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La (mancata) tutela ambientale nel diritto concorsuale, tra discrezionalità legislativa e dubbi di legittimità costituzionale


Gianni Capobianco

Data pubblicazione
08 giugno 2022

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Abstract: La recente modifica dell’art.41, co.2 e 3, della Costituzione, nella parte in cui limita espressamente la libertà di iniziativa economica privata ove questa si svolga in modo da recare danno all’ambiente, nonché nella parte in cui attribuisce alla legge il compito di determinare programmi e  controlli opportuni perché l’attività economica privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali, riaccende i riflettori sul problematico bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali e continuità produttiva dell’impresa, già oggetto di note pronunce della Corte costituzionale e della Corte Edu negli ultimi anni. In tale contesto si colloca la recente riforma organica delle procedure concorsuali che, altro da essere occasione per armonizzare il diritto della crisi alle suddette istanze, continua a trascurare del tutto la tutela dell’ambiente negli strumenti di risanamento dell’impresa in crisi esponendosi così, già prima della sua entrata in vigore, a dubbi di legittimità costituzionale.

Parole chiave: Iniziativa economica privata; tutela ambientale; giurisprudenza costituzionale; continuità aziendale; legittimità costituzionale; interesse pubblico; sostenibilità ambientale.



Sommario: 1. Premessa. - 1.1. La vicenda concorsuale nell’ambito dell’iniziativa economica privata costituzionalmente delimitata – 1.2. La tutela ambientale come limite: la recente modifica dell’art.41 Cost. – 1.3. I programmi e controlli “opportuni” e l’indirizzo e coordinamento dell’attività economica ai fini sociali ed ambientali; l’indirizzo europeo verso un’economia maggiormente sostenibile e inclusiva - 1.4. Il bilanciamento tra principi e libertà garantite nella giurisprudenza della Corte costituzionale; la recente  prospettiva di tutela della Corte Edu –  2. La continuità dell’impresa in crisi senza risanamento ambientale: dubbi di legittimità costituzionale della nuova normativa concorsuale – 3. Profili conclusivi.


1. La tutela ambientale in Costituzione, quale limite espresso alla libertà di iniziativa economica privata, la consolidata giurisprudenza costituzionale sul necessario bilanciamento tra diritti fondamentali e libertà economiche, la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare nell’esercizio dell’attività d’impresa, cui si accompagna oggi un deciso e chiaro favor europeo, oltre che interno, verso l’adozione di politiche industriali maggiormente orientate alla sostenibilità ambientale e sociale, pare non aver raggiunto il legislatore concorsuale che, anche con la recente riforma organica della disciplina della crisi dell’impresa, peraltro già oggetto di numerosi correttivi, omette del tutto di considerare le problematiche ambientali negli strumenti di risanamento dell’impresa in crisi.

Obiettivo del presente lavoro, dunque, è quello di porre in luce la grave incoerenza nel tessuto normativo concorsuale, sia pure in forma omissiva da parte del legislatore nazionale, rispetto alla necessaria tutela dell’ambiente anche nella fase in cui l’iniziativa economica privata si deteriora. Quindi, sollevare dubbi di legittimità costituzionale di tale normativa nella parte in cui non prevede una qualche forma di pianificazione ambientale negli strumenti di continuità aziendale in aperta violazione dell’art.41, secondo e terzo comma, e dell’art.117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 Cedu e dell’art.37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 

1.1.  Gli studi della dottrina giuspubblicistica sull’art.41 Cost. sono notoriamente estesi[1]. Collocata nell’ambito della c.d. Costituzione economica, tra le disposizioni dedicate ai “Rapporti economici”, una delle questionimaggiormente dibattute ha riguardato l’ampiezza del contenuto della libertà di iniziativa economica privata.

Sul punto, si presenta oggi decisamente prevalente l’orientamento dottrinale che accoglie un’ampiezza massima di tale libertà non circoscritta, quindi, alla sola decisione di intraprendere l’iniziativa economica ma anche alla successiva fase della organizzazione e gestione di questa. Come è stato autorevolmente scritto, infatti, la libertà di iniziativa economica consiste nel «decidere che cosa produrre, quanto produrre, come produrre, dove produrre»[2].

Meno diffusa e condivisa, al contrario, si presenta l’opposta tesi che circoscrive la libertà di iniziativa alla sola fase propulsiva - di scelta dei fini economici - che incontrerebbe i “limiti negativi” fissati nel secondo comma, mentre il successivo svolgimento dell’attività, conoscerebbe non solo limiti negativi (comma II) ma anche quelli “positivi” del terzo comma dell’art.41 Cost.[3]

Come appare subito evidente, allora, accogliere la tesi assolutamente maggioritaria - che riferisce l’art.41 Cost. ad ogni fase in cui l’iniziativa economica è svolta - determina, a rigore, che i limiti tracciati (comma II), come pure l’intervento del legislatore volto ad indirizzare e coordinare tale iniziativa a determinati fini (comma III), risultano pienamente applicabili anche al momento in cui questa si deteriora: la crisi dell’impresa[4].

 

1.2. Altrettanto tradizionale è poi il dibattito sviluppato tra gli interpreti sulla natura dei limiti tracciati alla libertà di iniziativa economica (art. 41, co. 2 Cost.). Come noto, infatti, secondo le teorie oggi prevalenti, il secondo comma della disposizione in commento porrebbe dei limiti c.d. “esterni”: l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana, a cui è da aggiungere la tutela dell’ambiente, non funzionalizzano l’essenza di tale libertà economica[5].

Al contrario, proprio la previsione del successivo comma terzo dell’art.41 Cost., nella parte in cui dispone che è compito del legislatore determinare «i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali [ed oggi ambientali]» dimostrerebbe che sono stati gli stessi Costituenti «a prendere, implicitamente, posizione sul rapporto fra iniziativa economica privata e utilità sociale, ponendo l’esigenza di programmi e di controlli opportuni perché l’attività economica (...) possa essere indirizzata e coordinata “a fini sociali”»[6].

Tanto preliminarmente posto, come si è già avuto modo di anticipare, tra i limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica privata, proprio recentemente, è stato aggiunto quello della tutela dell’ambiente[7]. A norma del novellato art.41, co. 2, Cost., infatti, essa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»[8]. Inoltre,il comma terzo, dispone che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica o privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali»[9].

L’introduzione della tutela ambientale in Costituzione, tra i principi fondamentali (art.9 Cost.), nonché tra i limiti tracciati alla libertà di iniziativa economica, oltre che oggetto di indirizzo e coordinamento di questa (art.41 Cost.), allinea la Carta costituzionale italiana non solo con il quadro europeo (art.37 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed art.191 TFUE in tema di politica dell’Unione in materia ambientale)[10] ed internazionale (art.8 CEDU, come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte Edu)[11] che accordavano tutela a tale bene giuridico ma, altresì, con le Costituzioni degli altri Stati europei che, seppure in sede di revisione, già da tempo, avevano incluso l’ambiente tra i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati[12].

Più in generale, la recente modifica al testo costituzionale italiano si inscrive nell’ambito del progressivo riconoscimento, a livello globale, di un vero e proprio diritto ad un ambiente sano in Costituzione[13] e della maggiore responsabilità delle imprese e degli Stati al suo rispetto[14].  

 

1.3. Anche la formulazione dell’attuale terzo comma dell’art.41 Cost., nella parte in cui dispone che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali [e oggi] ambientali», è stata oggetto di un acceso dibattito in Assemblea Costituente, in considerazione delle eterogenee visioni politiche, in confronto tra loro, sull’intervento pubblico nell’economia[15].

 Già nei primissimi lavori preparatori al testo costituzionale, tra le altre, si era contraddistinta la relazione tenuta dall’Onorevole Amintore Fanfani “Sul controllo sociale dell’attività economica” che, nella seduta antimeridiana della Terza Sottocommissione dell’Assemblea Costituente del 2 ottobre 1946, animosamente rilevava come un «controllo sociale dell'attività economica serve — anziché impedire — al prodursi di condizioni che consentono ad ogni cittadino il pieno godimento dei suoi diritti fondamentali» dovendo, quindi, considerare ciascuna impresa «contemperando nel suo seno gli interessi dei finanziatori, dei lavoratori e dei consumatori; deve inoltre considerare la intera economia del paese, coordinandone gli sviluppi anche in riguardo agli attriti internazionali; deve infine considerare il momento distributivo e consuntivo o per correggere errori precedenti o per prevenire dannosi orientamenti e sviluppi»[16].

