, 12 dicembre 2022, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa. - 2. La natura della composizione negoziata. - 3. Il bilanciamento degli interessi. - 4. I presupposti: crisi e insolvenza reversibile. - 5. Segue. Insolvenza da revoca di un precedente concordato omologato e assenza di crisi industriale. - 6. Le regole del gioco e il requisito della buona fede. - 7. Le concrete prospettive di risanamento. - 8. Le società in liquidazione. - 9. I tempi della richiesta di misure protettive. - 10. Segue. Effetti delle misure protettive. - 11. La richiesta di contrarre finanziamenti. - 12. Questioni processuali. - 13. Misure cautelari. - 14. Lo “sbocco” del concordato semplificato.
Il presente contributo costituisce una prima – e dichiaratamente sommaria e parziale – analisi della giurisprudenza più significativa venutasi a formare in materia di composizione negoziata nell’imperio del D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (convertito, con modificazioni, dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147) e del codice della crisi. Le soluzioni adottate nei provvedimenti qui in appresso passati in rassegna possono per lo più riferirsi anche al codice della crisi, stante l’avvenuto travaso, in larga misura, della legge del 2021 nella nuova disciplina. Ci si riserva, peraltro, di tornare sul tema una volta che il quadro giurisprudenziale si sarà stabilizzato anche in relazione alle prescrizioni codicistiche.
2. La natura della composizione negoziata
Il dubbio in ordine alla natura dell’istituto, affacciato sin dai primi contributi nel senso che non si trattasse di procedura concorsuale[1], è stato autorevolmente risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 42093 del 31 dicembre 2021[2]. In essa si legge, al riguardo, che si tratta “di un istituto che pacificamente non integra una procedura concorsuale, ma egualmente implica, con la scelta unilaterale del regime protettivo ed il controllo del tribunale, preclusioni alle azioni di tutela del credito”.
Nell’utile e puntuale documento redatto dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, varato il 15 settembre 2022 (“Relazione su novità normativa. Nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza - Attuazione della Direttiva UE n. 1083/2019 c.d. Insolvency - d.lgs. n. 83/2022.”[3]), si osserva in proposito, a pag. 15, che la composizione negoziata “non costituisce una procedura concorsuale, come è reso evidente dalla libertà di eseguire pagamenti (art. 18, comma 1, ult. periodo), dall’assenza di qualunque cristallizzazione del debito e dalla mancanza di uno spossessamento in capo all’imprenditore. Si tratta, piuttosto, di un percorso di carattere negoziale che, per la particolare rilevanza degli interessi che arriva ad intercettare, è sottoposto all’impulso ed alla vigilanza dell’esperto, oltre che all’intervento dell’autorità giudiziaria nei casi, formalmente eventuali, ma di fatto si ritiene molto frequenti, in cui questa negoziazione debba avvenire sotto l’egida di misure protettive e cautelari (artt. 6 e 7)”[4] .
Tali osservazioni sono senz’altro condivisibili, in quanto colgono con precisione i punti salienti della disciplina che impingono sulla natura dell’istituto.
3. Il bilanciamento degli interessi
L’interesse tutelato in via prioritaria dal rimedio in esame è stato generalmente individuato nell’esigenza di porre al riparo il debitore durante le trattative con i suoi creditori, finalizzate al superamento della crisi. Sul punto, il Tribunale di Milano ha affermato che l’art. 6, D.L. n. 118/2021 istituisce un sistema di protezioni attivabile qualora vi sia la necessità di preservare il patrimonio dell’imprenditore da iniziative che possano turbare il regolare corso delle trattative e mettere così a rischio il risanamento dell’impresa[5].
Ad un tempo, la giurisprudenza ha correttamente e ripetutamente statuito che l’applicazione dell’istituto della composizione negoziata deve mirare al contemperamento degli interessi in gioco: quello del debitore a superare, in thesi, il proprio stato di crisi o di insolvenza reversibile e quello del ceto creditorio a ottenere il soddisfacimento, per quanto possibile e quanto prima possibile, delle proprie pretese.
In particolare, nel luglio 2022 si sono registrate due pronunce che meglio di altre hanno messo a fuoco questo aspetto.
In quella patavina si legge che è ammissibile la richiesta dell’imprenditore per la conferma delle misure protettive, qualora il tribunale, assunto il parere dell’esperto nominato, ravvisi, pur nei limiti derivanti dalla cognizione sommaria che connotano il procedimento, una ragionevole prospettiva di risanamento – anche solo parziale – dell’impresa e ritenga che tali misure, richieste in relazione a tutti i creditori, compresi anche quelli derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (lavoratori cioè non subordinati), siano effettivamente funzionali al buon esito delle trattative, e che ciò avvenga - ecco il punto - nel rispetto del bilanciamento tra l’interesse dell’imprenditore alla soluzione negoziale della propria crisi e quello dei creditori di non subire un significativo e irreparabile aggravamento delle posizioni debitorie a seguito dell’applicazione di dette misure protettive[6].
Nella coeva decisione catanese si afferma che nella composizione negoziata della crisi la tutela è orientata non già ad un diritto di una parte che possa essere pregiudicato nelle more di un giudizio di merito, bensì alla conduzione di trattative tra debitore e creditori protese al superamento della condizione di squilibrio economico-finanziario o patrimoniale del primo in equo contemperamento con gli interessi dei secondi[7].
Sempre con riferimento alla necessità di bilanciare gli interessi di cui sono portatori i diversi soggetti, si è stabilito, in sede di conferma o revoca delle misure protettive, che la mancata allegazione da parte dei creditori di uno specifico pregiudizio loro derivante dalle misure adottate non può che fare propendere, nell’ambito del giudizio di bilanciamento spettante al giudice, la valutazione a favore del debitore, che può senz’altro chiedere la conferma di misure protettive erga omnes, spettando ai creditori nei confronti dei quali è stato instaurato il contraddittorio, l’onere di rappresentare le eventuali ragioni ostative alla conferma[8].
