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La gestione sostenibile della crisi d’impresa


Stefania Pacchi

Data pubblicazione
03 settembre 2022

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Sommario: 1. Premessa - 2. La presenza degli stakeholders e la responsabilità sociale d’impresa. - 3. Gli strumenti per la crisi d’impresa nella lente della sostenibilità: alcune classificazioni. - 4. La procedura liquidativa e la sostenibilità. - 5. Lo strumento per la ristrutturazione e la sostenibilità. - 6. La sostenibilità nella Direttiva 2019/1023. - 7. Soluzioni sostenibili – 8. Conclusioni


1. Premessa

Quello della sostenibilità è un termine ormai ampiamente utilizzato anche dai giuristi: “Sustainable development is becoming increasingly important to lawyers[1].

Da tempo questo termine è presente – lo si incontra con sempre maggior frequenza - anche nelle riflessioni sull’impresa e sulla sua gestione. Ciò è comprensibile, dal momento che “sostenibilità” è spesso correlata allo "sviluppo sostenibile"[2] quindi a un divenire[3].

Il lemma “sostenibilità” rinvia a “qualcosa” che può essere mantenuto o continuato nel tempo e nello spazio e, quindi, rivela la capacità di proiettarsi nel futuro per un equilibrio che un determinato processo assicura al prodotto. L’aggettivo che lo accompagna (si parla di sostenibilità economica, ambientale o sociale) va poi a specificare l’ambito in cui si è raggiunto l’equilibrio.

Lo sviluppo sostenibile, a sua volta, è un quadro concettuale normativo e olistico, all’interno di un ambito marcato da spiccata impronta sociale, – condizionante il processo decisionale - che comprende lo sviluppo economico, il benessere sociale e la protezione ambientale[4].

Negli ultimi decenni il vocabolo “sostenibilità”, declinato secondo differenti se pur non contrastanti istanze, è, però, tanto ricorrente quanto generatore di perplessità. Come è stato scritto: “No word in modern parlance means so little and much as sustainability[5]tanto che viene spesso considerato “a mantra without consistent meaning[6].

Cercando di superare queste scettiche notazioni, dobbiamo osservare che si tratta di vocaboli (e concetti) che nel tempo hanno subito un'evoluzione significativa. In particolare, l’iter ha inizio con il "Rapporto Brundtland" del 1987[7], attraversa la Dichiarazione di Rio del 1992 sull'ambiente e lo sviluppo[8] e, successivamente, i 2000 Millennium Development Goals (MDGs)[9] (OSM) del 2007 per approdare ai 2015 Sustainable Development Goals (SDGs)[10] e poi all’Agenda 2030 sottoscritta, nel 2015, da 193 paesi membri delle Nazioni Unite[11].

L’origine del concetto di sostenibilità si deve, però, al Rapporto della Commissione Brundtland (1987)[12], che tentò di offrire una definizione (“semplice e intuitiva anche se non immediatamente utilizzabile per misurare la sostenibilità di un processo di sviluppo attraverso indicatori statistici”[13]): “Una strategia di sviluppo sociale che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.

Dai lavori di questa Commissione deriva anche la dilatazione del concetto di sostenibilità perché – secondo la presidente Gro Harlem Bruntland – sarebbe stato un grave errore limitarsi all’aspetto ambientale anche se quest’ultimo costituisce una parte importante della sostenibilità. L'ambiente” è il luogo in cui tutti viviamo e lo “sviluppo” è ciò che tutti noi promuoviamo nel tentativo di migliorare la nostra esistenza all'interno di quella “dimora”.

 L'evoluzione degli obiettivi politici globali sulla sostenibilità mostra, però, una dilatazione delle questioni relative alla sostenibilità dalle preoccupazioni ambientali a quelle sociali più ampie. Dall'originario focus l’attenzione si è così espansa a una visione integrata secondo cui la sostenibilità presuppone una convergenza tra i tre pilastri dello sviluppo economico, dell'equità sociale e della protezione ambientale[14].

Inoltre, l'adozione degli SDGs (Sustainable Development goals) sottolinea che le preoccupazioni per la sostenibilità non sono legate a economie, regioni o fasi di sviluppo specifiche, ma sono globali per portata e significato. A ragione, la sostenibilità non può, quindi, essere considerata soltanto un’agenda politica in quanto ormai è diventata un obbiettivo in diversi settori al punto di determinare la nascita di un “dedicato” settore di ricerca: la scienza della sostenibilità che ha dato vita a una fiorente produzione scientifica che spazia dall’ambiente, all’economia, all’energia, ai trasporti, alla salute ecc[15].

Nello stesso tempo abbiamo assistito a una produzione legislativa (in particolare Unionale) in materia di ambiente, imprese[16] – se il nucleo centrale del concetto di sostenibilità implica un “divenire”, allora questa si attaglia particolarmente all’impresa che è “attività” -, trasporti ed energia, mentre la giurisprudenza è ancora agli inizi.

In questo movimento legislativo e di pensiero avente ad oggetto il tema della sostenibilità è estremamente ridotto lo spazio dedicato a una riflessione circa una sua applicazione, quale criterio ordinante, alle procedure concorsuali[17].

Ciò deriva probabilmente dal fatto che fino ad oggi il conseguimento della sostenibilità non costituisce – almeno esplicitamente - l’obbiettivo prioritario degli strumenti del diritto della crisi anche se, percorrendo alcuni passaggi della disciplina, riusciamo a captare una qualche sua influenza (si pensi per es. al requisito della fattibilità e alle sue possibili declinazioni). Da ultimo, però, il sostantivo “sostenibilità” e l’aggettivo “sostenibile” sono entrati anche nel linguaggio del legislatore delle crisi[18] lasciando così ipotizzare, anche in questo settore, prossime aperture verso un approfondimento del tema.

Fino ad oggi si sono posti i problemi (affrontati dal legislatore del codice della crisi) – se pure non ricompresi esplicitamente nel criterio ordinante della “sostenibilità” esterna del procedimento[19] – del tempestivo approccio allo strumento, della riduzione della durata e del contenimento dei costi.

Lo scritto vorrebbe, però, verificare se, nell’ambito di questo settore dell’ordinamento, la sostenibilità interna (economica e sociale) possa tradursi in un criterio giuridicamente rilevante venendo a porsi quale bussola per orientare la scelta e l’applicazione di uno strumento per risolvere la crisi ed in particolare di quello selezionato per la continuità.

Quest’ultimo pare, infatti, il terreno di elezione. Mentre la procedura liquidativa, innestata su una situazione di insolvenza irreversibile - per lo più di natura economica -, e proiettata tassativamente al soddisfacimento dei creditori, non lascia spazio per operazioni di salvaguardia dei valori aziendali e, quindi offre rare aperture verso un suo utilizzo in chiave di sostenibilità economica e sociale, gli strumenti per la continuità, anche per la loro natura negoziale, paiono essere il terreno elettivo per un’applicazione che sia “utile” non solo per i creditori.

Chi scrive è consapevole che la questione ci pone dinanzi a un interrogativo non di poco conto: deve in ogni caso prevalere, anche a scapito della sostenibilità, il diritto dei creditori al miglior soddisfacimento possibile? Ritengo che oggi sia proprio il concetto di sostenibilità a suggerire un limite nell’affermazione di una assoluta prevalenza degli interessi dei creditori promuovendo un bilanciamento tra le necessità di salvaguardare i molteplici diritti che si incontrano nell’impresa sia essa in bonis che in crisi[20]. L’impresa costituisce, infatti, un polo di attrazione di interessi diversificati.