Ebbene, la recente modifica della disposizione costituzionale in oggetto, nella parte in cui [oggi] prescrive che l’ambiente costituisca uno dei fini a cui è indirizzata e coordinata l’attività economica, pubblica e privata, si inscrive in tale dibattito riportando l’attenzione degli interpreti sui compiti assegnati al legislatore nel momento in cui questo determina i programmi ed i controlli “opportuni” per il raggiungimento delle finalità indicate[17]. 

Come noto, “indirizzo” e “coordinamento”  rappresentano due diverse attività all’interno dei compiti di programmazione e controllo affidati al legislatore. Ed infatti, come è stato rilevato sul punto, mentre l’indirizzo consiste nella “predeterminazione di fini ultimi e più generali cui l’azione dello Stato deve tendere ed eventualmente scelta dei mezzi per il raggiungimento dei fini”[18], il coordinamento è da intendere come “manifestazione tipica di un sistema ad economia mista, che non ritiene automatica la realizzazione dell’armonico contemperamento delle libere iniziative, ma neppure le abolisce in un assorbimento totalitario della collettività sociale”[19].

Ebbene, sulla base di tali necessarie coordinate ermeneutiche, la recente modifica al testo costituzionale comporta quantomeno una riflessione, da un lato, sulla programmazione e sul sistema dei controlli “opportuni” e, dall’altro, sui fini ambientali a cui l’attività economica, pubblica e privata, è oggi indirizzata. Quindi, si rende necessario riflettere, primariamente, su quali siano le finalità ambientali cui la programmazione e i controlli pubblici devono tendere, quali gli strumenti per realizzarle e quali, infine, le azioni per coordinare e contemperare le libere iniziative private con gli interessi della collettività.

Su tali profili, volendo limitare le suddette riflessioni al tema oggetto del presente contributo, non può non instaurarsi un collegamento con la tendenza del legislatore europeo, sempre più marcata negli ultimi anni, verso una programmazione in campo economico fortemente proiettata al rispetto della sostenibilità ambientale dell’impresa[20]. Ed infatti, da ormai diverso tempo, l’Unione Europea ha posto al centro del progetto europeo l’obiettivo dello sviluppo sostenibile «che contemperi prosperità ed efficienza economica, pacifiche, inclusione sociale e responsabilità ambientale»[21] e che sia in grado di realizzare una «transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, più sostenibile, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare», fondamentale per garantire la stessa competitività a lungo termine dell’economia dell’Unione[22]. Lo stesso Green Deal europeo del 2019, parte integrante della strategia della Commissione per attuare l'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite[23], traccia chiaramente tale direzione: «(…) l'UE dispone collettivamente della capacità di trasformare la sua economia e la sua società, indirizzandole su un percorso maggiormente sostenibile»[24].  Nel medesimo senso di marcia, poi, va letto il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile che proietta la strategia europea sulla finanza sostenibile volta a «riorientare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili per consentire una crescita sostenibile e inclusiva»[25].

Nell’ambito della comunità internazionale, infine, lo stesso Accordo di Parigi sul clima riconosce espressamente «(…) l'importanza di un impegno a tutti i livelli delle autorità pubbliche e dei diversi attori, in linea con le legislazioni nazionali delle Parti, nell'affrontare i cambiamenti climatici» e stabiliscono, in concreto, che «(…) le Parti che sono paesi sviluppati dovrebbero continuare a svolgere un ruolo guida, prefiggendosi obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni che coprono tutti i settori dell'economia»[26].

 

1.4. Sul rapporto tra tutela dei diritti fondamentali, in particolare legate alla tutela della salute, dell’ambiente ed esigenze produttive, è più volte intervenuta poi la Corte costituzionale e, di recente, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[27], entrambe sulla nota vicenda che ha riguardato la crisi dello stabilimento siderurgico pugliese ILVA Spa, una delle più grandi acciaierie d’Europa.[28]

Ed infatti, nel 2018 la Corte Costituzionale nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art.3 D.L. n.92/2015 recante “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale” nonché degli artt. 1, comma 2 e 21-octies della L. 6 agosto 2015, n.132, recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e di funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, ha ben evidenziato come il legislatore concorsuale del 2015 avesse privilegiato «in modo eccessivo l’interesse della prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt.2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)»[29].

Proprio il sacrificio dei valori fondamentali tutelati dalla Costituzione, infatti, ha condotto la Corte a ritenere «che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art.41 Cost. si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona»[30].

Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è più volte occupata del delicato bilanciamento[31] tra tutela ambientale ed esercizio di attività industriale inquinante richiedendo, alle pubbliche autorità, una preventiva ed adeguata valutazione dei rischi per l’ambiente «ponendo in essere le misure idonee ad evitare la compromissione del benessere psico-fisico della persona caratterizzante il godimento del domicilio e della sfera privata»[32].

In particolare, nella nota vicenda Cordella e altri c. Italia[33] del 2019, la Corte di Strasburgo ha richiamato [proprio] lo Stato italiano agli obblighi positivi che discendono dal diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art.8 CEDU.[34] Secondo la Corte, infatti, tra tali obblighi positivi (di cui al par.1 dell’art.8 della Convenzione) vi è quello «di mettere in atto una legislazione adattata alle specificità» dell’attività in concreto svolta. Nel caso di specie, invece, «(…) il governo è intervenuto più volte con misure urgenti (i decreti legge «salva-Ilva») allo scopo di garantire la continuazione dell’attività di produzione dell’acciaieria, e questo nonostante la constatazione che parte delle autorità giudiziarie competenti, fondata su perizie chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di gravi rischi per la salute e per l’ambiente»[35].

Dall’esame del suddetto breve quadro, dunque, la Corte giunge alla condivisibile conclusione che «il giusto equilibrio da assicurare tra, da una parte, l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all’ambiente che possano compromettere il loro benessere e la loro vita privata e, dall’altra, l’interesse della società nel suo insieme, non è stato rispettato. Pertanto, vi è stata violazione dell’art.8 della Convenzione»[36].

 

2.  In tale contesto si collocano gli strumenti di risanamento dell’impresa in crisi oggetto di recenti modifiche normative. Ed infatti, come noto, in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155[37], è stata operata una riforma organica delle procedure concorsuali nell’ottica di una risistemazione complessiva della materia; completata, in ultimo, con l’introduzione del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza (d’ora in poi CCII)[38].

Nell’ambito di tale riforma, è indubbio il favor normativo che il legislatore manifesta per gli strumenti di conservazione dell’impresa in crisi e di continuità aziendale rispetto all’alternativa liquidatoria[39].

Del resto, tale tendenza di politica del diritto origina ed è altrettanto manifesta nella più recente legislazione europea[40] ed internazionale[41] in materia. Ed infatti, la recente Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023 del 26 giugno 2019[42], tra i suoi numerosi considerando, include coordinate di interesse che il legislatore di attuazione avrebbe ben potuto (forse dovuto) meglio valorizzare, nella normativa interna, in sede di recepimento.

Ed infatti, il legislatore europeo, con un approccio sicuramente originale rispetto a quello dei legislatori nazionali, immagina una vicenda concorsuale inclusiva di tutti i soggetti portatori di interesse, oltre che dei creditori in senso stretto; tanto si evince, in particolare, dalla lettura del considerando n.10: «tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi»[43].

Ed ancora, il considerando n.49 prevede poi che «qualora gli Stati membri scelgano di procedere a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, il valore di continuità aziendale dovrebbe prendere in considerazione il valore a lungo termine dell'impresa del debitore, contrariamente al valore di liquidazione. Il valore di continuità aziendale è, di norma, superiore al valore di liquidazione, poiché si basa sull'ipotesi che l'impresa continua la sua attività con il minimo di perturbazioni, ha la fiducia dei creditori finanziari, degli azionisti e dei clienti, continua a generare reddito e limita l'impatto sui lavoratori»[44].

Proprio recentemente, infatti, Autorevole dottrina ha avuto modo di evidenziare l’opportunità di estendere le valutazioni in tema di responsabilità sociale dell’impresa anche alla vicenda concorsuale e rilevare la (necessaria) sostenibilità, in senso ampio, della continuità aziendale negli strumenti di risanamento dell’impresa in crisi[45].

Tuttavia, il legislatore delegato, se da un lato, valorizza gli strumenti di prosecuzione aziendale e di rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa, dall’altro lato, nulla prevede con riguardo alla valutazione della convenienza rispetto alla salvaguardia di interessi costituzionalmente e convenzionalmente protetti, in particolare di quelli ambientali. Certo, tali elementi, seppur indirettamente, potranno influire sul più generale sindacato del Tribunale in sede di ammissione/omologazione alla procedura concordataria; come pure, sempre mediatamente, influenzare il voto dei creditori concorsuali in sede di adesione agli strumenti di prevenzione proposti. Tuttavia, permane il forte imbarazzo della grave omissione del legislatore che, pure preoccupato della portata lessicale del nuovo testo normativo, in ben oltre 390 articoli del nuovo Codice, mai cita la parola “ambiente”[46].