Da ultimo, i principi sopra esposti hanno trovato conferma anche in una recente pronuncia del tribunale capitolino, secondo la quale le misure di protezione di cui all’art. 18 CCI hanno la funzione di evitare che l’iniziativa di un singolo creditore possa pregiudicare lo svolgimento delle trattative e provocare la dispersione delle potenzialità economiche dell’impresa anche per il tramite e con l’apporto di finanza esterna. In buona sostanza, il tribunale, nel confermare le misure protettive, deve bilanciare gli interessi del ceto creditorio e l’interesse alla conservazione del valore e delle potenzialità reddituali dell’impresa in crisi, tenendo conto che il sistema disegnato dal nuovo codice della crisi d’impresa consente non solo di valutare dinamicamente la meritevolezza e funzionalità delle misure di protezione ma anche di intervenire tempestivamente sulla loro rimozione o rimodulazione qualora, come previsto dall’art. 19, comma 6, esse non soddisfino l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti[9].
4. I presupposti: crisi e insolvenza reversibile
Per quanto concerne il presupposto oggettivo della composizione negoziata, si è osservato in dottrina, all’indomani della sua introduzione, che il primo comma dell’art. 2 lo individua in quelle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza dell’imprenditore e quindi in quelle situazioni in cui l’impresa si trovi in pre-crisi, in crisi o sia addirittura insolvente[10].
Questa impostazione risulta condivisa dalla giurisprudenza largamente dominante. Va tuttavia segnalata la – non condivisibile – decisione del Tribunale di Siracusa[11], secondo la quale “deve ritenersi precluso l’accesso alla composizione negoziata a quelle imprese che siano decotte già al momento della richiesta di nomina dell’esperto”.
Tale dictum nasce dall’erronea convinzione, espressa nel provvedimento citato, che “lo stato di insolvenza al quale fa riferimento la disposizione contenuta nell’art. 9 del D.L. n. 118 del 2022 riguarda i soli casi in cui l’imprenditore risulti insolvente “nel corso della composizione negoziata”, rimanendo dunque escluso che detta situazione di insolvenza possa sussistere già al momento del deposito della domanda di nomina dell’esperto per la composizione negoziata della crisi d’impresa.” Laddove si deve invece ritenere che la retta interpretazione del verbo “risultare” sia nel senso di considerarlo sinonimo di “emergere”, di tal che ben può venire in evidenza uno stato di decozione verificatosi antecedentemente alla composizione negoziata.
La corretta interpretazione della norma è stata comunque ristabilita, di recente, dal Tribunale di Bologna, nel cui provvedimento si osserva non essere condivisibile la tesi secondo la quale l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa è precluso alle imprese già insolventi e che l’istituto è dunque applicabile alle sole insolvenze sopravvenute nel corso del percorso di composizione negoziata in quanto apparirebbe incongrua la scelta del legislatore di costruire una norma applicabile alle rare ipotesi in cui l’impresa divenga insolvente nell’arco di tempo dei pochi mesi di durata delle trattative. Coerente con tale impostazione sono invero ritenute: la scelta del legislatore di non prevedere alcun filtro di ammissibilità all’accesso al percorso di composizione negoziata; la previsione secondo la quale la commissione di cui all’art. 13 CCI si debba limitare sempre e comunque a nominare l’esperto di cui all’art. 12; il fatto che le misure protettive ex art. 18 CCI scattino automaticamente dalla pubblicazione nel Registro delle imprese della istanza di applicazione delle stesse e dell’accettazione dell’esperto; la sterilizzazione, contenuta nell’art. 12 del codice della crisi, dei poteri del pubblico ministero (art. 38 CCI) la cui iniziativa è pertanto incompatibile con la composizione negoziata; il test di autodiagnosi, il quale non richiede che l’imprenditore dimostri l’inesistenza di uno stato di insolvenza, mentre l’attribuzione dei punteggi e le attività da intraprendere ai fini della reversibilità dello squilibrio prevedano anche situazioni gravissime, affrontabili solo attraverso l’abbandono, mediante cessione, dell’attività da parte dell’imprenditore.
Alla luce dei rilievi che precedono, al fine di decidere della conferma o revoca delle misure protettive, l’attenzione del giudice deve rivolgersi non tanto alla verifica dello stato di insolvenza quanto al risanamento dell’impresa attraverso le trattative con i creditori, ai quali viene presentato un piano che dovrebbe convincerli ad accettare la sospensione del potere di azione a fronte di una ragionevole prospettiva di risanabilità[12].
Lo stesso tribunale ha attribuito rilevanza allo stato di insolvenza, ma non già in chiave ostativa all’accesso allo strumento, bensì ad abundantiam rispetto al rilievo in base al quale, in sede di composizione negoziata della crisi d’impresa, non è opportuno autorizzare il finanziamento prededucibile quando l’impresa debitrice si trovi in stato di insolvenza e le trattative in corso non consentano ancora di delineare uno scenario favorevole su eventuali accordi con i creditori per una riduzione del passivo e altresì laddove, in ipotesi di worst case rappresentato dall’apertura della liquidazione giudiziale, si prospetti come concreto il rischio di assorbire una ingente parte della garanzia patrimoniale dell’imprenditore.
5. Segue. Insolvenza da revoca di un precedente concordato omologato e assenza di crisi industriale
Un caso particolare si è posto, nel corso del 2022, con riguardo a una situazione di crisi “figlia” dei negativi sviluppi giudiziari di un concordato preventivo inizialmente omologato dal Tribunale. Gli effetti della successiva revoca del concordato (disposta dalla corte d’appello e confermata dalla Cassazione) sono stati illustrati dallo scrivente in un parere pro veritate trasfuso in sede scientifica, al quale si rimanda[13].
Orbene, nella specie la peculiarità della condizione economica dell’impresa è puntualmente descritta nel provvedimento del Tribunale di Treviso che ha confermato le misure protettive: “La crisi deriva dalla sopravvenienza passiva costituita dalla riemersione del debito oggetto di falcidia concordataria a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato l’annullamento dell’omologa del concordato preventivo. Non si tratta di crisi industriale perché la società ha un MOL positivo e una prospettiva concreta di continuità e risanamento, come confermato anche dai dati incoraggianti del test pratico. La composizione negoziata, stando alle evidenze concordanti di questa prima fase, sia per la condotta dei soggetti coinvolti (improntata, secondo l’attendibile resoconto dell’Esperto, a trasparenza, collaborazione e buona fede) sia per la situazione obiettiva dell’impresa, con un solido apparato industriale e avviamento commerciale, non può dirsi strumentalmente utilizzata per procrastinare la crisi con pregiudizio dei creditori”[14].
6. Le regole del gioco e il requisito della buona fede
In materia di diritto della crisi il dovere di buona fede e correttezza è “scolpito nella pietra” dei principi generali del codice[15]. Il primo comma dell’art. 4 infatti recita: “nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza”.