 

2. La presenza degli stakeholders[21] e la Responsabilità sociale d’impresa

Da tempo il modello economico classico, secondo cui l'unica responsabilità sociale dell'impresa consisterebbe nell’accrescere costantemente gli utili per i suoi azionisti[22], è entrato in discussione. Si sta affermando un nuovo modello di gestione del business chiamato modello socioeconomico[23] che muove dalla considerazione secondo cui gli azionisti, pur costituendo un gruppo rilevante di parti interessate, non sono gli unici “proprietari”. Altri soggetti possono vantare diritti di tipo proprietario[24].

L’attività suppone, infatti, un crogiuolo di relazioni, alcune delle quali nascenti dall’assunzione della stessa iniziativa economica (i soci), altre da contratti (i fornitori, i finanziatori, clienti ecc.), altre da bisogni di varia natura dell’impresa (lavoratori, territorio, le comunità locali ecc.) che generano aspettative e/o attese di contropartite.

Nell’impresa - intesa come sistema aperto che vive anche per questo incessante dialogo perché proprio da queste relazioni può derivare un supporto essenziale – scorgiamo, così, la presenza di soggetti diversi che sono accomunati dall’obbiettivo di mantenere la salute dell’attività mentre e fintanto che questa è in bonis, ma che, nel momento della crisi, assumono posizione antagoniste.

Quando vi è crisi, il complesso produttivo viable con un piano industriale e finanziario credibile dovrà quindi confrontarsi con i vari Stakeholders[25] vuoi per verificarne la disponibilità a collaborare, anche dall’esterno, per la realizzazione dell’obiettivo, vuoi per commisurare il proprio orizzonte di continuità con l’interesse dei creditori a un soddisfacimento migliore di quello che ricaverebbero dalla liquidazione disgregativa[26]. “(…) È nella cornice della teoria degli stakeholder che, a ben vedere, affonda le proprie radici – muovendo per giunta in chiave evolutiva dalla responsabilità sociale d’impresa – il paradigma della sostenibilità”[27] che può essere identificato nella creazione di valore nel lungo periodo sia per l’impresa che per gli stakeholder.

Ciò è tanto più necessario in questa stagione di crisi post-pandemica[28] aggravata dal successivo evento bellico tutt’ora in corso.

Le imprese, per poter rispondere in maniera adeguata a questa crisi, devono quindi interpretare e definire linee guida specifiche al fine di assicurare sostenibilità sociale e ambientale[29]. Di conseguenza, si profila un momento di ripensamento di quelle pratiche di sostenibilità e responsabilità sociale già seguite prima della pandemia e verso le quali anche le istituzioni europee fin dagli anni Novanta hanno additato con sempre più forte decisione[30].

Riallacciandosi agli studi sulla Stakeholder Theory di Freeman, si può sostenere che le imprese oggi non possano limitarsi al soddisfacimento dei soli azionisti “e alla massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di più stakeholder cercando di soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento efficiente dell’attività economica”.Oggi l’imperativo è, così, quello di ripensare alla RSI e alle sue strutture teoriche di riferimento per comprendere le dinamiche tra mercato e società e tra etica e business alla luce della crisi attuale. L’obiettivo è generare valore nel lungo termine, combinando virtuosamente – secondo la tesi del 1997 di John Elkington - queste diverse dimensioni[31].

I driver principali per attuare questa impostazione sono la comunicazione e l’informazione, tasselli fondamentali di un processo conosciuto come stakeholder engagement[32].

L’impresa soddisfa le attese degli stakeholder quando comunica il più possibile in maniera trasparente a seconda degli interessi dei soggetti a cui si rivolge, mantenendo in ogni caso fedeltà alla propria mission con l’obiettivo, però, di salvaguardare interessi, diritti e opportunità di tutti. “Il coinvolgimento degli stakeholder rende dinamici i flussi informativi con l’esterno, facilita la ricognizione dei bisogni emergenti e delle problematiche sociali del territorio e, in linea generale, permette di trovare più facilmente soluzioni a problemi complessi”, scriveva Edwin A. Locke[33] nel 1997.

Come è stato autorevolmente scritto “l’impresa non può vivere come una entità cui siano sottesi solo interessi ad essa inerenti – id est l’interesse dell’imprenditore individuale o degli azionisti – perché essa è inserita in un sistema in cui trovano posto altri interessi e, in primo luogo, quello delle componenti esterne – appunto i consumatori e per certi versi i lavoratori subordinati – della comunità civile in cui essa vive ed opera”[34].

Queste lucide notazioni di Vincenzo Buonocore possono essere riprese con riferimento all’impresa in crisi, che “non può vivere solo con riferimento agli interessi ad essa interni, ossia l’interesse dei creditori, ma deve tenere conto delle componenti esterne in mezzo alle quali si colloca”[35].

Con questo approccio inclusivo non vengono ripudiati gli interessi degli azionisti a favore di obiettivi politici e sociali ma si offre – sempre a vantaggio prima di tutto dell’impresa - riconoscimento alle aspettative eque di un'ampia gamma di stakeholder ai quali potrà essere richiesto un contributo per la continuità[36]. Inoltre, una pratica multistakeholder[37] è in grado, da un lato, di estendere il controllo dell’organizzazione stessa, concedendo occasioni di verifiche continue ai portatori di interesse che vogliono seguire gli obiettivi strategici dell’impresa, e dall’altro di limitare i comportamenti opportunistici e non conformi a quelli stabiliti.

Consapevole che un regime di RSI non è ancora riconosciuto nel contesto delle procedure concorsuali (almeno a livello teorico)[38], tuttavia, a me pare che un simile approccio sia coerente con l’idea dell’apparato per risolvere la crisi che trova la sua idea basilare nel principio nella distribuzione delle perdite tra gli stakeholder secondo un metodo socialmente responsabile in armonia con la natura di problema sociale dell’insolvenza.

Su questa via l’impresa che coniuga il profitto con la dimensione sociale (e ambientale) può diventare sostenibile e, quando è in crisi, può diventare sostenibile il percorso per rendere possibile la sua permanenza sul mercato.

 

3. Gli strumenti per la crisi d’impresa nella lente della sostenibilità: alcune classificazioni

Nel nucleo centrale della sostenibilità rientra l’istanza di preservare, conservare, continuare le attività esistenti (meritevoli) evitando in tal modo una dispersione di risorse. Condicio sine qua non per la conservazione (diretta e indiretta) – e quindi per la sostenibilità in senso economico – è che l’organismo (nel caso che ci occupa, l’impresa) sia viable. Tale requisito costituisce la premessa.

In ogni modo la conservazione implica (sempre) costi, per cui è indispensabile effettuare una valutazione della convenienza della singola operazione determinando prima l’ambito degli interessi sul quale ricadranno gli effetti (positivi e negativi) e rispetto al quale la suddetta analisi deve essere condotta.

Alcune classificazioni degli strumenti concorsuali possono essere di aiuto[39].

Innanzi tutto, un approccio alle procedure concorsuali in chiave di sostenibilità non può prescindere sia da una loro suddivisione condotta sulla base della funzione svolta (meramente liquidativa o, invece, conservativa) sia dalla posizione/apporto dei creditori in termini satisfattivi e decisionali. Riguardo alla funzione occorre dire che se la conservazione contraddistingue gli strumenti di ristrutturazione preventiva, cionondimeno aspetti di (almeno potenziale) conservazione possono presentarsi anche nella procedura di liquidazione giudiziale.

Sotto questo aspetto, entrambe le categorie di strumenti potrebbero così – ad una prima lettura - collocarsi nell’alveo della sostenibilità sociale. In realtà tra le due categorie si riscontrano differenze di non poco conto. La liquidazione giudiziale (così come il “vecchio” fallimento) presenta, infatti, una sostenibilità-fattuale mentre gli strumenti di ristrutturazione preventiva una sostenibilità-funzionale. Nel primo caso cadranno sotto la lente di osservazione le singole operazioni “orientate” alla sostenibilità mentre nel secondo tutto il piano.

