Giurisprudenza

Misure protettive atipiche nei confronti del garante


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Articolo

I canoni per la gestione dell’impresa nel codice della crisi e dell’insolvenza*


Stefania Pacchi

Data pubblicazione
26 aprile 2023

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Sommario: 1. Premessa. – 2. L’impresa e la sua agestione nelle procedure concorsuali del ‘42. - 3. Nel 1979 qualcosa di nuovo si profila nell’ordinamento delle crisi. - 4. Con le riforme del 2005-2006 l’impresa assume una posizione di centralità. - 5. La centralità dell’impresa nel Codice della crisi e dell’insolvenza. - 5.1.Gli strumenti del CCII nei quali rintracciamo peculiari canoni per la gestione dell’impresa. - 6. Il canone per la gestione dell’impresa nella Composizione negoziata. - 7. Il canone per la gestione dell’impresa nel Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa. - 8. Il canone per la gestione dell’impresa nel concordato preventivo. – 9. Conclusioni.


1.       Premessa 

“Spigolando nei meandri della crisi d’impresa”[1] e della sua legge regolatrice adesso vigente, scorgiamo una presenza diffusa: si tratta dell’impresa e della gestione ad essa relativa[2].

Nella disciplina, infatti, l’impresa ha assunto la centralità prima detenuta dal soggetto imprenditore. Ciò non è da attribuirsi, però, a un mero spostamento del baricentro della disciplina dal soggetto (l’imprenditore) all’oggetto (l’impresa). Ritengo che questo passaggio sia piuttosto conseguenza del cambiamento di impostazione dell’Ordinamento della crisi.

In sintesi, oggi il soddisfacimento dei creditori transita per lo più dalla permanenza dell’impresa (o del complesso aziendale soltanto) anziché dalla liquidazione disgregativa[3].

Come è noto, storicamente questo Ordinamento ruotava attorno all’imprenditore-proprietario che, attraverso procedure di stampo liquidatorio (se pur di differente intensità), veniva sanzionato e spossessato.

Il soddisfacimento dei creditori conseguiva alla monetizzazione del patrimonio, sia che quella avvenisse con la liquidazione fallimentare che con la cessione dei beni concordataria.

Il patrimonio – se pur geneticamente funzionale all’attività – veniva considerato staticamente e, di conseguenza, in aderenza ai principi dell’esecuzione, “congelato”.

Ciò spiega l’assenza o marginalità - perfino nelle procedure c.d. preventive - di una disciplina che prevedesse una sua valorizzazione che, in quanto possibile fonte di rischio, avrebbe potuto determinare una riduzione della “moneta” da corrispondere ai creditori.

Oggi - assunta la continuità come la meta preferibile sia nella formula diretta che indiretta – è, invece, dalla gestione dell’impresa (e, quindi, dall’operatività di quel patrimonio riorganizzato, anche se in funzione della trasmissione ad altro imprenditore) che dipende il soddisfacimento dei creditori.[4]

Ecco, allora, che l’organizzazione e la gestione dell’impresa costituiscono elemento di grande impatto sia dal punto di vista aziendalistico che giuridico. La previsione degli adeguati assetti è funzionale al miglior impiego possibile dei fattori produttivi oltre che al tempestivo recepimento dei segnali di crisi dal quale dipenderà, in un circuito virtuoso, la possibilità di impostare un efficace piano di ristrutturazione.

La gestione dell’impresa è, quindi oggi – necessariamente -, elemento portante negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza volti al risanamento e niente affatto eccezionale, o comunque meno di prima, in quelli volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività.

Direi che, dipanandosi la soluzione della crisi come strategia d’impresa, se da un lato tale centralità è divenuta consequenziale, dall’altro la gestione non può, tuttavia, essere assoggettata agli identici canoni che presiedevano alla conservazione del patrimonio, atteso che una gestione meramente ancorata all’esistente e sfuggente dall’assunzione di qualsiasi rischio non è attività d’impresa.

La garanzia per i creditori non è più costituita – nello strumento per la regolazione della crisi – dalla conservazione del patrimonio e dai frutti che potrebbe generare, ma dalla risanabilità, alla cui presenza i creditori condizionano l’approvazione della proposta (accettando il rischio d’impresa).

La gestione dell’impresa trascina con sé, però, le proprie esigenze di fluidità e rapidità che per un verso potrebbero scricchiolare al cospetto dell’interesse dei creditori, il cui soddisfacimento rimane come obiettivo prioritario dell’ordinamento anche dopo la incisiva rivisitazione indotta dalla Direttiva Insolvency, mentre per l’altro potrebbero essere compatibili con lo spazio, oggi significativo, concesso al debtor in possession, nei confronti del quale è stato smorzato l’atteggiamento di sospetto e diffidenza specie quando egli sia intervenuto tempestivamente sulla crisi allora predicando l’importanza di mantenere quelle skills imprenditoriali.

Ormai occorre prendere atto che le prospettive dalle quali guardavamo fino a ieri ai metodi adottabili ed alle soluzioni perseguibili nel governo di una crisi sono in gran parte rovesciate.

La centralità assunta dall’impresa che, nei limiti del possibile, deve poter continuare, ha determinato una curvatura degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza funzionale alla ristrutturazione. Ciò si sta riflettendo sulla disciplina della gestione dell’impresa che, se letta avulsa dal mutato contesto, potrebbe apparire frutto di azzardate torsioni.

Probabilmente diventa, invece, indispensabile un cambio di lente per comprendere norme che, a mio avviso, non intendono infrangere il baluardo delle responsabilità ma soltanto, quando la conformazione dell’istituto lo consenta, alleggerire la conduzione dell’impresa a beneficio degli obbiettivi perseguiti.

I segni di quella che oggi può apparire una rivoluzione erano, però, in corso da tempo.

Gli strumenti del sistema concorsuale, osservati nella transizione dalla Legge fallimentare quale fu concepita nel 1942, alla disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese ed infine al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, registrano, infatti, una linea evolutiva che sottende progressivi quanto significativi cambi di impostazione.

 

2.       L’impresa e la sua gestione nelle procedure concorsuali del ‘42

Nella legge fallimentare del ’42 era regolata soltanto l'insolvenza[5] dell'imprenditore, proprietario di un patrimonio liquidabile e ripartibile e non la crisi produttiva dell'impresa.

Da una parte il legislatore del ’42 riteneva che l’impresa insolvente fosse di per sé immeritevole di analisi per verificarne una risanabilità, dall’altra il suo dissesto investiva soltanto gli interessi dei creditori. Il sistema ruotava attorno a un patrimonio contro cui si appuntava l’esecuzione e che rilevava soltanto come insieme di beni dai quali si potesse estrarre una somma per soddisfare i creditori. Questi erano considerati dal legislatore interessati esclusivamente a recuperare la maggior somma possibile. In quel sistema il destino dell’impresa e la sua recuperabilità non rientravano nell’orizzonte valoriale dei creditori.

In quel sistema la realtà “impresa” rimaneva in controluce, si trattasse di fallimento o, invece, di procedure alternative.