Il medesimo concetto, con specifico riguardo alla composizione negoziata, si trovava già nella legge del 2021, cui si riferisce la giurisprudenza citata in appresso. Del resto, costituisce da tempo jus receptum il principio secondo il quale il legittimo interesse del debitore a tentare la via del superamento della crisi incontra, naturaliter, il limite dell’osservanza delle regole del procedimento, improntate all’inderogabile rispetto del canone della buona fede.
Si è pertanto giustamente affermato, in particolare nella giurisprudenza ambrosiana, che la compressione dei diritti costituzionali di iniziativa dei creditori insoddisfatti di cui è foriera la conferma delle misure protettive si comprende e giustifica solo se il richiedente rispetti le regole del procedimento che ha introdotto, essendo la composizione negoziata diretta a creare un clima collaborativo e di fiducia fra debitore e creditori che si nutre del rispetto delle regole di buona fede e correttezza e della loro declinazione nel caso concreto. Ne deriva il preciso obbligo del debitore di rappresentare la propria situazione in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori[16].
In altra decisione, parimenti condivisibile, si trova sancito il principio in base al quale, in osservanza del canone di buona fede e correttezza in pendenza delle trattative, anche le banche e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle stesse in modo attivo e informato, non avendo per altro verso rilievo, ai fini della conferma delle misure, la circostanza che in passato siano intercorse trattative tra i medesimi soggetti rimaste prive di esito positivo[17].
E sempre il Tribunale di Milano ha avuto modo di chiarire che l’imprenditore è tenuto a fornire, in maniera pienamente collaborativa, all’esperto tutte le informazioni in proprio possesso al fine di consentirgli di verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento. L’esperto deve poter contare su un corredo informativo completo, affidabile e aggiornato e può richiedere, in qualsiasi momento, all’organo di controllo societario, al sindaco e al revisore legale (ove in carica), ogni documento utile all’esperimento di tale verifica. Ciò in quanto l’esperto funge da garante della sicurezza delle trattative e dell’assenza di atteggiamenti dilatori o poco trasparenti e il suo coinvolgimento deve essere costante per tutta la durata della procedura.[18]
Di contro, non è ammissibile una trattativa tra l’imprenditore e alcuni creditori diretta ed esclusiva, ossia in assenza del coinvolgimento dell’esperto nominato, in quanto ciò frustrerebbe il suo ruolo di mediatore e facilitatore, nonché il dovere di buona fede, chiarezza, correttezza e collaborazione verso il medesimo, trattandosi di condotte contrarie al corretto perseguimento di una composizione negoziata assistita e consapevole[19].
7. Le concrete prospettive di risanamento
Com’è noto, il perno intorno al quale ruota il nuovo istituto è rappresentato dalla sussistenza di concrete prospettive di risanamento dell’impresa: e la verifica di tale presupposto normativo ha sùbito sollevato il tema della latitudine del controllo giudiziale.
Al riguardo, si è precisato che, se da un lato il tribunale non si limita a vagliare esclusivamente la sussistenza della disponibilità a trattare dei creditori, non potendo prescindere dalla necessaria verifica dell’esistenza di una effettiva probabilità di raggiungimento dell’accordo o comunque del risanamento, dall’altro non può spingersi a effettuare un’analisi prognostica per indagare se, grazie alla procedura di composizione negoziata, l’impresa possa essere concretamente risanata. A tale stregua, il tribunale può confermare le misure protettive laddove le stesse siano strumentalmente idonee a salvaguardare trattative effettivamente in corso, nell’ottica del raggiungimento di un risanamento che non appaia manifestamente implausibile, in ragione della palese inattitudine del piano prospettato dall’impresa[20], senza che tale obiettivo debba risultare già “alla portata”.
Si è poi anche correttamente osservato che le condizioni per cui le trattative avviate e mediate dall’esperto possano condurre al riequilibrio economico-finanziario della società debitrice vanno considerate in una dimensione di “ragionevolezza prospettica”, posto che lo scrutinio giudiziale si colloca in una fase iniziale del percorso compositivo quando molte sono le varabili ancora da definirsi in termini concreti (nella specie, la debitrice non risultava gravata da ulteriori esposizioni debitorie critiche nei confronti del sistema bancario, né dei fornitori, né dei creditori istituzionali e aveva conseguito positivi, per quanto contenuti e parziali, risultati economici anche nel corso dell’esercizio esaminato)[21].
Le prospettive di risanamento ben possono essere associate all’intervento di un terzo. Ed infatti, si è giustamente affermato che nel caso di necessità di un’operazione “straordinaria di ristrutturazione quale la cessione dell’azienda, vanno confermate le misure protettive, in quanto funzionali al buon esito delle trattative e del piano di risanamento, ove l’esperto rappresenti l’esistenza di contatti con il terzo interessato a valutare l’acquisto dell’azienda e l’effettiva disponibilità a proseguire nella trattativa a ciò finalizzata”[22]
Ai fini di cui sopra risulta cruciale il ruolo dell’esperto, il quale non viene svolto correttamente tutte le volte in cui questi si limiti essenzialmente “a riportare quanto rappresentatogli da parte dell’imprenditore senza svolgere al riguardo alcuna considerazione critica o verifica di sorta (e quindi neppure in termini sommari, come pur imposto dalle esigenze di speditezza della procedura e dalla dimensione embrionale del percorso negoziato)” [23].
In una recente decisione poi, si legge che, affinché il tribunale sia posto in condizione di valutare le possibilità di risanamento dell’impresa, la domanda di conferma delle misure protettive dev’essere accompagnata da un piano che permetta al giudice di effettuare una valutazione prognostica, o quantomeno realistica, circa la possibilità di un reale superamento della crisi finanziaria ed industriale che consenta di mantenere la continuità aziendale, non giustificandosi, in caso di soluzioni che comportino la liquidazione dell’impresa, l’adozione di siffatti strumenti fortemente incisivi dei diritti dei terzi e dei creditori[24].