Può essere, inoltre, operata una classificazione a seconda dei punti di vista della sostenibilità: se interna o esterna ai procedimenti.

La sostenibilità interna è connessa all'esito del procedimento, cioè se il procedimento produce sostenibilità, ad esempio protezione delle risorse naturali o umane. Al contrario, la sostenibilità esterna si riferisce alla gestione del procedimento (in modo sostenibile). Entrambi questi aspetti possono esistere in parallelo. Ad esempio, una procedura semplificata ed efficace di ristrutturazione del debito che conservi un’impresa con macchinari, Know-how, e posti di lavoro, è procedura sostenibile sotto i due profili.

 

 

4. La procedura liquidativa e la sostenibilità

La procedura concorsuale liquidativa (oggi liquidazione giudiziale), per propria mission, non mira a mantenere e continuare l'attività del debitore oltre la vendita[40].

Se il sistema del 1942 era, però, caratterizzato dalla presenza di procedure concorsuali tutte investite della funzione prettamente esecutiva, in nome della quale veniva ridotta al massimo la possibilità di valorizzare il complesso aziendale in funzione di una successiva cessione unitaria, oggi – sebbene nella permanenza di un’impostazione che ha in primo piano l’interesse dei creditori con timide aperture verso la responsabilità sociale dell’impresa nei confronti degli stakeholders - non è più così perfino per quanto riguarda la procedura liquidativa.

La liquidazione giudiziale[41], infatti, pur mantenendo la funzione di strumento per realizzare la garanzia patrimoniale, è stata depurata (anche nel nomen) dai tratti afflittivi e corredata di strumenti per valorizzare il patrimonio aziendale del quale il curatore deve valutare la (residua) potenzialità e, quindi, attrattività sul mercato per soppesare attentamente, prima di procedere alla vendita atomistica, la possibilità/convenienza sia di un propedeutico suo sfruttamento interinale – tramite un rischioso esercizio oppure un tranquillo affitto d’azienda – sia di una conseguente cessione unitaria.

Dal punto di vista della sostenibilità la differenza tra vendita dell’azienda (soprattutto se in esercizio) e vendita atomistica dei beni che la compongono è grande. Un’attenta ponderazione è d’obbligo.

Nel caso di esercizio dell’impresa da parte del curatore, non è sufficiente ipotizzare un incremento dei valori di funzionamento o un’astratta utilità in vista della cessione unitaria dell’azienda, dal momento che i crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio – tra cui rientrano anche quelli per la prosecuzione dei contratti pendenti – vanno soddisfatti in prededuzione, ai sensi dell’art. 221, comma 1, lett. a)[42]. Compito del curatore sarà, quindi, quello di ponderare esattamente il costo dell’esercizio dell’attività in rapporto al beneficio economico che si realizzerà con la cessione unitaria.

Un’oculata valutazione deve essere compiuta anche per l’affitto d’azienda che può essere proposto sulla base di un giudizio di convenienza rispetto alla possibilità di una vendita unitaria e, più precisamente, all’aumento di valore che l’azienda può presentare, grazie alla sua utilizzazione e magari alle migliorie operate dall’affittuario.

Detto giudizio deve essere svolto, quindi, non tanto, o non solo, sul valore attuale dell’azienda - l’affitto si proporrà solo se l’azienda è ancora viable - ma su quanto si potrà realizzare con una vendita unitaria. Ciò impone un giudizio prospettico: si dovrà tener conto: 1) del valore dell’azienda a quel momento, dal quale discenderà sia la determinazione dell’importo del canone, sia la base per valutare quanto lo sfruttamento del complesso (o del ramo) - a quelle certe condizioni temporali, industriali ed economiche -, apporterà (o toglierà) al valore iniziale; 2) dell’andamento del mercato: solo se “gli affari vanno bene” gli imprenditori investiranno in ampliamenti e quindi in affitti e acquisti e inoltre una volta affittuari aggiorneranno i macchinari e apporteranno migliorie all’azienda; 3) del settore per capire se sarà possibile la vendita unitaria e se sì quanto tempo occorrerà per approdare a detta operazione.

A queste valutazioni dovrà aggiungersi quella (ancor più difficile) sull’aspirante affittuario: spremerà l’azienda sfruttando know how, strutture commerciali e mano d’opera qualificata o la valorizzerà? Il canone di affitto non potrebbe, infatti, mai compensare i creditori dell’usura e della spoliazione subita dall’azienda durante l’affitto. E poi, l’affittuario avrà un reale interesse all’acquisto?

Successivamente queste considerazioni dovranno essere calate nella realtà della procedura concorsuale: a) in termini generali: non potrà mancare una valutazione circa il rischio di rallentare la liquidazione, di predeterminare l’acquirente scoraggiando altri imprenditori a presentare un’offerta; e b) in termini specifici riguardo alla procedura in atto: se cioè l’affitto riflettendosi sul corso dei rapporti pendenti al momento dell’apertura della procedura - sempre sussistendo in primis l’interesse dei creditori - ricada a beneficio anche delle imprese (in bonis) controparti contrattuali; o se potrebbe essere l’input per una proposta (del terzo) di concordato di liquidazione.

Per la delicatezza delle decisioni la legge chiede espressamente la partecipazione del curatore (promotore dell’operazione), del comitato dei creditori (valutatore della convenienza) e del giudice delegato (in funzione di controllore).

Con il consenso dei creditori, il curatore, nonostante i costi aggiuntivi, può valorizzare, in un progetto di sostenibilità, l'impresa e può giungere ad un bilanciamento degli interessi dei creditori con quelli di tutti gli stakeholder[43].

Ciò, in particolare, può verificarsi in una procedura liquidativa con solo pochi grandi creditori che favoriscono la loro cooperazione commerciale con aziende sostenibili. Per loro la rinuncia al dividendo massimo nelle procedure concorsuali a favore della sostenibilità può essere in linea con le proprie strategie di business e politiche di lungo periodo.

 

5. Lo strumento per la ristrutturazione e la sostenibilità

Mentre nella procedura liquidativa l'obiettivo prioritario è la monetizzazione dei valori residui per il soddisfacimento delle obbligazioni inadempiute con possibilità di giungere a una procedura sostenibile solo quando a tal fine non si incrementi il passivo, negli strumenti per la ristrutturazione lo scopo è l’opposto.

In questi casi l’obbiettivo è che l’impresa possa tornare ad essere fonte di produttività con vantaggio per creditori e stakeholder, osservando che il primato degli interessi dei creditori nelle procedure concorsuali non è l'unico strumento immaginabile per tutelare i loro interessi.

Come efficacemente è stato scritto: “When important social or ecological capital is in danger exceeding the interests of a single stake- holder and approaching the public interest, the claims of creditors have to step aside to some extent. Determining to what extent is a task of the legislator to regulate”[44].

Lo scopo, però, non è la conservazione delle risorse in quanto tali, ma il mantenimento delle parti dell'attività in cui sia presente un potenziale di redditività. L'impresa debitrice potrebbe dover rinunciare, ad esempio, ad alcuni investimenti onerosi per attuare il piano di ristrutturazione, anche se ciò comporterà una perdita di risorse: nella ristrutturazione non vi è motivo di mantenere una parte non redditizia dell'attività, anche se le risorse investite andranno disperse in quanto il prezzo ricavato non coprirà i costi sostenuti all’origine.

La ristrutturazione è un procedimento funzionale alla sostenibilità, ma solo fino al punto in cui promuove lo scopo della ristrutturazione.

L'obiettivo delle procedure preventive non deve essere, infatti, quello di salvare a tutti i costi le imprese, anche quando non sono redditizie nel lungo periodo.

