivazione dei quadri di ristrutturazione preventiva (in cui rientra il nostro concordato) e l’istanza di salvaguardia dei livelli occupazionali.

Già nel primo “Considerando”, infatti, si stabilisce che l’obiettivo di garantire agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare dev’essere perseguito “senza pregiudicare i diritti e le libertà fondamentali dei lavoratori”. E sempre da un punto di vista generale si osserva, nell’ottavo “Considerando”, che un maggior grado di armonizzazione nel campo della ristrutturazione risulta “fondamentale per il buon funzionamento del mercato interno in generale e per un'efficiente Unione dei mercati dei capitali in particolare, nonché per la resilienza delle economie europee, come anche per il mantenimento e la creazione di posti di lavoro.”

Con specifico riferimento, poi, ai quadri di ristrutturazione preventiva, diretti anzitutto a “permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane”, si afferma che essi “dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso”. E nel terzo “Considerando” si precisa che nei quadri di ristrutturazione “i diritti di tutte le parti coinvolte, compresi i lavoratori, dovrebbero essere tutelati in modo equilibrato”; e nel quarto che il metodo che punta al risanamento dell’impresa ancora sana “spesso contribuisce a preservare posti di lavoro o a ridurre le perdite di posti di lavoro”.

Venendo ora al vero e proprio articolato della Direttiva, in esso si stabilisce che, fra le informazioni che il piano di ristrutturazione deve contenere (art. 8), vi sia “una descrizione della situazione economica del debitore e della posizione dei lavoratori”, nonché l’enucleazione dei “termini del piano di ristrutturazione tra cui, in particolare (…), le conseguenze generali per l'occupazione, come licenziamenti, misure di disoccupazione parziale, o simili”.

All’art. 13, rubricato “Lavoratori”, si richiede che gli Stati membri provvedano “affinché il quadro di ristrutturazione preventiva non interessi (id est non pregiudichi: n.d.r.) i diritti individuali e collettivi dei lavoratori, ai sensi del diritto del lavoro dell'Unione e nazionale, quali i seguenti:
a) il diritto alla negoziazione collettiva e all'azione industriale; e b) il diritto all'informazione e alla consultazione conformemente alle direttive 2002/14/CE e 2009/38/CE” (…); c) “i diritti garantiti dalle direttive 98/59/CE, 2001/23/CE e 2008/94/CE”. Con la precisazione, contenuta nel secondo comma della norma, che, qualora il piano di ristrutturazione “comprenda misure suscettibili di comportare cambiamenti nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali con i lavoratori, tali misure sono approvate da tali lavoratori se in questi casi il diritto nazionale o i contratti collettivi prevedono tale approvazione.”

Come osservato in dottrina, poi, “Tra le tante novità non vincolanti ma solo facoltative della Dir. – le quali rappresentano comunque una chance da cogliere senza timori, per ammodernare e rendere competitivo il sistema concorsuale italiano – meritano qui un cenno: a) la legittimazione a presentare una domanda di concordato preventivo in capo a creditori e rappresentanti dei lavoratori, con il «previo accordo del debitore», quantomeno se PMI (art. 4, par. 8 Dir.), fatto salvo il diritto del debitore di presentare un piano di ristrutturazione concorrente (art. 9 par. 1 Dir.) […]”[11].

Alla stregua dei princìpi contenuti nella Direttiva quali testé sommariamente indicati e della non casuale insistenza sulla tutela dei posti di lavoro, appare chiaro come il legislatore del codice della crisi fosse tenuto a contemplare, all’interno della disciplina sul concordato preventivo, una disposizione diretta alla conservazione (in quanto compatibile) dei livelli occupazionali, con ciò segnando una innegabile quanto significativa discontinuità rispetto al regime precedente. 

