Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Concessione abusiva di credito e risarcimento del danno da violazione di norme di condotta


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Articolo

Le “pluri-responsabilità” connesse e collegate di organi sociali delle partecipate e degli amministratori e dirigenti degli enti pubblici soci nella evoluzione della giurisprudenza*


Francesco Fimmanò

Data pubblicazione
07 dicembre 2022

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Sommario: 1. La interpretazione evolutiva dell’art. 12 TUSP nella più recente giurisprudenza della Cassazione; - 2. La questione della concorrenza e della sovrapponibilità delle diverse azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali delle partecipate e delle azioni connesse e collegate; - 3. La ratio della nuova sistemazione delle “pluri-responsabilità” da mala gestio, riproduttiva delle regole di diritto comune adattate alla fattispecie; - 4. La possibilità di pervenire al medesimo risultato complessivo delineato dalla Cassazione già prima del TUSP sulla base delle regole del diritto delle società.


1. La interpretazione evolutiva dell’art. 12 TUSP nella più recente giurisprudenza della Cassazione.

Da molti anni è emerso in modo chiaro che il tema della “mala gestio” delle partecipate pubbliche è molto più complesso ed articolato di quello che involge le normali società di capitali in quanto riguarda il diffuso abuso della personalità giuridica, talora meramente funzionale agli interessi dell’ente pubblico, anche quando siano rivolti ai bisogni della collettività. E’ ben noto tuttavia che negli ultimi anni l’ampio dibattito ha riguardato soprattutto le partecipate affidatarie dei servizi pubblici locali in house providing, cui è infatti dedicato nel testo unico un corpus normativo ad hoc. Ed invero la genesi di questo fenomeno (e delle complesse questioni poste dallo stesso) non è certo legata a ragioni di efficacia del modello gestionale, ma esclusivamente alla degenerazione di metodi di organizzazione del comparto, originata sovente dal mero malcostume.

Nella fenomenologia in esame ci troviamo sempre di fronte a società di diritto comune[1], in cui pubblico non è l’ente partecipato bensì il soggetto, o i soggetti, che vi partecipano e nella quale, perciò, la disciplina pubblicistica che regola il contegno del socio e quella privatistica che regola il funzionamento della società convivono (anche per quanto concerne le pluriresponsabilità da cattiva gestione in violazione ai criteri di corretta gestione imprenditoriale). In ogni caso, l’interesse che fa capo al socio pubblico si configura come di rilievo esclusivamente extra sociale. Il rapporto tra società ed ente è in astratto di assoluta autonomia non essendo consentito al secondo di incidere unilateralmente sull’attività della società mediante poteri autoritativi, ma solo avvalendosi (in modo corretto o meno) degli strumenti previsti dal diritto societario[2]. Si tenga conto che nell’ordinamento si può abusare solo di una situazione soggettiva attiva di cui si può fare uso, “ossia di una situazione di cui si è titolari (per effetto del controllo, nelle sue varie accezioni) e che si estrinseca in diritti o poteri o facoltà. Se non c’è questa posizione attiva non c’è abuso, c’è fatto illecito[3].

Orbene una recente sentenza a sezioni unite della Cassazione[4] interviene per la prima volta in modo diretto sulla interpretazione delle disposizioni di cui all’art. 12 TUSP in materia di responsabilità nelle società partecipate non quotate[5] e per l’effetto sulla relativa giurisdizione offrendo un quadro nuovo dell’assetto complessivo delle responsabilità degli organi sociali e degli amministratori (e dirigenti) degli enti pubblici soci di “società partecipate”, in qualche modo coinvolti nella cattiva gestione delle stesse alla luce del Testo Unico (TUSP).

 Un quadro in cui le azioni civili e quelle contabili sono ritenute concorrenti, intesecandosi e sovrapponendosi in una dinamica in cui il diritto comune viene emulato dal diritto speciale in modo da coprire tutto lo spettro dei soggetti che hanno preso in qualche modo parte al fatto lesivo.

La Cassazione dopo aver premesso infatti che la fattispecie delle società in house providing non è l’unica ipotesi di responsabilità contabile[6], afferma che la proposizione principale introduttiva della nozione di danno erariale contenuta nella norma, per la sua ampiezza (il danno ... subito dagli enti partecipanti), non duplica la previsione del comma 1, occupandosi piuttosto di censire la responsabilità di chi, dal lato dell’ente partecipante, abbia agito in termini di causazione del pregiudizio e così tipizzando, a titolo meramente esemplificativo, coloro che hanno mal gestito la partecipazione dall’interno della società partecipata, determinando in modo diretto o condizionando un cattivo utilizzo delle prerogative di socio dell’ente pubblico.

Tuttavia al contempo la ricomprensione di siffatta specie di danno (conseguente alla condotta dei rappresentanti o titolari del potere di decisione) non preclude la natura più ampia ed infatti generale della descritta proposizione principale, nettamente scolpita nell’affermazione per cui costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti. In tali termini, la responsabilità viene definita solo in senso oggettivo (con riguardo al danno), lasciando impregiudicata la selezione soggettiva di chi, diverso dai rappresentanti e decisori di cui all’inciso, “abbia comunque assunto, ma nell’ente pubblico partecipante (o in una relazione di servizio con esso), una condotta connessa ad attività della società partecipata e causativa in modo diretto del danno all’ente pubblico medesimo”.

La rubrica della disposizione intitola la norma alla responsabilità sia dei componenti degli organi sia degli enti partecipanti delle società partecipate. Il comma 1, poi, dopo aver statuito che “I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”, devolve alla Corte dei Conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.

A sua volta il comma 2 recita, a mera specificazione del principio enunciato al comma 1, che “costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione”.Per il Supremo consessosi tratta cioè di una norma che ha assunto una portata di chiarimento laddove, individuando una peculiare condotta (quella dei rappresentanti degli enti pubblici nel capitale o di coloro che possono comunque assumere decisioni gestorie inerenti alla stessa partecipazione), ne descrive la matrice di responsabilità pubblicistica aggiungendo, “a valore ricognitivo-interpretativo”, una mera fattispecie di tipicità organizzativa e dunque fugando ogni astratto dubbio “classificatorio”.

Per le Sezioni Unite l’ampia formulazione della rubrica dell’art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate) ed il mancato richiamo nel comma 2 alla vicenda del danno erariale risalente a condotte degli amministratori e dipendenti delle società in house di cui al comma 1, non lasciano spazio ad una interpretazione sostanzialmente abrogatrice della regola generale in tema di casi e limiti della responsabilità contabile ai sensi della L. 14 gennaio 1994, n. 20; anche a volerne ritagliare la portata al solo campo delle società a capitale pubblico, la prospettiva eccepita significherebbe infatti che, al di fuori delle società in house, sarebbe sempre, per principio normativo, assente la possibilità di configurare un danno erariale diretto all’ente pubblico partecipante, “a prescindere dalla vicenda del titolo di affidamento di un eventuale servizio pubblico o sostegno finanziario assicurato alla società partecipata e della natura pubblica delle risorse (malamente) utilizzate, così irragionevolmente limitando il nesso di collegamento della responsabilità erariale ai soli canoni dell’agire della pubblica amministrazione per il tramite di una società in house providing”.

Il TUSP, proprio occupandosi della relazione tra ente pubblico e mere società a partecipazione pubblica, devolve la giurisdizione alla Corte dei Conti nei limiti della quota di partecipazione pubblica, in ciò confermandola (per il rinvio dell’art. 12, secondo periodo al comma 2) già per definizione e ben oltre il campo delle società in house, così abbracciando anche un’estensione del danno patrimoniale o non patrimoniale in senso diverso da quello restrittivo prospettato nella sentenza impugnata oggetto della decisione[7].

Gli stessi principi sorreggono, secondo la Cassazione, la sussistenza della giurisdizione contabile invocabile per “danno diretto” subito da regione e provincia a causa dell’operato dei propri amministratori (assessori e consiglieri). Alla rispettiva responsabilità si attagliano le disposizioni speciali dell’art. 71, D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118[8] e dell’art. 1, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (quanto al personale e agli amministratori della provincia), norme con identico richiamo al perimetro dei casi e limiti della L. 14 gennaio 1994, n. 20 (ove si applica ai dipendenti delle amministrazioni statali).

Nella fattispecie concreta, i fatti rientranti nella responsabilità ascritta attengono alla illegittimità degli atti di sostegno finanziario adottati in favore della partecipata, ma al di fuori delle condizioni di concedibilità, dunque in astratto sindacabili perché irrazionali, illogici ed incongruenti rispetto ai fini pubblici[9]. In tal caso la giurisdizione della Corte dei Conti sussiste allorché il rimprovero mosso agli incolpati concerne l’omessa attivazione dei poteri loro attribuiti dalla legge al fine di evitare o contenere il danno provocato al pubblico erario[10].

Posto che, come visto, nessuna valenza assorbente è propria del citato art. 12, comma 1 e 2 rispetto alla comune responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, il concorso di norme che ne scaturisce, fondando la duplice possibilità di assoggettamento alle diverse azioni di responsabilità (civilistica e contabile), nemmeno risulta circoscritto, nello specifico, con riguardo alle fattispecie delle società partecipate da enti pubblici.

Il titolo per il quale, nel caso de quo, amministratori locali risultano evocati in causa non ha alcuna attinenza né con il voto, né con il pregiudizio al valore della partecipazione, né con il ruolo da essi svolto, che non era quello di rappresentare il socio pubblico di capitale o di decidere per tale socio ma quello di impersonare la volontà dell’ente pubblico, come tale avendo riguardo all’interesse pubblico, nelle sue prerogative istituzionali esterne rispetto agli atti endosocietari del soggetto partecipato[11]. I predetti soggetti sono stati chiamati in causa dal Procuratore contabile proprio in quanto amministratori e consiglieri degli enti pubblici, per atti (le delibere giuntali e di consiglio) adottati con efficacia esterna rispetto all’ente e malamente indirizzate, nei contenuti attributivi di risorse pubbliche e a beneficio della società partecipata dall’ente senza rispetto dei comuni criteri della prudente gestione amministrativa ai sensi della L. n. 20 del 1994. Il giudice contabile può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, che “devono essere ispirati a criteri di economicità ed efficacia, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità dell’azione amministrativa[12].