Queste procedure dovrebbero prima di tutto mirare a filtrare le attività redditizie da quelle che non lo sono. Le prime devono essere ristrutturate ben prima di una formale insolvenza, mentre le seconde devono essere prontamente liquidate, in modo che le risorse aziendali possano essere distribuite in modo più efficiente per l'economia e la collettività. Solo così sarà possibile ridurre i costi del finanziamento ex ante e garantire la crescita economica a lungo termine.

Di conseguenza il piano di riorganizzazione viene esaminato[45] con una triplice lente: se sia utile conservare quell’impresa per i creditori (quanto incide il costo sulle loro aspettative di soddisfacimento?), per il mercato (c’è necessità di quella produzione?), per gli stakeholder (quanto effettiva e durevole sarà la continuità?).

La sostenibilità suppone, infatti, un adeguato compenso/ritorno per le risorse impiegate nella ristrutturazione.

In questa prospettiva ritroviamo alcuni parametri con i quali lo strumento per gestire una crisi deve fare i conti. Sono in giuoco il costo dello strumento, la durata delle sequenze, i benefici e la loro distribuzione, le ricadute in ambito territoriale, sociale e umano, l’effetto (finanziario, economico, produttivo) sull’impresa.

Deve trattarsi, quindi, di gestione sostenibile della crisi: dal punto di vista economico, in quanto permetta all’impresa di riacquisire e mantenere la capacità di produrre reddito e lavoro in maniera duratura; dal punto di vista sociale quando lo strumento garantisca un’equa distribuzione del costo della crisi - risanamento, quindi, - e dei conseguenti benefici su tutti coloro che s’incontrano nell’orbita dell’impresa; e in alcuni casi anche dal punto di vista ambientale.

 

6. La sostenibilità nella Direttiva 2019/1023

La Direttiva 2019/1023[46], a parte qualche sparuto riferimento alla sostenibilità, non offre sul tema alcun approfondimento. Come è noto la direttiva mira a promuovere nell'UE la cultura della ristrutturazione preventiva che produce vantaggi economici e sociali. In tal senso la continuità è uno degli elementi centrali della sostenibilità. Ciò viene affermato nel considerando 16 dove si legge che: “Removing the barriers to effective preventive restructuring of viable debtors in financial difficulties contributes to minimising job losses and losses of value for creditors in the supply chain, preserves know-how and skills and hence benefits the wider economy”.

L'idea che la direttiva esprime è quella di una ristrutturazione preventiva sostenibile (all’interno e all’esterno) sia dal punto vista economico, sociale. In primo luogo, lo scopo della ristrutturazione preventiva è, infatti, quello di trattenere le risorse esistenti cercando di garantire la continuità dell'impresa viable (sostenibilità interna). In secondo luogo, la ristrutturazione preventiva, come strumento, dovrebbe entrare in azione tempestivamente (grazie al sistema di allerta), svolgersi rapidamente e senza oneri amministrativi (sostenibilità esterna).

Ciò nonostante, dal punto di vista della sostenibilità, la Direttiva non è né chiara né completa, apparendo alla fine non sufficientemente consapevole della sostenibilità “a tutto tondo” (in confronto alla comunicazione Europa 2020).

Si potrebbe dire che il legislatore dell'Unione non avesse in mente una ristrutturazione “green”, ponendo l’accento per lo più soltanto sul capitale finanziario che, se è sempre necessario, non è tuttavia l’unico che si debba prendere in considerazione in queste operazioni.

In una certa misura è stato preso in considerazione il capitale umano, sotto forma di protezione dei lavoratori.

Risalta il rimando continuo ai lavoratori, ai posti di lavoro, agli stakeholders in nome e a vantaggio dei quali la ristrutturazione dovrebbe essere operata in quanto strumento per tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale.

Si tratta di richiami che aprono a modalità di coinvolgimento dei dipendenti nell’interesse della stessa attività che nell’attuale situazione post pandemica devono essere oggetto di attenta valutazione per gli orizzonti che possono spalancare. È in gioco non solo il diritto dei lavoratori al trattamento economico, agli orari, all’organizzazione del lavoro ma, soprattutto, l’imperativo di favorire la sopravvivenza delle imprese stesse e, di conseguenza, l’occupazione[47].

Ciò è in linea con la stagione attuale nella quale “diventano sempre più forti le istanze di un ripensamento dell’impresa secondo canoni comunitari, innervati su una ricomposizione dei rapporti con tutti gli stakeholders; tra questi è evidente il ruolo di inevitabile protagonista ricoperto dal fattore lavoro, da un lato principale destinatario dei tristemente noti effetti della crisi, e dall’altro prioritario riferimento per uscirne il prima possibile” [48].

Visto il richiamo agli stakeholder ci saremmo aspettati un intervento del legislatore unionale per fissare il perimetro della categoria[49].

È presente il termine "parti interessate"(affected parties) che si riferisce ai creditori o alle classi di creditori e, ove applicabile ai sensi del diritto nazionale, ai lavoratori e agli azionisti i cui diritti o interessi sono direttamente incisi da un piano di ristrutturazione (articolo 2, paragrafo 1, punto 2). Il termine “parti interessate” allora non comprende tutte le parti interessate i cui diritti sono in giuoco nella ristrutturazione.

Il termine “stakeholder” viene utilizzato in senso generale e residuale, facendo intuire una diversificazione tra parti interessate – perché legate all’impresa da un rapporto contrattuale che genera un credito attualmente insoddisfatto – e stakeholder. Il considerando 3 presenta la dicitura “creditors, workers and other stakeholders ” e ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 6, gli Stati membri possono adottare disposizioni che limitino il coinvolgimento di un'autorità giudiziaria o amministrativa garantendo nel contempo che i diritti “of any affected parties and relevant stakeholders are safeguarded”.

Inoltre, l'articolo 19 (Compiti degli amministratori) utilizza la dicitura “interests of creditors, equity holders and other stakeholders”.

In definitiva, la Direttiva tace sul significato preciso di "stakeholder". Può riferirsi a coloro che sarebbero parti interessate dopo l'avvio della procedura di pre-insolvenza, ma probabilmente si riferisce a un gruppo più ampio di interessi finanziari, sociali e ambientali preesistenti.

Eppure, la Direttiva riserva attenzione agli stakeholder giungendo a riconoscere loro una significativa posizione interlocutoria nella ristrutturazione. Ciò è dato desumere dal Considerando 10: “Any restructuring operation, in particular one of major size which generates a significant impact, should be based on a dialogue with the stakeholders. That dialogue should cover the choice of the measures envisaged in relation to the objectives of the restructuring operation, as well as alternative options, and there should be appropriate involvement of employees' representatives as provided for in Union and national law”.

Nella direttiva sono stati, però, trascurati gli aspetti ambientali, green, che tuttavia iniziano ad avere un grande impatto sulla crisi di molte imprese e sulla gestione delle procedure concorsuali.

Così, la direttiva è in linea con la sostenibilità per quanto riguarda il capitale manifatturiero, così come alcune parti del capitale umano (dipendenti), ma è carente per quanto riguarda altri campi della sostenibilità.

Sulla responsabilità sociale dell’impresa in crisi vi è stata indubbiamente una importante presa di posizione[50]. La Direttiva, sensibile alla dimensione sociale dell’impresa, pur non abbandonando l’obiettivo che tradizionalmente ha plasmato le nostre leggi concorsuali – la tutela dei creditori – non lo pone come condizione assoluta per la ristrutturazione. Come è stato segnalato il legislatore Unionale “abbandona la considerazione esclusiva e totalizzante dell’interesse dei creditori nella crisi d’impresa[51].