 

3.        Il codice della crisi fra shareholders e stakeholders: la travagliata genesi dell’art. 84.

Con l’introduzione dell’art. 84 del codice della crisi e dell’insolvenza (nella formulazione di cui al d.lgs. n. 14 del 2019) si sono per la prima volta menzionati interessi diversi da quello dei creditori, pur sempre definito, giustamente, “prioritario”. Il secondo comma della norma, infatti, stabilisce fra l’altro che, in caso di continuità diretta, il piano prevede che l’attività d’impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci.

Di là dalle possibili considerazioni sulla gerarchia fra detti interessi, già svolte in una precedente sede[12] e da altri riprese in dottrina[13], emerge la persistente mancanza di attenzione per gli stakeholders, dal momento che, oltre al debitore, si menzionano esclusivamente i soci (shareholders). Il che sembra trovare conferma nel fatto che la norma parla, riguardo al debitore, di “imprenditore” anziché di impresa, con una scelta che, lungi dall’essere casuale, denota – ad avviso di chi scrive – la volontà di evitare che il raccordo fra dibattito su finalità del diritto della crisi e teoria dell’impresa sia connotato in senso istituzionalistico (oltre a risultare, l’opzione adottata, più aderente alla terminologia del codice civile, che agli artt. 2082 e seguenti si riferisce appunto all’imprenditore e non all’impresa[14]).

Va inoltre ricordato che la legge del 2019 (come modificata dal decreto correttivo del 2020), sempre all’art. 84, stabilisce che, nel caso di continuità indiretta, sia previsto dal contratto o dal titolo (cessione, usufrutto, affitto, conferimento dell’azienda) il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per i successivi due anni.

Come già altrove osservato[15], l’impostazione adottata suscita qualche perplessità, sia dal punto di vista della “contaminazione” della fattispecie con aspetti occupazionali più acconci, come si diceva, alla disciplina dell’amministrazione straordinaria che non a quella del concordato preventivo, sia sotto il profilo del rispetto della legge delega, dal momento che l’art. 6, comma 1, lett. i), n. 3, è imperniato sul presupposto dell’identità di disciplina fra continuità diretta e indiretta, con ciò sembrando escludere disposizioni di “sfavore” (in termini di oneri supplementari) per quest’ultima, com’è, invece, chiaramente quella sul livello minimo di lavoratori da mantenere o riassumere. Senza dire del possibile, ulteriore, profilo di incostituzionalità – di là dal dirimente contrasto con la legge delega – in ordine alla dubbia ragionevolezza di una siffatta disparità di trattamento fra continuità diretta e indiretta.

Non è un caso che l’assunto della irragionevole disparità di trattamento sia condiviso in dottrina da chi ha puntualmente osservato che la norma rischia di essere viziata anche per irragionevolezza se non per violazione del principio di eguaglianza[16].

Deve ancora rammentarsi che la medesima legge del 2019, nella seconda parte del terzo comma dell’art. 84, recita: “La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”.

Le anzidette previsioni, seppur – come detto – non esenti da censure e comunque modificate dall’ultima bozza di codice della crisi, hanno tuttavia costituito l’anticamera di uno spazio normativo, nell’ambito del concordato, in cui – come si dirà nel paragrafo successivo – la tutela dei livelli occupazionali sembra aver infine trovato, in termini ancor più generali, il suo “diritto di cittadinanza” (il condizionale è d’obbligo, trattandosi, allo stato, di ipotesi di modifica del codice, ancorché a uno stadio alquanto avanzato).

 

4.        La continuità aziendale e la conservazione dei posti di lavoro.

La più recente versione dell’art. 84, CCI, oltre a recare con sé la provvida espunzione del requisito della prevalenza – ancora da ultimo vibratamente invocata in dottrina[17] –, al secondo comma stabilisce quanto segue: “La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”.

Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che il focus non è – né potrebbe essere – sul concordato tout court, bensì sulla continuità aziendale, giacché è solo nel caso di prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa che viene in evidenza il problema di cui trattasi. Con la particolarità che lessicalmente è appunto la continuità aziendale, e non il concordato in continuità, a incarnare il soggetto cui la legge affida la protezione dei suddetti interessi.

Al vertice della piramide viene posto, ancora una volta e correttamente, l’interesse dei creditori: continua quindi a non essere configurabile un concordato che non si ponga (o addirittura contrasti con) questa finalità, o che subordini la tutela di tale interesse ad altri.

Ne deriva che quello dei creditori è e resta l’interesse da perseguire in via prioritaria, seppur declinato, ai sensi del primo comma dello stesso art. 84, come soddisfacimento non inferiore a quello realizzabile nel caso di liquidazione giudiziale (ovvero come assenza di pregiudizio per i creditori in base all’art. 7, c. 2, lett. c) e non più, come invece alla stregua dell’art. 186-bis, l. fall., in termini di miglior soddisfacimento dei creditori. Con la precisazione che il concetto di trattamento non deteriore in rapporto allo scenario alternativo sembra mal conciliarsi con il concetto, di portata generale, di preferibilità dell’opzione concordataria di cui all’ultimo capoverso del nuovo art. 87 (previsione, per vero, non esattamente indispensabile), giacché a ben vedere solo per il concordato diverso da quello in continuità il predetto art. 7 richiede il requisito della convenienza.

Accanto all’interesse dei creditori la nuova norma colloca ora, come si diceva, la conservazione, nella misura possibile, dei posti di lavoro, a conferma che l’oggettiva rilevanza della questione era destinata, presto o tardi, a far breccia nel muro, sempre meno granitico, dell’interesse esclusivo dei creditori e a trovare uno sbocco sul piano legislativo; sebbene vada ricordato come nella disciplina sul fallimento vi siano profili di emersione del tema (il riferimento è essenzialmente all’art. 104-bis, secondo comma, l. fall., in base al quale, nell’affitto d’azienda, la scelta dell’affittuario deve tenere conto, oltre che dell’ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, “avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”)[18].

Diventa allora importante, ai fini della corretta interpretazione della norma, cogliere appieno la portata delle parole “nella misura possibile”. In proposito si ritiene, alla luce del contesto in cui l’espressione è inserita, che essa rivesta un duplice significato, alludendosi, da un lato, al perseguimento prioritario dell’interesse dei creditori, come tale destinato a prevalere, in caso di contrasto, sulla tutela dell’occupazione, dall’altro, alla necessaria compatibilità della conservazione dei posti di lavoro con il contenuto del piano concordatario e con la sua sostenibilità dal punto di vista economico-finanziario.

Dovendo peraltro soggiungersi che, ove non si ravvisino profili di contrasto né con l’uno aspetto né con l’altro, l’imprenditore è tenuto a salvaguardare, per l’appunto nei limiti del possibile, i livelli occupazionali che connotano l’impresa al momento dell’accesso al concordato.

Merita ancora segnalare, fra le disposizioni destinate (anche) alla tutela dell’occupazione, il comma 5-bis dell’art. 53, ove è contemplata un’interessante ipotesi di prevalenza dell’interesse generale su quello, particolare, del singolo creditore. In base a questa previsione, infatti, nel caso in cui venga accolto il reclamo contro la sentenza di omologazione del concordato in continuità, la corte d’appello può essere richiesta dalle parti di confermare nondimeno tale decisione “se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante”, al quale va peraltro riconosciuto - precisa la norma - il risarcimento del danno patito.

 

5.        La “cornice” costituzionale: utilità sociale e tutela del lavoro.

Non sembra dubbio che la disposizione finalizzata a preservare, nella misura possibile, i posti di lavoro sia ispirata a valori di rango costituzionale.