Ciò che appare indispensabile nella configurazione della causa petendi della iniziativa promossa a titolo di responsabilità contabile, secondo la Cassazione, è la sussistenza comunque di un rapporto di servizio che, senza entrare in una categorizzazione interpretativa poco rispettosa del principio di necessaria previsione normativa dell’illecito contabile ex art. 103, comma 2, Cost.[13], non appare nella specie enunciato.

Quando si discute infatti del riparto della giurisdizione tra Corte dei Conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto tra l’agente e la pubblica amministrazione tenendo conto che per tale può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece (o sotto il suo dominio) un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica[14].

2. La questione della concorrenza e della sovrapponibilità delle diverse azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali delle partecipate e delle azioni connesse e collegate.

Sul tema della piena concorrenza ( e sovrapponibilità) tra giudizio civile e giudizio contabile in tema di responsabilità degli organi sociali delle società in house providing, la Cassazionesi è già pronunciata ripetutamente a partire dal 2018 [15], evidenziando l’erroneità delle sentenze di merito che ragionavano in termini di esclusività sulla base di una lettura semplicistica della sentenza c.d. Rordorf [16],come peraltro avevamo avuto modo di sostenere da anni[17].

La suprema corte aveva già chiarito quale sia la regola generale in materia, ribadendo preliminarmente come la società a partecipazione pubblica abbia autonoma soggettività e goda di autonomia giuridica e patrimoniale rispetto al socio pubblico, non perdendo la propria natura di ente privato per il solo fatto che il capitale sia alimentato (anche) da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, e conservando natura privata con organizzazione secondo il tipo societario capitalistico prescelto: onde non è di principio configurabile quel rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione necessario a radicare la giurisdizione della Corte dei Conti[18].

La configurazione normativa delle società c.d. in house nei sostanziali termini di articolazioni interne alla pubblica Amministrazione comporta che l’attività dell’ente e dei suoi organi (i quali sono assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo all’Amministrazione azionista di controllo e non possono essere considerati come investiti del solo munus privato derivante dal rapporto negoziale di amministrazione) non possa considerarsi riconducibile ad un soggetto privato dotato di autonoma soggettività, ma resti sostanzialmente imputata alla stessa pubblica Amministrazione che di tale società si avvalga nel perseguimento dei propri compiti istituzionali. Per tale ragione i suoi amministratori (e più in generale, i suoi dipendenti), essendo preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa Amministrazione pubblica, devono ritenersi personalmente legati ad essa “da un vero e proprio rapporto di servizio, non diversamente da quanto accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall’ente pubblico: rapporto di servizio immanente alla stessa formula organizzativa della società in house. Sicché, come logica e giuridica conseguenza, il danno da essi arrecato rileva necessariamente come danno al patrimonio dell’ente pubblico, nonostante la formale separazione propria della struttura organizzativa della società: il che radica la giurisdizione della Corte dei Conti sulla relativa azione di responsabilità[19].

Tuttavia, come noto, la Suprema Corte, in passato e per molto tempo, ha riconosciuto la giurisdizione della magistratura contabile per le società a partecipazione pubblica solo là dove ed in quanto si arrecasse un danno erariale diretto all’azionista pubblico[20] e non in via mediata alla partecipazione del socio pubblico.

Viceversa il corretto inquadramento sistematico comporta che ci siano due forme di responsabilità concorrenti e settoriali, quella civilistica comune e quella erariale[21], e l’una non preclude l’altra. Anche in caso di società in house providing l’insussistenza di una vera e propria alterità soggettiva tra partecipata ed ente pubblico controllante, per il Tribunale delle Imprese di Milano, non esclude “la possibilità di un concorso tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile; così come non la esclude la lettera dell’art. 12 TUSP sopra citato, che nel far salva per le società in house la giurisdizione contabile, non nega con ciò che l’azione sociale possa esser esperita dalla danneggiata avanti al giudice ordinario e secondo le regole codicistiche”.

Come visto, dal combinato disposto delle disposizioni di cui all’art. 12 si ricava che oltre al danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house, è devoluto alla giurisdizione della Corte dei Conti il danno erariale delle altre tipologie di società partecipate pubbliche (anche non in house), sia quando si configura come danno patrimoniale (anche indiretto oltre che diretto)[22], sia allorquando si configura come danno non patrimoniale[23]. Il danno erariale la cui giurisdizione è devoluta, in base al comma 1 dello stesso art. 12, alla Corte dei Conti è quello “subito dagli enti partecipanti” e non quello subito dalla stessa società partecipata pubblica e comprende il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione, omettendo di esercitare l’azione di responsabilità sociale. A cui va aggiunta, come hanno chiarito le ultime Sezioni Unite citate, la responsabilità di amministratori e consiglieri degli enti pubblici, per atti (le delibere di giunta e di consiglio) adottati con efficacia esterna rispetto all’ente e “malamente indirizzati”, nei contenuti attributivi di risorse pubbliche, a beneficio della società partecipata dall’ente senza rispetto dei comuni criteri della prudente gestione amministrativa.

L’azione contabile può dunque concorrere con le altre azioni poste a garanzia dei soci e dei creditori sociali previste dal codice civile, come avviene per gli altri casi di responsabilità devoluti alla giurisdizione contabile, senza che si determini alcun conflitto di giurisdizione, “ma soltanto un’eventuale preclusione all’esercizio di un’azione quando con l’altra sia già ottenuto il medesimo bene della vita[24].

Per la giurisprudenza di merito più recente la reciproca indipendenza delle due giurisdizioni sotto il profilo “istituzionale” e la tendenziale diversità di oggetto e di funzione tra i relativi giudizi (sanzionatorio quello contabile, ripristinatorio quello ordinario), comportano che il rapporto tra le due azioni si ponga in termini di alternatività anziché di esclusività, e non dia quindi luogo a questioni di giurisdizione ma, eventualmente, di proponibilità della domanda; fermo restando il limite (sempre opponibile in executivis) del divieto di duplicazione del risarcimento, il quale impone a ciascuno dei Giudici di tener conto, nella liquidazione, di quanto eventualmente già riconosciuto nell’altra sede.

Viveversa prima della riforma Madia gran parte dei giudici di merito, dopo aver accertato la sussistenza o meno dei requisiti, hanno affermato o negato - sic et simpliciter - la propria giurisdizione[25]. Viceversa la questione era già ben più complessa e non vi erano ragioni per escludere la concorrenza di procedimenti, civili, contabili e persino penali (intesi come costituzioni di parte civile) a carico degli organi sociali[26]. Con la riforma ci sono attribuzioni di giurisdizione espressa al giudice contabile che si ricavano talora esplicitamente e talora implicitamente[27].

Prendiamo il caso di una società in house fallita, orbene l’azione di responsabilità promossa dal curatore, diretta al risarcimento del danno provocato ai creditori non può essere certo esclusa a vantaggio dell’azione contabile promossa dal procuratore della corte dei conti che non potrà mai essere finalizzata ad aumentare la massa attiva nell’interesse del ceto creditorio[28].

Le due azioni potranno convivere e nessuna prevarrà sull’altra. Laddove nel tempo si formino due diversi titoli da eseguire sui beni dei componenti degli organi sociali, questi seguiranno le normali dinamiche del processo di esecuzione. E se una delle due azioni avrà bruciato sul tempo l’altra evidentemente non avrà esito fruttuoso per la sopravvenuta incapienza. D’altra parte anche l’azione penale può essere una terza incomoda. Ipotizziamo che il curatore preferisca l’azione civile alla costituzione di parte civile per un processo di bancarotta impropria ad opera degli organi sociali della società in house ed al contempo il procuratore della corte dei conti eserciti l’azione erariale, ciò non toglie che l’eventuale sequestro penale ad esempio per fatti distrattivi si converta in una confisca di beni degli amministratori altrimenti destinati alla massa attiva della procedura concorsuale[29].

Ed infatti i giudici di legittimità - nella sentenza a Sezioni Unite Cass. Civ. 13 settembre 2018, n. 22406 - affermano espressamente “la possibilità del concorso fra la giurisdizione ordinaria e quella contabile, in quanto laddove sia prospettato anche un danno erariale, al di là di una semplice interferenza fra i due giudizi, deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio...[30].

 

3. La ratio della nuova sistemazione delle “pluri-responsabilità” da mala gestio, riproduttiva delle regole di diritto comune adattate alla fattispecie.

La esplosione del fenomeno delle partecipate affidatarie dirette di servizi pubblici locali (e delle complesse e variegate questioni poste dallo stesso in tema di responsabilità specie a seguito di default) non è originata, come detto, da ragioni di efficienza od efficacia del modello gestionale, ma molto spesso dalla volontà delle amministrazioni locali di mantenere la gestione dei servizi pubblici, attraverso persone giuridiche abusate, per eludere i procedimenti ad evidenza pubblica, assumere personale senza concorso, violare i patti di stabilità, sottrarre interi comparti dell’amministrazione ai vincoli di bilancio ed alle regole della concorrenza[31].

L’origine normativa della fattispecie è una rivisitazione strumentale fatta dal legislatore italiano della giurisprudenza comunitaria, che in particolare nella famosa sentenza Teckal aveva escluso l’applicabilità delle norme sull’individuazione concorrenziale del concessionario qualora l’ente “eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano[32]. Si noti che si trattava, e non a caso, proprio delle medesime espressioni “mutuate” poi dal nostro legislatore per legittimare l’affidamento diretto ed in deroga[33].

Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 hanno, come noto, preso atto di questo quadro ed hanno scelto forzatamente di adattare l’impostazione comunitaria, al fine di riconoscere la giurisdizione piena della Corte dei Conti sulle azioni di responsabilità agli organi sociali delle “famigerate” società in house[34]. I giudici del Supremo consesso qualificarono, in modo in verità assai opinabile, questo genere di persone giuridiche come una mera articolazione interna della P.A. una sua longa manus al punto che l’affidamento diretto neppure avrebbe consentito di configurare un rapporto intersoggettivo di talché l’ente in housenon potrebbe ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma dovrebbe considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa[35].

Le sentenze successive come visto si sono rifatte tutte alla Cass. Civ. 25 novembre 2013, n. 26283 il cui passaggio più forte è quello secondo cui “il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”. La ragione per cui la Cassazione adattò la costruzione giuspubblicistica e comunitaria Teckal (che peraltro era un consorzio di comuni e non una società) al diritto interno delle società, con i notevoli rischi sistemici conseguenti, nasceva dalla consapevolezza che ancora più ardita sarebbe stata la riqualificazione delle società in house in enti pubblici in assenza di norme espresse.

In realtà la situazione descritta all’epoca dai giudici di legittimità corrispondeva nel diritto comune all’abuso dell’attività di direzione e coordinamento, che di per sé è lecita e che configura una situazione soggettiva attiva di cui può, e talora deve, farsi uso[36]. Non contrasta con i principi inderogabili dell’ordinamento giuridico il fatto che il centro decisionale delle strategie aziendali venga posto al di fuori delle singole società controllate. Ciò può valere a maggior ragione quando la società è a partecipazione pubblica ed il dominio può essere finalizzato ad evitare pregiudizi alla collettività per la necessaria erogazione di servizi in conformità alle esigenze di ordine pubblico.

Come noto, l’art. 2497, comma 1, c.c., sancisce che “le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società”. Il legislatore ha chiarito che “per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria[37].

L’attività di dominio diviene fonte di responsabilità diretta verso soci e creditori se abusiva, ovvero se il dominus-ente pubblico la esercita nell’interesse imprenditoriale proprio od altrui (e comunque non nell’interesse del dominato) e se è contraria ai criteri di corretta gestione imprenditoriale e societaria. La responsabilità dell’ente pubblico-dominus sorge per effetto della violazione di un dovere specifico derivante da un preesistente rapporto obbligatorio verso soggetti determinati e non dal generico dovere del neminem laedere verso qualsiasi soggetto dell’ordinamento. Siamo di fronte ad una logica sanzionatoria perché se c’è abuso c’è diritto, non fatto illecito, e la responsabilità è una misura che tende a sanzionare il sostanziale abuso della personalità giuridica [38] .

Ma c’è di più e di decisivo ai nostri fini, nel sistema la responsabilità contrattuale del dominus convive con la responsabilità solidale risarcitoria di “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi abbia consapevolmente tratto beneficio” (art. 2497, comma 2, c.c.). Il controllo “analogo” che legittima l’affidamento diretto del servizio pubblico viene in genere (e nella migliore delle ipotesi) esercitato in funzione degli interessi istituzionali dell’ente e della collettività cui viene erogato il pubblico servizio e comunque quasi mai nell’interesse (lucrativo) della controllata, e come tale può generare la responsabilità sussidiaria dello stesso ente. Addirittura si badi che per i c.d. servizi senza rilevanza economica la gestione secondo criteri di economicità, quindi di corretta gestione imprenditoriale, è esclusa addirittura dalla legge. Quindi in una situazione in cui l’interesse della controllata diverge da quello del soggetto controllante e sussistono i presupposti previsti dalla legge, scatterebbe la responsabilità dell’ente a prescindere dalla sua natura e dall’interesse in concreto perseguito.

In ogni caso, laddove si verifichi l’ipotesi di controllo “analogo” ci troviamo spesso di fronte ad un caso di violazione, in re ipsa, delle regole dettate dal codice civile in tema di eterodirezione e coordinamento, fonte di responsabilità diretta verso soci e creditori ex art. 2497, c.c., e di responsabilità risarcitoria “aggiuntiva” solidale di “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi abbia consapevolmente tratto beneficio” (art. 2497 comma 2, c.c.). Anche nel caso di controllo esterno (contrattuale attuato cioè attraverso la produzione), l’abuso della dipendenza economica può tradursi di per sé in abuso dell’attività di direzione e coordinamento con la conseguente responsabilità riconosciuta dalla giurisprudenza anche prima delle riforme[39].

L’abuso di eterodirezione finisce con il generare anche la violazione delle regole di contabilità pubblica, in ordine all’assunzione indiretta di spese di ammontare indeterminato come quella derivante dalla responsabilità ex art. 2497 c.c. Insomma siamo in una situazione in cui c’è la responsabilità dell’ente pubblico per abuso del dominio, dei suoi amministratori e dirigenti per la stessa ragione (e per aver violato le regole di contabilità) esponendo l’ente a spese indiscriminate e degli amministratori e dirigenti della società partecipata per aver preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, per averne consapevolmente tratto beneficio[40]. Se la responsabilità consiste nel depauperamento del patrimonio dell’ente generato dal danno al patrimonio della società partecipata e dominata, gli amministratori di quest’ultima saranno responsabili in solido come quelli dell’ente-dominus per aver preso parte al fatto lesivo.

Ecco quindi che dallo scrutinio dell’art. 12, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 emerge una versione erariale del sistema di cui all’art. 2497 c.c., ossia il medesimo meccanismo civilistico quando si afferma che “costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazionee per l’effetto si riconosce la giurisdizione per questo danno su amministratori e dirigenti degli enti controllanti ed in solido sugli organi delle controllate, visto che senza questi ultimi i primi non potrebbero esercitare i poteri di fatto. Ed è naturale che, come evidenziano le Sezioni Unite, ci sia anche la responsabilità di amministratori e consiglieri degli enti pubblici, per atti (le delibere di giunta e di consiglio) adottati con efficacia esterna rispetto all’ente e malamente indirizzati, nei contenuti attributivi di risorse pubbliche, a beneficio della società partecipata dall’ente senza rispetto dei comuni criteri della prudente gestione amministrativa. Anche questo schema va nella logica complessiva del sistema “in quanto è responsabile chiunque abbia preso parte al fatto lesivo” (responsabilità c.d. aggiuntiva ex art. 2997, comma 2, c.c.).

 

4. La possibilità di pervenire al medesimo risultato complessivo delineato dalla Cassazione già prima del TUSP sulla base delle regole del diritto delle società.

L’orientamento giurisprudenziale in tema di giurisdizione sulle società in house precedente al TUSP (obiettivamente forzato, in quanto mai una persona giuridica può trovarsi in condizione di subordinazione gerarchica o delegazione organica) è nato in realtà dalla giusta sollecitazione delle Procure presso la Corte dei Conti che hanno evidenziato come condizionamenti di carattere politico finiscano col rendere altamente improbabili iniziative serie da parte degli enti locali dirette a sanzionare gli organi societari (controllati) davanti al giudice ordinario, dando luogo ad un sostanziale esonero da responsabilità di soggetti che pure arrecano danno a società sostanzialmente pubbliche, in quanto totalmente partecipate dalla pubblica amministrazione, di cui costituiscono longa manus per l’attuazione delle relative decisioni strategiche ed operative. Ciò ha indotto a ritenere “irragionevole che siano sottoposti alla giurisdizione contabile gli amministratori di un’azienda speciale, quelli di una società concessionaria, la giunta comunale ed i consiglieri comunali che approvano il conto consolidato e controllano la società partecipata e non anche coloro che l’hanno gestita causando direttamente un danno erariale[41].

Tuttavia tale era la consapevolezza della forzatura inaugurata dalle Sezioni Unite nel 2013 che la stessa Cassazione nella sentenza Cass. Civ. 13 settembre 2018, n. 22406 evidenzia che “le sezioni unite, anche alla luce di talune decisioni della Corte dei Conti e della posizione critica assunta da una parte della dottrina, hanno poi effettuato importanti precisazioni, soprattutto approfondendo il tema della riferibilità degli atti compiuti dall’ente pubblico uti socius, non derivanti dall’esercizio di poteri di natura pubblicistica”. I giudici della Cassazione pur radicando la giurisdizione della Corte dei Conti avevano posto un insuperabile argine alla c.d riqualificazione, ossia all’attribuzione alla società partecipata della qualifica di ente pubblicoper contrastare erronee derive interpretative inclini, con eccessivo semplicismo, alla qualificazione della società partecipata da soggetti pubblici come ente pubblico[42].

Il modello complessivo da noi proposto già all’epoca[43] sarebbe stato più conforme al sistema: alla responsabilità degli organi sociali di società soggette a controllo analogo poteva e doveva arrivarsi attraverso il diritto comune e non l’affermazione della giurisdizione contabile per ragioni di immedesimazione organica. Il procuratore della corte dei conti, anche prima del TUSP, avrebbe potuto agire verso gli organi della partecipata (sulla falsariga del comma 2 dell’art. 2497 c.c.) essendo amministratori e sindaci della partecipata responsabili in quanto prendono parte al fatto lesivo, in solido ed unitamente agli amministratori e dirigenti dell’ente pubblico che ha abusato dell’attività di eterodirezione e/o per atti (le delibere di giunta e di consiglio) adottati malamente nei contenuti attributivi di risorse pubbliche, a beneficio della società partecipata dall’ente senza rispetto dei comuni criteri della prudente gestione amministrativa (oggi persino tipizzati dal TUSP in caso di crisi).

E d’altra parte la Suprema Corte già prima del TUSP, con riferimento alla vicenda Ama S.p.a., la società in house detenuta da Roma Capitale affidataria diretta del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, aveva già affermato che, in caso di concorso nella causazione del danno erariale di soggetti esterni con gli esponenti aziendali, la giurisdizione della Corte dei Conti può essere affermata, a determinate condizioni, nei riguardi di tutti i soggetti, sia “intranei” che “extranei” il cui apporto possa ritenersi in concreto dotato di valenza co-determinante nella realizzazione dal fatto dannoso[44].