 

7. Soluzioni sostenibili a una crisi

La proposta di questo scritto è di riflettere sulla possibilità di un bilanciamento degli interessi diversificati – di tutti gli stakeholders – negli strumenti deputati alla conservazione dei complessi produttivi affinchè si possa giungere ad una equa partecipazione di tutti i soggetti coinvolti ai costi e benefici derivanti dalla ristrutturazione. Si schiude un nuovo orizzonte valoriale.

A tal fine è necessario tornare a riflettere sulla responsabilità sociale d’impresa, oltre che sullo sfaccettato criterio della sostenibilità, per guardare oltre le norme che costituiscono il nostro ordinamento della crisi, anche riproponendo soluzioni, fino ad oggi o poco esplorate o marginalmente sondate e sfruttate, che potrebbero probabilmente condurre a una gestione sostenibile della crisi d’impresa.

Credo che oggi occorra, più di ieri, – nella forzata ricerca di nuovi equilibri tra mercato e dimensione sociale –mettere in campo soluzioni sostenibili in un lungo periodo.

Sulla scia delle tendenze marcate in sede Unionale all’approccio precoce alle ristrutturazioni per le quali i lavoratori possono farsi parte attiva, propongo così di riflettere su quel modello per la continuità che vede i lavoratori impegnati nell’acquisizione dell’azienda dell’impresa in crisi attraverso la costituzione di una cooperativa di lavoro.

Si tratta del Workers buyout[52] che consente, attraverso una ristrutturazione o riconversione (si parla anche di Impresa rigenerata), il mantenimento di un polo economico che altrimenti, per indisponibilità di chances di continuità diretta da parte della struttura proprietaria e organizzativa precedente, sarebbe uscito dal mercato.

Questo strumento può trovare spazio non solo nella procedura liquidativa “maggiore” (fallimento/liquidazione giudiziale) ma anche in quella di concordato preventivo ed, in particolare, in quello in continuità indiretta.

Nel fallimento i WBO possono essere preparati/agevolati, mantenendo interinalmente attiva l’azienda, con l’esercizio provvisorio o con l’affitto d’azienda.

Nel concordato preventivo, invece, il percorso può estrinsecarsi o in una proposta concorrente o nella partecipazione alla gara di acquisto.

In queste procedure concorsuali l’acquisizione vede come interlocutore – a seconda della procedura in cui ci si muova – o il liquidatore o il curatore fallimentare o lo stesso proprietario.

Oggi l’affermazione senza preconcetti di un simile processo di valorizzazione della forza lavoro può costituire solida garanzia per una sostenibilità di lungo periodo[53].

Attraverso il workers buyout, i lavoratori creano, infatti, un’alternativa occupazionale, salvaguardano il know how acquisito e garantiscono la continuazione dell’attività e la valorizzazione degli asset aziendali. Molte volte, poi, vanno a tutelare una produzione tipica, che altrimenti andrebbe perduta, oppure assicurano in un’area geografica la permanenza di un’impresa che tradizionalmente appartiene a un certo territorio.

Il tema del WBO, se pure utilizzato fino ad oggi con parsimonia, ha fornito esempi di gestione di crisi sostenibile perché ha consentito la conservazione – non solo a vantaggio dei lavoratori ma anche del territorio e della collettività - di complessi aziendali altrimenti destinati alla sparizione.

Lo strumento dei WBO incrocia, quindi, il tema della valorizzazione del recupero dell’impresa viable che negli ultimi anni ha visto una concentrazione degli sforzi dei legislatori per cercare di far “quadrare il cerchio” che vede da una parte il diritto dei creditori al soddisfacimento e dall’altra l’interesse sociale della collettività alla continuità degli organismi produttivi.

La valutazione della sostenibilità dell’operazione di WBO è fondamentale.

I WBO impongono un attento esame delle reali possibilità di rigenerazione dell’impresa muovendo dalle condizioni attuali, operative e di mercato. Quell’analisi sull’azienda e sull’impresa che deve guidare il professionista nella selezione dello strumento per risolvere la crisi diventa, e in questo caso e a maggior ragione, imprescindibile e propedeutica a qualsiasi ipotesi di un piano di WBO.

Sarà inoltre indispensabile la riformulazione del business, vuoi perché per la dimensione dell’investimento possibile, occorre o ridurre l’attività ad uno o più rami o riprogettare la struttura produttiva rendendola armonica con la capacità finanziaria.

Il ridimensionamento investe spesso anche il lavoro sia perché spesso il turnaround dell’attività richiede un ridimensionamento dell’occupazione, sia per l’impegno finanziario necessario.

In tal senso si può parlare di impresa rigenerata perché la conservazione passa da una riconfigurazione/ristrutturazione che può essere comparata a una “nuova nascita”[54].

 

8. Conclusioni

Nel quadro della sostenibilità le imprese sono chiamate, dunque, a ripensare ai propri obiettivi (purposes) sia sociali che ambientali. Il modello d’impresa che coniuga il profitto con la dimensione sociale (e ambientale) può diventare sostenibile.

Se i temi della sostenibilità e responsabilità sociale investono oggi l’impresa in bonis, non essendo relegati all’ambito societario, è ragionevole ipotizzare una loro influenza anche nella gestione della crisi[55].

Seguendo il senso profondo che proviene dall'etimologia della parola sostenibilità (habere e sustinere = abilità di sostenere), che ci rimanda all'idea che tutto nella realtà deve avere uno scopo e uno spazio per essere pienamente accettato dall'intero sistema, possiamo dire che nella soluzione di una crisi ognuno deve poter trovare la risposta ai propri interessi ed essere, allo stesso tempo, una risposta per gli altri che condividono quella situazione. La gestione sostenibile della crisi di un’impresa potrà essere realizzata quando si raggiunga un punto di equilibrio tra i diversi interessi circostanti.

Credo possibile parlare di gestione sostenibile di una crisi quando lo strumento utilizzato per il risanamento assicuri nel tempo e nello spazio un equilibrio durevole dell’impresa con una equa ripartizione dei costi tra tutti i soggetti coinvolti.[56]

In sintesi – sulla scorta della definizione di sviluppo sostenibile fornita dalla World Commission on Environment and Development del 1987 (Brundtland’s Report ´Our Common Future`) - dovrebbe trattarsi di uno strumento che soddisfi i bisogni del presente (il superamento della crisi) senza compromettere le possibilità di un “futuro” (di un domani) dell’impresa stessa, di tutti gli stakeholders e del territorio.

Emerge il senso del limite che ci conduce a un bilanciamento degli interessi.

Affondando le proprie radici semantiche nel primigenio significato di “sorreggere”, di essere cioè in grado di sopportare sia cambiamenti di stato emotivo che di status economico, “sostenibilità” deve ricordarci (attraverso l’evocazione di un generico e a volte sottinteso “principio di responsabilità”), quanto sia importante mantenere il “senso del limite”[57].

In sostanza l’antagonismo immanente alla individualistica tensione verso il conseguimento della somma più alta dovrebbe cedere il passo al solidarismo richiesto dall’impresa multistakeholders, nella quale l’agglomerato di interessi è da considerare, anche e a maggior ragione, quando si apre lo scenario della crisi.

È oggi necessario evitare “la veduta corta”[58] esplorando percorsi che recuperino e valorizzino – secondo canoni raccomandati recentemente dal legislatore Unionale – l’apporto degli stakeholders.

È tempo di pensare “agli interessi degli stakeholder non come a vincoli, di cui i gestori delle imprese devono in qualche modo tenere conto nel perseguimento del massimo sviluppo” – (e quindi anche nella gestione dello strumento per risolvere la crisi) – “ma come ad obiettivi che devono trovare adeguato spazio come uno dei vari elementi che devono concorrere a definire, in concreto, quale equilibrato sviluppo sia il caso di perseguire”[59].