Non solo, la recente introduzione della tutela ambientale in Costituzione quale limite allo svolgimento della libertà di iniziativa economica privata (art.41, co.2, Cost.) che, come si è avuto modo di precisare, da un lato, interessa non solo alla fase di avvio ma anche dello svolgimento dell’iniziativa e, dall’altro, si presenta quale “limite esterno” alla stessa libertà impone, ad avviso di chi scrive, (forse soprattutto) al legislatore della crisi di includere espressamente ed opportunamente la tutela dell’ambiente negli strumenti di continuità aziendale nella gestione della crisi dell’impresa.

Ed infatti, l’iniziativa economica non può [oggi] svolgersi in contrasto con l’utilità sociale né in modo da recare danno all’ambiente. Inoltre, è la stessa Costituzione a richiedere al legislatore di intervenire nel determinare programmi e controlli opportuni perché l’iniziativa economica privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali ed ambientali. Si è, dunque, ben al di fuori della mera discrezionalità legislativa che, sul punto, si presenta necessariamente vincolata alla promozione di un tessuto concorsuale attento al tema della tutela ambientale, come del resto già evidenziato dalla Corte costituzionale, oltre che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da diversi anni: il favor normativo verso la continuità produttiva dell’impresa incontra l’insormontabile limite del bilanciamento con la tutela dei diritti fondamentali incisi dalla crisi: la salute, l’ambiente, il rispetto della vita privata e familiare.

Pertanto, consentire ex lege forme di continuità aziendale dell’impresa non sostenibile sul piano ambientale non può che condurre all’illegittimità costituzionale della normativa nella parte in cui questa non include una opportuna e concreta valutazione e pianificazione ambientale negli strumenti di continuità, quindi nella parte in cui il legislatore non prevede programmi e controlli opportuni per indirizzare e coordinare l’iniziativa economica risanata, attraverso le procedure concorsuali, a fini ambientali e sociali.

Tanto appare coerente, del resto, con la stessa ratio sottesa alla Direttiva UE 1023/2019 la cui filosofia di fondo è quella di consentire l’accesso agli strumenti di ristrutturazione al fine di «massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso». Anche nell’ottica del legislatore europeo, maggiormente interessato al corretto funzionamento del mercato interno, invero, la continuità aziendale va perseguita non ad ogni costo ma solo qualora essa sia idonea a conservare valore nel (e per il) mercato[47].   

Ne consegue, allora, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa concorsuale (sub specie degli strumenti che prevedono la continuità aziendale dell’impresa in crisi) nella parte in cui questa, omettendo del tutto di bilanciare, opportunamente, l’interesse alla continuità aziendale dell’impresa in crisi con la tutela dell’ambiente (oltre che della salute) si pone in aperto contrasto non solo con il [sopravvenuto] parametro di cui all’art.41, commi 2 e 3 Cost. ma anche con l’art. 117 Cost. in riferimento agli obblighi sovranazionali ed internazionali assunti dall’Italia, come interpretati dalle rispettive Corti. 

 

3. Come garantire, allora, la tutela ambientale negli (o attraverso) strumenti di continuità aziendale? Sarebbe astrattamente ipotizzabile e sufficiente la via dell’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa concorsuale o, al contrario, in assenza dell’intervento legislativo, si renderebbe necessario sollevare davvero una questione di legittimità costituzionale rimettendone gli atti alla Corte costituzionale?

Ad avviso di chi scrive, sicuramente i tempi sono maturi per una radicale riforma culturale della materia; non solo da un punto di vista lessicale e di mera “facciata”. È tempo, forse, di abbandonare le lenti “a fondo di bottiglia” che lasciano intravedere la crisi dell’impresa come deterioramento del mero rapporto obbligatorio tra il debitore ed i suoi creditori, sia pure in forma collettiva. La crisi dell’iniziativa economica privata, al contrario, impatta significativamente sulla comunità circostante che ne risulta così fortemente incisa nel godimento dei più fondamentali diritti individuali e collettivi.

Al contempo, la costituzionalizzazione della tutela ambientale come limite oggi espresso alla libertà di iniziativa economica, unita al suesposto quadro europeo ed internazionale, non facoltizza bensì impone al legislatore interno di predisporre un quadro normativo dove la ristrutturazione dell’impresa in crisi sia possibile solo ove sussista un interesse collettivo – direi pubblico – al suo risanamento[48].

In tale prospettiva, si presenta assai interessante il riferimento comparato rispetto alla più recente legislazione, di derivazione europea, in tema di gestione delle crisi bancarie[49], che certo rappresentano imprese con una particolare attività ma pur sempre imprese rimangono.

Ebbene, la nuova procedura di risoluzione prevista nell’ambito del diritto bancario europeo presenta una peculiare caratteristica di fondo rispetto alle procedure preventive interne di gestione della crisi dell’impresa: il salvataggio e la conservazione della banca, infatti, non può avvenire ad ogni costo ma solo in quanto l’azione di risoluzione sia necessaria nell’interesse pubblico (art.32, par.4, BRRD). E, detta azione, è considerata tale quando sia necessaria, oltre che proporzionata, a conseguire uno o più degli obiettivi della risoluzione[50].

D’altro canto, e qui si manifesta una ulteriore deroga rispetto al modello nazionale dell’impresa insolvente, la conservazione della banca in crisi è possibile unicamente qualora siano, al contempo, salvaguardati anche (forse soprattutto) interessi diversi da quelli meramente creditori: la stabilità del settore finanziario degli Stati partecipanti all’Unione bancaria, il corretto funzionamento del mercato unico, la preservazione dei bilanci pubblici nazionali, in modo da evitare che la crisi della banca possa ripercuotersi sull’economia reale degli Stati partecipanti nonché, più in generale, il rafforzamento della fiducia nel settore bancario nel suo complesso[51].

Ebbene, al di là delle profonde peculiarità che caratterizzano la crisi dell’impresa bancaria ed il suo modello di gestione, non può non rilevarsi l’impostazione di fondo accolta dal legislatore europeo: la crisi dell’impresa (bancaria) ha un impatto sociale, finanziario, pubblico sulla realtà circostante che non può non essere preso in considerazione in punto di valutazione della continuità e della conservazione di valore nel mercato.  

Da tale punto di vista, anche la crisi dell’impresa non bancaria, posto che è astrattamente in grado di incidere profondamente su interessi diversi da quelli meramente creditori e sul godimento di fondamentali diritti dell’individuo e della collettività tutelati, dovrebbe essere gestita in modo che gli strumenti di continuità aziendale garantiscano non solo la (assai limitata) “migliore soddisfazione dei creditori[52] bensì la risocializzazione stessa dell’impresa nel contesto ove la crisi si è manifestata[53].

Per tali ragioni, sarebbe decisamente opportuno che il legislatore concorsuale intervenisse al più presto nel prevedere, da un lato, che gli strumenti di continuità aziendale includano un’adeguata pianificazione idonea a rimuovere tutti i fattori di rischio ambientale, generati dall’impresa in crisi, ponendovi così rimedio; dall’altro, nell’estendere – quantomeno ripensare – il sindacato giudiziale in relazione alla convenienza del risanamento dell’impresa nell’interesse pubblico in sede di ammissione od omologazione recependo così la filosofia di fondo della più recente normativa europea per la quale «il valore di continuità aziendale è, di norma, superiore al valore di liquidazione, poiché si basa sull'ipotesi che l'impresa continua la sua attività con il minimo di perturbazioni, ha la fiducia dei creditori finanziari, degli azionisti e dei clienti, continua a generare reddito e limita l'impatto sui lavoratori»[54].

In conclusione, il chiaro favor per la continuità aziendale dell’impresa in crisi non può essere perseguito ignorando le istanze di tutela di primari diritti fondamentali dell’individuo e della collettività che, secondo le chiare indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e dalla Corte Edu, necessitano di essere opportunamente bilanciati dal legislatore in modo che l’attività economica risanata si svolga senza recare danno alcuno agli individui ed alla collettività.