Nella disciplina del fallimento la realtà dell’impresa come crogiuolo di contratti traspariva con la previsione della gestione dei rapporti in corso[6]. Si trattava, però, di norme impostate nell’ottica della liquidazione, conveniente e celere, e non della valorizzazione dell’azienda in vista della sua possibile trasmissione unitaria.

Che questo approccio fosse totalmente assente era rivelato – oltre che dall’assenza dell’affitto d’azienda - anche dalla marginale considerazione per la continuazione dell’esercizio dell’impresa alla quale il legislatore guardava con diffidenza determinando una responsabilità diretta della procedura per le obbligazioni contratte durante il suo svolgimento e, ove fosse risultato passivo, l’assorbimento di tutto l’attivo da parte dei nuovi creditori.

Si imponeva, in via esclusiva, l'obiettivo di monetizzare e, ove possibile, ricostruire un patrimonio disperso in mille rivoli, atteso che la legge del concorso pretendeva l'applicazione del principio della par condicio e, quindi, un riequilibrio di posizioni alterate ripristinando pari basi di partenza fra i terzi.

Pur essendo questi i segnali della particolarità del soggetto insolvente, le relative norme venivano, però, declinate in punto di soggetto (l’imprenditore) - contro il quale si volevano dirigere le sanzioni compendiabili nello spossessamento e nella sostituzione gestoria[7] - anche se, di riflesso, si ripercuotevano sull’impresa, destinata – con il fallimento - a sparire dalla scena economica.

Non troppo dissimile era l’impostazione delle procedure alternative (concordato preventivo e amministrazione controllata).

In particolare, quella concordataria, nella sua conformazione liquidativa – si poteva immaginare la permanenza soltanto dell’azienda grazie alla formula della cessione dei beni – si collocava in una dimensione prettamente esecutiva, nella quale la prosecuzione dell’attività non assumeva rilevanza funzionale. Il legislatore, infatti, identificava - anche in questa procedura - l’interesse dei creditori con il percepimento di una somma di denaro piuttosto che con la prosecuzione dei rapporti commerciali.

Così, la proposta concordataria appariva ancorata ad un’analisi del fenomeno imprenditoriale, da una parte, condotta in termini esclusivi di soggetto organizzatore/proprietario di un patrimonio e, dall’altra, rivolta al passato e non verso ciò che avrebbe potuto essere l’impresa operando sul capitale, sull’organizzazione e sul progetto industriale. Il soddisfacimento doveva provenire dal patrimonio e non dai flussi di un’attività che continua grazie a un nuovo piano industriale di ristrutturazione.

La disciplina escludeva, infatti, giudizi previsionali su un possibile futuro dell'organismo produttivo. Il recupero dell'impresa esulava dallo schema della procedura e non pareva lecito ritenerlo scopo, almeno diretto, della disciplina. In linea con questa impostazione, la legge non dava indicazioni circa la sorte dell'impresa in conseguenza dell'instaurazione e dell'esecuzione di questa procedura concorsuale minore, se cioè fosse destinata a cessare o se, invece, potesse continuare una volta soddisfatti i creditori.

L’amministrazione controllata, dal canto suo, si caratterizzava più per un “non facere”, per un periodo di attesa funzionale alla ripresa della solvibilità, con ciò rivelando che sempre e comunque di un obiettivo (e percorso) solutorio si trattava e non già di risanamento.

In sintesi, le procedure concorsuali del’42, caratterizzandosi per lo spossessamento “integrale” (nel fallimento) o “attenuato” (nelle procedure alternative), non ponevano canoni gestionali diversi dal regime autorizzatorio né al curatore, né al debitore.

Il patrimonio doveva essere cristallizzato senza essere sottoposto al rischio d’impresa. La conseguenza era un severo regime che si sostanziava, per gli atti di straordinaria amministrazione, nell’ autorizzazione del giudice delegato (a prescindere dal valore dell’atto) con la severa sanzione ex art. 173 in caso di omessa richiesta); nella sottoposizione alla vigilanza del commissario giudiziale e alla direzione del giudice delegato.

Le linee gestorie – è evidente – provenivano dal giudice delegato, quindi, per cui, di fatto, la gestione del debitore era vincolata. La rigidità era massima. Non era possibile estinguere fuori del concorso i debiti sorti prima della procedura[8] a meno che – previa autorizzazione del giudice - non fossero indirizzati (trattandosi di amministrazione controllata) al risanamento[9].

Non era previsto alcun “dialogo” sulla gestione che non doveva, in nessun caso, introdurre elementi di rischio tipici di ogni impresa, sia o non sia in procedura[10].

 

3.       Nel 1979 qualcosa di nuovo si profila nell’ordinamento delle crisi

Il baricentro del sistema per la crisi d’impresa inizia a spostarsi nel 1979 quando il legislatore è intervenuto introducendo una procedura per la grande impresa che “grandemente” insolvente, per la quale la continuazione dell'attività rappresenta il cuore della procedura[11].

Con l’obiettivo di ammortizzare il trauma che la crisi produce sul piano dell’occupazione, il legislatore imposta la continuazione dell’impresa come cardine di questa procedura.

Rispetto all'idea guida della legge fallimentare del 42, il legislatore del 1979 compiva un significativo passo avanti, prevedendo che, nonostante l'insolvenza, il complesso aziendale potesse mostrare potenzialità tali per cui fosse conveniente per il circuito economico una sua conservazione anche se in altra diversa impresa.

Merita comunque sottolineare che l'esito di questo esame non condizionava l'adozione della procedura la cui essenza era pur sempre liquidativa e, quindi, funzionale all'interesse dei creditori al soddisfacimento.

Non emergeva ancora la possibilità di risolvere l'insolvenza con una procedura concorsuale conservativa grazie alla quale i creditori risultassero interessati a mantenere rapporti economici con l'impresa debitrice, grazie ad un’operazione di risanamento, anziché esclusivamente a percepire il soddisfacimento dei loro crediti nella “moneta” loro proposta.

Con il 1999 (d.lgs. 270) inizia a manifestarsi l’interesse del legislatore alla conservazione – del solo complesso aziendale o, se possibile, anche dell’impresa - “delle attività aziendali, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione dell’esercizio”[12].

La prosecuzione dell'esercizio diventa momento qualificante del piano predisposto per il superamento dell'insolvenza.

Siamo in presenza di una conservazione dinamica e non statica come era l'amministrazione controllata. Si tratta di una procedura di riattivazione e/o di riconversione dell'apparato produttivo in funzione di un intento in senso ampio conservativo[13]. Non ogni grande impresa insolvente, però, potrà essere ammessa ad amministrazione straordinaria, ma solo quella per la quale si possa accertare il presupposto dell'esistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività aziendali[14].

Il disegno non è privo di coerenza là dove per un verso enuncia l'inevitabile legame tra crisi e finanziaria e crisi economica e, per un altro, suppone che il superamento dell'insolvenza, perché si possa ipotizzare la conservazione dell'impresa e non del solo complesso aziendale, debba necessariamente passare dal riequilibrio economico. Se però l'impresa presenta una crisi economica irreversibile non potrà essere aperto a una procedura conservativa bensì si imporrà una procedura liquidativa disgregatrice.