In realtà, la tesi che postula la presenza di un piano a corredo della domanda non persuade completamente, dal momento che la legge non pare affatto escludere la situazione in cui il debitore richieda la conferma delle misure in un momento in cui il piano di risanamento non è ancora disponibile. Non a caso, in altra decisione, pressoché coeva, si legge che il piano di risanamento non deve necessariamente precedere la composizione negoziata, ma può essere elaborato all’interno della stessa avvalendosi anche delle trattative con i creditori condotte con l’ausilio dell’esperto. Nel caso in esame, il tribunale rileva che proprio nell’ambito della composizione negoziata il debitore “sta cercando di elaborare un modello per il superamento della crisi attraverso il confronto dialettico con i creditori, modello che tenga conto dell’emersione del debito concordatario e delle turbolenze dei mercati derivanti dall’aumento dei prezzi in particolare dell’energia, dall’inflazione e dalla guerra russo-ucraina”.[25]
Già in precedenza, il Tribunale di Firenze aveva confermato le misure protettive in un caso in cui l’impresa non aveva ancora redatto un piano di risanamento, bensì soltanto un “budget” relativo ai successivi tre anni[26].
Questione delicata attiene alla compatibilità fra la composizione negoziata e lo stato di scioglimento/liquidazione nel quale versi la società debitrice.
Deve al riguardo condividersi l’opinione secondo la quale detta condizione preclude l’accesso alla composizione negoziata non in quanto tale, bensì esclusivamente nei casi in cui essa denoti l’assenza di concrete prospettive di risanamento. A ben vedere infatti, il piano di risanamento – redigendo o già predisposto nelle sue linee essenziali – può contemplare la revoca dello stato di liquidazione in vista della permanenza dell’impresa sul mercato.
Si è quindi correttamente affermato, sul punto, che sussiste incompatibilità tra la composizione negoziata e lo stato di liquidazione della società solo ove sia ravvisabile in quest’ultima la sussistenza di un’insolvenza irreversibile e l’assenza di una concreta prospettiva di risanamento, inteso quest’ultimo come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all’impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazione. Ed invero – si è precisato – stato di scioglimento/liquidazione della società in crisi o insolvente non è di per sé preclusivo della possibilità del rimedio, giacché ciò che conta è che l’impresa, a dispetto dell’anzidetta condizione, si proponga di restare sul mercato: prospettiva, questa, inconciliabile con l’insolvenza irreversibile[27].
Sulla medesima “lunghezza d’onda” si è stabilito, in altro provvedimento, che la liquidazione del patrimonio dell’impresa senza possibilità di risanamento della medesima non consente l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa; “un simile scenario è, infatti, considerato dalla legge quale esito della procedura di negoziazione nel caso di fallimento delle trattative tra il debitore ed i suoi creditori” [28], laddove nel caso di specie non è stata prospettata dal debitore l’ipotesi che lo sbocco dell’attività liquidatoria sarebbe potuto essere la continuità aziendale.
Anche in questa ipotesi, dunque, il fattore ostativo al percorso della composizione negoziata è dato dall’impossibilità del risanamento, non dallo stato di liquidazione in sé considerato. E’ ben vero, in ogni caso, che la distinzione, nitida sul piano concettuale, tende a scolorire all’atto pratico, di tal che non sembra propriamente agevole ravvisare situazioni in cui imprese in liquidazione siano connotate da concrete prospettive di risanamento.
9. I tempi della richiesta di misure protettive
La giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi anche sul momento in cui dev’essere presentata l’istanza relativa alle misure protettive[29].
In proposito, si è correttamente osservato che l’art. 54, comma 2, si limita a richiamare la domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, senza escludere che la stessa possa essere anche successivamente integrata con una richiesta di misure protettive che sia iscrivibile nel registro delle imprese. Ne deriva che la richiesta di misure protettive ex art. 54, comma 2, CCII, può essere avanzata anche successivamente all’iniziale deposito della domanda ex art. 40 CCII di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza (piena o prenotativa ex art. 44 del CCII). D’altronde, l’esigenza di ottenere misure protettive ben può sorgere solo in un momento posteriore rispetto al deposito della domanda di accesso. Diversamente opinando, invero, si finirebbe col costringere il debitore, non solo ad anticipare la richiesta rispetto all’effettiva insorgenza dell’esigenza protettiva, ma soprattutto a consumare parte del periodo di protezione nonostante non ne abbia necessità sol perché gli verrebbe preclusa la possibilità di avanzare tale richiesta in un momento successivo, così frustrando la ratio della normativa che è quella, all’opposto, di circoscrivere temporalmente le misure protettive al minimo ritenuto indispensabile sia dal debitore che dal tribunale[30].
Sempre in riferimento allo scrutinio demandato dalla legge al tribunale, si è avuto modo di chiarire che il debitore non è necessariamente vincolato alla proposta originariamente formulata: ne consegue che, in sede di conferma o revoca delle misure protettive, il tribunale non è chiamato a un’immediata delibazione in ordine alla effettiva ammissibilità degli strumenti di composizione della crisi "proposti" dal debitore, in quanto tale proposta può subire variazioni all’esito delle trattative e dovrà essere valutata solo se e nei limiti di quanto effettivamente prospettato per il tipo di strumento individuato. Piuttosto, il tribunale deve valutare, sentito l’esperto nominato, se la richiesta di misure si inserisce nell’ambito di uno schema procedimentale tipico, se vi sia la concreta possibilità che possa addivenirsi ad una soluzione concordata e se le misure appaiono funzionali a favorire il raggiungimento delle trattative. Dal che si è rettamente inferito il corollario in base al quale, ai fini della concessione delle misure protettive, non assumono rilievo dirimente le puntuali eccezioni proposte in merito alla "non omologabilità" della proposta di accordo di ristrutturazione, potendo questa essere modificata proprio nel contesto delle trattative e anche all’esito delle interlocuzioni sorte nell’ambito del procedimento di concessione delle misure[31].
10. Segue. Effetti delle misure protettive
In mancanza di una diversa indicazione, da parte dell’imprenditore, all’atto dell’istanza di nomina dell’esperto, le misure protettive del patrimonio, funzionali allo svolgimento delle trattative, hanno ex lege effetto automatico generalizzato verso tutti i creditori, ad esclusione dei lavoratori. In fase di conferma, ai sensi dell’art. 7, comma 4, possono essere limitate dal giudice, sentito l’esperto, a determinati creditori o categorie di creditori, sempreché sia l’imprenditore facoltativamente a richiederlo, essendo egli comunque legittimato a invocarne la conferma erga omnes, senza che consti lesione del contraddittorio qualora il ricorso sia notificato a tutti i creditori[32].
