Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Codice della crisi: le categorie del disagio e la responsabilizzazione dell'imprenditore (un'introduzione)*


Alberto Jorio

Data pubblicazione
21 settembre 2022

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Sommario: 1. Le categorie del disagio – 2. La responsabilizzazione dell’imprenditore


1. Le categorie del disagio

Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha finalmente visto la luce dopo un periodo di gestazione e di ripensamenti che potrebbe apparire eccessivamente lungo, ma che in verità si è reso indispensabile per consentire scelte meditate in una materia che risulta oggi regolata, nella sua parte più significativa, con disposizioni del tutto nuove, frutto di un’impostazione metodologica assai distante non soltanto da quella sottesa alla precedente disciplina, ma anche dall’indirizzo che aveva preso la riforma con i decreti 12 gennaio 2019, n. 14 e 26 ottobre 2020, n. 147.

Ci siamo dunque lasciati alle spalle un affannoso periodo di correzioni e di innesti su un corpo normativo disegnato dai decreti del 2005 – 2006. Decreti che erano stati a loro volta improntati al principio di autonomia: autonomia del debitore e dei creditori di scegliere, nelle soluzioni concordate, quella ritenuta più consona ai loro rispettivi interessi; autonomia del curatore nei confronti del giudice nel gestire la liquidazione giudiziale, con un seppur illusorio conferimento di larghi poteri al comitato dei creditori, autonomia dei creditori, attraverso il comitato, nelle scelte di merito nella liquidazione giudiziale[1].

Il periodo di vigenza dei decreti 2005 – 2006 era stato relativamente breve, e per di più caratterizzato purtroppo da frequenti abusi. L’oscillazione del pendolo, con la serie di disposizioni degli anni successivi, aveva diffuso la sensazione di un progressivo ritorno al passato.

L’irruzione nell’immaginario collettivo della prevenzione e dell’allerta è stata come un’illuminazione: ha imposto un nuovo, prioritario obiettivo, rendendo superate le concezioni che avevano sino ad allora governato le regole sulla crisi e sull’insolvenza[2].

Che strano fenomeno l’ingresso della prevenzione nel nostro ordinamento! Per decenni non se ne era voluto neppure sentir parlare, quasi si trattasse di una medicina sbagliata, diretta ad aggravare, anziché a guarire, i malanni dell’imprenditore in crisi. E la disciplina degli assetti organizzativi, di recente introduzione, non andava oltre la regolamentazione della fisiologia dell’impresa[3].

Poi, quasi all’improvviso, le regole internazionali e dell’Unione europea hanno rotto il velo dell’oblio: allerta e prevenzione sono divenute i cardini di una disciplina del tutto nuova, e con esse la necessità di distinguere tra crisi e insolvenza, di scavare, se così si può dire, nel concetto di insolvenza, di costruire modalità inedite di approccio alle difficoltà dell’impresa, di rivedere in termini altrettanto nuovi la scala dei valori e le priorità di intervento.

Come è noto, il percorso non è stato lineare. La gestione della crisi attraverso gli OCRI aveva denotato un revival di visione autoritaria, anche umanamente comprensibile se si pensa all’impostazione di alcuni autorevoli componenti della commissione che se ne è occupata, ma non in linea con il trend della prima commissione Rordorf[4]. Ed invece un vero e proprio coniglio dal cappello è stato tratto dalla commissione che ha dato vita al decreto 118/2021 e quindi alla composizione negoziata, destinata a costituire il caposaldo sul quale si regge ora la parte più innovativa del Codice [5].

Le nuove regole del CCII sono dettate dall’esigenza di sintonia con la Direttiva Insolvency. Ma allorché la Direttiva indica nelle imprese in crisi imprese economicamente sane ma afflitte da problemi finanziari e allorché distingue le imprese economicamente sane, e quindi meritevoli di essere soccorse, rispetto alle imprese insolventi, in quanto tali destinate ad essere gestite da un amministratore nominato dal tribunale per essere liquidate, ponendo così quale obiettivo primario il “to avoid insolvency”, mi pare che il tema richieda alcune precisazioni.