Insomma anche prima del TUSP esistevano (al di là di quella penalistica) due forme di responsabilità concorrenti[45] e settoriali[46], quella civilistica comune per danni, e quella erariale nei confronti del socio pubblico[47] e peraltro non preclusiva della stessa[48].

Sullo sfondo campeggia la responsabilità dell’ente holder per abuso dell’attività di eterodirezione delle società controllate ed “in solido di chiunque (organi della società, dirigenti e amministratori dell’ente) abbia preso parte al fatto lesivo o nei limiti del vantaggio di chiunque ne abbia tratto beneficio”. Responsabilità che il TUSP lascia al diritto comune e che nella prassi sta diventando l’azione omnicomprensiva più ricorrente quando la società pubblica diviene insolvente. Abuso di eterodirezione che può essere anche “congiunto”, visto che il controllo analogo congiunto viene ora riconosciuto espressamente dal Testo Unico, su base statutaria o parasociale, dopo che la giustizia comunitaria e quella amministrativa[49] l’avevano enucleato[50] e che non va sovrapposto agli indici formali del controllo pubblico rilevanti a tutt’altro fine[51].

L’escussione della società dominata e la relativa incapienza si realizza in modo pieno in caso di dichiarazione di insolvenza della stessa, anche nel senso che tale evento renda automaticamente possibile l’azione da abuso del dominio, anche nella versione erariale, nei confronti dell’ente che esercita la direzione ed il coordinamento ed in solido di chi abbia preso parte al fatto lesivo, in quanto è automaticamente soddisfatto il requisito della sussidiarietà.

Insomma, nel nuovo assetto organizzativo della pubblica amministrazione (basato sull’amministrazione di diritto privato e sul modello decentrato) la giurisdizione per danno erariale della Corte dei Conti, nata in un contesto storico e organizzativo del tutto differente, viene “ricollocata” dal legislatore per conciliare la necessaria “neutralità” delle forme di diritto comune con la tutela dell’interesse pubblico ridisegnato nell’ente danneggiato. Resta che la giurisdizione della Corte dei Conti presuppone l’attribuzione per via normativa e non discende in via “naturale” dal fatto che siano in gioco interessi pubblici o un danno lato sensu pubblico.

Ed infatti il Testo Unico, nell’art. 12, da un lato codifica la pregressa giurisprudenza della Cassazione sulle società in house, dall’altro realizza un epifanico rinvio alle forme di diritto privato sulle partecipate in genere. Tale sistema risulta coerente con l’assunto che il radicamento della giurisdizione contabile si basa su un elemento soggettivo (il rapporto di servizio tra la società e l’ente pubblico controllante) e uno oggettivo (danno diretto al patrimonio pubblico). L’art. 12 TUSP, infatti, nel sistema organizzativo della P.A. basato sul diritto comune, radica la giurisdizione della Corte dei Conti sulla obbligazione risarcitoria che scaturisce nell’ambito di un “rapporto di servizio” tra società partecipata ed ente pubblico, non più qualificato in termini pubblicistici, ma alla stregua del paradigma civilistico del rapporto di controllo (art. 2 TUSP e art. 2359 c.c.); allo stesso tempo tale norma, individua il titolo oggettivo della giurisdizione nel “fatto” del danno al “valore della partecipazione”. In pratica la giurisdizione della Corte, in campo di società partecipate, è una giurisdizione ex titulo (danno al valore della produzione, in un sistema di relazioni organizzative di diritto comune, qualificabile in termini di “controllo”). Una volta sorta, tale obbligazione, sul piano del “rapporto”, segue la disciplina sancita dalle regole civilistiche, nell’ambito della concorrenza riconosciuta dalla Cassazione delle giurisdizioni, ivi compreso per l’azione erariale da abuso del dominio oltre che per quelle classiche.

D’altra parte in una vicenda esaminata dalla giurisprudenza di merito[52], la procura della Corte dei Conti aveva esercitato analoga azione nei confronti di amministratori e dirigenti dell’Ente pubblico per aver determinato rilevanti danni erariali autorizzando reiteratamente la prosecuzione dell’attività in perdita della società partecipata in liquidazione. Ed in primo grado la Corte aveva riconosciuto tale responsabilità condannando i rappresentanti dell’ente[53]. Tuttavia in secondo grado la sezione giurisdizionale centrale d’appello aveva riformato la sentenza proprio in quanto la responsabilità derivava dall’eterodirezione (e non atti di sostegno finanziario adottati senza alcun impatto sugli atti endosocietari come nel caso delle Sezioni Unite in epigrafe) e non poteva prescindere dall’operato degli organi sociali (intranei) che materialmente avevano realizzato la condotta foriera dei danni anche se in esecuzione delle direttive del socio[54].

In realtà nella fattispecie concreta l’azione della procura contabile era stata esercitata in un momento storico in cui non era ancora emersa una legittimazione ad una azione erariale assimilabile a quella di cui all’art. 2497, c.c., anche se basata sulle medesime ricostruzioni fattuali e probatorie. Nel caso di specie sussisteva la responsabilità dell’ente pubblico per abuso del dominio, dei suoi amministratori e dirigenti (per le stesse ragioni e per aver violato le regole di contabilità) per aver esposto l’ente a spese indiscriminate e degli organi della partecipata per aver preso parte al fatto lesivo[55].

 

 

* Il presente contributo è pubblicato anche sulla Rivista della Corte dei conti ed è destinato agli Studi in onore di Sabino Fortunato.
§ F. Fimmanò è professore ordinario di diritto commerciale presso l’Università delle camere di commercio “Universitas Mercatorum” di Roma ed è Vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti.

[1] Da anni la Cassazione ha affermato che «…la società per azioni non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché l’Ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni…» (cfr. Cass. Sez. un., n. 4991 del 1995, Cass.,  n. 17287 del 2006) e che «indubbiamente anche un ente a struttura societaria può assumere natura pubblicistica, qualora ciò non sia espressamente previsto dalla legge….ovvero ricorrano determinate condizioni (comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, cfr. ad esempio Poste italiane Spa)» (Cass. Sez. un., 15 aprile 2005, n. 7799, in Società, 2006, 870).

[2] Anche la facoltà attribuita all’ente pubblico - eventualmente sosti­tutiva della competenza dell’assemblea ordinaria - per la nomina di componenti degli organi, è una estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato.

[3] Così L. Rovelli, Clausole generali e diritto societario: applicazione in tema di gruppi, leveraged buy out, motivazione delle delibere, in Tratt. Contratto, a cura di Roppo, VI, Milano, 2006, 755.

[4]Cassazione Civile, SS.UU., 18 maggio 2022, n. 15979in Società n. 11, 2022, con nota di F. Fimmanò, Il sistema delle “responsabilità” derivanti dalla “mala gestio” delle partecipate pubbliche.

[5] Per le società quotate, l’art. 12, comma 2, TUSP pur non applicandosi alle stesse, costituisce proprio il completamento dell’art. 16-bis, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, che, ribadendo la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario sulla responsabilità regolata dal codice civile degli amministratori e dei dipendenti delle società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni inferiore al 50 per cento, aveva presupposto un ambito di giurisdizione proprio della Corte dei Conti, senza definirlo compiutamente. Difatti l’art. 12, comma 2, qualifica “erariale” qualunque danno subito dall’amministrazione, nei limiti della quota della partecipazione pubblica, prevedendo quindi un’azione di responsabilità erariale, distinta dal sistema delle responsabilità sociali, avente ad oggetto il solo patrimonio pubblico dell’amministrazione, che deve essere risarcito qualora sussistano gli ulteriori presupposti dell’azione di responsabilità amministrativa. Al riguardo cfr.: F. Fimmanò, Il caso Alitalia: l’abuso di eterodirezione del Mef,in Gazz. for., 2021, 616 s.; H. Bonura - D. Di Russo - B.G. Mattarella, Appunti sulle società pubbliche “quotate” dopo il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, in Riv. corte conti, 2022, 3 s. La giurisprudenza contabile ha ritenuto che “non sussiste la giurisdizione della Corte dei conti in relazione all’azione risarcitoria per danno all’immagine e danno da tangente arrecato da un dirigente a società in house, emittente di strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati, poiché alle società quotate sono applicabili esclusivamente le disposizioni del Tusp di cui agli artt. 8, c. 3, e 9, c. 9, e non l’art. 12 che disciplina la soggezione alla giurisdizione contabile per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house senza specificare l’aspetto, prevalente, della quotazione nei mercati regolamentati” (Corte Conti, Sezione II centrale d’appello, 17 febbraio 2021, n. 55, in Riv. corte. conti, 2021, 1, 211 s. con nota di E. Tommasini, La giurisdizione della Corte dei conti sulle società pubbliche quotate nei mercati regolamentati).

[6] L’indirizzo al riguardo della Cassazione si è andato delineando con la pronuncia Cass. Civ., SS.UU., 27 dicembre 2017, n. 30978, secondo cui è possibile ravvisare la natura eccezionale della giurisdizione contabile in tre ipotesi: in caso di società in house (per le quali è ribadita la necessità del triplice presupposto della partecipazione totalitaria da parte di enti pubblici e divieto di cessione delle partecipazioni a privati, dello svolgimento di attività almeno prevalente in favore degli enti soci, nonché del controllo analogo a quello degli enti sui propri uffici con prevalenza sulle ordinarie forme civilistiche). Nello stesso senso: Cass. Civ., SS.UU., 15 maggio 2017, n. 11983, in Giur. comm., 2018, 692; Cass. Civ. 20 marzo 2018, n. 6929. In argomento è conforme l’indirizzo del giudice contabile (v. Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello n. 105/2018; in senso conforme Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, n. 98/2018; Corte dei Conti, Terza Sezione Centrale d’Appello, n. 23/2018; Corte dei Conti, Sezione Appello Sicilia, n. 188/2018; Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, n. 501/2017; Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello n. 352/2017; Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, n. 33/2017; Corte dei Conti, Sezione Appello Sicilia, n. 60/2017; Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, n. 178/2015; Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, n. 486/2015; Corte dei Conti, Sez. Giur. Lazio, n. 310/2016; Corte dei Conti, Sez. Giur. Veneto, n. 177/2016; Corte dei Conti, Sez. Giur. Lazio, n. 449/2015).