I princìpi che vengono in evidenza dal punto di vista che ci occupa non attengono tanto al concetto (in qualche modo potenzialmente bon à tout faire[19]) di solidarietà – di recente invocato, nel dibattito dottrinale, soprattutto a proposito della composizione negoziata della crisi[20] – quanto piuttosto a quelli di protezione del lavoro e di utilità sociale.

È infatti evidente che, in linea generale, il nuovo art. 84, c. 2, CCI, si colloca, per così dire, sotto l’ampio ombrello dell’art. 35, ai sensi del quale la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni[21]. E l’aspetto fortemente innovativo – si torna a dire – è rappresentato dall’applicazione di questo principio con riferimento al concordato preventivo, tradizionalmente “funzionalizzato” al solo perseguimento dell’interesse dei creditori.

Altro precetto non estraneo alla nostra tematica è quello dell’utilità sociale come limite alla libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost[22]. Ed invero, nei casi in cui la conservazione dei posti di lavoro in un’impresa in crisi risulta possibile – vale a dire, come si diceva, non confliggente con l’interesse dei creditori e compatibile con il piano di concordato – questo obiettivo deve essere perseguito dal debitore, pena l’inammissibilità della domanda di concordato (o l’improseguibilità del relativo iter) per contrasto con la norma imperativa del ridetto art. 84, c. 2, CCI: ciò che trova conferma precisamente nei princìpi costituzionali ai quali quest’ultimo è informato. Altrimenti detto: non è accettabile che il concordato in continuità non preservi i posti di lavoro quando – e nella misura in cui – risulta possibile farlo, perché la disposizione in parola non configura una semplice opzione per l’imprenditore, bensì un suo preciso dovere in tal senso.

Ad altre finalità risponde invece, pur nel medesimo ambito dei rapporti fra imprese e lavoratori, l’art. 46 Cost., relativo al diritto di costoro a “collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”[23]. Precetto, questo, rimasto largamente inattuato nel nostro Paese[24] (a differenza, ad esempio, dell’esperienza della Mitbestimmung in Germania[25]), sebbene negli ultimi anni inizi a trovare qualche applicazione, peraltro su un piano diverso, lo strumento del workers buy-out[26]. Là dove il virtuoso coinvolgimento dei lavoratori in operazioni di salvataggio – come pure, mutatis mutandis, nel caso del management buy-out[27] – conferma quanto possa essere opportunamente variegata, in ragione delle peculiarità delle singole situazioni, la declinazione dei tentativi di soluzione della crisi improntati al mantenimento, quanto meno parziale, dei livelli occupazionali.



[1] Fra i primi commenti alla norma cfr. M. Sandulli, Sub art. 160, in La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, II, Torino, 2006, pp. 983 ss.; S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2008; A. Jorio, Il concordato preventivo: struttura e fase introduttiva, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario sistematico diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, pp. 963 ss.

[2] S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in AA.VV., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli – F. P. Luiso – E. Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 4.

[3] A. Jorio, Le crisi d’impresa. Il fallimento, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica-P. Zatti, Milano, 2000, p. 12.

[4] G. Racugno, Gli obiettivi del concordato preventivo, lo stato di crisi e la fattibilità del piano, in Giur. comm., 2009, I, pp. 474-475.

[5] S. Ambrosini, Il concordato preventivo, cit., p. 5.

[6] Nella letteratura comparatistica si veda, in luogo di altri, H. Eidenmüller, Comparative Corporate Insolvency Law, in The Oxford Handbook of Corporate Law and Governance, Oxford, 2018, p. 9, richiamato anche da M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza,in AA.VV., Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber amicorum per Alberto Jorio, a cura di S. Ambrosini, Bologna 2021, p. 970.

[7] G. Meo, Il risanamento finanziato dai creditori. Lettura dell'amministrazione straordinaria, Milano, 2013.

[8] N. Rondinone, Il mito della conservazione dell'impresa in crisi e le ragioni della “commercialità”, Milano, 2012.