Sono queste valutazioni essenziali per decidere la continuazione dell’impresa in quanto è necessario comparare le presumibili prospettive di ricavi con l'ammontare dell'indispensabile indebitamento che andrà a ricadere sui creditori anteriori. Non si tratta, quindi, soltanto di un'analisi patrimoniale in funzione di una somma di denaro da ripartire ma anche di un calcolo di convenienza circa la migliore utilizzazione possibile dell'azienda per riuscire a trasferirla unitariamente ad altro imprenditore.

Così l'interesse privatistico del creditore viene a contemperarsi con quello collettivistico al mantenimento in vita del complesso produttivo che costituisce un valore al di là della sorte dell'impresa cui apparteneva. Nell'ipotesi in cui si possa giungere alla conservazione dell'impresa stessa ci muoviamo, invece, in un'ottica di conservazione pura sia del modello gestionale che dello strumento dell'attività. La continuazione dell'impresa è in questo caso essenziale costituendo il fulcro dello strumento giuridico prescelto.

Da questo momento, nella disciplina delle crisi assume centralità il piano di risanamento (comprensivo di un piano industriale).

Questi sono i passaggi che si colgono nella disciplina dell’amministrazione straordinaria.

Mentre si radicava nell’ordinamento delle crisi il modello dell’amministrazione straordinaria[15], il sistema per l’imprenditore commerciale insolvente di dimensione “normale” rimaneva immobile registrando talora virtuose interpretazioni giurisprudenziali che miravano ad adeguare, sotto alcuni aspetti, la disciplina alle mutate esigenze economiche e imprenditoriali e che sarebbero, poi, confluite nelle riforme iniziate a partire dal 2005-2006.

 

4.       Con le riforme del 2005-2006 l’impresa assume una posizione di centralità

A partire da queste riforme il legislatore si è ispirato “ad una nuova prospettiva di recupero delle capacità produttive dell’impresa, nelle quali non è più individuabile un esclusivo interesse dell’imprenditore, secondo la ristretta concezione del legislatore del ’42, ma confluiscono interessi economici e sociali più ampi, che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale’’[16].

In tale contesto veniva collocato perfino il fallimento[17] la cui disciplina chiave, spezzata l’equazione insolvenza = liquidazione disgregativa, diveniva quella della liquidazione, proiettata, però, non soltanto a fissare modalità tecniche della monetizzazione del patrimonio ma anche a regolare le attività funzionali alla conservazione interinale del valore aziendale onde agevolarne una trasmissione unitaria[18].

Trattandosi, infatti, di un patrimonio sui generis, non solo deve essere conservato, ma può anche essere incrementato con l’acquisizione di nuovi beni e con i proventi delle azioni risarcitorie; può essere ricostruito con le azioni revocatorie. Inoltre, deve essere gestito decidendo la sorte dei contratti in corso, sfruttando l’azienda mediante un contratto di affitto o la stessa impresa attraverso l’esercizio provvisorio e quindi deve essere liquidato secondo le modalità e i tempi scelti dallo stesso curatore.

A partire dal 2005-2006 prende corpo la centralità l’impresa sia nelle procedure negoziali che in quella liquidativa. Anche nel fallimento l’attività, attraverso il complesso aziendale, può presentare un valore non marginale, imponendo allora al curatore l’abbandono di una sua gestione improntata a mera staticità a favore di una improntata al miglior sfruttamento possibile. Così come la liquidazione della società è divenuta con la Riforma del 2003 una fase peculiare della gestione dell’impresa, così anche la liquidazione fallimentare può costituire una fase di sfruttamento dell’azienda[19].

Così, la riforma fallimentare del 2006-2007 persegue l’idea di sfruttare ogni residua potenzialità del complesso aziendale, senza tuttavia ledere il soddisfacimento dei creditori, e al contempo spinge verso una privatizzazione nella gestione della crisi.

Ciò importa che, nel fallimento, il curatore assuma autonomo potere decisionale, che i creditori partecipino alle scelte fondamentali e che il giudice delegato abbandoni la direzione della procedura mantenendone, insieme al comitato dei creditori, la vigilanza[20].

Negli strumenti negoziali, poi, la sistemazione della crisi è rimessa alle parti stesse. Tutto si può proporre e tutto può entrare nell’accordo perché non è più la legge che ne fissa il contenuto ma le parti che decidono cosa soddisfa i loro interessi. Questi possono identificarsi nella conservazione dell’azienda.

L’ipotesi di cessione delle attività menzionata dall’art.160 lett. b) tra le chances di un concordato, diviene (anche) strumento per sfruttare, se possibile, le attività cedendole. Obiettivo del concordato può, quindi, essere – se pure non necessariamente - quello di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, del core business, per incrementare il valore dei complessi produttivi capaci di generare reddito.

Possiamo dire che in quella fase legislativa il concordato preventivo, pur rimanendo strumento per il soddisfacimento dei creditori, apre ad un ventaglio di possibilità circa il futuro dell’impresa e/o dell’azienda.

La legge non impone, infatti, né la conservazione ad ogni costo, né la cessazione inevitabile.

Rispetto al «vecchio» concordato del quale la giurisprudenza escludeva qualsiasi finalità di risanamento e di conservazione dell’impresa in quanto finalizzato essenzialmente a salvaguardare l’interesse dei creditori al soddisfacimento delle loro pretese, la rinnovata procedura consente ipotesi di lavoro ripristinatorie della solvibilità o, almeno, non immediatamente satisfattive.

L’ammissione dell’imprenditore insolvente al concordato preventivo produce effetti, così come accade per le altre procedure concorsuali, innanzi tutto nei confronti del debitore e dei creditori. La legge (artt.167,168 e 169 l.fall.) dedica la sua attenzione a questi soggetti, non soffermandosi, invece, a disciplinare né la sorte dei rapporti giuridici pendenti (che l’interprete ricava con i necessari adattamenti, come vedremo, da quella dettata per il fallimento), né gli effetti sugli atti pregiudizievoli perché l’azione revocatoria è incompatibile con una procedura nella quale non vi è spossessamento con sostituzione del debitore (come avviene nel fallimento).

Il debitore conserva il potere sia di amministrare il suo patrimonio, nonostante la destinazione di quello al soddisfacimento dei creditori, sia di gestire l’impresa. L’apertura del concordato preventivo non è incompatibile con la prosecuzione dell’attività anche se l’obbiettivo prioritario che guiderà l’imprenditore nelle scelte gestionali sarà costituito dal miglior soddisfacimento possibile dei creditori.

Vista la funzionalizzazione della procedura all’interesse dei creditori, per i quali costituisce una modalità di soddisfacimento in presenza dell’insolvenza del loro debitore, è comprensibile la scelta del legislatore di porre l’operato dell’imprenditore “sotto la vigilanza del commissario giudiziale”, sparendo però la direzione del giudice delegato che, di fatto, tracciava le linee gestionali che il debitore doveva scrupolosamente seguire.

Possiamo, quindi, individuare un generico controllo sull’attività del debitore, pur conservando egli, in via generale, il potere di amministrare e di gestire.