[1] La letteratura sull’art.41 Cost. è alquanto sterminata. Sia consentito, tuttavia, richiamare gli autorevoli e tradizionali studi di C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Roma, 1966, 1006; M. LUCIANI, voce Economia nel diritto costituzionale, in Digesto, IV ed., Discipline pubblicistiche, V, Torino, 1990; M. LUCIANI, La Costituzione dei diritti e la Costituzione dei poteri, Noterelle brevi su un modello interpretativo ricorrente in Scritti in onore di V. Crisafulli, Padova, 1985; E. CHELI, Libertà e limiti all'iniziativa economica privata nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e nella dottrina, in Rass. dir. pubb., 1960, I, 300; R. NIRO, Art.41 Cost., in Commentario alla Costituzione, (a cura) di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 2006; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, V ed., Bari, 2012; N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2004; L. GIANNITI, Note sul dibattito alla Costituente sulla “costituzione economica”, in Dir. pubb., 2000, 3, 919; R. NIRO, Art. 41, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M, OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, 2006; G. MORBIDELLI, Iniziativa economica privata, in Enc. Giur., XVII, Roma, 1989; F. COCOZZA, Profili di diritto costituzionale applicato all’economia. I “diritti di cittadinanza” tra libertà economiche ed integrazione sociale, Torino, 2001; P. BERRETTA, Osservazioni in tema di limiti alla libertà di iniziativa economica privata (con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte Cost.), in Rass. dir. pubb., 1970, I, 313; F. COCOZZA, Diritto pubblico applicato all’economia, Torino, 2007, 263; V. DELLI PRISCOLI, Mercato e diritti fondamentali, Torino, 2011, 152 ss.; G. LEMME, Articolo 41 Cost. e sviluppo sostenibile: contrasto o concordanza?, in Gazz. amb., 2007, 89; G. LEMME, L’art. 41 Cost. e il multiforme concetto di “utilità sociale”, 2018; F. DE LEONARDIS, Il diritto dell’economia circolare e l’art. 41 Cost., in Riv. giur. amb., 2020, 1. Sullo specifico tema dei rapporti tra mercato e tutela dell’ambiente si veda, inoltre, M. CAFAGNO-F. FONDERICO, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela dell’ambiente, in P. DELL’ANNO - E. PICOZZA (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, I, Padova, 2012, 487; M. CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Annuario AIPDA, Napoli, 2007, 103.

[2] F. GALGANO, Art.41, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Rapporti economici, II, Bologna, 1985, 4.

[3] Sul punto si veda, in particolare, A. BALDASSARRE, voce Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., XXI, 1971, 582, per il quale l’attività economica, nel suo complesso, è oggetto della disciplina posta al terzo comma mentre la sola iniziativa economica ed il suo svolgimento sarebbero “disciplinati separatamente dai primi due commi dell’art. 41 Cost. Si veda poi M. LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983. Tale tesi, tuttavia, sempre più negli ultimi anni, ha incontrato diverse critiche da parte della dottrina. In primo luogo, si è rilevato che, letteralmente, come logicamente, essa non trova fondamento nell’art.41 Cost. Sul punto, F. PEDRINI, Note preliminari ad uno studio sui diritti costituzionali economici, 2010, rileva che ogni attività economica si presenta, naturalmente, come una serie di atti tra loro connessi di tal che “scindere un’ipotetica iniziativa originaria dal suo successivo svolgimento sarebbe concettualmente impossibile”. Si vedano poi le critiche mosse da V. SPAGNUOLO VIGORITA, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959, 232, che configura l’iniziativa economica privata di cui all’41 Cost. in contrapposizione alla gestione pubblica dell’economia “rispetto alla quale vuol tutelare (...) i valori dell’impulso conferito dall’interesse privato alla produzione: e non può intendersi pertanto, per una ingannevole assonanza di radici verbali, come allusiva alla mera fase iniziale delle singole intraprese in cui si snoda tale processo propulsivo”. Da ultimo, si veda P. CAVALIERI, Iniziativa economica privata e Costituzione «vivente», Padova, 1978, 69, per il quale “è il caso di notare che la distinzione tra scelta e svolgimento andrebbe respinta anche perché potrebbe implicare la conseguenza di sottrarre all’apposizione di limiti qualsiasi scelta nell’esercizio di una data attività economica – intendendo cioè con «scelta» non solo la scelta iniziale, ma in realtà una serie di scelte relativa all’esercizio dell’attività – con l’effetto che in pratica risulterebbe smodatamente ampliata l’area della libertà di iniziativa privata e corrispondentemente vanificata la portata dei limiti”. Si veda poi L. MAZZAROLLI, I piani regolatori urbanistici nella teoria giuridica della pianificazione, Padova, 1962 133, dove l’Autore osserva come “la garanzia della libertà della iniziativa economica privata è garanzia della libera attività economica quale si esprime in tutte le scelte, che all’operatore economico possano presentarsi all’inizio e nello svolgimento di attività economiche”.

[4] Sull’estensione dei limiti si veda, in particolare, C. ESPOSITO, I tre commi dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. Cost., 1962, 37; A. PACE, Problematica delle libertà, Padova, 2003, 463. Sulla non estendibilità dei limiti di cui al secondo comma si veda, invece, M. LUCIANI, La produzione economica, op. cit., 19, che riferisce la garanzia piena di libertà di cui al primo comma alla sola fase propulsiva; solo nel successivo svolgimento dell’iniziativa economica “chi la esercita può essere sottoposto ad obblighi non solo negativi, ma anche di pati (...) o di facere”.

[5] La tesi contraria dei limiti c.d. interni, ovvero della libertà di iniziativa economica privata funzionalizzata all’utilità sociale, è sostenuta con forza in U. NATOLI, Limiti costituzionali dell'autonomia privata nel rapporto di lavoro, I, Introduzione, Milano, 1955, dove l’Autore, collegando strettamente il primo ed il secondo comma dell’art.41 Cost., concepisce l’utilità sociale quale caratteristica intrinseca della stessa attività economica privata “la quale per sua natura, è legittima soltanto in quanto socialmente utile”. L’Autore, invero, giunge finanche a qualificare i limiti tracciati al secondo comma quali “oneri” piuttosto che come doveri. Ed infatti, “l’individuo è, cioè, libero di dedicarsi all’attività che più riterrà conveniente, ma lo svolgimento di questa gli sarà garantito soltanto se si tratterà di un’attività, che per in suoi fini e per il modo in cui si svolga, concorra alla istaurazione di sempre migliori condizioni di vita (dal punto di vista puramente materiale o da quello spirituale) anche per gli altri membri della società circostante. (…) quel che importa è che l’utilità sociale assurga sempre a momento interno della determinazione della attività del soggetto, incidendo sulla sua funzione causale in modo da adeguarla al rispetto di certi fini ulteriori, che appaiono decisamente prevalenti rispetto a quelli puramente individualistici dell’agente”, cosi U. NATOLI, Limiti costituzionali, op. cit., 93. Sulla tesi della funzionalizzaizone si veda anche C. MORTATI, Il diritto al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica, in Problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana, Raccolta di scritti, III, 141, nonché C. MORTATI, Il lavoro della Costituzione, in Dir. lav., 1954, I, 149; L. MICCO, Lavoro e utilità sociale nella Costituzione, Torino 1966. Per una funzionalizzazione ancora più ampia della libertà di iniziativa economica anche rispetto alla sicurezza, libertà e dignità umana si veda poi S. CASSESE, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969. Sia consentito, infine, il richiamo a A. BARRESI – B. COMUNALE, Libertà di iniziativa economica e utilità sociale (il problema della c.d. funzionalizzaizone dell’impresa privata), in Studi sull’art.41 della Costituzione, Bologna, 201. La critica alla tesi dei limiti interni o della funzionalizzazione della iniziativa economica è piuttosto ampia. Si veda, in particolare, F. GALGANO, L’imprenditore, op. cit., 97, che giunge a bollare l’affermazione di Natoli, sul collegamento tra i primi due commi dell’art.41 Cost., di corporativismo. Lo stesso V. SPAGNUOLO VIGORITA, L’iniziativa, op. cit., 255, del resto, pare concludere nel senso che la concezione strumentale dell’iniziativa economica privata sia sintomo di una concezione corporativa. Si veda poi la critica mossa in G. MINERVINI, Contro la «funzionalizzaizone» dell’impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 618 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Proprietà privata e Costituzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 959; V. SPAGNUOLO VIGORITA, L’iniziativa, op. cit., 367, che concepisce l’utilità sociale come «una coessenziale, connaturata condizione di esplicabilità» della libertà di iniziativa economica privata e non come il suo fondamento; si veda poi V. OTTAVIANO, Il governo dell’economia: i principi giuridici, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia diretto da F. GALGANO, 1, 1977, La costituzione economica, Padova, 185. Interessante poi la posizione di V. GUELI, Libertà e socialità nella Carta costituzionale e nella costituzione sociale del Paese, in Scritti giuridici in memoria di V.E. Orlando, Padova, 1957, II, 11 ss. per il quale «l’iniziativa economica privata è, per sua natura, idonea a promuovere il progresso economico della società (…)». Nella stessa direzione, si veda poi L. FERRI, Autonomia privata, libera iniziativa economica e programmazione, in Studi in onore di G. Scaduto, Padova, 1970, I, 467. Si veda poi la critica di P. CAVALIERI, Iniziativa economica, op.cit., Padova, 1978, che sembra ipotizzare una tripartizione tra attività economica costituzionalmente garantita, costituzionalmente indifferente e costituzionalmente illecita. Sul tema dell’utilità sociale in ambito concorsuale cfr., da ultimo, con specifico riferimento alla tutela dei posti di lavoro sancita dall’art. 84 CCII, S. AMBROSINI, Nuovi e vecchi “paradigmi” nel codice della crisi: concordato preventivo e continuità aziendale fra interesse dei creditori e tutela dell’occupazione, in questa Rivista, 1° giugno 2022.