[9] G. Gioia, La tutela legislativa eurounitaria del lavoratore nella crisi d’impresa, in Dir. fall., 2022, I, p. 350, ove l’analogo rilievo che la tutela dell’occupazione “si trova relegata a un ruolo marginale, in favore di una normativa incentrata principalmente sulla cura dell’interesse economico che accomuna la posizione del lavoratore a quella di ogni altro creditore dell’impresa insolvente”.

[10] In argomento v., tra gli altri, L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze., in IlCaso.it, 14 ottobre 2019; S. Pacchi, La Direttiva (UE) 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva e il Regolamento 858/2015 sull’insolvenza transfrontaliera, in S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, pp. 25-42. Con specifico riferimento all’impatto della Direttiva sulla disciplina del concordato in continuità si vedano le sempre puntuali considerazioni di P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Ristrutturazioni Aziendali, 1° gennaio 2022.

 

[11] P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, cit., p. 18.

[12] S. Ambrosini, Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della Crisi e della “miniriforma” del 2021, in www.dirittobancario.it, 11 novembre 2021; (pubblicato anche, con titolo diverso, in Diritto dell’impresa in crisi, Pisa, 2022, pp. 261 ss.).

[13] V. Minervini, La nuova “composizione negoziata” alla luce della direttiva “insolvency”. Linee evolutive (extracodicistiche) dell'ordinamento concorsuale italiano, in Dir. fall., 2022, I, p. 274.

[14] Sul punto si veda, anche per riferimenti, G. Bonfante – G. Cottino, L’imprenditore, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, I, Padova, 2001, pp. 713 ss.

[15] S. Ambrosini, Il concordato preventivo con affitto d’azienda rientra, dunque, nel perimetro applicativo dell’art. 186-bis, in Ilcaso.it,2 gennaio 2019, pp. 7-8.

[16] D’Angelo, Il concordato preventivo con continuità aziendale nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir. fall., 2020, I, pp. 41-42: “Pur nella diversità di fattispecie, infatti, non si ravvisano ragioni per l’adozione di una disciplina che finisce con il premiare la continuità diretta, posto che (anche al netto di qualsiasi valutazione circa il comportamento del debitore e l’eventuale concorso nella causazione o nell’aggravamento della crisi): (i) l’impresa concordataria ha certamente più difficoltà di prosecuzione rispetto ad un terzo acquirente in bonis; (ii) proprio i lavoratori potrebbero essere più favorevoli a soluzioni che prevedano la cessione dell’azienda ad un terzo più ‘solido’; (iii) il piano di continuità diretta è certamente il più rischioso per i creditori per la intrinseca maggiore aleatorietà dell’attività di impresa rispetto al conseguimento di un prezzo – o di un valore – a fronte della cessione a terzi. Ciò senza considerare, ancora, la disparità – anch’essa priva di qualunque ragione – che si avrebbe a seconda che l’intervento del terzo avvenga attraverso l’ingresso nella compagine sociale e nel capitale, ovvero mediante acquisto dell’azienda”.

[17] S. Ambrosini, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro “tabù” da sfatare nel concordato preventivo che verrà, in Ristrutturazioni Aziendali, 7 marzo 2022, p. 2.

[18] Nella trattatistica si vedano i contributi di S. Ambrosini, L’amministrazione dei beni, l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda, in S. Ambrosini – G. Cavalli – A. Jorio, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, XI.2, Padova, 2009, pp 521 ss. e di F. Fimmanò, La gestione dell’impresa nell’ambito del fallimento, in AA.VV, Il fallimento, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio e B. Sassani, III, Milano, 2016, pp. 191 ss.

[19] E ciò senza voler minimamente sminuire la riconosciuta importanza del principio nella nostra Carta, sol che si pensi al fatto che secondo Paolo Barile la solidarietà “costituisce il vero Leitmotiv della nostra Costituzione” (Diritti fondamentali e garanzie costituzionali: un’introduzione, in Studi in onore di Leopoldo Elia, a cura di A. Pace, Milano, 1999, p. 137).