Le difficoltà dell’impresa hanno, come è noto, diversi gradi di intensità. Lo stato di crisi riguarda imprese che, seppure con preoccupanti ritardi, riescono ancora a far fronte alle obbligazioni. Se non vi riuscissero sarebbero insolventi.

Può essere che queste imprese riescano, con adeguati interventi su struttura e business, a recuperare il necessario equilibrio, il che significa essere più puntuali nei pagamenti. Ma per raggiungere questo obiettivo esse necessitano di un ombrello protettivo e di un accordo con i creditori. Ciò a fronte di una diminuzione, più o meno marcata e comunque temporanea, dell’autonomia imprenditoriale.

Mi pare tuttavia che l’impresa meritevole di aiuto senza dover necessariamente ricorrere alle procedure concorsuali non sia soltanto l’impresa economicamente sana e in difficoltà finanziarie, ma anche, e mi azzarderei a dire per lo più, l’impresa che ha, o ha incominciato ad avere, problemi strutturali, economici e di business, dei quali le carenze finanziarie costituiscono non di rado una conseguenza, problemi ai quali può essere posto rimedio mediante una cura appropriata, che veda anche, come componente naturale, una diminuzione del peso finanziario attraverso un accordo con i creditori.

In altre parole, a mio avviso non bisogna essere restii a ritenere compreso nell’ambito di operatività della composizione negoziata il tentativo di soluzione dei problemi di un’impresa che siano più gravi di quelli riconducibili alla mera sfera delle difficoltà finanziarie. E ciò perché il concetto di crisi è sinonimo di una malattia che può aver già iniziato ad intaccare i gangli vitali dell’impresa. La distinzione posta dalla Direttiva Insolvency tra imprese economicamente sane seppur afflitte da problemi finanziari, e imprese insolventi, destinate alla liquidazione, può quindi apparire un po’ riduttiva, e mi azzarderei a definirla misleading.

Ma la riflessione tocca a questo punto anche il concetto di insolvenza[6], che presenta diverse e rilevanti sfaccettature, non ultima quella della reversibilità, della quale ci si è accorti un po’ tardi nella formulazione delle nuove regole, ma che esisteva peraltro ab immemorabile.

L’iniziale avversione ad ammettere, per l’imprenditore impossibilitato a far fronte ai pagamenti con mezzi propri o con altri regolarmente recuperabili sul mercato del credito, e quindi all’imprenditore insolvente, la possibilità di accedere alla composizione della crisi (che crisi tecnicamente non è, bensì insolvenza, almeno per il giurista), può ritenersi ormai superata dal riconoscimento della insolvenza cosiddetta reversibile come categoria meritevole di regolamentazione volta al recupero della continuità.

L’insolvenza reversibile consiste nell’impossibilità ora rammentata, unita però alla ragionevole possibilità di superamento con la dimostrazione dell’idoneità di una adeguata ristrutturazione attraverso un piano di risanamento credibile, tale quindi da convincere i creditori ad accettare le dilazioni e le decurtazioni dei crediti proposte dal debitore[7].

Con l’abrogato istituto dell’amministrazione controllata la prospettiva formulata dal debitore comportava addirittura la promessa di pagamento integrale dei debiti alla fine del percorso (promessa destinata peraltro frequentemente ad essere poi sostituita da una proposta di concordato). Con l’insieme del decreto 118/2021, del successivo d. lgs 17 giugno 2022, n. 83 e con il Protocollo di conduzione della composizione negoziata questa prospettiva è più ragionevolmente coltivata con il tentativo di un accordo comportante un sacrificio richiesto ai creditori per concorrere al superamento delle difficoltà dell’imprenditore[8].

Possiamo allora azzardare di pensare all’esistenza di tre situazioni critiche considerate dal legislatore.