[6] F. GALGANO, Art. 41, op. cit. Sulla tesi prevalete dei limiti esterni di veda anche M. MAZZIOTTI, Iniziativa economica privata, proprietà privata e diritto del lavoro, in Giur. Cost., 1958, 1210; G. SANTORO PASSARELLI, Le “ragioni” dell’impresa e la tutela dei diritti del lavoro nell’orizzonte della normativa europea, in Eur. Dir. Priv., 2005, 65; G. DE SIMONE, Poteri del datore di lavoro e obblighi del lavoratore, in F. CARINCI (a cura di), Il lavoro subordinato. Il rapporto individuale di lavoro: costituzione e svolgimento, vol. XXIV, Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Torino, 2007, 258.

[7] Va sul punto osservato, inoltre, che la Legge Costituzionale n. 1/2022 aggiunge altresì un nuovo terzo comma all’art.9 Cost. dedicato ai profili ambientali a norma del quale la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Significativo l’oggetto di tutela che presenta la sua massima espansione possibile: non solo l’ambiente, inteso quale riferimento al c.d. habitat in cui l’essere umano vive, ma anche la tutela della biodiversità e dell’ecosistema, quindi la conservazione della natura in quanto valore in sé, anche in relazione all’interesse delle future generazioni.

[8] Sul punto, va rilevato che in sede di emendamenti al testo sino stati proposti ulteriori forme e tipologie di limitazioni alla libertà di iniziativa economica. Si veda, in particolare, l’emendamento proposto in data 12 ottobre 2021: « All'articolo 2 della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le parole: «anche nei confronti delle generazioni future. Promuove le condizioni per uno sviluppo sostenibile».

[9] Come noto, l’esame delle proposte di legge costituzionale ha preso avvio al Senato della Repubblica nella seduta dell’8 ottobre 2019 da parte della prima Commissione Affari costituzionali. L’Assemblea del Senato, quindi, ha approvato il testo nella seduta del 9 giugno 2021. Dal canto suo, la Commissione Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e dell’interno della Camera dei Deputati ha approvato il teso in prima deliberazione, senza voti contrari, nella seduta del 21 ottobre 2021, senza apportare nessuna delle ventuno proposte di emendamento presentate. Da ultimo, con la maggioranza dei due terzi dalle Camere, è stata deliberata la Legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 recante "Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente", pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022. In dottrina si veda L. CASSETTI, Riformare l’art. 41 della Costituzione: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziativa economica privata e ambiente?, in federalismi.it, n. 4/2022, 187; A.O. COZZI, La modifica degli artt.9 e 41 Cost. in tema di ambiente: spunti dal dibattito francese sulla Carta dell’ambiente 2004 tra diritti e principi, in DPCE on line n.4/2021, 3393; M. CECCHETTI, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in forumcostituzionale.it, n.3/2021, 312 ss.

[10] A norma dell’art.37 della Carta di Nizza del 2000 rubricato “Tutela dell’ambiente”: «un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». Dal canto suo, l’art.191 TFUE prevede che «La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga». (…) Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione, dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni».

[11] Sotto la rubrica “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” l’art.8 CEDU dispone che «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». Sulla giurisprudenza della Corte Edu in materia ambientale si veda A. SCARCELLA, Giurisprudenza C.e.d.u. e diritto dell’ambiente: i principali  «filoni» della Corte di Strasburgo, op. cit., 129 il quale rileva come “la Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali pur non riconoscendo un diritto dell’uomo all’ambiente, contiene tuttavia varie disposizioni che hanno consentito lo sviluppo di una giurisprudenza ambientale degli organi giurisdizionali della Convenzione”; ed infatti, come aggiunge l’Autore: “l’ambiente non è oggetto immediato di tutela, ma viene in considerazione indirettamente quale mezzo per assicurare il rispetto dei diritti inviolabili dell’individuo: la qualità del primo verrà migliorata e protetta in quanto sia funzionale al miglior godimento dei secondi”.

[12] Di particolare interesse, in punto di bilanciamento tra tutela dell’ambiente e libertà economiche, si presenta la Carta dell’ambiente francese, costituzionalizzata dalla legge n.205 del 1° marzo 2005, integrata nel testo della Costituzione del 1958. In particolare, si veda il Preambolo della Costituzione francese del 1948: «il Popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell’uomo e ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermata ed integrata dal preambolo della Costituzione del 1946, e ai diritti e doveri definiti nella Carta dell’ambiente del 2004». In dettaglio, dopo aver proclamato il diritto di ogni individuo di “vivere in un ambiente equilibrato e favorevole alla sua salute” tale Carta, infatti, prevede che «le politiche pubbliche devono farsi promotrici dello sviluppo sostenibile. A tal scopo, queste considerano alla stessa stregua, la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, lo sviluppo economico e il progresso sociale. Sulla portata applicative della Carta, in particolare nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si veda D. CASE, Liberte, Egalite, Environment: The French Constitution gets a Dash of Green, in The Daily Grist July 14, 2005; M. PRIEUR, La chart de l'environnement: Droit dur ou gadget politique? Pouvoirs n.127, 4, 2008, 49; D. MARRANI, Human Rights and Environmental Protection: The Pressure of the Charter for the Environment on French Administrative Courts, in Sustainable Development Law and Policy, 10, 1, 2008, 52 nonché D. MARRANI, The Second Anniversary of the Constitutionalisation of the French Charter for the Environment: Constitutional and Environmental Implications, in Environmental Law Review 10, 1, 2008.

Per un breve spunto comparato, tra le principali Costituzioni europee, si veda poi l’art.70 della Costituzione croata nella parte in cui prevede che «ognuno ha diritto a una vita sana. Lo Stato deve garantire le condizioni per un ambiente sano. Ognuno deve, nell'ambito dei propri poteri e attività, prestare particolare attenzione alla protezione della salute, della natura e dell'ambiente»; l’art.20 della Costituzione finlandese che, tra i diritti fondamentali e libertà, stabilisce che «ognuno è responsabile del mondo naturale e della sua specificità, dell'ambiente e dell'eredità culturale. Le autorità pubbliche si impegnano per assicurare a ciascuno il diritto ad un ambiente salubre e l'opportunità di influire sulla adozione di decisioni concernenti il suo ambiente di vita»; ancora, l’art.9 della Costituzione portoghese la quale, tra i compiti fondamentali dello Stato, pone quello di «proteggere e valorizzare il patrimonio culturale del popolo portoghese, difendere la natura e l’ambiente, preservare le risorse naturali e assicurare una corretta utilizzazione del territorio» e stabilisce, tra gli obiettivi dei piani di sviluppo economico e sociale, quello di «promuovere la crescita economica, lo sviluppo armonico e integrato di settori e regioni, la giusta ripartizione individuale e regionale del prodotto nazionale, il coordinamento della politica economica con le politiche sociale, educativa e culturale, la difesa del mondo rurale, la preservazione dell’equilibrio ecologico, la difesa dell’ambiente e la qualità della vita del popolo portoghese». Ancora, la Costituzione slovacca prevede che «(…) lo Stato provvede a garantire un sano ambiente naturale. A tale fine la legge stabilisce le condizioni e i modi di svolgimento di attività economiche ed altre attività». La Costituzione svedese (art.2), infine, per la quale «il benessere personale, economico e culturale della persona è finalità fondamentale dell'attività pubblica. In particolare, le istituzioni pubbliche garantiscono il diritto al lavoro, all'alloggio e all'istruzione e promuovono l'assistenza e la sicurezza sociale, nonché condizioni favorevoli alla salute. Le istituzioni pubbliche promuovono uno sviluppo sostenibile che porti ad un buon ambiente per le generazioni presenti e future».