Per gli atti di straordinaria amministrazione da un generico controllo sulla conformità dell’attività del debitore agli obbiettivi concordatari, si passa ad un controllo specifico sui singoli atti. Mentre per l’ordinaria amministrazione il controllo viene esercitato allorché gli atti sono già stati compiuti trattandosi appunto di una verifica di regolarità, per la straordinaria amministrazione il controllo, estrinsecandosi nell’autorizzazione scritta (decreto) del giudice delegato per singoli atti, avviene per lo più in via preventiva, prima che l’atto sia posto in essere a meno che l’autorizzazione non intervenga come ratifica dell’operato del debitore.

 

 

 

5.       La centralità dell’impresa nel Codice della crisi e dell’insolvenza

La centralità dell’impresa, scissa dal soggetto gestore, permea il tessuto del Codice della Crisi a partire dal passaggio dal fallimento alla Liquidazione giudiziale volendo il legislatore con ciò sottolineare lo spostamento dell’asse di osservazione: dal soggetto che aveva “tradito la fiducia” dei creditori, allo strumento della sua attività (il patrimonio aziendale) oggetto di liquidazione.

È però con il tema della continuità, leitmotiv ricorrente negli strumenti di regolazione della crisi, che l’impresa emerge come punto di riferimento della normativa che allora risulta sovente forgiata in funzione delle caratteristiche, tempi ed esigenze dell’attività economica.

Il Codice della crisi sfodera norme in tema di gestione dell’impresa nei diversi strumenti. Sia in quello destinato alla liquidazione (la Liquidazione giudiziale) che in quello di Composizione negoziata, del Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa e, infine, del Concordato preventivo. Intanto, mentre non rileviamo nella disciplina della (eventuale) gestione dell’impresa nella Liquidazione giudiziale scostamenti rispetto a quella del fallimento (come riformato nel 2006), alcune interessanti novità si registrano negli altri strumenti sopra rammentati.

Prime di addentrarci nell’esame delle nuove norme, un’avvertenza si impone: ci troviamo al cospetto di strumenti dei quali non può essere predicata una omogeneità né rispetto alla natura, né rispetto alla funzione, né rispetto ai soggetti incaricati di un controllo[21].

 

5.1. Gli strumenti del CCII nei quali rintracciamo peculiari canoni per la gestione dell’impresa

Prendendo le mosse dallo strumento funzionale al tempestivo accesso alla ristrutturazione - la composizione negoziata[22] – rileviamo che questa non costituisce una procedura concorsuale.

Si tratta, infatti, un percorso privatistico[23], uno spazio per negoziare, libero – sia per l’imprenditore che decide se accedervi o meno sia per  i creditori altrettanto liberi di parteciparvi o meno –, riservato, contrassegnato dall’intervento on demand dell’autorità giudiziaria, quindi, eventualmente protetto, incentivato, strutturato per tessere dialoghi tra le parti, quando l’impresa presenti comprovati profili di risanabilità, nell’ottica di raggiungere (preferibilmente) una delle soluzioni “target” di cui al I comma dell’art. 23 o altrimenti una delle altre “più tradizionali” o quella “nuova” di liquidazione ma con utili semplificazioni che di per sé remunerano i creditori, enunciate al secondo comma che, comunque, avranno avuto alle spalle quella fase dialogica, improntata ai canoni di buona fede e correttezza e, quindi (anche) basata su flussi informativi completi e scambievoli.

Sia per la particolare rilevanza degli interessi che arriva ad intercettare, sia per l’esigenza di condurre le trattative rapidamente ed efficacemente nel rispetto reciproco dei diritti di cui ciascuna parte è portatrice, la CN è guidata e vigilata dall’esperto, professionista particolarmente formato nella gestione delle ristrutturazioni aziendali e nelle tecniche necessarie  per coadiuvare l’imprenditore – facilitando le trattative e stimolando gli accordi - nella ricerca delle concrete possibilità di risanamento dell’impresa.

Per questa posizione ricoperta e per la funzione svolta, la sua partecipazione alla procedura – coperta dalla garanzia dell’assoluta riservatezza riguardo le informazioni acquisite - è concepita come indispensabile[24]. Egli costituisce il garante della sicurezza delle trattativecome è stato evidenziato nella Relazione di accompagnamento al d.l. n. 118/2021.

L’esperto facilita, controlla e monitora ma non è organo di nomina giudiziaria di una procedura (che non c’è).

L’imprenditore è libero di entrare o meno in questo spazio senza che ciò determini a suo carico effetti etichettabili come spossessamento – una gestione libera che può determinare reazioni dell’esperto anche di rilievo specialmente quando vi sia stata richiesta e conferma di misure protettive - ma ciò non significa – come vedremo - che sia uno spazio senza regole e principi.

Volontarietà non importa libertà di manovra.

Entrando nell’area degli strumenti per la ristrutturazione, innanzi tutto, incontriamo la disciplina del piano attestato di risanamento[25] e accordi di ristrutturazione dei debiti[26].

Il Piano attestato di risanamento esce dal CCII come “la punta più avanzata del processo di privatizzazione della crisi d’impresa”[27] proteso al recupero della continuità dell’impresa. È stato, quindi definito, “strumento di programmazione della gestione di una crisi dell’impresa”[28]. Non è una procedura concorsuale e neanche un procedimento vista la totale assenza del giudice, non rilevando per qualificarlo un eventuale successivo intervento in sede di azione revocatoria esercitata dal curatore della liquidazione giudiziale.

Il piano attestato costituisce lo strumento meno invasivo per affrontare una crisi. Consiste in un “programma di natura aziendale che formalizza una strategia d’impresa e sul quale è organizzata un’attività negoziale”[29].

Se vogliamo in sintesi individuarne la struttura possiamo coglierne gli elementi essenziali nella completa stragiudizialità, nella mancanza di una negoziazione formalizzata e quantificata secondo maggioranze, in quanto gli accordi tra debitore e creditori, pur indispensabili, stanno dietro le quinte, la proposta del piano da parte dell’imprenditore (anch’essa informale) costituendo il nucleo essenziale minimo ma sufficiente dello strumento meno invasivo per la regolazione della crisi.

La minor invasività va però di pari passo con l’assenza di supporti per la continuità predisposti, invece, per gli strumenti più strutturati come gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo[30].

In un gradino di maggiore incisività rispetto al piano attestato, si pongono gli accordi di ristrutturazione dei debiti che – nelle varianti rispettivamente ad efficacia estesa e agevolati - costituiscono strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione, ciò importando che mentre gli accordi sono raggiunti in sede stragiudiziale, dovrà poi intervenire, perché producano gli effetti previsti dalla legge, il controllo del Tribunale (l’omologazione) circa la loro idoneità a soddisfare i creditori rimasti estranei (non aderenti) all’accordo.

L’accordo deve essere accompagnato da un piano economico-finanziario la cui disciplina, rispetto al contenuto e alla documentazione di accompagnamento, è la medesima di quella fissata dall’art. 56 CCII per il piano attestato di risanamento.

Nonostante si tratti di strumento semigiudiziale, nessun effetto effetto si produce a carico dell’imprenditore che, rimanendo dominus della sua impresa, prosegue nella gestione senza essere sottoposto ad alcun vincolo né a controllo che si esprima con un regime autorizzatorio. Nonostante ciò, la legge riconosce il divieto delle azioni esecutive e cautelari (ad eccezione negli accordi agevolati) e, in taluni casi, la prededuzione[31].