[7] La Cassazione aggiunge che lo stesso TUSP ha poi cura di disciplinare il migliore e più responsabile utilizzo delle risorse pubbliche in vicende cruciali, come la crisi d’impresa, ad esempio vietando di regola e salvo severe condizionalità le operazioni sul capitale o di finanziamento a favore di società in perdita nel triennio o con ricorso già fatto alle riserve disponibili e addirittura esigendo che i trasferimenti straordinari per servizi di pubblico interesse siano contemplati in un piano di risanamento approvato dall’autorità di regolazione di settore e comunicato alla Corte dei Conti nella prospettiva del riequilibrio entro tre anni e salvo interventi ancor più straordinari (gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata) assunti con D.P.C.M., in concertazione interministeriale e registrazione dell’atto alla Corte dei Conti (art. 14, comma 5, TUSP). Al riguardo la giurisprudenza di merito ha evidenziato che i contegni contrari agli obblighi di comportamento, od anche solo omissivi rispetto all’impianto previsto dall’art. 14 TUSP, possono configurare un abuso “tipizzato” dell’attività di direzione e coordinamento (Trib. Napoli, Sez. impr., 7 novembre 2019, in Società, 2020, 344, con nota di F. Fimmanò, Ente pubblico holder e responsabilità per abuso di eterodirezione.

[8] Prima l’art. 33, D.Lgs. 28 marzo 2000, n. 76, quanto al personale e agli amministratori della regione.

[9] In un caso analogo infatti la giurisprudenza contabile ha avuto modo di affermare che “sussiste la responsabilità del sindaco e degli assessori comunali, nonché del direttore generale del comune e amministratore unico della società partecipata ‘in house’, nel caso di rilascio delle c.d. ‘lettere di patronage’, con le quali l’ente territoriale ha assunto obblighi di garanzia in favore di terzi; oltre alla violazione dell’art. 207 del Tuel, che riserva al consiglio comunale l’assunzione di garanzie fideiussorie, sussiste la responsabilità amministrativa in mancanza di un ponderato esame dei rischi potenziali derivanti dall’assunzione di rischiose obbligazioni per mutui di ingente ammontare, che hanno esposto il Comune garante alle azioni risarcitorie delle banche creditrici a seguito del fallimento della società partecipata debitrice. Nella specie, si trattava, per la maggior parte, di lettere di patronage ‘forti’, assimilabili a garanzie fideiussorie, che hanno comportato azioni giudiziarie da parte delle banche nei confronti del comune e la successiva stipula di transazioni gravemente pregiudizievoli per le finanze dell’ente”(Corte dei Conti,Sezione I Centrale d’Appello, 24 maggio 2021, n. 197, conferma Corte conti, Sez. giur. reg. Emilia-Romagna, 12 febbraio 2020, n. 19, in Riv. Corte conti, 2021, 3, 197, con nota di E. Tommasini, La responsabilità degli enti locali per le garanzie rilasciate alle partecipate e le lettere di patronage. Un caso di scuola).

[10] Cass. Civ., SS.UU., n. 10741/2021. L’autonomia del pregiudizi, a rilevanza contabile (ribadita con l’ammissibilità delle due giurisdizioni, reciprocamente indipendenti, da Cass. Civ., SS.UU., n. 15770/2021; Cass. Civ., SS.UU., n. 36205/2021; Cass. Civ., SS.UU., n. 5978/2022), si estende in latitudine ad ogni nocumento, patrimoniale o non (come il danno all’immagine), che sia la conseguenza diretta di un uso contra jus delle risorse pubbliche comunque affluite ad un soggetto anche di diritto privato alimentato con sostegno finanziario e per lo svolgimento di un’attività disegnata tra i servizi pubblici.

[11] Come ammette, nella propria ricognizione, la Cass. Civ., SS.UU., n. 4132/2019, riassumendo nello stesso senso qui enunciato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile in ipotesi di danni cagionati al patrimonio di società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici.

[12] Cass. Civ., SS.UU., n. 40549 del 2021. La Corte dei Conti pertanto non viola il limite della riserva di amministrazione quando proceda al controllo della giuridicità sostanziale dell’attività amministrativa e cioè a verificare l’osservanza dei richiamati canoni prendendo atto della preferenza assegnabile alla P.A. tra molteplici alternative da operare nell’ambito della ragionevolezza per il soddisfacimento dell’interesse pubblico; nella specie, si è così al cospetto di una ratio decidendi, gradata ed essenziale, afferente ai limiti (esterni) della giurisdizione contabile nei confronti della sfera del potere discrezionale della pubblica amministrazione (Cass. Civ., SS.UU., n. 6820/2017; Cass. Civ., SS.UU., n. 11139/2017; Cass. Civ., SS.UU., n. 30990/2017; Cass. Civ., SS.UU., n. 10774/2018; Cass. Civ., SS.UU., n. 30527/2019; Cass. Civ., SS.UU., n. 24376/2020) e la cui eventuale erroneità meritale si risolverebbe, ove nella sostanza fatta valere, nel prospettare un error in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente ai limiti interni della giurisdizione e non alla osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, gli unici deducibili dinanzi alla Corte di cassazione contro le decisioni della Corte dei Conti (Cass. Civ., SS.UU., n. 25208/2020; Cass. Civ., SS.UU., n. 19675/2020).

[13] Per come Corte cost. n. 102 del 1977 ne ha rimesso al legislatore ordinario l’attrazione derogatoria alla giurisdizione non ordinaria.

[14] Cass. Civ., SS.UU., 3 luglio 2009, n. 15599; Cass. Civ., SS.UU., 31 gennaio 2008, n. 2289; Cass. Civ., SS.UU., 22 febbraio 2007, n. 4112; Cass. Civ., SS.UU., 20 ottobre 2006, n. 22513; Cass. Civ., SS.UU., 5 giugno 2000, n. 400; Cass. Civ., SS.UU., 30 marzo 1990, n. 2611. Con riferimento alle c.d. società legali la Suprema Corte ha avuto ad esempio modo di affermare che “non occorre definire in termini generali la natura giuridica dell’Anas S.p.a., bensì soltanto valutare se quest’ultima presenti caratteristiche specifiche tali da far ritenere che il suo patrimonio abbia conservato i connotati pubblicistici che sono l’indispensabile presupposto della giurisdizione contabile e che, correlativamente, coloro i quali per essa agiscono incidendo su quel patrimonio rientrino nel novero dei soggetti ai quali detta giurisdizione si estende”. Secondo la Cassazione “premesso che l’attuale statuto sociale dell’Anas non presenta caratteristiche tali da farla ricomprendere nel novero delle società in house, si tratta in definitiva di comprendere se la trasformazione dell’Anas in Spa disposta dalla legge ne abbia davvero comportato il mutamento della natura giuridica - da ente pubblico economico a società di diritto privato - o se invece non ne abbia intaccato gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa, corrispondente a quella della società azionaria, senza per questo incidere sulla reale natura del soggetto. In questo secondo senso si è già ripetutamente espressa (sia pure ad altri fini) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, affermando senz’altro che la trasformazione dell’Anas, disposta dalla legge, ha avuto incidenza concreta soltanto sulla fase gestionale del soggetto, permanendo sia la natura pubblica del nuovo organismo sia i poteri pubblicistici propri dell’ente proprietario delle autostrade e strade statali ad esso affidate(vedi, ad esempio, Cons Stato 24 febbraio 2011, n. 1230, e 24 maggio 2013, n. 2829). L’Anas s.p.a. è peraltro soggetta al controllo della Corte dei Conti con le modalità previste dall’art. 12 della L. 21 marzo 1958, n. 259”. La Suprema Corte aveva nello stesso senso già affermato che “indubbiamente anche un ente a struttura societaria può assumere natura pubblicistica, qualora ciò non sia espressamente previsto dalla legge...ovvero ricorrano determinate condizioni (comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, cfr. ad esempio Poste italiane Spa)” (Cass. Civ., SS.UU., 15 aprile 2005, n. 7799, in Società, 2006, 870). E poi Cass. Civ., SS.UU., 22 dicembre 2009, n. 27092 e Cass. Civ., SS.UU.,3 marzo 2010, n. 5032; Cass. Civ., SS.UU., 22 dicembre 2011, n. 28329, in Mass. Giust. civ., 2011, 12, 1827, in Giust. civ., 2012, 2, I, 320 riguardanti Rai ed Enav.

[15] Cass. Civ., SS.UU., 13 settembre 2018, n. 22406, con nota di F. Fimmanò, Le Sezioni Unite aprono ad una giurisdizione concorrente “a tutto campo” della Corte dei Conti sulle azioni di responsabilità, in Società, 2019, 67 s.; nello stesso senso Cass. Civ., SS.UU., 10 aprile 2019, n. 10019; Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2021, n. 641. Al riguardo: F. Fimmanò La giurisdizione concorrente sulle azioni di responsabilità nelle società pubbliche,in Riv. Corte Conti, 2019, 1, 3 s.

[16] [16]Cass. Civ., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283, Pres. Rovelli, Est. Rordorf, in Società, 2014, 55 s. con nota di F. Fimmanò, La giurisdizione sulle “società in house providing

[17] Al riguardo mi permetto di rinviare a: F. Fimmanò, La giurisdizione sulle “società in house providing, nota a Cass. Civ., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283, in Società, 2014, 55 s.; Id., La società in house tra giurisdizione, responsabilità ed insolvenza,in Gazzetta Forense,2014, 1, 12 s.