11. La richiesta di contrarre finanziamenti
Il legislatore – com’è noto – disciplina il caso in cui si renda necessario (o quanto meno utile e opportuno) richiedere, nel corso delle trattative che si svolgono durante la composizione negoziata, finanziamenti funzionali al risanamento e alla prosecuzione dell’attività di impresa.
In sede di autorizzazione a contrarre siffatti finanziamenti, si è precisato in giurisprudenza che il vaglio del tribunale non può prescindere dalla verifica dell’elemento oggettivo su cui l’imprenditore ha avuto accesso alla composizione negoziata; valutazione, questa – ha affermato il tribunale di Bergamo – necessariamente da condursi esaminando (i) il piano di risanamento proposto dall’imprenditore in crisi e (ii) il complessivo fabbisogno finanziario del debitore. Entro tali precisi parametri va esaminata la strumentalità del finanziamento alla continuità aziendale, come esito prospettico dell’ipotesi di risanamento, da un lato; e alla migliore soddisfazione dei creditori, fondato su un giudizio di natura prognostica tra la situazione in cui non sia erogato il finanziamento e quella in cui l’impresa possa beneficiarne, ancorché gravata da un ulteriore e nuovo credito in prededuzione, dall’altro lato[33].
Si è posto inoltre il caso di più richieste successive di nuova finanza da parte dell’imprenditore in crisi. Al riguardo, si è stabilito che il giudice può autorizzare ex art. 10 D.L. n. 118/2021 la società alla contrazione di un nuovo finanziamento prededucibile (cd. finanza “bridge”) a condizione che accerti ex novo, avuto riguardo al business plan aggiornato, la sussistenza dei presupposti di cui al predetto art. 10, intesi come funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori. Nell’ipotesi, poi, in cui sia depositato un nuovo e diverso ricorso col quale l’impresa chieda di essere nuovamente autorizzata a contrarre finanziamenti prededucibili, il giudice deve chiedere all’esperto il deposito di una sintetica relazione in ordine allo stato delle trattative e, in secondo luogo, deve confermare la nomina, ai sensi dell’art. 68 c.p.c., dell’ausiliario al fine di procedere all’aggiornamento della verifica tecnica dei presupposti della nuova richiesta, ovvero della funzionalità dell’atto rispetto alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori[34].
Quanto all’accertamento che il tribunale è chiamato a compiere, esso consiste non solo nella verificazione dello stato di crisi o insolvenza reversibile, nella ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa e nella strumentalità del finanziamento alla continuità aziendale, ma anche nello scrutinio in ordine alla migliore soddisfazione dei creditori, fondata su un giudizio di natura prognostica tra la situazione in cui non sia erogato il finanziamento e quella in cui l’impresa, ancorché gravata da un ulteriore e nuovo credito in prededuzione, possa effettivamente trarne vantaggio[35].
I problemi di natura processuale vengono in evidenza prevalentemente nei casi in cui il debitore abbia chiesto misure protettive.
In primo luogo, vanno menzionate le pronunce che si sono occupate della competenza territoriale e funzionale, ove si è stabilito - conformemente ai principi generali del CCI - che la competenza in ordine alla conferma delle misure protettive e cautelari spetta al tribunale del luogo ove ha sede l’impresa richiedente e non al giudice del luogo ove eventualmente penda altra causa relativa ad una misura cautelare già adottata: con l’ovvio corollario secondo il quale il tribunale fallimentare non può accertare in via incidentale l’inefficacia di una misura cautelare già adottata da altro giudice[36].
Sempre in tema di competenza, in questo caso funzionale, si è chiarito che, una volta che sia stata concessa la misura protettiva del divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive, ove un’azione esecutiva venisse ugualmente intrapresa, la questione relativa a se quell’azione potesse o meno essere iniziata o proseguita è demandata alla competenza esclusiva funzionale del giudice dell’esecuzione. Sicché il provvedimento del giudice della misura protettiva che si soffermasse su tali aspetti sarebbe abnorme e privo di alcuna efficacia nell’ambito del procedimento esecutivo eventualmente intrapreso[37].
Quanto al rito, conformemente ai principi generali, la giurisprudenza ha statuito che, in tema di conferma delle misure protettive, il procedimento che si svolge dinnanzi il tribunale è regolato dalla stessa disciplina processuale prevista per il rito cautelare uniforme, con la necessaria conseguenza che il reclamo avverso l’ordinanza emessa dal giudice monocratico costituisce un rimedio avente carattere interamente devolutivo e sostitutivo[38].
In ossequio al principio che accorda precedenza all’esame della domanda diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, si è inoltre stabilito che il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso nei confronti di un’impresa debitrice che, nelle more dello stesso ha depositato l’istanza per l’applicazione delle misure protettive e contestualmente il ricorso per la conferma di tali misure nell’ambito del procedimento di composizione negoziata della crisi di impresa ai sensi degli artt. 6 e 7 D.L. n. 118/2021, non può essere sospeso, ma deve essere dichiarato improcedibile atteso che la sospensione del procedimento cautelare non è prevista dalla legge, differentemente da quanto l’art. 623 c.p.c. prevede per l’esecuzione forzata[39].
In ordine al momento dal quale prevale la domanda volta a risolvere lo squilibrio o la crisi, si è stabilito che dal giorno di pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto e sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, non può essere pronunciata la sentenza di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza e che tale misura opera in via automatica e non necessita della conferma da parte del tribunale, trattandosi di preclusione ex lege[40]. E ancora, si è chiarito che la mera pendenza di un’istanza per nomina dell’esperto finalizzata alla composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è idonea a rendere improcedibili le eventuali istanze di fallimento (o di apertura della liquidazione giudiziale) pendenti, che pertanto dovranno essere sospese, salvo che non emergano elementi idonei a far ritenere lo stato di crisi irreversibile[41].
Altra questione di rilievo attiene alla proroga delle misure protettive, relativamente alla quale si è affermato che l’art. 7, comma 5, D.L. n. 118/2021, non prevedendo un numero di proroghe concedibili ma unicamente il termine massimo complessivo di durata delle misure protettive, contempla la possibilità di più di una proroga entro il limite complessivo di tale termine, secondo una prospettiva di favor per la composizione[42].
Peraltro, si è ritenuto che, in sede di proroga del termine di durata delle misure protettive, sia inammissibile l’istanza volta ad ampliare le misure stesse, posto che, in questo contesto, il giudice può solo limitarsi ad ampliare la durata delle misure già confermate[43].