La prima è rappresentata dalla crisi, che l’art. 2 del CCII nell’ultima formulazione definisce come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, che si manifesta con diversi gradi di intensità, attraverso l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. L’imprenditore ancora capace di assolvere le proprie obbligazioni, ma con ritardi che denotano carenze di cassa, motivate da fattori estranei all’impresa o anche riconducibili a carenze intrinseche rimediabili. Un imprenditore che potremmo ritenere, con una notevole dose di buona volontà, ancora in bonis.

All’opposto sta la seconda categoria, consistente nell’insolvenza irrimediabile, riconducibile normalmente a fattori intrinsechi all’impresa e per la quale non vi sono rimedi diversi dalla liquidazione giudiziale.

La terza categoria, che idealmente si insinua tra le altre due, è contraddistinta da una impossibilità a far fronte alle obbligazioni, che tuttavia può essere superata attraverso una composizione negoziata che le apra la via ad un accordo o alle soluzioni previste dal CCII[9].  


2. La responsabilizzazione dell’imprenditore

La composizione negoziata è permeata da un forte profilo volontaristico: l’imprenditore è l’unico legittimato a dar corso al procedimento con la richiesta di nomina dell’esperto. Qui sta una sorta di scommessa del nostro legislatore che l’imprenditore in difficoltà sia in grado di muoversi tempestivamente, prima che la situazione degeneri e le difficoltà divengano insormontabili e quindi ingestibili.

Perché questo atteggiamento sia sufficientemente diffuso occorre a mio avviso un salto di qualità del quale, onestamente, non si può dire che sussistano oggi le avvisaglie. Ho già avuto occasione di esprimere le mie perplessità al riguardo[10], almeno con riferimento alla situazione diffusa delle piccole e medio-piccole imprese italiane. Un largo numero di queste imprese è a conduzione famigliare: nella stessa persona, che magari ha fondato l’impresa, si sommano i poteri dell’assemblea, che lo ha nominato amministratore e ha designato i sindaci. In questa concentrazione di poteri risiede il rischio che i segnali di allerta non siano avvertiti o interpretati tempestivamente nella loro effettiva gravità.

L’allerta esterna contenuta nelle regole istitutive degli OCRI, seppur impresentabili per il sentore paternalistico che le ispirava e per quella sensazione di piano inclinato verso la liquidazione giudiziale, che ne tradiva l’origine, aveva una sua ragion d’essere: la prospettiva di un colloquio con un magistrato esperto (e ce ne sono ormai tanti!) poteva avere un suo intrinseco significato.

É bene, tuttavia, vivere nel presente e prendere atto che l’allerta esterna è stata sostituita da un diverso sistema, la composizione negoziata, permeata di un tratto volontaristico. É stato in sostanza disegnato un altro percorso, al quale è auspicabile che il maggior numero di imprese si induca ad adattarsi. Le condizioni ci sono: il rispetto delle regole sugli adeguati assetti costituisce la premessa per la tempestiva percezione delle difficoltà alle quali far fronte con altrettanta tempestività.

“Tout se tient”, direbbero i nostri amici transalpini, se non fosse che i rimedi sanzionatori di fronte ad eventuali inadempienze nella cura degli assetti organizzativi risultano offuscati e resi sostanzialmente irrilevanti dalle nuove regole sulla responsabilità e sul risarcimento del danno in caso di liquidazione giudiziale[11].

Il nuovo codice pone in evidenza alcuni aspetti sopra gli altri.

Il primo è costituito dall’importanza primaria attribuita agli strumenti di superamento della crisi e dell’insolvenza, che giustamente precedono, anche nella rappresentazione dei vari istituti, quelli relativi alla liquidazione. Questa giusta sistemazione, che trova un precedente nel progetto di legge fallimentare predisposto dalla commissione Trevisanato 2[12], lungi dall’apparire di contorno, contribuisce a rovesciare il profilo tradizionale della legge del ’42, che indicava nel concordato e nell’amministrazione controllata discipline satelliti del fallimento, al quale occorreva far riferimento per ogni problema interpretativo.