L’assenza di invasività del piano attestato e quella scarsa degli accordi di ristrutturazione – attribuibile alla stragiudizialità dell’uno e alla semigiudizialità degli altri - implica l’assenza di effetti sull’imprenditore e di controlli. Ciò non significa, però, che un monitoraggio sull’esecuzione del piano non debba esservi. Il CCII assume l’informazione quale cardine del monitoraggio.

Questoincombe sull’imprenditore e anche sui diretti interessati (i creditori) che potranno imporre al debitore adeguati flussi informativi e modalità che consentano loro un controllo sul piano in progress. Il monitoraggio costituisce un dovere per il debitore scolpito nel CCII nell’art. 3 e nell’art. 4 sia quindi calato nel dovere di una gestione organizzata in adeguati assetti “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative” sia nel dovere di un comportamento negoziale di buona fede, corretto (art. 4, I comma) e trasparente, improntato all’informazione completa e veritiera e funzionale alla tutela dei creditori (art. 4, II comma). Ma poi, agli accordi di ristrutturazione, - ove si riconoscesse all’istituto, aderendo alla tesi della Suprema Corte[32], natura di procedura concorsuale – potrebbe essere applicata, come canone gestionale, la norma di cui all’art. 4, comma 2, lett. c), con la conseguenza che il debitore deve gestire nell’interesse prioritario dei creditori.

Dal canto loro anche i creditori, oltre al dovere di buona fede e correttezza nell’esecuzione degli accordi (art. 4, I comma) incontrano un vincolo di collaborazione leale con il debitore (art. 4, III comma) durante lo svolgimento delle tappe di soluzione della crisi per la quale hanno instaurato una negoziazione. In tale ottica anche su di loro incombe il dovere di monitoraggio onde evitare che l’esecuzione di atti non più inquadrabili nelle condizioni originarie dell’impresa e, quindi, del piano, rechino pregiudizio alle parti che non solo non potranno giovarsi delle coperture (da revocatoria e dalla sanzione penale) ma che saranno pregiudicate dal piano divenuto non performante.

In questi strumenti, non è presente, dunque, alcun canone per la gestione dell’impresa – assolutamente libera – ma un monitoraggio permesso attraverso un flusso informativo.

 Nell’ideale scala degli attrezzi, dopo piano attestato e accordi, è oggi collocato il piano di ristrutturazione soggetto ad omologa (di seguito PRO)[33], possibile (ma non necessariamente) sbocco di una CN.

Siamo dinanzi ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza che, sulle orme di alcune previsioni della Direttiva Insolvency  (ma tale assunto è stato da più parti contestato)[34], consente all’imprenditore (non “fallibile“), che si trovi in stato di crisi o di insolvenza, di operare una ristrutturazione prevedendo il soddisfacimento dei creditori con la distribuzione del valore generato dalla esecuzione del Piano “anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione“ alla condizione che la proposta sia approvata dall’unanimità da tutte le classi, nelle quali i creditori devono essere obbligatoriamente suddivisi.

Si tratta di un istituto che si colloca in una posizione intermedia[35] tra il concordato preventivo, dal quale si differenzia per l’assenza di una regola distributiva e l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa rispetto al quale non impone che i creditori estranei siano soddisfatti per l’intero e prescinde da un processo di adesioni fondandosi, invece, su quello deliberativo[36].

L’operazione che si vuole realizzare mediante il PRO è legittimata dal voto favorevole di tutte le classi. In questa ipotesi l’ordinamento tollera che le regole di distribuzione non corrispondano alle regole di graduazione del codice civile, ferma restando la tutela del creditore dissenziente che può chiedere al tribunale di verificare l’assenza di pregiudizio.

Nella sua struttura rinveniamo: la domanda rivolta al tribunale (anche con accesso ex art. 44, comma 1, lett. a); il piano con suddivisione dei creditori in classi e articolato secondo lo schema di cui all’art. 64-bis, comma 1, e la proposta rivolta i creditori.

Ciò che l’imprenditore chiede al tribunale non è, sic et simpliciter, “l’omologazione di un piano” (come ne discorre il comma1, lett. a) dell’art. 44) bensì l’ammissione a un procedimento nel corso del quale, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, si formerà la volontà dei creditori sulla proposta.

L’art. 64 bis, comma 4, CCII dispone che a seguito della presentazione del ricorso per l’ammissione al PRO il Tribunale valuti la “mera ritualità della proposta” verificando “la correttezza dei criteri di formazione delle classi”: procedendo poi – in caso di esito positivo delle valutazioni – alla nomina del giudice delegato e del Commissario giudiziale (anche confermando quello eventualmente già nominato ai sensi dell’art. 44, comma 1 lett. b), ed adottando i provvedimenti “organizzativi” previsti dall’art. 47, comma 2, lettere c) e d) del CCII).

Al Commissario giudiziale si applica l’art. 92 CCII (art. 64-bis, comma 9) che comporta l’attribuzione delle funzioni tradizionali – il nocciolo duro delle sue attività - di vigilanza, consultazione (attraverso i pareri) e informazione o segnalazione. Vedremo poi come queste funzioni siano delimitate dal mancato richiamo di altre norme del cp che dettagliano l’attività di questo organo.

Infine, al vertice della scala degli attrezzi, incontriamo il concordato preventivo[37] - procedura concorsuale oggi inserita tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza di cui all’art. 2, lett. m-bis),- che può essere proposto dall’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza, assoggettabile a liquidazione giudiziale, sulla base di un piano (il cui contenuto è tipizzato dall’art. 87), che miri ad assicurare al tempo stesso la sostenibilità economica dell'impresa e ad attribuire a ogni creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello ritraibile nell’evenienza liquidatoria (c.d. criterio di equivalenza o non deteriorità del trattamento).

Nel recepimento della Direttiva Insolvency è stato significativo l'intervento sulla normativa disciplinante il concordato preventivo in continuità aziendale, - risultando solo marginali i ritocchi al concordato meramente liquidatorio - le modifiche mirando a garantire maggiore libertà di azione dell’imprenditore; a valorizzare il consenso dei creditori e a ridurre, in un’ottica di efficienza e rapidità del processo di ristrutturazione, il ruolo del tribunale.

In questo quadro disciplinare, il commissario giudiziale mantiene il ruolo di “controllore a tutto campo” funzionale ad una esauriente informazione dei creditori. Le norme sul commissario giudiziale, nella sostanza, ricalcano le omologhe già contenute nella previgente legge fallimentare, con le dovute eccezioni che segnalerò e che rendono tale organo ulteriormente “responsabilizzato”, al pari (del resto) di tutti gli altri soggetti che operano nell’ambito della crisi.

 

6. Il canone per la gestione dell’impresa nella Composizione negoziata

Giungendo adesso al discorso sulla gestione dell’impresa e perimetrandolo ai tre strumenti dei quali intendo occuparmi, devo preliminarmente indicare le norme del Codice della crisi che rispetto al nostro tema costituiscono il riferimento d’obbligo.