Infine, ci chiediamo quale possa essere la visione “delle imprese” dinanzi ad un progetto di gestione sostenibile della crisi.

Probabilmente “deve giocoforza schiudersi un nuovo cammino, quello della sostenibilità, che è ambientale ma anche sociale, e prima ancora, culturale: un'economia al servizio della società e non viceversa, un'impresa che lavora non soltanto per il benessere dell'azionista, ma per il benessere della comunità in cui si trova, un assetto istituzionale che assicuri a tutti a prescindere dalle loro condizioni i medesimi livelli di protezione. Un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, a partire dallo spazio in cui si svolge l'esistenza che agisce sul modo di vedere, sentire e agire”[60].

 



[1] Così inizia lo scritto di J. C. DERNBACH, Sustainable Development in Law Practice: A Lens for Addressing All Legal Problems, (2017) 95, in Denver University Law Review.

[2] La sostenibilità d'impresa può essere definita semplicemente come il contributo delle imprese al fenomeno dello sviluppo sostenibile – per un futuro di benessere collettivo - , in tal senso v. P. BANSAL, Evolving Sustainably: a Longitudinal Study of Corporate Sustainable Development., in Strategic Management Journal, 2005, 26, 197-218 che studia lo sviluppo sostenibile aziendale esaminando i suoi determinanti organizzativi muovendo da dati reperiti presso le aziende canadesi nei settori petrolifero e del gas, minerario e forestale dal 1986 al 1995.

[3] Come si legge nel rapporto Brundtland (v. infra, nota 6), quando si parla di sviluppo non si vuole alludere a una definitiva condizione di armonia quanto, invece, ad un processo di cambiamento “tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.

[4] Sul perseguimento di uno sviluppo sostenibile che richiede un approccio integrato su tutte e tre le dimensioni: C. MIO, L’azienda sostenibile, Bari, 2021, VII.

[5] E. C. STAZYK, A. MOLDAVANOVA E H. G. FREDERICKSON, Sustainability, Intergenerational Social Equity, and the Socially Responsible Organization, (2016), 48(6) Administration & Society 655.

[6] A. R. KEAY, Ascertaining the Corporate Objective: An Entity Maximisation and Sustainability Model, (2008) 71(5) Modern Law Review 691.

[7] Brundtland et al. (1987) Report of the World Commission on Environment and Development. Our Common Future.

[8] United Nations General Assembly (1992) Rio Declaration on Environment and Development (United Nations Conference on Environment and Development: Annex 1: Declaration on Environment and Development), UN Doc. A/CONF.151/26 (Vol. I), 12 August.

[9] United Nations General Assembly (2000) United Nations Millennium Declaration, UN Doc. A/Res/55/2, 18 September.

[10] United Nations General Assembly (2015) Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development, UN Doc. A/Res/70/1, 21 October. Il programma dell’Agenda 2030 si articola in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile

[11]La 2030 Agenda for Sustainable Development, è leggibile a: //sustainabledevelopment.un.org/post2015/transformingourworld>. Per una analitica scansione del “lungo cammino verso lo sviluppo sostenibile”, E. GIOVANNINI, L’utopia sostenibile, Bari, 2018, 27 ss.

[12] Report della World Commission on Environment and Development (WCED): Our Common Future (1987).

[13] E. GIOVANNINI, L’utopia sostenibile, cit., 30.

[14] J. DREXHAGE AND D. MURPHY, (2010) Sustainable Development: From Brundtland to Rio 2012: Background Paper Prepared for Consideration by High Level Panel on Sustainability at Its First Meeting, 19 September 2010, New York: United Nations.

[15] T. LINN, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, in International Insolvency Revue. 2019, 212.

[16] Nel documento di comunicazione della Commissione europea "Europa 2020: una strategia europea per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva" risalta l’affermazione secondo cui è necessaria una strategia per trasformare l'UE in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva che offra alti livelli di occupazione e produttività, e la coesione sociale. I temi della sostenibilità – in particolare per quanto ci riguarda del business sostenibile - e della responsabilità sociale dell’impresa sono ormai da tempo al centro del dibattito scientifico nel campo del diritto dell’impresa e del diritto societario e stanno ottenendo un progressivo riconoscimento, non solo a livello di codici di autodisciplina, ma anche sul piano normativo, sia in ambito eurounitario (la Direttiva 2014/95/UE sull’informazione non societaria e la Direttiva 2017/828/UE sui diritto degli azionisti), sia nell’ordinamento italiano (la disciplina delle società benefit e l’obbligo per le società di grandi dimensioni di pubblicare una dichiarazione sulle informazioni a carattere non finanziarie), sia in altri ordinamenti europei (Francia, Inghilterra).Recentemente, in particolare, registriamo due direttive della UE che attengono alla redazione del bilancio societario (cd. Corporate Sustainability Reporting Directive (CSDR) 2021/0104 del 21 aprile 2021), ora arricchito dalle informazioni non finanziarie (Corporate Sustainability Due Diligence del 23 febbraio 2022, COM (2022) 71 final, 2022/0051), e all’obbligo di vigilanza, che incombe sui vertici societari.

[17] Nella dottrina italiana, a quanto mi risulta, soltanto G. D’ATTORRE ha posto il problema in Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi, 13 aprile 2021. Nel diritto comparato, T. LINN, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit. e, su un piano più generale, K. BUHMANN, Power, Procedure, Participation and Legitimacy in Global Sustainability Norms: A Theory of Collaborative Regulation, London-New York, Routledge, 2017.

[18] Mi riferisco al d.l. 118/2021 dove a più riprese utilizza questo criterio.

[19] Per le classificazioni dei procedimenti si rinvia al par. 3.

[20] Per una lucida critica al primato dei creditori si rinvia a F. DI MARZIO, Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, 19 ss.

[21] Per “Stakeholder” si intende – B. WESSELS – S. MADAUS, Rescue of business in insolvency law, Instrument of European Law Institute, 2017, 73, leggibile in https://ssrn.com/abstract=3032309 – qualsiasi soggetto i cui diritti o interessi sono interessati direttamente o indirettamente da procedure di insolvenza o ristrutturazione, motivo per cui potrebbe dover essere coinvolta ai sensi delle leggi sull'insolvenza e sulla ristrutturazione.

[22] D’obbligo è il rinvio al premio Nobel per l’economia M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to Increase Its Profits, in The New York Times Magazine, 13 September 1970, Available online: https://www.nytimes.com/1970/09/13/archives/a-friedman-doctrine-the-social-responsibility-of-business- is-to.html. Secondo la tesi di Friedman (shareholder-based view), gli amministratori ricevono la loro investitura dal soggetto economico, per cui ogni loro iniziativa che si discosti dall’obbiettivo di generare utile per i soci, costituisce inosservanza al mandato ricevuto. In contrapposizione – pur presentando alcune complementarità (C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 8) - a questa impostazione si pone la c.d. stakeholder teory di Freeman per la quale rinvio alla nota 21. In ogni caso l’approccio stakeholder non esclude il perseguimento dell’utile per i soci perché la produzione di reddito è condizione dell’equilibrio economico. Soltanto secondo quest’ultima tesi si deve tener conto delle aspettative dei diversi portatori di interesse.

[23] Geoffrey P. Lantos (2001),The Boundaries of Strategic Corporate Social Responsibility, in Journal of Consumer Marketing, 2001, 18(7):595-630.

[24] Su questa linea una società può essere inquadrata come “commons”. Per una chiara spiegazione v. S. DEAKIN, The Corporation as Commons: Rethinking Property Rights, Governance and Sustainability in the Business Enterprise, leggibile in https://journal.queenslaw.ca/sites/qljwww/files/Issues/Vol%2037%20i2/1.%20Deakin.pdf.