Il secondo aspetto consiste nei tempi brevi entro i quali può operare l’ombrello protettivo: si tratta di una disposizione a dir poco rivoluzionaria, destinata ad incidere profondamente sulla fruizione degli strumenti di intervento per il salvataggio delle imprese.

Un terzo aspetto riguarda la scala dei valori meritevoli di tutela.

Le procedure concorsuali sono sempre state pensate come strumenti per la tutela primaria dei creditori. Ma da tempo, ormai, gli interessi degli stake holders alla continuità dell’impresa avevano assunto valenza primaria. Il best interest of creditors non è più il faro che illumina ogni soluzione. Ed è così che le soluzioni che prevedano la continuità vengono premiate sol che il risultato si prospetti per i creditori almeno equivalente a quello derivante dalla liquidazione giudiziale, e trovano spazio la relative priority rule, l’inefficacia delle clausole risolutive collegate all’avvio della procedura, i quorum agevolati per l’approvazione del concordato.

Non esiste, nel CCII, un momento nel quale il giudice possa valutare d’ufficio la convenienza della soluzione accettata dalla maggioranza dei creditori: il suo intervento è possibile solo a seguito della contestazione sollevata dal creditore. Piuttosto emerge il favore del legislatore verso l’ipotesi concordataria in continuità anche in assenza della maggioranza assoluta dei voti ammessi.

La nuova disciplina è complessa, forse eccessivamente complessa. Verrà probabilmente un momento nel quale si sentirà l’esigenza di semplificazione. Ciò vorrà dire che in quel momento nel nostro paese la diffusione della micro impresa avrà lasciato il campo a imprese più robuste, nelle quali sarà stata più netta la distinzione tra il capitale e la gestione, sarà stata prestata maggiore attenzione agli assetti organizzativi e contabili, la percezione degli accenni di crisi sarà stata più rapida, e di conseguenza il successo degli interventi di recupero delle imprese avrà raggiunto numeri più elevati. Vivremo, in sostanza, in un paese normale.      


* Queste brevi riflessioni sono destinate a costituire l’introduzione a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.

[1] Mi sia consentito rinviare ad alcuni dei miei appunti su questi temi: La parabola del concordato preventivo: dieci anni di riforme e controriforme, in Giur. comm., 2016, I, 15 ss.; Id., Su allerta e dintorni, ivi, 2016, I, 26 ss.; Id., Orizzonti prevedibili e orizzonti improbabili del diritto concorsuale, in Jorio e Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2017, vol. V, 1321 ss.; Id., La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Scritti in ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, II, 213 ss.

[2] Sui decreti 2005–2006 e i successivi interventi normativi v., per tutti, il volume collettaneo La nuova mini-riforma della legge fallimentare, a cura di Sandulli e D’Attorre, Torino, 2016; Fabiani, Le trasformazioni della legge fallimentare, in Foro it., 2005, V, 153 ss. Per un excursus storico v. anche Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, in AA.VV., Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber amicorum per Alberto Jorio, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2021, 969 ss.; Panzani, I limiti all’autonomia negoziale nella disciplina della crisi, ivi, 201 ss.; Ambrosini, Autonomia privata ed eterotutela dei creditori nelle soluzioni negoziate della crisi, ivi, 20 ss.; Fauceglia, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, ivi, 1125 ss. (pubblicato anche, con titolo diverso, in Giur. comm., 2021, I, 431 ss.); Paluchowski, I mutevoli orizzonti del diritto della crisi, in dirittodellacrisi.it, 14 giugno 2022; Jorio, Attività di impresa e gestione della crisi: breve storia degli interessi coinvolti, in Il nuovo diritto delle società, 2022, fasc. 3, 491 ss. Da ultimo, Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, 7 ss.

[3] Cfr., ex multis, sugli assetti che non trattano espressamente il tema della rilevanza degli assetti per evitare la crisi Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, 5 ss.; Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005. Oggi, complice la crisi economica, quello degli assetti è un filone di ricerca sul quale si sono cimentati un po’ tutti gli studiosi di diritto commerciale: dar conto di questa vasta letteratura sarebbe impossibile. Tra i lavori più recenti v. comunque, anche per riferimenti, Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgment rule: una questione di sistema, in AA.VV., Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, cit., 701 ss.; Fortunato, Assetti organizzativi e crisi d’impresa: una sintesi, ivi, 744 ss.; Id., Crisi d’impresa e assetti adeguati nella riforma Cartabia (partendo dal percorso culturale di Alberto Jorio), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 maggio 2022.