[13] In tema si veda, in particolare, D.R. BOYD, The Constitutional Right to a Healthy Environment, in Environment: Science and Policy for Sustainable Development, 54, 2012 che opportunamente rileva come “constitutional provisions are not the only factor contributing to improved environmental laws. For example, the European Union's accession process had a major influence on environmental legislation in Eastern Europe. Other key factors include public pressure, the migration of ideas and legislative approaches from other jurisdictions, and international assistance from agencies such as the UN Environment Programme and the International Union for the Conservation of Nature (IUCN)”. Si vedano poi i tradizionali studi di G. ALPA, Il diritto soggettivo all’ambiente salubre: nuovo diritto o espediente tecnico?, in AA.VV. Amb. e dir.,1999; F. GIAMPIETRO, Diritto alla salubrità dell’ambiente, Giuffrè, 1980.

[14] Sul fenomeno si vedano le suggestive riflessioni contenute in D.R. BOYD, The Environmental Rights Revolution: A Global Study of Constitutions, Human Rights, and the Environment, Vancouver University of British Columbia Press, 2012; J. CRONIN and R. F. KENNEDY Jr., The Riverkeepers: Two Activists Fight to Reclaim Our Environment as a Basic Human Right, in New York: Scribner, 1997, 235; S. STEC, Environmental Justice through Courts in Countries in Economic Transition, in J. EBBESSON - P. OKOWA, Environmental Law and Justice in Context, Cambridge University Press, 2009, 158; J. P. EURICK, The Constitutional Right to a Healthy Environment: Enforcing Environmental Protection Through State and Federal Constitutions, in International Legal Perspectives, 11, 2, 2001, 185.

[15] Nella seduta del 13 maggio 1947, in particolare, si è assistito ad un vivace scontro sulla portata lessicale dell’attuale comma terzo dell’art.41 Cost. Ed infatti, gli emendamenti proposti al testo furono molteplici. L’onorevole Francesco Colitto, del Fronte dell’Uomo Qualunque aveva proposto la seguente formulazione «La legge determina le norme ed i controlli necessari perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate a fini sociali»; il democristiano Costantino Mortati, dal canto suo, aveva sottoposto all’Assemblea il seguente emendamento: «La legge pone le norme necessarie perché le attività economiche siano coordinate a fini sociali, non rechino danno alla sicurezza, alla libertà, a la dignità umana, né contrastino altrimenti con l'utilità comune» animato dall’intenzione di eliminare le parole “controlli” e “armonizzare” dal momento che “quando si dice «coordinate», si esprime lo stesso concetto ed essa appare quindi una ripetizione inutile”. Il socialista Giuseppe Arata, poi, proponeva all’Assemblea il seguente emendamento «La legge stabilisce le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale».

[16] Il testo finale proposto dall’Onorevole Fanfani sul controllo sociale dell’attività economica risultava il seguente « L'attività economica privata e pubblica è diretta a provvedere ogni cittadino dei beni utili al suo benessere ed alla piena espansione della sua personalità, e a provvedere la comunità dei beni necessari alla sua perfezione in vista del bene comune. A tal fine la repubblica ammette e protegge l'iniziativa privata, armonizzandone gli sviluppi in senso sociale, oltre che con le varie disposizioni generali a protezione del diritto alla vita ed all'espansione della persona, mediante: la partecipazione dei lavoratori (ed ove del caso degli utenti) alla gestione, alla proprietà, agli utili delle imprese; la tipizzazione contabile e la pubblica revisione aziendale; l'azione coordinatrice di appositi consigli economici in seno agli organi rappresentativi regionali e alla seconda Camera; il prelievo fiscale; la limitazione all'acquisto e al trasferimento della proprietà; la socializzazione delle imprese non gestibili dai privati con comune vantaggio».

[17] Come è stato rilevato in dottrina, infatti, l’iniziativa privata “è garantita non come posizione esclusivamente individuale, dissociata e avulsa dall’ambito sociale in cui il singolo opera, bensì in quanto riflette, anche al di fuori di sé, l’attitudine a concorrere alla realizzazione dei fini sociali determinati dall’ordinamento” che l’azione dello Stato non può che armonizzare e coordinare nell’obiettivo di “razionalizzare il libero corso delle forze economiche”. Sul punto si veda D. SCAGLIOLA – R. TRASSARI, Programmazione e libertà di iniziativa economica, in Studi sull’art. 41 della Costituzione, Bologna, 1969, 252 nonché U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964, 63.

 In argomento, V. SPAGNUOLO VIGORITA, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959, 286 nonché L. MAZZAROLLI, I pani regolatori urbanistici, op. cit., 175; A. PREDIERI, Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963, 105. Si vedano poi, ancora, D. SCAGLIOLA – R. TRASSARI, Programmazione e libertà di iniziativa economica, op. cit., nella parte in cui rilevano che “I principi di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art.3 Cost.), di solidarietà sociale (art.2 Cost.), del lavoro come diritto di tutti i consociati (art.4 Cost.)” costituiscono la dimensione in cui va collocato ed esaminato il comma terzo dell’art.41 Cost.

[18] Così, A. PREDIERI, Pianificazione, Op. cit., 109.

[19] In questi termini, V. BACHELET, voce «coordinamento», in Enc. dir., Milano, 1961, vol. X, 631.

[20] Si veda la Comunicazione della Commissione “Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” del 3 marzo 2010 dove si legge che «Europa 2020 deve essere incentrata (…) sulla crescita sostenibile – promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva».

[21] In questi termini, la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Il futuro sostenibile dell'Europa: prossime tappe. L'azione europea a favore della sostenibilità” del 22 novembre 2016.

[22] Sul punto, si veda il Regolamento delegato (UE) 2021/1253 della Commissione del 21 aprile 2021 “che modifica il regolamento delegato (UE) 2017/565 per quanto riguarda l’integrazione dei fattori di sostenibilità, dei rischi di sostenibilità e delle preferenze di sostenibilità in taluni requisiti organizzativi e condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento”.

[23] Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, che fissa ben 17 obiettivi e 169 traguardi per lo sviluppo sostenibile con l’obiettivo di stimolare, nei prossimi anni, interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta, tra i quali merita di essere segnalato quello di “assicurare che tutti gli esseri umani possano godere di vite prosperose e soddisfacenti e che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura”.

[24] Il riferimento è alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Il Green Deal europeo”, del 11 dicembre 2019 dove si legge, ulteriormente, che tale Green Deal rappresenta «(…) una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l'UE in una società giusta e prospera, dotata di un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall'uso delle risorse».

[25] Si veda, sul punto, la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Piano d’azione per finanziare ,la crescita sostenibile” dell’8 marzo 2018 dove si legge che tale Piano «è parte di più ampi sforzi per collegare la finanza alle esigenze specifiche dell’economia europea e mondiale a beneficio del nostro pianeta e della nostra società».

[26] Così prevede l’art.4, par. 4 dell’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015.

[27] La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU), nata come strumento di tutela dei diritti di prima generazione (diritti civili e politici) e, in parte di quelli di c.d. seconda generazione (diritti sociali, economici e culturali), nel tempo, è stata utilizzata anche per la tutela di nuovi diritti (c.d. di terza generazione) come il diritto ad un ambiente salubre. Ed infatti,  sebbene nessun articolo della Convenzione tuteli direttamente ed espressamente l’ambiente, la giurisprudenza della Corte lo ha riconosciuto in altri diritti previsti espressamente (in particolare, gli artt.8 e 2 Cedu) che, indirettamente, incidono sull’ambiente. Si tratta, in particolare, di quello che è stato definito come “greening of the existing first generation of human rights”. Sul punto si veda A. BOYLE, Human Rights or Environmental Rights? A Reassessment, in Fordham Environmental Law Review, 2007, 471; A. BOYLE, Human Rights and the Environment: Where Next?, in European Journal of International Law, 23, 3, 2012, 613; C. PITEA, Diritto internazionale e democrazia ambientale, ESI, 2013, 119; N. DE SADELEER, Enforcing EUCHR Principles and Fundamental Rights in Environmental Cases, in Nordic Journal of International Law, 2012, 74; G. UBERTIS, La tutela dei diritti dell’uomo davanti alla Corte di Strasburgo, in Ubertis G., Viganò F. (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, 2016, 7-8; V. ZAGREBELSKY, R. CHENAL, L. TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, 2019, 428.

[28] Già con un prima fondamentale decisione del 2013, la Corte costituzionale aveva affermato che «la qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa che gli stessi non possono essere sacrificati da altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. (...) Il punto di equilibrio deve essere valutato secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Il riferimento è qui operato a Corte Cost. 9 maggio 2013, n.85, dove si legge, ulteriormente, che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme ma coordinate ed in potenziale conflitto tra di loro». Nello stesso senso, si veda anche Corte Cost. n. 264 del 2012. Sul punto, in dottrina, si veda V. ONIDA, Un conflitto  tra  poteri  sotto  la  veste  di  questione  di  costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte costituzionale, sentenza n.85 del 2013, in RIVISTA AIC, n.3/2013.