[25] R. E. FREEMAN, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge University Press, Cambridge, 1984, per il quale le imprese non debbano limitarsi al soddisfacimento dei soli azionisti “e alla massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di più stakeholder cercando di soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento efficiente dell’attività economica. Sul tema del confronto, nel momento della crisi, con tutti i portatori di interessi, si segnala la Direttiva 2019/1023 che al Considerando 10 sollecita in tal senso affermando che: “Tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi. Tale dialogo dovrebbe riguardare la scelta delle misure previste in relazione agli obiettivi dell’operazione di ristrutturazione, come pure sulle opzioni alternative, e dovrebbero garantire l’adeguata partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori come previsto dal diritto dell’Unione e nazionale”.

[26] Tra la vasta letteratura, v. V. BUONOCORE, Impresa (Diritto privato), in Enciclopedia del diritto. Annali I, Milano, 2007, 765; U. TOMBARI, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 36 ss.; La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. CASTELLANETA e F. VESSIA, Napoli, 2019; G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss.; ID., Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi, 13 aprile 2021;F. PERRINI, Responsabilità sociale dell’impresa e finanza etica, EGEA, Milano, 2003.; S. ZAMAGNI, L’ancoraggio etico della Responsabilità Sociale d’Impresa e la critica alla RSI, Working Paper n. 1, Dip. di scienze economiche, Università di Bologna, ottobre 2004; M. LIBERTINI, Economia sociale di mercato e responsabilità sociale dell'impresa, in Rivista ODC, 2013, fasc.3; ID., Impresa e finalita' sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilita' sociale d'impresa, in Riv.soc., 2009, 1 ss.; R. PESSI, La responsabilità sociale dell’impresa, in Riv.dir.sic.soc., 2011, 1 ss.; V. DI CATALDO e P. M. SANFILIPPO, (a cura di), La Responsabilità Sociale d’Impresa, Torino, 2013, p. 9 ss.; M. STELLA RICHTER JR., Corporate Social Responsibility, Social Enterprise, Benefit Corporation: magia delle parole?, in Vita not., 2017, p. 953 ss.

[27] C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 8.

[28] Sugli effetti del Covid-19 sul Sistema economico e sulla solvibilità delle imprese, Le procedure concorsuali dopo la crisi Covid-19, Assonime, Circolare 8/2021. MARK. R. KRAMER (Coronavirus is putting Corporate Social responsability to the Test, Harvard Business Revue, 2 Aprile 2020, disponibile online: https://hbr.org/2020/04/coronavirus-is-putting-corporate-social-responsibility-to-the-test) scriveva che “Coronavirus is putting Corporate Social Responsability to the Test”, volendo con ciò indicare che le imprese sono chiamate a ripensare ai propri obiettivi (purposes) sociali e ambientali.

[29] Da ultimo V. FERRANTE, Perché anche i managers devono tornare a scuola, di sostenibilità, in Ipsoa Quotidiano, 6 agosto 2022. La promozione della RSI è stata considerata importante anche nella strategia Europa 2020. Nella sua politica dell'innovazione, la Commissione europea (COM (2010) 2020, 8, 10 e 15) ha dichiarato di lavorare, tra l'altro, per sviluppare un'agenda di ricerca incentrata su sfide quali il cambiamento climatico, l'efficienza delle risorse, metodi di produzione e gestione del territorio rispettosi dell'ambiente.

[30] Risalgono al 1995 l’European Business Declaration against Social Exclusion e il Forum europeo multistakeholder sulla RSI, che posero le premesse per il Libro Verde della Commissione Europea nel 2001. Successivamente il tema della RSI è stato inserito nell’Agenda sociale europea, nella strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile e nella Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale fino a quando, nel 2006, la Commissione Europea ha prima promosso l’Alleanza europea per la responsabilità sociale d’impresa e poi redatto la comunicazione del 2011.Attualmente, la strategia dell’Unione Europea in materia di RSI si basa sulle indicazioni contenute all’interno della Strategia Europa 2020. Per una efficace sintesi degli interventi per la RSI compiuti in sede di UE v. C. CERRI, Evoluzione e nuove prospettive della responsabilità sociale di impresa, in Pandorarivista, 15 giugno 2021. Per un’analisi della politica di promozione della responsabilità sociale d’impresa nel contesto dell’Unione europea, ex multis, v. D. RUSSO, La promozione della responsabilità sociale d'impresa nell'Unione europea, in Dir. Un. eur., 2011/2; A. DI PASCALE, La responsabilità sociale dell’impresa nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2010; M. CASTELLANETA, La promozione dello sviluppo sostenibile e la responsabilità sociale di impresa, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, Napoli, 2009; A. LATINO, La responsabilità sociale d’impresa quale strumento di tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro dell’Unione, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, cit.; A. PERFETTI, La promozione della responsabilità sociale di impresa nel quadro dell’Unione, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, cit.; A. ANTONUCCI, La responsabilità sociale d’impresa, in Studi in onore di Vincenzo Storace, Napoli, Editoriale scientifica, 2008, p. 1645 ss.

[31] J. ELKINGTON, The Triple Bottom Line, in Cannibals with forks, Capstone Publishing Limited, Oxford, 1997, 69 ss.; ID., Enter the triple bottom Line, in A. HENRIQUES and J. RICHARDSON, The triple bottom line, dose it all add up?, Assessing the sustainability of Business and CSR, Earthscan, London, 2004, 1 ss.

[32] Lo stakeholder engagement è – C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 69 - “il processo che l’impresa compie per coinvolgere i portatori di interesse nelle proprie attività e nei processi decisionali, e costituisce un driver fondamentale per il successo dell’implementazione dei modelli di business e per il raggiungimento dei risultati prefissati. (…) L’importanza dello stakeholder engagement nella sostenibilità si manifesta in quanto il coinvolgimento e il dialogo favoriscono la legittimazione delle azioni dell’impresa e una migliore comprensione dell’impatto e delle opinioni che queste generano all’esterno.”

[33] E. LOCKE, The myths of behavior mod in organization, Academy of Management Review, 1997, 3: 594–601. Nonostante l’evoluzione del management aziendale la regola continua ad essere estremamente attuale.

[34] V. BUONOCORE, voce Impresa (Diritto privato), in Enc dir. Annali I, Milano, 2007, p. 765.

[35] G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, cit., 77.

[36] Sta riemergendo il valore della solidarietà, - come pratica che mette al centro i diritti sociali - di contributi non egoistici, fondamentali nella gestione aziendale (S. RODOTA’, Solidarietà: un’utopia necessaria, Bari, 2014).

[37] Con questo termine ci si riferisce a quel reticolato di relazioni, all’insieme di “produttori, fornitori, sindacati, organizzazioni internazionali, istituzioni nazionali e locali, cittadinanza attiva, lavoratori, dirigenti, proprietari o shareholders, consumatori ecc” che compongono una sorta di platea potenzialmente sempre attenta alle mosse che l’impresa fa e a quanto si impegna per la salvaguardia del bene comune e il rispetto delle normative vigenti. Un approccio multi-stakeholder implica che coloro che agiscono nell’interesse della società dovranno valutare attentamente l’impatto delle loro decisioni non solo sul valore che riescono a generare per l’azionista, ma anche sugli interessi degli altri soggetti coinvolti nella gestione (Fondazione Luca Pacioli-centro Studi Telos-Etica ed Economia, La responsabilità sociale d’impresa, leggibile in https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/aree-tematiche/pac/ET_RSI_%20ETICA.pdf).

[38] K. BAUER e J. KRASODOMSKA, The premises for Corporate Social Responsibility in Insolvency Proceedings, in M. ROJEK-NOWOSIELSKA (a cura di), Social Responsibility of Organizations Directions of Changes, Research Paper della Wrocław University of Economics, n. 387, Publishing House of Wrocław University of Economics Wrocław, 2015, p. 20-21 ss.; T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 216; G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv.dir.civ., 2021, 60.