Quanto alla tematica delle misure cautelari, appare significativa la pronuncia del Tribunale di Catania secondo la quale, in materia di composizione negoziata, l’equo contemperamento degli interessi impone che con la misura cautelare l’imprenditore non possa ottenere risultati ulteriori e diversi rispetto alla propria ristrutturazione. Motivo per cui sarà possibile imporre alla controparte delle trattive un pati legato a un provvedimento giurisdizionale di sospensione dei pagamenti delle rateizzazioni in corso che gli precluda, in via provvisoria, l’afflusso finanziario derivante dall’esecuzione del contratto sospeso, ma non mai un facere[44].
Inoltre è interessante notare come sia stata ritenuta ammissibile nei confronti degli istituti di credito la misura cautelare atipica della sospensione di contratti bancari di affidamento e di finanziamento su fatture con divieto per detti istituti di estinguere la propria posizione creditoria[45].
14. Lo “sbocco” del concordato semplificato
Il presupposto applicativo dell’istituto del concordato semplificato[46] è enucleato con chiarezza dall’art. 25-sexies, comma 1, CCI, in base al quale occorre che (i) le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede; (ii) esse non abbiano avuto esito positivo; (iii) soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 23, commi 1 e 2, lettera b) non siano praticabili.
Del tutto corretta appare quindi la recente decisione secondo la quale, in tema di composizione negoziata, qualora in esito al relativo percorso si palesi praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche con transazione fiscale, l’imprenditore non è legittimato ad accedere al concordato semplificato, escludendolo l’art. 25 sexies CCII, che rende l’istituto in parola utilizzabile solo in via residuale ove risulti impraticabile la soluzione di cui all’art.23, comma 2 lett. b), CCII[47].
Nella giurisprudenza fiorentina, infine, si è giustamente affermato che, nel valutare la ritualità della proposta di concordato semplificato ai sensi dell’art. 25-sexies, comma 3, CCII, il tribunale deve verificare che dalla relazione finale dell’esperto risulti la dichiarazione che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede. E dal momento che, in base alla configurazione dell’istituto in parola, la partecipazione dei creditori alle trattative condotte secondo tale canone sostituisce il loro diritto di voto sulla proposta concordataria, è necessario che vi stata una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento (non necessariamente tutti, fermo restando che quelli non coinvolti devono ricevere regolare soddisfazione) e, quindi, che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte, e che abbiano potuto esprimersi su di esse. Inoltre, poiché costituisce presupposto per l’accesso al concordato semplificato la circostanza che non siano risultate praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b) (contratto, convenzione di moratoria, accordo con gli effetti del piano attestato, accordo di ristrutturazione dei debiti), pare necessario che le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme di tali soluzioni, ipotesi cui soltanto il citato art. 23, comma 1, ricollega la conclusione delle trattative all’esito (positivo) del superamento della situazione di cui all’art. 12[48].
Si può dunque rilevare, in ultima analisi, che ciò che conta nella prospettiva anzidetta è scongiurare che la composizione negoziata venga utilizzata abusivamente come strumento per arrivare al vero – ma in questi termini inammissibile – obiettivo dell’imprenditore in crisi, vale a dire alla proposta di concordato semplificato e alle conseguenti agevolazioni di cui questi, per tale via, si prefigga maliziosamente di fruire.
Va infine segnalata una recente decisione comasca, il cui tenore comporta un allargamento notevole – e probabilmente eccessivo – delle maglie dell’istituto. Ed invero, in questo caso il tribunale, di là da una puntuale ricostruzione dei profili distintivi rispetto al concordato preventivo, ha ritenuto che “possa trovare superamento la circostanza (…) della mancanza di soddisfacimento offerto a larga parte del ceto creditorio della società editoriale in liquidazione (debiti erariali privilegiati, debiti previdenziali privilegiati, fornitori privilegiati e chirografari), in taluni casi pari addirittura allo zero”, motivando l’assunto sulla scorta del rilievo che “non risulta (…) prevedibile nell'alternativa della liquidazione fallimentare una destinazione ai creditori di utilità superiori rispetto a quelle emergenti dalla proposta di concordato semplificato”[49].
Senonché, la necessità – sancita dall’art. 25-sexies, comma 5 – che la proposta assicuri comunque un’utilità a ciascun creditore costituisce un requisito autonomo e ulteriore rispetto all’assenza di pregiudizio in rapporto allo scenario alternativo; requisito da cui non si può prescindere e che rende la domanda inammissibile tutte le volte in cui l’assenza di pagamento non trovi “compensazione” nel riconoscimento di utilità diverse dal denaro (del che non vi è traccia nel provvedimento in questione).
[1] S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 919, ove il rilevo secondo il quale “la risposta pare dover essere di segno negativo. Lo è certamente ove per ravvisarne gli estremi si richieda la sussistenza di un provvedimento giudiziale di ammissione (o comunque di omologazione), risultando in tal caso la composizione negoziata estranea al concetto di procedura, come induce altresì a ritenere, secondo l’approccio tradizionale, il mancato verificarsi del con-corso tra creditori e l’assenza di spossessamento del debitore, messi in luce – come si diceva – dalla Relazione illustrativa. Ma la risposta resta probabilmente negativa anche se si opta per una nozione “minimalista” di procedura concorsuale quale adottata negli ultimi tempi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di accordi di ristrutturazione (sulla scia della Direttiva UE), giacché nella specie non sembra potersi riscontrare la compresenza di quegli elementi, ritenuti indispensabili, costituiti da: (i) una qualsiasi forma di interlocuzione con l’autorità pubblica, con finalità protettive nella fase iniziale e di controllo in quella finale; (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori; (iii) una qualche forma di pubblicità della procedura. La stessa Relazione illustrativa, definendo ripetutamente (e in modo volutamente atecnico) la composizione negoziata come “percorso”, mostra di compiere una scelta astensionistica rispetto alla questione in parola, anche se, rifuggendo deliberatamente dall’utilizzo del termine “procedura”, conferma l’obiettiva difficoltà a qualificare sic et simpliciter come tale la composizione negoziata; sebbene vada rimarcato come il rimedio, per così dire, si “concorsualizzi” nel caso in cui il debitore richieda al tribunale le misure protettive”. Sul punto cfr., sempre all’indomani della novella, anche S. Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in Diritto della crisi., 5 agosto 2021, nonché, più di recente M. Fabiani, I. Pagni, Introduzione alla composizione negoziata, in Fall., 2021, 1477 ss.