[29] Il riferimento è qui a Corte Cost. 7 febbraio 2018, n.58. Sulla vicenda Ilva, inoltre, si veda E. VERDOLINI, Il caso Ilva di Taranto e il fil rouge degli interessi costituzionali, in Forum di Quaderni Costituzionali, 24 febbraio 2018; G. AMENDOLA, Ilva e diritto alla salute. La Corte costituzionale ci ripensa?, in Questione Giustizia, 10 aprile 2018; C. RUGA RIVA, Il caso Ilva: avvelenamento e disastro dolosi, in L. Foffani, D. Castronuovo (a cura di) Casi di diritto penale dell’economia, II, Impresa e sicurezza, 2015, 149; F. GIAMPIETRO, Ilva 2015: la sommatoria di Decreti legge, di leggi di conversione e di Decreti sull’AIA aggrava l’emergenza, in Ambiente e Sviluppo, 2015, 11-12, 642; F.A. FALCONE, Il sequestro nella vicenda giudiziaria Ilva S.p.A. Linee per una ricostruzione, Roma, 2019.

[30] Si veda poi Corte Cost. n.399 1996 che osserva come le norme costituzionali di cui agli artt.32 e 41 Cost. impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e della integrità fisica dei lavoratori; in argomento, si veda anche Corte Cost. n.405 del 1999, dove si legge che l’art.41 Cost. va letto nel senso che questo «limita espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza del lavoratore”».

[31] Sul necessario equo bilanciamento tra contrapposti interessi, tutti meritevoli di tutela si veda, in particolare, la vicenda Lopez Ostra c. Spagna (n. 16798/1990) dove la Corte Edu, in accoglimento di un ricorso per violazione dell’art.8 della Convenzione, ha evidenziato come le Pubbliche Autorità, quando si trovino a mettere in funzionamento impianti inquinanti per il trattamento di sostanza potenzialmente nocive, devono operare un equo bilanciamento tra interessi contrapposti entrambi meritevoli di tutela: l’interesse della collettività alla presenza dell’impianto, dall’altro quello individuale dei singoli abitanti nei luoghi limitrofi all’impianto stesso, a conservare un ambiente salubre.

[32] In questi termini sentenza Tatar c. Romania, del 2009; conforme la su citata sentenza Cordella e altri c. Italia, del 24 gennaio 2019, nella nota vicenda Ilva S.p.A., che ha ritenuto violato l’art. 8 della Convenzione in quanto «la persistenza di una situazione di inquinamento ambientale mette in pericolo la salute dei richiedenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione che vive nelle aree a rischio» e «le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace del diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata». Nello stesso senso si veda anche Guerra e altri c. Italia, del 1998; Taskin e altri c. Turchia, del 2004;  Giacomelli c. Italia, del 2 novembre 2006. Di particolare interesse risulta anche la questione relativa alla “crisi dei rifiuti campani”, analizzata dalla Corte Edu nella sentenza Di Sarno c. Italia, del 2012. Si veda M. MELI, Ambiente, salute, lavoro: il caso Ilva, in Nuove leggi civili e commentate, 2013, 1017; G. MARCATAJO, La tutela dell’ambiente come diritto della persona, in Riv. giur. amb., 3, 2021, 611; E. LECCESE, Danno all’ambiente e danno alla persona, Milano, 2011; E. LECCESE, Il diritto all’ambiente come diritto della personalità, in M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, Napoli, 2014; M. PENNASILICO, Ambiente e diritti umani, in M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambente, op. cit. 46; F. RATTO TRABUCCO, Tutela dell’ambiente e diritti dei singoli, in Ambiente e sviluppo, 8-9, 2019; S. PATTI, Diritto all’ambiente e tutela della persona, in Giur.it., 1980, 5, 859;

[33] Tale sentenza scaturisce da due ricorsi, poi riuniti dalla Corte, presentati nel 2013 e nel 2015. I centottanta ricorrenti erano abitanti di Taranto ed in zone limitrofe interessate dalle emissioni dello stabilimento siderurgico. In argomento, si veda S. ZIRULIA, Ambiente e diritti umani nella sentenza della Corte di Strasburgo sul caso ILVA, in Dir. pen. cont., 3, 2021, 135

[34] Al paragrafo n.158 della decisione, infatti, si legge che: «l’articolo 8 non si limita a ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze arbitrarie: a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata. In ogni caso, sia che si affronti la questione dal punto di vista dell’obbligo positivo dello Stato di adottare misure ragionevoli e adeguate a proteggere i diritti dell’individuo, in applicazione del primo paragrafo dell’articolo 8, che dal punto di vista di una ingerenza di un’autorità pubblica, da giustificare ai sensi del secondo paragrafo, i principi applicabili sono abbastanza simili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da trovare tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme, e lo Stato gode in ogni caso di un certo margine di apprezzamento».

[35] Sugli obblighi positivi degli Stati aderenti alla CEDU, come elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si veda A. SCARCELLA, Giurisprudenza C.e.d.u. e diritto dell’ambiente: i principali  «filoni» della Corte di Strasburgo, in Ambiente & Sviluppo, 2, 2013, 129; M. DE SALVIA, Ambiente e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. int. dir. uomo, 1997, 2; F. VOLLERO, Il diritto ad un ambiente salubre nell’elaborazione della giurisprudenza di Strasburgo, n. 1/2005, su www.diritto.it; K. BOSSELMANN, Un approccio ecologico ai diritti umani, in M. GRECO (a cura di) Diritti umani e ambiente, ECP 2000; N. COLACINO, La tutela dell’ambiente nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: alcuni elementi di giurisprudenza, in Dir. e gest. dell’amb., 2001, 2.

[36] Cosi, par.174 della sentenza Cordella e altri c. Italia, del 24 gennaio 2019.

[37] Pubblicata in G.U. n. 254 del 30 ottobre 2017.

[38] D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato più volte in sede di correttivi. Tale testo normativo, in parte è già in vigore dal 16 marzo 2019 (principalmente sugli assetti organizzativi adeguati), per la restante parte entrerà in vigore il 16 maggio 2022, come disposto dal D.L. 24 agosto 2021, n. 118, salvo il titolo II della Parte prima che entra in vigore il 31 dicembre 2023.

[39] Sul punto, la relazione illustrativa del nuovo Codice prevede che «si è ritenuto di incentivare il ricorso al concordato in continuità: quando cioè, vertendo l’impresa in situazione di crisi o anche di insolvenza, la proposta preveda il superamento di tale situazione mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell’attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che consenta, al tempo stesso, di salvaguardare il valore dell’impresa e, tendenzialmente, i livelli occupazionali, con il soddisfacimento dei creditori». Del resto, la stessa Legge delega richiedeva al legislatore delegato di «dare priorità di trattazione, fatti salvi i  casi  di  abuso, alle proposte che comportino il superamento della  crisi  assicurando la continuità aziendale,  anche  tramite  un  diverso  imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché' la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta  un'idonea soluzione alternativa» (art.2, co.1, l. g).

[40] Si tratta del c.d. “nuovo approccio europeo alla crisi dell’impresa” adottato sul presupposto che avere quadri normativi in materia di insolvenza ben funzionanti costituisca presupposto essenziale dal momento che «sostiene gli scambi commerciali e gli investimenti, contribuisce ad incrementare e mantenere posti di lavoro e ad assorbire più facilmente gli shock economici che generano livelli elevati di prestiti deteriorati e disoccupazione». In questi termini, si veda la Comunicazione Analisi annuale della crescita 2016 (COM (2015) 690 final, del 26.11.2015). Nell’ottica di tale nuovo approccio, si veda poi la Raccomandazione 2014/135/UE del 12 marzo 2014, nonché il Regolamento UE n. 848 del 2015, del Parlamento europeo e del Consiglio, adottato il 20 maggio 2015, entrato in vigore il 26 giugno 2015.

[41] Ed infatti, anche da un rapido sguardo comparato del diritto concorsuale di altri ordinamenti del Mondo si evince che la prospettiva conservativa rappresenta oggi una filosofia di fondo comune. Tanto avviene, ad esempio, nel Bankruptcy Code americano che, al Chapter 11, prevede una procedura di reorganization volta a favorire la continuità dell’impresa in crisi; si vedano poi gli strumenti di conservazione dell’ordinamento concorsuale inglese, tra i quali rientra, in particolare, lo scheme of arrangement e l’administration che perseguono l’obiettivo di “rescuing the company as a going concern”. Lo stesso può dirsi per l’ordinamento francese, tedesco, spagnolo, belga, greco e cinese il quale, più recentemente, ha predisposto uno strumento che ricalca, molto da vicino, la reorganization del Chapter 11 statunitense.