In particolare, segnalo, quale norma quadro: l’art. 4, comma 2 lett. c) che pone a carico del debitore il dovere di gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori (Doveri delle parti).

A queste si aggiungono poi le specifiche norme: l’art. 16, comma 4 (Requisiti di indipendenza e doveri dell’esperto e delle parti) che pone a carico del debitore il dovere di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori; l’art. 21 (Gestione dell’impresa in pendenza delle trattative); l’art. 64-bis, commi 5 e 6 (Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione); gli artt. 94 (Effetti della presentazione della domanda di concordato) e 100 (Autorizzazione al pagamento di crediti pregressi).

Diversi sono gli effetti che ciascuno dei rammentati strumenti produce a carico dell’imprenditore/debitore in termini di poteri gestori.

In ragione della natura squisitamente privatistica e non concorsuale della composizione negoziata, l’imprenditore permane nel pieno governo dell’impresa, abbracciando questa sia i pagamenti che gli atti di straordinaria amministrazione [38].

Come si presenta oggi il sistema della gestione dell’impresa in questo percorso protetto, agevolato e regolato della CN?

Le trattative devono svolgersi nel binario della buona fede e correttezza e a tal fine la gestione dell’impresa, se pur libera da vincoli non trattandosi di procedura concorsuale, deve cionondimeno seguire alcuni principi che possono sussumersi in un dovere di informazione dell’esperto e in obbiettivi vincolati (v. artt. 16, co.4 e 21). 

In questo percorso l’autonomia gestionale dell’imprenditore non è scalfita neppure dall’inserimento di eventuali momenti giurisdizionali sollecitati da richieste dello stesso imprenditore. L’estraneità della CN al circuito giudiziale[39] “implica un arretramento dell’intervento giurisdizionale”[40] e rispetto ai poteri gestori dell’imprenditore è confermata dall’assenza di un regime autorizzatorio anticipando ciò che si ritrova nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologa.

Il legislatore della composizione negoziata, nell’intento di non ingessare la conduzione dell’impresa con un regime autorizzatorio, consegna all’imprenditore (art. 21) per un verso una serie di criteri funzionali al risanamento dell’impresa (sostenibilità) e alla tutela dei creditori (prevalente interesse dei creditori), per l’altro, indicazioni circa il dialogo che (almeno) su determinati atti gestori deve instaurarsi tra imprenditore ed esperto.

Il primo comma dell'articolo 21 fissa, dunque, i criteri di massima che l'imprenditore è tenuto a rispettare nell'ambito delle trattative per consentire il risanamento dell'impresa e tutelare i creditori.

In particolare, l'imprenditore, in caso di ricorrenza di un attuale stato di crisi, deve[oltre a dover programmare il superamento della crisi] condurre la gestione dell'impresa in modo da salvaguardare la sostenibilità economico-finanziaria dell'attività, così da mantenere l'equilibrio economico-finanziario non solo nel breve ma anche nel medio termine[41]. Come è stato spiegato: “la gestione dell’impresa deve essere improntata alla conservazione della sostenibilità economico-finanziaria della attività; se c’è continuità, non sono pretesi comportamenti meramente conservativi (v. art. 2486 c.c.) ma è richiesta l’adozione di condotte imprenditoriali che siano allineate, proprio, al mantenimento della continuità”.[42]

Nell'ipotesi in cui nel corso della composizione negoziata risulti, però, che l'imprenditore è insolvente ma sussistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso deve fare in modo che la gestione dell'impresa persegua il prevalente interesse dei creditori[43].

Quando l’insolvenza non impedisca la risanabilità, la composizione negoziata può proseguire con un riflesso però sulle regole gestorie che impongono un operato attento a non pregiudicare i diritti dei creditori senza con ciò costringendo ad una gestione meramente conservativa che di per sé si pone in contrasto con progetti di risanamento. In sostanza si chiede all'imprenditore di organizzare la gestione in modo da consentire il soddisfacimento quanto più possibile delle pretese creditorie.

Queste previsioni si pongono in un continuum con quella di cui all'articolo 2086 comma 2, c.c., per la quale l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, così come con quella di cui all'articolo 2486 comma 1, c.c., per la quale, al verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

Il rispetto dei criteri di gestione sopra indicati (art.21) è nel complesso funzionale ad assicurare all'imprenditore l'ordinata prosecuzione delle trattative, ed evitare l'eventualità che l'esperto si formi un'opinione negativa sul possibile esito delle stesse e suggerisca l'archiviazione della procedura. Il secondo comma dell'articolo 21 dispone, infatti, che l'imprenditore debba informare preventivamente l'esperto del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell'esecuzione dei pagamenti che non siano coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento[44].

 

Gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione[45] che necessitano di preventiva comunicazione all'esperto da parte dell'imprenditore sono quelli che modificano o alterano la consistenza del patrimonio su cui incidono, in particolare in tema di crisi di impresa il perimetro degli atti di straordinaria amministrazione è stato precisamente delimitato dalla giurisprudenza: sono gli atti idonei ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità a soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determinano la riduzione ovvero lo gravano di vincoli e di pesi cui non corrisponde l'acquisizione di utilità reali prevalenti su questi[46].

Costituiscono invece atti di ordinaria gestione, non soggetti a preventiva comunicazione, quelli strettamente aderenti alle finalità e alle dimensioni del suo patrimonio, che - ancorché comportanti una spesa elevata - lo migliorino o anche solo lo conservino, nonché quelli relativi alla prosecuzione dei rapporti negoziali pendenti, ove inerenti alla gestione caratteristica dell'impresa e non incidenti in modo innovativo sul suo patrimonio[47]. Ne discende che la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione dovrà essere valutata di volta in volta, alla luce dell'attività concretamente svolta dall'impresa, della sua dimensione, della natura dell’atto e della sua incidenza sul patrimonio aziendale[48].

In questo binario come deve muoversi l’imprenditore? Questi deve seguire alcuni principi che possono sussumersi in un dovere di informare l’esperto che – quasi in un contrappunto – può manifestare la sua contrarietà all’atto fino ad incidere sulle trattative ma, comunque, non sull’atto.

All’imprenditore corrisponde il dovere di disclosure (da questa informazione si può innescare una spirale di azioni e reazioni, comunque ben lontana da uno spossessamento anche solo in forma attenuata) mentre l’esperto è investito del compito di rispondere segnalando/ammonendo circa la potenzialità dell’atto a pregiudicare i creditori, le trattative e le prospettive di risanamento.

Nella fase delle trattative, a seguito della segnalazione dell'atto, deve essere seguito il procedimento disciplinato dai commi 3 e 4 dell'articolo 21.

Cosa fa l’esperto rispetto alla conduzione dell’impresa del debitore? Monitora se sussistono le condizioni di risanabilità e sorveglia che la gestione dell’impresa non pregiudichi l’andamento delle trattative compromettendo il risanamento e, quindi, recando pregiudizio all’interesse dei creditori.