[4] Tra i primi commenti alla nuova disciplina, con visioni divergenti, cfr. Fabiani, La proposta della commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, in DDCI, Il diritto della crisi, 2 agosto 2021; Galletti, È arrivato il venticello della controriforma? Così è se vi pare, in Ilfallimentarista.it, 27 luglio 2021; Id., Breve storia di una (contro) riforma annunciata, ivi, 1 settembre 2021; Lamanna, Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata, ivi, 20 aprile 2022 e, se si vuole, Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma, saggio dedicato agli Studi in onore di Sabino Fortunato, e in Diritto della crisi,1 ottobre 2021; Id., Qualche ulteriore considerazione sul D. L. 118/2021 e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 1° dicembre 2021. E si vedano da ultimo, in questo volume, i saggi di Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), e Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva" (entrambi anticipati in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, rispettivamente il 17 luglio e il 21 luglio 2022).

[5] Sulla composizione negoziata i commenti sono stati e continuano ad essere numerosi. V., senza pretesa di completezza, Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del cci, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 901 ss.; GUIDOTTI, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2021; PACCHI, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, ivi, 2022; MINERVINI, Composizione negoziata, norme unionali e (nuovo) Codice della crisi, ivi, 2021; ID., La nuova “composizione negoziata” alla luce della direttiva “Insolvency”. Linee evolutive (extracodicistiche) dell’ordinamento concorsuale italiano, in Dir. fall., 2022, I, 251 ss.; SANTANGELI, Le finalità della composizione negoziata per le soluzioni della crisi d’impresa, in dirittodellacrisi.it, 2022; Cimolai, Le novità sulla composizione negoziata, in AA.VV., Studi sull’avvio del codice della crisi, Speciale riforma a cura di De Simone, Fabiani e Leuzzi, in dirittodellacrisi.it, settembre 2022, cui adde, in questo volume, i saggi di Russo, Il Giano bifronte della composizione negoziata: la circolazione dell’azienda tra nuovo dato legislativo e problemi irrisolti (anticipato su Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it il 5 agosto 2022), e Pernigotto, Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi: una ricognizione minima di questioni e possibili soluzioni.

[6] Su cui cfr., fra i contributi più recenti, Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in AA.VV., Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, cit., 72 ss.; Ambrosini, Diritto dell’impresa in crisi, Pisa, 2022 (il riferimento è al capitolo I, intitolato Crisi e insolvenza fra vecchio e nuovo ordinamento concorsuale).

[7] In un bel saggio Crisi e insolvenza dopo il codice della crisi, pubblicato in questo volume (e anticipato in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 agosto 2022), Paolo Bastia scrive: “La dottrina economica considera l’insolvenza, tipicamente, anche se non in via esclusiva, come la manifestazione finale della crisi dell’impresa, quindi irreversibile e non meritevole di ulteriore assorbimento di risorse, essendo il business in stato di decozione ed essendo perdute le condizioni di continuità aziendale” (…). L’insolvenza reversibile si presenta, (…) in circostanze rarefatte e interstiziali di imprese ancora sane e vitali dal punto di vista strategico e con modelli di business ancora coerenti, quindi competitive e forse in relativo equilibrio economico, che pur tuttavia presentano situazioni di insolvenza, ma non fatalmente definitiva. (…). Il fenomeno può trarre origine da criticità dovute alla mancata solvibilità, inattesa, della clientela, di clienti importanti, i cui ritardati o mancati pagamenti si ripercuotono con immediatezza sulla generazione di cassa dell’impresa fornitrice e sui suoi livelli di tesoreria. L’insolvenza, in questo caso, sorge pur in presenza di un equilibrio economico di fondo e di potenziali di competitività e di coerenza strategica del modello di business”. Ma quale semplice cultore del diritto, mi pare di poter insistere nel ritenere che l’insolvenza reversibile possa derivare anche da situazioni che hanno iniziato ad intaccare la struttura economica dell’impresa.