[39] Queste classificazioni si rinvengono nel lavoro di T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 215.

[40] Per alcune riflessioni e citazioni sul tema della liquidazione nel fallimento rinvio al mio scritto La liquidazione dell’attivo con particolare riferimento all’azienda, in Riv.dir.fall., 2016, 1 ss.

[41] Sulla liquidazione giudiziale v. S. PACCHI, in S. PACCHI - S. AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, in corso di stampa.

[42] Sulla delicata problematica della gestione dei problemi ambientali causati dall’impresa in procedura v. gli interessanti scritti di G. CAPOBIANCO, Costi ambientali e procedura fallimentare, tra interessi collettivi e tutela creditoria, in Riv.dir.fall., 2021, e La responsabilità della curatela fallimentare per omessa bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi inquinati, ivi, 2022. In ambito comparato v. T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 216; O. E. CONTRERAS-PACHECO, L. H. TALERO-SARMIENTO e L. Y. ESCOBAR-RODRÍGUEZ, Sostenibilidad, stakeholders y crisis de empresa: un análisis estructurado de percepciones, Suma de negocios, 11(24), 64-72, Bogotà, Enero -Junio 2020.

[43] Come è stato scritto (G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, cit.) “trattandosi di interessi e di diritti che fanno tutti parte di un tessuto normativo in cui devono convivere e nel quale ciascuno può limitare la portata dell’altro, il contemperamento tra gli stessi deve essere attuato in base ad un giudizio di bilanciamento, secondo una tecnica interpretativa da tempo utilizzata dalla nostra Corte Costituzionale”. Vedi, ad esempio, Corte Cost., 28 novembre 2012, 264; Corte Cost., 9 maggio 2013, n. 85.

[44] T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 225.

[45] Sull’analisi e previsione da condurre sul piano v. le osservazioni di S. MADAUS (On Decision-Making in Rescue Cases: Why Creditors and Shareholders Should Decide About a Rescue Plan, in B. Santen e D. Van Offeren (a cura di), Perspectives on International Insolvency Law. A Tribute to Bob Wessels, Kluwer Law, 2014, 216, 226, leggibile in SSRN: https://ssrn.com/abstract=2648853): “A rescue plan proposal is comprised of an analysis and a prediction. The analysis explains the current state of the business, thereby portraying where things went wrong for an insolvent company. Based on these assumptions, the plan proposes the measures required to turn the business around. It is at this point that uncertainty often arises as the proposed measures cannot guarantee success. It is the prediction of future business developments that thus sells every rescue plan proposal”.

[46] B. ARMELI, Insolvenza, ristrutturazione e sgravio dei debiti: la proposta di Direttiva, in www.ilfallimentarista.it, 16 maggio 2017; L. PANZANI, La proposta di Direttiva della Commissione UE: early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fall., 2017, 2, p. 129 ss.; A. PELLEGATTA, Verso una nuova direttiva europea in tema di restructuring e insolvency, in www.ilcaso.it, 15 marzo 2017; L.STANGHELLINI, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fall., 2017, 8-9, p. 873 ss.; S. PACCHI, La ristrutturazione dell’impresa come strumento
per la continuità nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023,
in Riv.dir.fall., 2019, I, 1259 ss. Da ultimo sull’impatto della Direttiva Insolvency sul nostro diritto concorsuale, v. P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2 gennaio 2022.

[47] F. APRILE, Note sparse in tema di interesse dei creditori e tutela dei posti di lavoro nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi, 28 luglio 2022.

[48] F. VELLA, Introduzione a FONDAZIONE UNIPOLIS, La partecipazione dei lavoratori nelle imprese, Bologna, 2017, 9. Sulle modalità di coinvolgimento virtuoso dei vari Stakeholders cfr. L. STANGHELLINI, R. MOKAL, C.G. PAULUS, I. TIRADO, Best practices in European Restructuring, Milano, 201 .

[49] Sul punto si sofferma anche T. LINNA, op.cit., 230.

[50] A mio avviso, ha inciso anche per quanto riguarda la scelta tra Absolute o relative priority rule Limitandomi a citare gli ultimi scritti sul tema usciti in attesa del recepimento della Direttiva Insolvency: G. BALLERINI, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625; G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022; G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in www.dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022; S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 7 gennaio 2022.

[51] G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, cit., 78.

[52] Scarsissima la letteratura giuridica italiana sul tema. Di, recente E. Pagani, Il Workers buyout quale possibile strumento di risoluzione della crisi della piccola e media impresa italiana, in www.ilcaso.it, 1° ottobre 2020; S. PACCHI, Una possibile alternativa per la continuità indiretta: l’acquisto dell’azienda da parte dei lavoratori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 giugno 2021. Inoltre, su aspetti più specifici: M.C. Cataudella, Workers buyout e soci lavoratori di cooperativa, in G. Zilio Grandi-M. Biasi (a cura di), Commentario breve alla riforma Jobs Act, Padova, 2016, pp. 437-450; A. Bernardi-S. Monni, The co-operative firm. Keywords, Roma, Tre-Press, 2016; M. Vieta, The Italian Road to Creating Worker Cooperatives from Worker Buyouts: Italy’s Worker-Recuperated Enterprises and the Legge Marcora Framework, Euricse Working Paper n. 78, 2015. Per la ricca letteratura sul fenomeno de las empresas recuperadas rinvio al mio scritto sopra citato.

[53] F. Vella, Introduzione a Fondazione Unipolis, La partecipazione dei lavoratori nelle imprese, Bologna, 2017, 9.

[54] P. De Micheli-S. Imbruglia-A. Misiani, Se chiudi ti compro. Le imprese rigenerate dai lavoratori, Firenze, 2017.

[55] G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, cit., 2.

[56] A fondamento di questa considerazione può essere assunto l’art. 41 Cost. là dove riconosce che “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In questo senso anche G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, cit., p. 77.

[57] Per i Romani i limites o termini erano le pietre squadrate usate per indicare i confini ed erano considerate sacre, tanto che se a qualcuno fosse venuto in mente di spostarle doveva sapere che avrebbe commesso un delitto e, dunque, sarebbe stato perseguibile. Godevano, queste pietre, della protezione di Terminus, (uno degli epiteti di Iuppiter/Giove come protettore di ogni diritto e di ogni impegno), l’unico ad avere il proprio luogo di culto in Campidoglio nel tempio dedicato appunto a Iuppiter Optimus Maximus, al cui interno, sul tetto, era stata praticata un’apertura a forma circolare in modo che il “dio dei confini” sia fisici che spirituali, posto a guardia del mondo materiale e di quello spirituale, potesse estendere il proprio potere sull’Universo e ricordare che la “forza del limite” era destinata a espandersi anche nel mondo dell’iperuranio, oltre la volta celeste.

[58] Il riferimento è a T. PADOA-SCHIOPPA, La veduta corta, Bologna, 2009, che, commentando la crisi di quegli anni si dichiarava convinto che “la radice più profonda della crisi in atto sia ‘la veduta corta di una spanna’ l’accorciarsi dell’orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione, delle imprese, delle stesse famiglie”.

[59] F. DENOZZA, F. DENOZZA, Rendere lo sviluppo sostenibile e democratico, in D. CATERINO – I. INGRAVALLO (a cura di), L’impresa sostenibile, Euriconv, Lecce, 2020, 38.

[60] A. F. URICCHIO, Sostenibilità e politiche fiscali incentivanti, in D. CATERINO – I. INGRAVALLO (a cura di), L’impresa sostenibile, Euriconv, Lecce, 2020, 38.