[42] Direttiva «Riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza)», pubblicata in G.U.U.E. n. L 172 ed entrata in vigore venti giorni dopo la data della sua pubblicazione. Per un autorevole commento della Direttiva si veda, in particolare, S. PACCHI, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 6, 2019, 1259; nonché A. NIGRO, La proposta di Direttiva Comunitaria in materia di disciplina della crisi dell’impresa, in Riv. dir. comm., 2017, II, 202; L. STANGHELLINI, La proposta di Direttiva UE in materia d’insolvenza, in Fall., 2017, 873; L. BOGGIO, Introduzione al nuovo diritto UE in materia di insolvenza e di pre-insolvenza, in Giur. it., 2018, 222; G. LO CASCIO, Il rischio d’insolvenza nell’attuale concezione della Commissione europea, in Fall., 2014, 734; F. DI MARZIO, Su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza, in Giustiziacivile.com, 28 aprile 2014; L. PANZANI, Il preventive restructuring framework nella direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in www.ilcaso.it,14 ottobre 2019; L. PANZANI, La Proposta di direttiva della Commissione UE: early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fall., 2017, 2, 129; P. VELLA, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 2019/1023 e nel diritto nazionale, in Fall., 2020, 1033; C. G. PAULUS – R. DAMMAN, European Preventive Restructuring: Directive (EU) 2019/1023, Oxford, 2021.

[43] In particolare, garantire l'adeguata partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori.

[44] Tanto poiché, come riconosce lo stesso legislatore europeo, « il valore di continuità aziendale è, di norma, superiore al valore di liquidazione, poiché si basa sull'ipotesi che l'impresa continua la sua attività con il minimo di perturbazioni, ha la fiducia dei creditori finanziari, degli azionisti e dei clienti, continua a generare reddito e limita l'impatto sui lavoratori».

[45] Il riferimento è qui operato a S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in questa Rivista, 6 gennaio 2022, che rileva come “(…) gli interlocutori dell’impresa, intesa come sistema aperto, sono tutti i portatori di interessi, tutti coloro che entrano nella sua orbita: commerciale, territoriale, ambientale. Un’ampia collettività ruota attorno all’impresa che vive anche per questo dialogo del quale deve tenere costantemente conto. Ciò sia nel momento della sua nascita, che in quello della crescita e della sua eventuale crisi, perché proprio da queste relazioni può derivare un supporto essenziale, più di quanto potrebbe, in certe situazioni, derivarne dai creditori bancari”; l’Autrice, quindi, propone lo sviluppo di un approccio multistakeholders: “quando vi è crisi, il complesso produttivo viable con un piano industriale e finanziario credibile dovrà quindi confrontarsi con i vari Stakeholders vuoi per verificarne la disponibilità a collaborare, anche dall’esterno, per la realizzazione dell’obiettivo, vuoi per commisurare il proprio orizzonte di continuità con l’interesse dei creditori a un soddisfacimento migliore di quello che ricaverebbero dalla liquidazione disgregativa”. Si vedano poi le interessanti osservazioni contenute in G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 nonché in G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi, 13 aprile 2021, che rileva come: “sostenibilità e responsabilità sociale sono temi che attengono all’attività dell’impresa tout court, non solo dell’impresa societaria, e quindi coinvolgono anche l’impresa in crisi o insolvente”. Si veda poi M. FABIANI, La tutela dei diritti nelle procedure concorsuali, in Trattato delle procedure concorsuali, IV, Milano, 2016.

[46] Sul punto, è appena il caso di rilevare come il legislatore, in sede di modifica di testi normativi più recenti, peraltro strutturalmente affini al Codice della crisi, ha avvertito la necessità di includere valutazioni ambientali, come accade nell’ambito del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, “Codice dei contratti pubblici”. In particolare, all’art.30, co.1, dove si prevede che, nell’ambito dell’affidamento ed esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi e forniture, il principio di economicità, pur nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal Codice, può essere subordinato «ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico». Ai sensi dell’art. 22 del Codice, inoltre, «le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse». Ancora, tra i criteri di valutazione relativi all’offerta economicamente più vantaggiosa, l’art.95 del Codice include criteri oggettivi come «gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto».

[47] Nella stessa direzione, peraltro, già si muoveva la Raccomandazione 12 marzo 2014 della Commissione europea “Su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza” che, al considerando n.1, poneva l’obiettivo di «garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale».

[48] Non può obiettarsi, sul punto, che cosi facendo l’iniziativa economica verrebbe “funzionalizzata” rispetto all’utilità sociale o alla tutela ambientale poiché questi, come si è avuto modo di osservare in premessa, rappresentano dei meri limiti esterni per la stessa libertà di iniziativa economica. È compito del legislatore, in questo caso concorsuale, intervenire in modo che l’iniziativa economica, pur sempre libera nel suo svolgimento, sia indirizzata e coordinata a fini ambientali e sociali. Sulla natura dei limiti di cui al secondo comma dell’art.41 Cost si rinvia alla nota n.6 del presente scritto.

[49] Come noto, sulle ceneri della crisi finanziaria del 2008-2009, ha preso avvio la costruzione del progetto di una Unione bancaria Europea strutturata in tre pilastri fortemente interconnessi tra loro: la vigilanza unica, il meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, l’ancora inattuata, assicurazione unica dei depositi. Ebbene nel quadro della crisi della banca, il Single resolution mechanism introduce delle regole originali di gestione della crisi bancaria ben lontane dal modello della Liquidazione coatta amministrativa italiana, proprio in ragione delle peculiarità della crisi dell’impresa bancaria: ridurre la minimo la relazione negativa tra banche ed emittenti sovrani, il rischio contagio, evitare il ricorso a strumenti di salvataggio a carico dei bilanci pubblici nazionali (bail-out), rafforzare la fiducia nel settore bancario e la tutela dei depistanti. Le fonti principali sul funzionamento del SRM, come noto, sono la Banking Recovery and Resolution Directive (BRRD) n.2014/59/UE nonché fonti nazionali di attuazione della BRRD (in particolare, nel D.lgs. 16 novembre 2015, n.180 e n.181). Per una visione d’insieme della materia si veda, in particolare, M. CHITI - V. SANTORO (a cura di), L’unione bancaria europea, Pisa, 2016.

[50] Gli obiettivi della risoluzione sono indicati all’art.31 della BRRD; tra questi: «a) garantire la continuità delle funzioni essenziali; b) evitare effetti negativi significativi sulla stabilità finanziaria, in particolare attraverso la prevenzione del contagio, anche delle infrastrutture di mercato, e con il mantenimento della disciplina di mercato; c) salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario; d) tutelare i depositanti contemplati dalla direttiva 2014/49/UE e gli investitori contemplati dalla direttiva 97/9/CE; e) tutelare i fondi e le attività dei clienti». Sulla problematica individuazione dell’interesse pubblico alla risoluzione, si veda V. MINERVINI, Interesse pubblico, concorrenza e concorsualità nella disciplina delle crisi bancarie, in Riv. dir. comm., 1, 2021, 140.

[51] Come stabilisce il considerando n.1 della Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. BRRD): «I mercati finanziari dell’Unione sono fortemente integrati e interconnessi, con molti enti che operano ampiamente oltre i confini nazionali. Il dissesto di un ente transfrontaliero può compromettere la stabilità dei mercati finanziari nei diversi Stati membri in cui esso opera. (…) La stabilità dei mercati finanziari è quindi una condizione essenziale per instaurare il mercato interno e per il suo funzionamento».

[52] Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza pare sul punto ancora proiettato alla salvaguardia della “migliore tutela del creditore” attraverso gli strumenti di continuità. Ed infatti, la relazione di accompagnamento al nuovo Codice prevede che «il favore per l’istituto concordatario si giustifica, invece, principalmente quando esso valga a garantire la continuità aziendale e, per suo tramite, ricorrendone i presupposti, riesca altresì ad assicurare nel tempo una migliore soddisfazione dei creditori».

[53] Interessanti, sul punto, si presentano le riflessioni contenute in F. DI MARZIO, Fallimento. Storia di un’idea, Milano, 2018, 245, che parla di una “comunità di pericolo”, in contrapposizione alla tradizionale “comunità di creditori”, concetto di sintesi che ricomprende tutti gli interessi che in tale comunità sono destinati a confrontarsi. Si veda poi anche S. PACCHI, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023, op. cit., 1293, che pone ben in luce il progressivo sviluppo del diritto concorsuale dall’asse debitore-creditori a quello impresa in crisi e parti interessate, così ampliando l’orizzonte in cui è collocata la vicenda concorsuale.

[54] In questi termini, considerando n.49 della Direttiva 2019/1023/UE, citata in nota n.28 del presente lavoro.