Condivisibili sono queste ulteriori osservazioni di Bastia: “L’insolvenza originata da fenomeni di mercato, di relazioni commerciali e di subalternità societaria o organizzativa, può confermarsi come reversibile qualora non si presentino altri fattori sfavorevoli: k) l’incapacità o impossibilità dell’impresa, divenuta insolvente per contagio, di rigenerare rapidamente un sufficiente autofinanziamento (cash flow); kk) una struttura finanziaria originariamente troppo fragile (prevalente indebitamento a breve, di elevata proporzione); kkk) un livello di sottocapitalizzazione strutturale, accompagnata da assenza o carenza di possibilità di urgente ricapitalizzazione.”

[8] “Se l’esperto ravvisa, diversamente dall’imprenditore, anche a seguito dei primi confronti con i creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata. Occorre però che l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l’apertura delle trattative, perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito. Si terrà conto del fatto che, a fronte (i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, (ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immettere nuove risorse, (iii) dell’assenza di valore del compendio aziendale, le probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque che in questi casi è inutile avviare le trattative. (così il “Test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento”. Cfr. il Documento allegato al decreto dirigenziale 28 settembre 2021, sez. III – Protocollo di conduzione della composizione negoziata 2.4). Su punto ancora Bastia, cit.: “Il protocollo, punto 2.4, reputa l’insolvenza reversibile - che non viene definita - come una condizione non preclusiva dell’avvio delle trattative da parte dell’esperto, se permangono credibili condizioni di perseguibilità del risanamento dell’impresa”.

[9] Di recente si è enucleata in dottrina una quarta categoria, denominata “pre-crisi” sulla scorta di quanto prevede l’art. 12 CCII, “definibile precisamente come condizione di squilibrio che rende probabile la crisi” (così Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall., 2022, I, 837 ss., richiamato e condiviso da Bastia, op. cit., 43). Sulla rilevanza delle fasi della crisi per individuare i comportamenti gestori dovuti v. Ricciardiello, La rilevanza delle fasi della crisi in punto di identificazione delle condotte doverose degli organi sociali (dalla twilight zone alla perdita di continuità aziendale, all’insolvenza e alla decozione), in AA.VV., Crisi d’impresa e responsabilità nelle società di capitali, a cura di Balestra e Martino, Milano, 2022, 59 ss.

[10] Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, cit., 409 ss.; Id., Riflettendo sul pensiero di Francesco Vassalli e sull'imperscrutabile futuro per le soluzioni concordate delle crisi d'impresa, in Giur. comm., 2021, I, 1025 ss.

[11] Mi si consenta di rinviare alle considerazioni svolte in Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Studi in onore di Paolo Montalenti, di prossima pubblicazione, ma anticipato in Giur. comm., 2021, I, 821 ss., dove osservo che la nuova regola di misurazione del danno risarcibile stabilita dal comma 3° dell’art 2486 c.c., a seguito dell’introduzione dell’art 378 CCII comporta normalmente, con l’utilizzo della regola della differenza tra i saldi patrimoniali, la richiesta di importi talmente elevati da assorbire qualsiasi ulteriore richiesta risarcitoria (sostanzialmente ininfluente in sede transattiva), fatta salva, forse, la responsabilità di soggetti non apicali nella gestione, ma che avrebbero potuto e dovuto verificare le carenze degli assetti. Sul tema possono consultarsi anche Dimundo, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, Milano, 2019, passim e, da ultimo, Ambrosini, Doveri degli amministratori di s.p.a., Business Judgment Rule e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in Trattato delle società, diretto da Donativi, III, Milano, 2022, 2060 ss.

[12] Sulla quale v. Jorio e Fortunato (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali. I progetti, Milano, 2004.