[2] Pubblicata in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/133, e commentata da F. Casa, La "quadratura del cerchio"; note minime su una sentenza importante (Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021, n. 42093), ivi, 24 gennaio 2022.
[3] Che può leggersi in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 settembre 2022.
[4] In tale documento si precisa altresì che “l’assenza di spossessamento dell’imprenditore è contemperata, in un gioco di checks and balances di nuovo conio, da un obbligo di disclosure circa gli atti di straordinaria amministrazione che il debitore intende intraprendere, cui corrisponde l’attribuzione all’esperto di un potere di opposizione, dotato di pubblicità notizia verso i terzi mediante pubblicazione nel registro dell’imprese. Tale contemperamento è inoltre perseguito dall’esigenza di autorizzazione giudiziale per taluni atti eccedenti l’ordinaria gestione, più gravi e in un certo senso “pericolosi” per il ceto creditorio, quale l’assunzione sotto varie forme di finanziamenti prededucibili o la cessione dell’azienda o di suoi rami, con il beneficio dell’esenzione della solidarietà passiva, ex art. 2560 c.c. (cfr. ora art. 22 c.c.i., che ha tuttavia perso, rispetto all’iniziale disegno del d.l. 118/21, la possibilità di rinegoziazione forzosa, ope judicis, dei contratti di durata il cui sinallagma sia stato “sconvolto”, a danno dell’imprenditore da eventi sopravvenuti)”.
[5] Trib. Milano, 27 febbraio 2022, Est. Macchi, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27140.
[6] Trib. Padova, 20 luglio 2022, Est. Rossi, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27763.
[7] Trib. Catania, 25 luglio 2022, Est. De Bernardin, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27914.
[8] Trib. Bergamo, 5 Aprile 2022, Est. Fuzio, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27480.
[9] Trib. Roma, 21 novembre 2022, Est. Cottone, in Diritto della crisi. Nel caso di specie, la maggior criticità emersa riguardava l'azione di rilascio dell'immobile ove la società debitrice esercita la propria attività, con rischio di pregiudicare definitivamente la prosecuzione nell'attività aziendale e vanificare la possibilità di successo delle trattative.
[10] S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 agosto 2021; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in Diritto della crisi, 28 Settembre 2021. Adde, nella dottrina aziendalistica, P. Bastia, Crisi e insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna 2022, 151 ss.
[11] Trib. Siracusa, 14 Settembre 2022, Est. Maida, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 28013.
[12] Trib. Bologna, 8 novembre 2022. Est. Atzori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/292. Nel caso di specie, il tribunale, pur ritenendo di assai difficile realizzazione il risanamento dell’impresa ricorrente ed avendo, con precedente provvedimento, rigettato la richiesta di autorizzazione ex art. 22 CCI a contrarre finanziamenti prededucibili (non ritenendoli, allo stato, funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori), ha accolto la richiesta di conferma delle misure protettive in ragione della incapacità dell’alternativa liquidatoria a soddisfare, se non in minima parte, le aspettative dei creditori.
[13] S. Ambrosini - F. Iozzo, Revoca del concordato preventivo omologato: effetti sull’entità del passivo e sul decorso degli interessi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 05 ottobre 2022. Si veda altresì, più in generale sul caso in esame, N. Abriani, Concordato preventivo e ristrutturazione dell’impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?, in Diritto della crisi, 16 febbraio 2022.
[14] Trib. Treviso, 4 ottobre 2022, Est. Casciarri, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/271. Il Tribunale di Treviso, nel confermare le misure protettive richieste dalla società debitrice, osserva che l’esperto “ha condotto una rigorosa e attenta disamina della complessiva situazione, che non si basa solo sulle notizie avute dagli Advisors, ma sull’analisi approfondita dei dati documentali e su una diretta interlocuzione in loco con tutta l’organizzazione aziendale, dai vertici fino alle articolazioni operative, evidenziando in maniera critica non solo i fattori di forza dell’azienda ma anche i profili problematici”. Muovendo poi dalla definizione di composizione negoziata quale “processo”, il Tribunale afferma che “il piano di risanamento non deve necessariamente precedere la composizione negoziata ma può essere elaborato all’interno della stessa avvalendosi anche delle trattative con i creditori condotte con l’ausilio dell’Esperto.
[15] In dottrina cfr., nell’ordine in cui sono stati pubblicati, S. Ambrosini, I “princìpi generali” nel codice della crisi d’impresa, in ilcaso.it, 26 gennaio 2021 significativamente integrato nel volume Diritto dell’impresa in crisi, Pisa, 2022, 31 ss.; G. D’Attorre, I principi generali del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Diritto della crisi, 8 Settembre 2022; R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Le crisi d'impresa e del consumatore, dopo il d.l. 118/2021, Bologna 2021, 3 ss.; L. Panzani, I doveri delle parti, in Diritto della crisi, 14 Settembre 2022; M. Fabiani, Introduzione ai principi generali e alle definizioni del codice della crisi, in Fallimento, 2022, 1173 ss.
[16] Trib. Milano, 16 giugno 2022, Est. Pascale, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27856.
[17] Trib. Milano, 21 luglio 2022, Est. Macchi, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27882.
[18] Trib. Milano, 14 maggio 2022, Est. Pipicelli, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27471.
[19] Trib. Milano, 14 maggio 2022, cit.
[20] Trib. Modena, 14 luglio 2022, Est. Bianconi, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27906.
[21] Trib. Brescia, 25 giugno 2022, Est. Pernigotto, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/230. Quanto alla durata delle misure protettive confermate, il tribunale ha osservato che nella specie “appare necessario fissarla nella misura massima di n. 120 giorni (decorrenti dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza), alla luce delle attività che appaiono ancora da compiersi e dell’approccio non sempre immediatamente dialogante delle parti coinvolte nelle trattative”
[22] Trib. Verona, 5 ottobre 2022, Est. Rizzuto, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/291
[23] Trib. Brescia, 15 settembre 2022, Est. Pernigotto, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/264
[24] Trib. Roma, 10 ottobre 2022, Pres. Est. La Malfa, in www. Diritto della crisi
[25] Trib. Treviso, 4 ottobre 2022. Est. Casciarri, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/271
[26] Trib. Firenze, 29 dicembre 2021. Est. Legnaioli, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26399
[27] Trib. Arezzo, 16 aprile 2022. Est. Pani, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/189.