[18] L’azione di responsabilità nei confronti di organi di amministrazione e di controllo per i danni cagionati al patrimonio della società che, in base alle disposizioni statutarie vigenti al momento di realizzazione dei fatti causativi del danno, è qualificabile come società in house providing, è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti. Il rapporto tra l’azione di responsabilità amministrativa per il risarcimento del danno erariale e l’azione sociale di responsabilità, attribuite rispettivamente alla giurisdizione del giudice contabile e del giudice ordinario, nei confronti di amministratori e componenti degli organi di controllo di società interamente partecipate da enti pubblici, qualificabili come società in house providing, si pone in termini di alternatività e non di esclusività (Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2021, n. 614, in Riv. corte conti, 2021, 1, 321 s.).; in tema cfr. Cass. Civ., SS.UU., 27 dicembre 2017, n. 30978; Cass. Civ., SS.UU., 15 maggio 2017, n. 11983; Cass. Civ., SS.UU., 22 gennaio 2015, n. 1159; e già Cass. Civ., SS.UU., 19 dicembre 2009, n. 26806).

[19]In questo senso ora la giurisprudenza di merito: Trib. Milano, Sez. Impr., 24 marzo 2022, in Società n. 11, 2022, con nota di F. Fimmanò, Il sistema delle “responsabilità” derivanti dalla “mala gestio” delle partecipate pubbliche.

[20] Le Sezioni Unite con sentenza Cass. Civ., SS.UU., 19 dicembre 2009, n. 26806 (in Giur. comm., 2011, II, 315 s.; in Nuovo diritto delle società, 3, 2010, 36 s.) affermavano che solo nel caso in cui l’evento dannoso sia prodotto dagli amministratori “direttamente” a carico del socio-ente si configura la responsabilità e la giurisdizione del giudice contabile. Un tipico danno diretto è considerato quello all’immagine dell’ente (cfr. L. Caravella, La lesione all’immagine dell’ente pubblico ed il risarcimento del danno, in F. Fimmanò, Le società pubbliche. Ordinamento, Crisi ed Insolvenza, Ricerche di Law & Economics, Milano, 2011, 541 s.). Nello stesso senso: Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2010, n. 519, in Società, 2010, 803 s.; Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2010, n. 520; Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2010, n. 521; Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2010, n. 522; Cass. Civ., SS.UU., 15 gennaio 2010, n. 523 e Cass. Civ., SS.UU., 23 febbraio 2010, n. 4309; Cass. Civ., SS.UU., 9 aprile 2010, n. 8429, riferita al direttore generale, in Società, 2010, 1177 s.; Cass. Civ., SS.UU., 9 maggio 2011, n. 10063, in Riv. corte conti, 2011, 3-4, 372, in Foro it., 2012, 3, I, 832; Cass. Civ., SS.UU., 5 luglio 2011, n. 14655, in Resp. civ. prev., 2011, 12, 2596, in Giust. civ., 2012, 5, I, 1287; Cass. Sez. Un., 7 luglio 2011, n. 14957, in Foro it. 2012, 3, I, 831 (ove il danno era ravvisabile nella perdita di valore di una quota di partecipazione in società poi dichiarata fallita), Cass. Civ., SS.UU., 12 ottobre 2011, n. 20941, in Foro it., 2012, 3, I, 831; e Cass. Civ., SS.UU., 9 marzo 2012, n. 3692, in Foro amm. CDS, 2012, 6, 1498, con nota di Nicodemo, Società pubbliche e responsabilità amministrativa: le Sezioni Unite della Cassazione ritornano sulla questione di giurisdizione; Cass. Civ., SS.UU., 23 marzo 2013, n. 7374, in Guida dir., 2013, 23, 57; Cass. Civ., SS.UU., 5 aprile 2013, n. 8352, in Mass. Giust. civ., 2013). Cass. Civ., SS.UU., 3 maggio 2013, n. 10299, (in Società, 2013 con nota di F. Fimmanò, La giurisdizione sulle società pubbliche) che pur nella scia del pronunciamento “spartiacque” del 2009 e di quelli successivi aprivano ad una diversa impostazione per le società in house e non escludevano valutazioni del giudice contabile, dirette a ricollegare azioni od omissioni riguardanti la società ma che avessero prodotto danni direttamente all’ente pubblico.

[21] Ex adverso l’azione individuale ex art. 2395, c.c., è stata ritenuta dalla magistratura contabile fuori dall’ambito della propria giurisdizione (Corte dei Conti, Sez. I, App., 3 novembre 2005, n. 356). Sul tema più in generale cfr. A. Buccarelli, Il sistema della responsabilità amministrativa e civile nelle società di capitale pubbliche, in F. Fimmanò, Le società pubbliche, cit., 2011, 403 s.; T. Miele, La responsabilità contabile concorrente degli amministratori delle società partecipate in caso di insolvenza, ibidem, 450 s.; F. Di Marzio, Insolvenza di società pubbliche e responsabilità degli amministratori. Qualche nota preliminare, ibidem, 377 s.

[22] Non a caso è scomparso dalla versione originaria della norma ogni riferimento al danno diretto. Rispetto alla precedente formulazione rileva l’eliminazione dal comma 1, dell’avverbio “direttamente” visto“che non risulta convincente l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la giurisdizione contabile era stata affermata, nei casi in cui l’ente pubblico era stato danneggiato direttamente dalla condotta illecita dell’amministratore della società, riconducendo l’ambito dell’azione di responsabilità erariale nel perimetro proprio dell’azione diretta del socio, ai sensi dell’art. 2395 c.c., norma che prevede l’azione di responsabilità del socio nei casi in cui sia stato ‘direttamente danneggiato’ dalla condotta degli amministratori. L’esame della giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine alla casistica sottoposta al suo esame, evidenzia che tale responsabilità, qualificata di natura aquiliana (la responsabilità erariale ha natura contrattuale), risulta nei fatti sostanzialmente inoperante, e limitata a mere ed astratte ipotesi ‘di scuola’. In buona parte della giurisprudenza, l’unico danno diretto riconosciuto è il danno all’immagine dell’amministrazione partecipante, nel caso in cui l’amministratore abbia posto in essere condotte che integrano fattispecie di reati propri (quali peculato, corruzione), il cui previo accertamento, con sentenza penale di condanna passata in giudicato, costituisce il presupposto per potere essere esercitata l’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine. Azione, quindi, che può essere esperita solo a distanza di molti anni dalle condotte, ad esito di un processo penale normalmente lungo e che spesso si conclude con l’accertamento dell’intervenuta prescrizione, anziché con la condanna dell’imputato” (così M.T. Polito, Il controllo e la giurisdizione della Corte dei conti, in F. Fimmanò - A. Catricalà, Le società pubbliche, Roma, 2016, 535).

[23] Si afferma così espressamente la giurisdizione della Corte sul danno all’immagine che consiste nella lesione del diritto alla propria identità personale, al proprio buon nome, alla propria reputazione e credibilità, in sé considerate, tutelato dall’art. 97 Cost. che si verifica a seguito della diffusione mediatica della notizia del fatto illecito di un impiegato o amministratore pubblico che si traduce in un vero e proprio “danno sociale”. L’interesse al buon nome e all’onorabilità dell’amministrazione è venuto specificamente in rilievo a seguito della L. 7 giugno 2000, n. 150, recante la disciplina dell’attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni, che impone alle stesse di rappresentare all’esterno un’immagine positiva (F. Cerioni, Trasparenza nelle società controllate, funzionalizzazione pubblica e responsabilità erariali, in F. Fimmanò - A. Catricalà, Le società pubbliche, cit., 949 s.).

[24] Cass. Civ., SS.UU., 17 aprile 2014, n. 8927, richiamata in F. Cerioni, op. cit., 969, che rileva come la legittimazione straordinaria del pubblico ministero contabile, garantita dalle diverse disposizioni succedutesi nel tempo in tema di contabilità pubblica, non ha mai precluso alle pubbliche amministrazioni, danneggiate da atti e comportamenti dei propri dipendenti, di agire in sede civile per il risarcimento dei danni ovvero, nei casi di commissione di reati, di costituirsi parte civile nei relativi procedimenti penali. In argomento cfr. pure T. Miele, La responsabilità contabile concorrente, cit., 450 s.

[25] Trib. Nocera Inferiore 30 luglio 2015, in www.ilcaso.it (ad esempio ha rilevato che è possibile che un rapporto di servizio, inteso nella sua moderna accezione di svolgimento di un’opera per il perseguimento di scopi pubblici e con denaro pubblico, si incardini tra un soggetto che svolge attività di gestione di società privata, il cui scopo sociale sia l’erogazione di servizi pubblici, con dotazione di patrimonio da parte dell’ente locale, senza peraltro che questa incida sulla natura di persona giuridica autonoma della società in house, purché tale rapporto sia individuato in concreto senza apodittiche conclusioni circa la partecipazione totale o parziale del soggetto pubblico. In proposito è opportuno precisare che questa impostazione non incide sulla autonomia privatistica della persona giuridica della società in house, la quale altro non costituisce che un organo indiretto dell’amministrazione pubblica, il quale agisce per le finalità proprie di quest’ultima).