Una notazione mi pare d’obbligo: essendo l'esperto un facilitatore nell'ambito delle trattative, il potere di controllare l'attività dell'imprenditore e di (eventualmente) ingerirsi, seppure formalmente dall'esterno, nella gestione delle imprese è limitato alle ipotesi più gravi, ossia quelle nelle quali, in spregio dei principi di correttezza e buona fede, le scelte dell’imprenditore appaiono in contrasto con la tutela dei creditori, l'andamento delle trattative e le prospettive del risanamento.

Calando l’osservazione nel tema della gestione, anzitutto, l'esperto deve segnalare per iscritto all'imprenditore e all'organo di controllo (se nominato) l'atto che ritiene possa recare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento. L’obbligo di segnalazione in ipotesi di ravvisata incoerenza opera con riguardo ad entrambe le fattispecie, mentre discrezionale è l’iscrizione del dissenso nel registro delle imprese (sì che la segnalazione potrebbe permanere ad uno stadio di confidenzialità); segnalazione che è, viceversa, obbligatoria, qualora, ad avviso dell’esperto, l’atto possa arrecare pregiudizio ai creditori.

Come chiarito dal Decreto dirigenziale (del 28 settembre 2021) sono ragionevolmente coerenti con l’andamento delle trattative, tra gli altri, i pagamenti delle retribuzioni ai lavoratori subordinati; dei debiti fiscali e previdenziali; dei ratei di mutuo o di leasing; dei debiti commerciali funzionali al ciclo degli approvvigionamenti di beni o servizi; possono essere coerenti – va aggiunto, se il “sottostante” è funzionale alla continuità – anche i pagamenti di debiti rateizzati, ove l’inadempimento fosse sanzionato con la decadenza dal beneficio del termine. Peraltro, adempiendo all’obbligazione di informazione preventiva (la cui violazione riterrei esponga a responsabilità risarcitoria), l’imprenditore può conseguire un significativo beneficio, sempre che non vi sia l’espressione del dissenso da parte dell’esperto, vale a dire l’esenzione da revocatoria, ai sensi del co. 2 dell’art. 12.

Relativamente al pregiudizio ai creditori, il decreto dirigenziale del 28 sett 2021 (nella sezione terza. 7.6) evidenzia che l'esperto tiene anche conto della sostenibilità economico finanziaria dell'impresa e dei vantaggi per i creditori derivanti, secondo una ragionevole valutazione prognostica, dalla continuità aziendale.

Non ricorre alcun pregiudizio, ad esempio, quando i finanziamenti richiesti siano necessari ad assicurare la continuità aziendale e l'impresa sia in grado di rimborsare gli stessi attraverso i soli flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività.

Vi è viceversa pregiudizio, ad esempio, quando le utilità per i creditori vengano compromesse, anche solo parzialmente, dalla maggiore esposizione debitoria derivante dal finanziamento (Sezione terza. 7.9)

 L'imprenditore può fornire chiarimenti in proposito, come segnala il decreto dirigenziale al punto 7.9 della sezione terza e quando ritenga ugualmente di compiere l'atto nonostante la predetta segnalazione, l'esperto, con atto non impugnabile, può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese nei successivi 10 giorni. Tale facoltà diviene invece un preciso dovere quando l'atto di gestione compiuto pregiudica gli interessi dei creditori.

Nel caso in cui l'esperto ometta la segnalazione di cui al comma 3 ovvero l'iscrizione di cui al comma 4, si forma il tacito assenso sull'atto di gestione da parte dell'esperto.

Nell'ipotesi in cui, invece, l'imprenditore ometta di comunicare il compimento dell'atto, il decreto dirigenziale, alla sezione terza. 7.10, prevede che l'esperto, venuto a conoscenza dell'atto del pagamento, possa esprimere in ogni momento il proprio dissenso, se ne sussistono i presupposti, attraverso l'iscrizione nel registro delle imprese.

Se nonostante la segnalazione dell’esperto l’atto venga egualmente compiuto, il potere dell’esperto assume un’incisività superiore sigillando l’opposizione con l’iscrizione nel registro delle imprese – obbligatoria se l’atto è fonte di pregiudizio per i creditori – e, in presenza di misure protettive, con segnalazione al tribunale. In tal caso la censura sull’atto si riflette sulla composizione negoziata in atto con possibili pesanti conseguenze secondo quanto raffigurato nel comma 6 dell’art. 19 CCI.

L'iscrizione nel registro delle imprese del dissenso dell'esperto rispetto agli atti compiuti è, dunque, gravida di pesanti conseguenze per l'imprenditore.

Innanzitutto, la segnalazione implicherà ragionevolmente la perdita di credibilità dell'imprenditore nei confronti dei creditori e sfodererà una spada di Damocle sulle trattative in corso. Nella sostanza, anche se non formalmente, il compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte dell'imprenditore rimane fortemente condizionato dalle valutazioni dell'esperto.

L'iscrizione del dissenso nel registro delle imprese ha come effetto quello di rendere pubblica la procedura, che - di per sé - è caratterizzata da riservatezza.

Ma non solo.

Con l’esercizio di questo potere dell’esperto  – nel caso in cui non vi fosse stata ancora richiesta da parte dell’imprenditore con conferma da parte del tribunale di misure protettive – si apre una breccia nella riservatezza (uno dei caratteri appetibili della CN) mentre nel caso in cui la protezione fosse stata acquisita, grazie alla segnalazione dell’esperto al giudice che ha emesso i provvedimenti di cui al comma 4 dell’art. 19, si incrina la campana di vetro sotto la quale stavano avvenendo le trattative, potendo il giudice revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, alla luce del comportamento dell’imprenditore risultando inutili al buon esito di trattative, probabilmente già compromesse, e pregiudizievoli per i creditori.

Ma c’è di più perché da un lato art. 24, co. 3) “Gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti effettuati nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli articoli 165 e 166 se, in relazione ad essi, l’esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 21, comma 4, o se il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell’articolo 22” e, dall’altro, se “Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3, e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto in coerenza con l’andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’articolo 17, comma 5”,  tale esenzione viene meno quando siano state effettuate le iscrizioni previste dall'articolo 21, comma 4. 

Si consideri, inoltre, che l'articolo 24, comma 4, prevede la responsabilità dell'imprenditore per gli atti compiuti, norma questa che è all'evidenza si riferisce anche agli atti posti in essere nonostante la segnalazione per iscritto dell'esperto e per i quali è stato regolarmente iscritto il dissenso. Quella contemplata dall'articolo 24 è una responsabilità civile per violazione, non solo dei doveri di informazione imposti dall'articolo 21, ma anche dei più generali doveri comportamentali di buona fede e correttezza (art 16, comma 4) e di gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori.

Il risarcimento sarà misurato al pregiudizio causato agli interessi dei creditori.

In ipotesi di atti posti in essere in pregiudizio dei creditori per i quali eventualmente sia intervenuta l'iscrizione del dissenso si potranno inoltre configurare eventuali responsabilità penali dell'imprenditore, ricavabili a contrario dall'ultimo comma dell'articolo 24, laddove si prevede l'inapplicabilità dei reati di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice per i pagamenti e le operazioni compiute nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, effettuati in coerenza con l'andamento delle trattative nella prospettiva del risanamento dell'impresa nonché per gli atti autorizzati dal tribunale a norma dell'articolo 22.