[20] M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2022, p. 5 ss.

[21] Cfr. il contributo sempre attuale di T. Treu, Sub art. 35, 1° comma, in Commentario della costituzione. Rapporti economici, t. 1, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1979, pp. 1 e ss.

[22] In argomento, si è da tempo messo in luce che in base all’art. 41 la libertà economica privata, per il fatto di essere inserita in un sistema di pubblico governo dell’economia, si caratterizza per l’imposizione di limiti, inscrivendosi tuttavia in un quadro a sua volta “caratterizzato da precise limitazioni dei poteri di intervento pubblico nell’economia” (F. Galgano, Sub art. 41, in Commentario della costituzione. Rapporti economici, t. 2, Bologna-Roma, 1982, p. 10). Sul tema cfr., in luogo di altri, P. Barile, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1953, pp. 140-141; M. Luciani, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto disc. pubbl., V, Torino, 1990, pp. 376 ss. (in particolare p. 378), ove il riferimento alle diverse accezioni di “utilità sociale”.

[23] Sul tema v., anche per gli opportuni riferimenti, M. Martone, Governo dell’economia e azione sindacale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, XLII, Padova, 2006, pp. 109 ss.

[24] M. Ricolfi – P. Montalenti, La proposta modificata di quinta direttiva comunitaria sulle società per azioni, in Giur. comm.,1985, I, pp. 256 ss.

[25] In argomento, per tutti, G. Portale, Il modello dualistico di amministrazione e controllo. Profili storico-comparatistici, in Riv. dir. comm., 2015, pp. 39 ss.; cui adde più di recente, M. Luciano- C.A. Weber, Le società quotate tra modelli normativi “rigidi” e autonomia statutaria: spunti per un’analisi comparata italo-tedesca, in Riv. dir. soc., 2015, I, pp. 539 ss.; M. Palmieri, La corporate governance delle imprese sociali riformate. Dal multistakeholder approach verso la Mitbestimmung, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2018, pp. 125 ss.; K. J. Hopt – R. Veil, Gli stakeholders nel diritto azionario tedesco: il concetto e l'applicazione. Spunti comparatistici di diritto europeo e statunitense, in Riv. soc., 2020, pp. 921 ss.; e v. anche l’analisi effettuata da P. Garibaldo, I percorsi e gli esiti della Mitbestimmung tedesca, in, AA.VV., La partecipazione incisiva. Idee e proposte per rilanciare la democrazia nelle imprese, a cura di M. Carrieri - P. Nerozzi - T. Treu, Bologna, 2015, p. 164 ss.

[26] In argomento cfr. P. De Martini – S. Monni, Workers’ buyout Corporate Governance e sistemi di controllo, Roma, 2017; S. Pacchi, Una possibile alternativa per la continuità indiretta: l’acquisto dell’azienda da parte dei lavoratori, in AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, cit., pp. 23 ss. (pubblicato anche in Ristrutturazioni Aziendali, 30 giugno 2021), nonché, in precedenza, per una rassegna di dati in materia, AA.VV., Workers buyout: un fenomeno in crescita, in Bancadati.ItaliaLavoro.it, 26 febbraio 2016 e, per un profilo specifico in ambito cooperativo, G. di Cecco, Il diritto di “prelazione” previsto dalla disciplina italiana del “workers buyout” a favore delle cooperative costituite dai lavoratori delle imprese in crisi, in Fallimento, 2016, pp. 633 ss.

[27] Fra i contributi aziendalistici in materia cfr. M. Wright – J. Coyne, Management buy-outs, London, 1985; M. Fazzini, Turnaround management, Milano, 2020. Per il caso applicativo più recente v. L. Galvagni, Conforama, tre manager acquistano l’azienda, in Sole24ore del 25 maggio 2022, p. 32.