[26] Non a caso le sezioni unite ricordano che “in una fattispecie analoga (concernente un’azione di responsabilità promossa da una società in house non dichiarata fallita), questa Corte, posta la questione ‘se nel particolare caso di danni cagionati ad una società in house, gli specifici argomenti che avevano condotto le sezioni unite ad affermare la giurisdizione della Corte dei conti nelle azioni di responsabilità promosse nei confronti degli organi sociali responsabili di quei danni - implicanti l’inesistenza, almeno a questo fine, di un vero e proprio rapporto di alterità soggettiva tra la società partecipata e l’ente pubblico partecipante - non debbano al tempo stesso portare, sul piano logico, ad escludere la possibilità di una (eventualmente concorrente) giurisdizione del giudice ordinario investito da un’azione sociale di responsabilità per i medesimi fatti’ ( 24 marzo 2015, n. 5648), non poteva procedere al suo esame, per l’assorbente ragione che non risultava che nel periodo in cui sarebbe stata posta in essere la condotta illegittima contestata non risultava che la società potesse considerarsi in house providing”.

[27] F. Fimmanò, L’abuso della personalità giuridica della società pubblica, in Le società pubbliche - Fenomenologia di una fattispecie (a cura di F. Fimmanò - R. Cantone - A. Catricalà), Napoli, 2020, 2, 7 s.

[28] Peraltro secondo la suprema Corte in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, proprio a norma dell’art. 2395 c.c., il socio (nel nostro caso pubblico) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l.fall. (Cass. Civ. 22 marzo 2010, n. 6870, inRed. Mass. Giust. civ., 2010, 3, in D&G, 2010, in Mass. Giust. civ.,2010, 3, 417).

[29] F. Fimmanò - A. Laudonia, La responsabilità penale degli organi di società a controllo pubblico, in F. Fimmanò - A. Catricalà, op. cit., 635 s.

[30] Cass. Civ., SS.UU., 13 settembre 2018, n. 22406, cit. con nota di F. Fimmanò, 2019, 67 s. (nella vicenda processuale si confermava l’attribuzione dell’azione esercitata alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto era stata la curatela per prima ad adire l’autorità giudiziaria in quella sede, esattamente come avrebbe potuto fare il procuratore della corte dei conti in presenza delle condizioni e semmai contemporaneamente in sede di giurisdizione contabile).

[31] Si è rilevato in giurisprudenza che le cause della crisi dell’intervento pubblico nella gestione dei servizi vanno individuate nell’eccessiva espansione dei settori di intervento, con l’esternalizzazione di attività svolte da apparati amministrativi; nel graduale abbandono dell’ottica imprenditoriale per il perseguimento di finalità politiche e sociali; nella dipendenza del sistema del finanziamento gestito dal potere politico; nell’inesistenza della “sanzione economica” a tutela dell’equilibrio finanziario della gestione (Trib. Palermo 20 ottobre 2014, in Dir. fall, 2015, II, 256 s., con nota di F. Fimmanò, L’insolvenza dell’imprenditore “società pubblica” e la tutela dell’affidamento dei suoi creditori). Il tutto aggravato dalla mancata applicazione all’ente-capogruppo dei principi di consolidamento di diritto societario a partire dall’elisione delle partite reciproche. Già anni prima cfr. F. Fimmanò, Le società di gestione dei servizi pubblici locali, in Riv. not., 2009, 897.

[32] Corte di Giustizia Ue 18 novembre 1999, in causa C-107/98 Teckal S.r.l. contro Comune di Aviano, in Riv. it. dir. pubbl. com.,2000, 1393 s. In modo più o meno conforme: Corte di Giustizia Ue 10 novembre 1998, BHI Holding contro G. Arnhem e G. Rheden; Corte di Giustizia Ue 9 settembre 1999, Ri.San S.r.l. contro Comune di Ischia; Corte di Giustizia Ue 15 giugno 2000, ARGE Gewassserschutz contro Bundersministerium fur Land und Forstwirtschaft.

[33] Art. 14, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, convertito nella L. n. 326 del 2003 (conseguente alle osservazioni della Commissione Europea sul sistema delineatosi con l’art. 35 della legge finanziaria per il 2002).

[34]Cass. Civ., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283, Pres. Rovelli, Est. Rordorf, in Società, 2014, 55 s. con nota di F. Fimmanò, La giurisdizione sulle “società in house providing, e poi in scia: Cass. Civ., SS.UU., 16 dicembre 2013, n. 27993; Cass. Civ., SS.UU., 26 marzo 2014, n. 7177; Cass. Civ., SS.UU., 9 luglio 2014, n. 15594, in Foro amm., 2014, 1901; Cass. Civ., SS.UU., 24 ottobre 2014, n. 22609; Cass. Civ., SS.UU., 13 novembre 2015, n. 23306, in Foro amm., 2015, 3055; Cass. Civ., SS.UU., 8 luglio 2016, n. 14040, in Foro it., 2017, I, 2356; Cass. Civ., SS.UU., 22 dicembre 2016, n. 26643, in Foro it., I, 2355. Con approdo opposto: Cass. Civ., SS.UU., 10 marzo 2014, n. 5491, in Società, 2014, 953 s., con nota di F. Cerioni; Cass. Civ., SS.UU., 2 dicembre 2013, n. 26936.

[35] In buona sostanza la Cassazione ha riprodotto l’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1, su rimessione di Cons. Stato, Sez. V, 23 ottobre 2007, n. 5587; nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555).

[36] Sul dovere di esercizio della direzione unitaria in particolare F. Fimmanò, I “Gruppi” nel convegno internazionale di studi per i quarant’anni della Rivista delle Società, in Riv. not., 1996, 522 s.

[37] Il D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito con L. 3 agosto 2009, n. 102 ha previsto all’art. 19 (rubricato “Società pubbliche”), commi da 6 a 13 (concernenti “Partecipazioni in società delle amministrazioni pubbliche”), talune modifiche alla disciplina delle società pubbliche e degli organi di amministrazione delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato. In particolare, a fronte dei dubbi interpretativi sorti in relazione a quegli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società in ordine al perseguimento di un interesse imprenditoriale di gruppo (quale risultato complessivo dell’attività di dominio), il comma 6 dell’articolo citato fornisce un’interpretazione autentica dell’art. 2497, comma 1, c.c. Il legislatore è intervenuto con la norma assai discutibile, apparentemente generale, diretta invece ad un caso specifico e cioè alla vicenda della crisi Alitalia, svoltasi in modo tale da configurare una responsabilità da abuso del dominio da parte del Ministero dell’Economia, esercitato in violazione dei criteri di corretta gestione societaria e imprenditoriale e nell’interesse proprio od altrui. Sulla questione in giurisprudenza: Cass. Civ. 1° giugno 2021, n. 15276, in Società, 2021, 1343 s., con nota di L. Cacopardi, Sulla responsabilità da abuso di direzione della holding pubblica statale; Trib. Palermo 28 aprile 2021, in Società, 2021, 807 s., con nota di F. Fimmanò, Il controllo analogo configura in re ipsa l’attività di direzione e coordinamento sulle “partecipate” pubbliche. In tema cfr. pure: F. Fimmanò, Il caso Alitalia: l’abuso di eterodirezione del Mef, cit., 616 s.; L. Mariconda, Gli enti pubblici e l’art. 2497, comma 1: un problema ancora irrisolto, in Giur. comm., 2022, I, 566 s.; F. Cuccu, Partecipazioni pubbliche e governo societario, Torino, 2019, 191; C. Ibba, La tutela delle minoranze nelle società a partecipazione pubblica, in Riv. Soc., 2015, 103 s.; G. Scogliamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Riv. Odc, 2013, 6-7, nt. 9; K. Martucci, Profili di diritto singolare dell’impresa, Milano, 2013, 183 s.; V. Cariello, Brevi note critiche sul privilegio dell’esonero dello Stato dall’applicazione dell’art. 2497, comma 1, c.c. (art. 19, comma 6, D.L. n. 78/2009), in Riv. dir. civ., 2010, 343 s.; I. Eballi, Direzione e coordinamento nelle società a partecipazione pubblica alla luce dell’intervento interpretativo fornito dal “Decreto Anticrisi”, in Nuovo dir. soc., 10, 2010, 44 s.; M. Carlizzi, La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici, in Riv. dir. comm., 2010, I, 1196.

[38] F. Fimmanò, Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori delle società abusate, in Riv. not., 2012, 275.

[39] Al riguardo F. Angiolini, Abuso di dipendenza economica ed eterodirezione contrattuale, Milano, 2012, 87 ss. Peraltro la più attenta dottrina commercialistica già sottolineava questa criticità in relazione agli effetti del vecchio art. 2362, c.c., in caso di pubblica amministrazione-azionista unica rispetto all’impossibilità di ammettere, per le regole di contabilità pubblica, una spesa di ammontare indeterminato come quella derivante dalla responsabilità delle obbligazioni societarie sorte nel periodo di controllo totalitario (V. Buonocore, Autonomia degli enti locali e autonomia privata: il caso delle società di capitali a partecipazione comunale, in Giur. comm., 1994, I,14). La Corte dei Conti con riferimento al vecchio regime dell’art. 2362, c.c., ha infatti affermato, seppure in modo discutibile sul piano tecnico, che “Quando il capitale azionario è interamente posseduto dal comune, e conseguentemente è posta a carico di quest’ultimo un’illimitata responsabilità patrimoniale e quando la gestione della società da parte del comune è stata effettuata in modo esclusivo come se si trattasse di un organismo legato all’ente da un rapporto di ausiliarietà che si concretizza in un rapporto di sovraordinazione, indipendentemente dal nomen juris, ossia dalla qualificazione giuridica, non ci si trova di fronte ad una società per azioni ma ad un organismo ausiliario dell’ente”. (Corte dei Conti, Reg. Lazio, 10 settembre 1999, n. 1015, in Giorn. dir. amm., 2000, 235, con nota di Dugato).