[28] Trib. Bergamo, 15 marzo 2022, Est. Gelato, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27333.
[29] Sulle misure protettive la letteratura è già abbastanza copiosa: fra gli altri contributi cfr. M. Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 24 dicembre 2021, A. Carratta, Misure protettive e cautelari e composizione negoziata della crisi, ivi, 18 maggio 2022; A. Didone, Appunti su misure protettive e cautelari nel d.l. 118/2021, ivi, 17 novembre 2021; ID., Le misure protettive/cautelari, in Fallimento, 2022, 1251 ss., cui adde, ancora più di recente, A. Pernigotto, Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi: una ricognizione minima di questioni e possibili soluzioni, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, cit., 283 ss.
[30] Trib. Roma, 4 novembre 2022, Est. Miccio, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/290
[31] Trib. Roma, 4 ottobre 2022, Est. Cottone, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/289
[32] Trib. Milano, 27 febbraio 2022, in Fallimento, 2022, 1091 ss., con nota di L. Baccaglini, Composizione negoziata della crisi e misure protettive: presupposti, conseguenze ed effetti della loro selettività sulle azioni esecutive individuali.
[33] Trib. Bergamo, 5 luglio 2022, Est. Randazzo, in Diritto della crisi.
[34] Trib. Treviso, 20 giugno 2022, Est. Casciarri, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27745.
[35] Trib. Bergamo, 5 Luglio 2022. Est. Randazzo, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27740.
[36] Trib. di Roma, 10 ottobre 2022, Pres. Est. La Malfa, in Diritto della crisi. In tal caso, ove l’istanza sia avanzata nell’ambito della richiesta di misure protettive, il tribunale fallimentare può al più pronunciarne l’inibitoria in caso di accoglimento della richiesta. (Nel caso di specie era stata avanzata in via cautelare la richiesta di accertare in via incidentale l’inefficacia del sequestro già disposto da altro Giudice)
[37] Trib. Milano, 5 agosto 2022. Est. Rossetti, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27986. Nella specie, si è affermato che lo stesso principio, in ordine alla competenza, vale con riferimento al senso e ai limiti dell’obbligo di adempimento contrattuale di cui all’art. 6, co. 5, d.l. 118/2021; la legge, infatti, stabilisce esclusivamente che “i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza” di applicazione delle misure protettive; e poiché il procedimento ex artt. 6 e 7 D.L. 118/2021 è volto all’adozione delle misure protettive e non ha ad oggetto questioni quali l’accertamento dell’esistenza di un contratto pendente né la legittimità di un eventuale rifiuto al suo adempimento, se dovesse sorgere controversia su tali questioni, il giudice competente a derimerle sarebbe quello ordinario precostituito per legge
[38] Trib. Milano, 21 luglio 2022, Est. Macchi, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27882. Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto infondata l’eccezione sollevata dal debitore secondo cui il mezzo di impugnazione proposto dal creditore reclamante fosse da ritenere inammissibile per l’assenza di una sua preventiva difesa svolta in sede di udienza di conferma delle misure protettive e finalizzata alla revoca delle stesse.
[39] Trib. Treviso, 18 luglio 2022, Est. Righi, in Diritto della crisi.
[40] Trib. Rieti, 2 aprile 2022, Est. Sbarra, in Diritto della crisi.
[41] Trib. Lecce, 23 maggio 2022, Pres. Est. Pasca, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27716.
[42] Trib. Milano, 14 luglio 2022, Est. Giani, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27776. Il tribunale ha correttamente ritenuto che resta comunque indispensabile ravvisare un persistente nesso tra l’ulteriore termine richiesto e “il buon esito delle trattative”, oltre che, come in ogni ipotesi di proroga del termine è indispensabile sussistano i) il parere favorevole dell’esperto, ii) l’adesione della generalità dei creditori (ovvero la sussistenza di un diniego immotivato), iii) nonché la buona fede nella conduzione delle trattative, in primis, con riferimento al debitore-istante.
[43] Trib. Bergamo, 22 Aprile 2022, Est. Conca, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27360.
[44] Trib. Catania, 25 luglio 2022, Est. De Bernardin, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27914. Nel caso di specie, sulla base dei suddetti principi, il giudice ha dichiarato l’inammissibilità della misura avente ad oggetto l’inibitoria alla decadenza dal beneficio della rateizzazione in caso di mancato pagamento delle rate in scadenza, nonché della richiesta di ordinare all’ INPS il rilascio del DURC.
[45] Trib. Parma, 10 luglio 2022, Est. Vernizzi, in Diritto della crisi. Il tribunale, nella specie, ha ritenuto ammissibile la domanda cautelare ove la misura richiesta sia funzionale allo svolgimento delle trattative ed al risanamento dell’impresa e, in via mediata, alla tutela della massa dei creditori, risultando, rispetto a tali finalità, recessivo l’interesse particolare del singolo creditore controparte contrattuale destinatario di una fase di attesa funzionale alla tutela della continuità dell’impresa e, nel suo complesso, delle prerogative del ceto creditorio.
[46] Sull’istituto in questione cfr., da ultimo e per ampi riferimenti, G. Bozza, Il concordato semplificato, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, cit., 307 ss.
[47] Trib. Bergamo, 23 settembre 2022, Pres. Est. De Simone, in Diritto della crisi.
[48] Trib. Firenze, 31 agosto 2022, Pres. Est. Legnaioli, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27880, ove l’ulteriore precisazione in base alla quale, al fine di consentire ai creditori una partecipazione informata, sembrerebbe altresì necessario fornire ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale. Tale precisazione risulta in realtà “sovrabbondante”: e v. infatti, in dottrina G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 336, il quale osserva che ciò non è richiesto da nessuna norma e che la liquidazione giudiziale “è solo una, anzi concettualmente l’ultima, delle possibilità che viene offerta al debitore in caso di insuccesso della composizione negoziale; fa parte della buona conduzione delle trattative prospettare ai creditori tutti i possibili scenari per il caso dell’esito infausto delle stesse, sicché la mancanza di una tale completa informativa non è certo addebitabile al debitore e, tanto meno è sintomo di sua mala fede o scorrettezza”.
[49] Trib. Como, 27 ottobre 2022, Est. Previte, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/303.