[40] I dirigenti o funzionari responsabili dell’unità amministrativa preposti all’espletamento dell’istruttoria e alla formulazione della proposta operativa che, pur non essedo titolari del formale potere di rappresentanza in seno agli organi societari, abbiano comunque esercitato una influenza determinante nel percorso decisionale che ha poi eziologicamente portato alla condotta o all’atto dannoso. O ancora l’organo politico-istituzionale (es. Sindaco, Presidente, Assessore, Giunta, Consiglio) che, sia nell’esercizio di potere formale sia proprio che delegato (es. attraverso un atto di indirizzo formalizzato) o anche solo di un potere concreto e sostanziale (es. attraverso indirizzi non formalizzati ma comunque impartiti in forza del peso politico rivestito, che abbiano integrato una concreta ingerenza, quand’anche indebita o illecita, nelle competenze degli uffici e funzionari prepositi), abbia impartito, in via di diritto o anche di mero fatto, disposizioni e direttive atte ad orientare in modo determinante le decisioni assunte dall’ente pubblico partecipante nell’esercizio dei poteri spettantigli in seno alla società partecipata (D. Morgante, Le azioni di responsabilità relative alle società a partecipazione pubblica nel testo unico, in F. Fimmanò - A. Catricalà, 726).

[41] In questo senso si veda in particolare Cass. Civ., SS.UU., 3 maggio 2013, n. 10299, in Società, 2013, 974 s., con nota di F. Fimmanò, La giurisdizione sulle “società pubbliche”. Infatti, La Corte dei Conti ha spesso continuato a radicare la propria giurisdizione con riguardo a queste società, affermando che costituiscono un modello organizzatorio della stessa P.A., sia pure per certi versi atipico, con la conseguenza che il danno prodotto dagli amministratori va qualificato come erariale (Corte dei Conti, Sez. I, App., 22 luglio 2013, n. 568; Corte dei Conti, Sez. III, App., 19 luglio 2011, n. 582; v. anche Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Campania, 19 ottobre 2012, n. 1626.); reputando tale soluzione coerente con i principi costituzionali e del diritto comunitario, dato che quest’ultimo valorizza l’interesse dei cittadini e delle imprese contribuenti ad una gestione delle risorse pubbliche trasparente, efficiente ed economica (Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Veneto, 28 settembre 2012, n. 749; Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Trentino-Alto Adige, 6 settembre 2011, n. 28.) e valorizzando i citati interventi normativi (Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Campania, 7 gennaio 2011, n. 1.; Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Campania, 23 ottobre 2012, n. 1629; Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Marche, 15 luglio 2013, n. 80; Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Lazio, 24 febbraio 2011, n. 339; Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Lazio, 23 febbraio 2011, n. 327).

[42] L. Salvato, Riparto della giurisdizione sulle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali delle società in house,in Fallimento, 2014, 43.

[43] F. Fimmanò, Le società pubbliche in house providing tra disciplina del soggetto e disciplina dell’attività, in Giust. civ., 2014, 1135 s.

[44] Cass. Civ., SS.UU., 8 luglio 2016, n. 14040, e prima ancora Cass. Civ., SS.UU., 21 maggio 2014, n. 11229 secondo cui la “responsabilità per danno erariale risulta configurabile non solo nei confronti degli organi che hanno potestà decisoria finale, ma anche in presenza di un rapporto organico con soggetti che abbiano concorso a vario titolo a determinare il danno” (D. Morgante - R. Squitieri, Il concorso dell’extraneus nella responsabilità erariale in materia di società a partecipazione pubblica, inF. Fimmanò - A. Catricalà, op. cit., 663 s.).

[45] Cfr. in tema C. Ibba, Forma societaria e diritto pubblico, in Riv. dir. civ., 2010, I, 365 s.; Id., Azioni ordinarie di responsabilità a azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica, Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv. dir. civ., 2006, II, 145 s.; Id., Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, in Riv. dir. civ., 2008, I, 584. Per la responsabilità concorrente propende R. Rordorf, Le società pubbliche nel codice civile, in  Società, 2005, 424; per quella alternativa L. Venturini, L’azione di responsabilità amministrativa nell’ambito delle società per azioni in mano pubblica. La tutela dell’interesse pubblico, in Foro amm. CDS, 2005, 3442 s.; incerto G. Romagnoli, La responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra diritto amministrativo e diritto commerciale, in Società, 2008, 441.

[46] L’estensione della giurisdizione contabile in assenza di una espressa previsione contrasta, peraltro, con l’art. 103 Cost., nella parte in cui impone una chiara delimitazione dei giudici speciali, visto che il concetto stesso di materia presuppone una precisa definizione dei suoi confini atteso il suo ruolo discriminante rispetto alla sfera d’azione riservata all’autorità giudiziaria ordinaria (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., I, 2594 s.).

[47] Ex adverso l’azione individuale ex art. 2395 c.c., è stata ritenuta dalla magistratura contabile fuori dall’ambito della propria giurisdizione (Corte dei Conti, Sez. I, App., 3 novembre 2005, n. 356, cit., 3).

[48] Questo pare essere il risultato cui perviene la Cassazione che ha affermato che la Corte dei Conti può pronunciarsi solo sul danno erariale, cioè quello subito dal socio pubblico al suo patrimonio, risarcibile in sede civile ai sensi dell’art. 2395 c.c., potendosi qualificare erariali tali pregiudizi direttamente incidenti sul patrimonio del socio pubblico e fonte di responsabilità da accertare con lo speciale procedimento, su iniziativa del procuratore della Corte dei Conti (Cass. Civ., SS.UU., 23 febbraio 2010, n. 4309, in Società, 2010, 1361). Da questo punto di vista l’azione contabile esperita dal procuratore della corte non dovrebbe comunque precludere l’azione ex art. 2395 c.c. esperita dal socio innanzi al giudice ordinario, vista la diversità dei presupposti e dei risultati perseguibili (contra: S. Corso, La responsabilità societaria ed amministrativa degli amministratori di società a prevalente partecipazione pubblica, in Riv. arb., 2008, 570). Già Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Friuli Venezia-Giulia, 18 marzo 2009, n. 98, affermava che l’azione di responsabilità amministrativa concorre con le azioni civili di responsabilità sociale degli amministratori e sindaci della società, e non si sostituisce ad esse, costituendo una forma di tutela aggiuntiva, giustificata dall’esigenza di salvaguardia delle funzioni e dei servizi pubblici ai quali la società stessa è preordinata, anche al fine di evitare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’eventuale inerzia dei soggetti legittimati dinanzi al giudice ordinario.

[49] Il “controllo analogo congiunto” si realizza con la creazione di ulteriori organi societari (assemblee e comitati, unitari e tecnici), all’interno dei quali ogni comune, a prescindere dalla quota di partecipazione al capitale sociale, può eleggere un proprio rappresentante (Corte di Giustizia UE 13 novembre 2008, n. 324, Coditel Brabant; Corte di Giustizia UE 19 aprile 2007, n. 470, ASEMFO; Corte di Giustizia UE 10 settembre 2009, SEA); Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092.

[50] Nelle definizioni di cui all’art. 2 TUSP troviamo, infatti, oltre a quelle sul controllo, sul controllo analogo e sul controllo analogo congiunto (in questo caso con il rimando espresso all’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 50/2016 - Contratti Pubblici), anche le definizioni di società a controllo pubblico, a partecipazione pubblica e società in house (con richiamo espresso all’art. 5, comma 1 del Codice dei Contratti Pubblici). Il controllo è indicato come “la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

[51] Al riguardo cfr. F. Fimmanò - F. Sucameli, Gli indici formali e legali di “controllo pubblico” e i fatti concludenti dell’abuso di eterodirezione,in Riv. Corte Conti, 2020, 4, 3 s.

[52] Trib. Napoli 7 dicembre 2019, cit. Nel caso preso in esame dalla giurisprudenza di merito citata, il curatore ha esercitato l’azione solo nei confronti dell’ente che ha abusato dell’attività di eterodirezione e non di tutti coloro che avevano preso parte al fatto lesivo (ossia gli organi sociali ed i rappresentanti dell’ente). Al contrario il procuratore della Corte dei Conti ha agito solo nei confronti dei rappresentanti dell’ente che evidentemente non potevano eterodirigere senza la “complicità” degli organi sociali che avevano attuato le direttive. Viceversa entrambe le azioni avrebbero potuto, e per quella erariale dovuto, riguardare tutti. Chiaramente all’epoca dei fatti e delle azioni il quadro ricostruttivo non era chiaro come lo è oggi sia sul piano normativo che giurisprudenziale e, come si è detto, emerge la centralità del sistema della responsabilità da abuso del dominio nella fenomenologia delle società pubbliche ed in particolare di quelle insolventi.

[53] Corte dei Conti, Sez. giur. Reg. Campania, 8 giugno 2016, n. 329, Pres. Santoro, Rel. Barretta, inedita.

[54] Corte dei Conti, Sez. I giur. centrale di appello, 4 agosto 2017, Pres. Rotolo, Rel. Tommasini, inedita.

[55] I dirigenti o funzionari responsabili dell’unità amministrativa preposti all’espletamento dell’istruttoria e alla formulazione della proposta operativa che, pur non essedo titolari del formale potere di rappresentanza in seno agli organi societari, abbiano comunque esercitato una influenza determinante nel percorso decisionale che ha poi eziologicamente portato alla condotta o all’atto dannoso. O ancora l’organo politico-istituzionale (es. Sindaco, Presidente, Assessore, Giunta, Consiglio) che, sia nell’esercizio di potere formale sia proprio che delegato (es. attraverso un atto di indirizzo formalizzato) o anche solo di un potere concreto e sostanziale (es. attraverso indirizzi non formalizzati ma comunque impartiti in forza del peso politico rivestito, che abbiano integrato una concreta ingerenza, quand’anche indebita o illecita, nelle competenze degli uffici e funzionari prepositi), abbia impartito, in via di diritto o anche di mero fatto, disposizioni e direttive atte ad orientare in modo determinante le decisioni assunte dall’ente pubblico partecipante nell’esercizio dei poteri spettantigli in seno alla società partecipata. Sul tema cfr. D. Morgante, Le azioni di responsabilità relative alle società a partecipazione pubblica nel testo unico, in F. Fimmanò - A. Catricalà - R. Cantone, op. cit., 895).