In conclusione: la composizione negoziata può svolgersi con maggiore autonomia dell'imprenditore nella gestione dell'impresa e con nessun condizionamento dell'esperto dalle convinzioni o preoccupazioni del tribunale.

L'esperto ha, infatti, un ruolo diverso dal commissario giudiziale del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione. Non dipende dal tribunale che nei casi in cui è chiamato ad intervenire in sede di autorizzazione dei finanziamenti o della cessione da azienda o nell'autorizzazione alla proroga delle misure protettive.

Inoltre, l'imprenditore non è formalmente vincolato dal parere dell'esperto.

A me pare che la legge non voglia che l'esperto si trasformi in rigido controllore dell'attività dell'imprenditore. Non deve ingerirsi nella gestione dell'impresa se non in casi estremi. Ciò può avvenire quando le scelte dell'imprenditore siano in contrasto con la tutela dei creditori, l'andamento delle trattative, le prospettive di risanamento e violino quindi principi di correttezza e buona fede.

 

7. Il canone per la gestione dell’impresa nel Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa

Rispetto a questo istituto – come già detto - è prevista la nomina di un commissario giudiziale al quale si applica l’art. 92 CCII che ne fissa i compiti di vigilanza, informativi, di segnalazione e, rispetto, alla fattispecie in continuità, collaborativi rispetto alla negoziazione (in proposito la mente andando all’esperto facilitatore) “formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione” (art. 92. comma 3).

L’imprenditore può avvalersi anche per il PRO della domanda con riserva, al cospetto della quale il Tribunale fissando il termine, nomina un commissario giudiziale “disponendo che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi” e munendolo dei poteri di cui all’art. 49, comma 3, lett. f). In questa fase con riserva, i poteri di controllo del commissario giudiziale rispetto all’istituto in esame, si dirigono al passato (atti in frode non dichiarati) e al presente (circostanze o condotte del debitore, obblighi informativi periodici).

Rispetto alla gestione del debitore questa non conosce le restrizioni che, invece si producono nella fase di riserva del CP, non essendo richiamato l’art. 46, commi 1 e 2 che limita la gestione straordinaria agli atti urgenti e, comunque, previa autorizzazione del tribunale[49].

Ne discende che il canone applicabile – sia alla fase con riserva che a quella piena e a prescindere dall’esistenza di uno stato di crisi o d’insolvenza - è quello tracciato nell’art. 64-bis, comma 5, per cui “dalla data di presentazione della domanda e fino all'omologazione, l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale secondo quanto previsto nel comma sei. L'imprenditore gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori”. Sia alla fase con riserva che a quella piena si applica il comma 6 dell’art. 64-bis. Sul rispetto dell’interesse dei creditori veglia il commissario giudiziale.

L’incipit del comma 5 riecheggia quello dell’art. 94, norma che, però, non solo – insieme all’art. 100 che disciplina l’esecuzione di pagamenti di debiti pregressi - non è richiamata nel comma 9 dell’art. 64-bis, ma dalla quale si registra, comunque, una presa di distanza.

L’art. 64-bis si discosta, infatti, dall’art. 94, oltre che per l’assenza del riferimento all’amministrazione del patrimonio e all’utilizzo del termine controllo anziché vigilanza con riferimento all’attività del commissario giudiziale, anche per la mancata riproduzione del regime autorizzatorio per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e per l’inserimento del canone del prevalente interesse dei creditori che dovrebbe guidare la conduzione dell’impresa.

Quest’ultimo aspetto – la bussola (in analogia a quanto l’art. 21 dispone per la CN quando, però, vi sia insolvenza) del prevalente interesse dei creditori anziché quella più rigida, che esclude ponderazioni valoriali, del “prioritario interesse dei creditori”[50] che è assunta, invece, dall’art. 4, comma 2, lett. c), come cardine del dovere gestionale del debitore “– non può, a mio avviso, essere svalutato, vuoi quando si rifletta sul percorso compiuto dal legislatore verso la valorizzazione dell’impresa e, quindi, della continuità[51], vuoi quando si legga l’art. 64-bis, comma 5, nella sua globalità.

L’aver posto il canone del prevalente interesse dei creditori sganciando nel contempo la gestione da ogni vincolo autorizzatorio, sostituito da un onere di comunicazione, fissa chiaramente le regole di questo terreno di gioco che è palesemente diverso perché consente di tener conto della concreta situazione della singola fattispecie senza ipostatizzare l’interesse dei creditori. Ciò perché si vuole che uno strumento “flessibile” come il PRO sfrutti – sulla scia dei canoni gestionali suggeriti dagli interventi unionali evidentemente protesi a facilitare ogni ristrutturazione – il vantaggio di una conduzione “light” dell’impresa.

Il PRO, prese le distanze sia dal concordato preventivo per quanto riguarda il regime autorizzatorio, sia dagli adr per quanto riguarda l’assoluta libertà gestionale del debitore (con i limiti però di cui all’art. 4), si muove, sulla falsariga della composizione negoziata[52] senza, tuttavia, veder riprodotti distinti canoni operativi a seconda della presenza di crisi o insolvenza.

Poiché dall’impianto complessivo dell’istituto si evince che si colloca in una posizione intermedia tra CP e ADR, il legislatore lascia nelle mani del debitore la gestione ordinaria e straordinaria, tra cui anche la possibilità di effettuare pagamenti a favore dei creditori anteriori.

Aderisce, quindi, al meccanismo della necessaria comunicazione preventiva al Commissario degli atti di straordinaria amministrazione e dei pagamenti (di crediti anteriori) che l’imprenditore intenda compiere, così come la possibile opposizione dell’organo di nomina giudiziaria.

Fermo restando che, per questi ultimi nonché per l'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti con il piano di ristrutturazione proposto, il commissario deve essere preventivamente informato, e potrà segnalare all'imprenditore e all'organo di controllo il proprio eventuale dissenso, o perché trattasi di atto che potrebbe arrecare pregiudizio ai creditori, o perché atto non coerente rispetto al piano.

Nel caso in cui, nonostante la segnalazione, l'atto di straordinaria amministrazione fosse comunque compiuto, lo stesso rimane efficace nei confronti dei terzi in quanto, per l'appunto, non necessitante di autorizzazione, ma il commissario giudiziale dovrà informare il tribunale, ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 106 CCI, e cioè l'eventuale revoca dell'ammissione nell'ipotesi di compimento di atti in frode ai creditori[53].

In caso di revoca o in mancanza o diniego di omologazione, non si produce l’effetto esonerativo per le azioni revocatorie di cui all’art. 166, a 3, CCII, comma 3 lett. e), CCII, rispetto agli atti compiuti in esecuzione del piano e ad esso conformi, non anche quelli compiuti nel periodo compreso tra la domanda e la sentenza di omologa.

Se, però nonostante il dissenso del commissario, si giungesse all’omologa, permarrebbe l’effetto esonerativo, non essendo questo influenzato o impedito, da quel dissenso.

Nel caso di dissenso del CG l’atto non può reputarsi “legalmente compiuto”, dovendosi allora negare che da esso si generi la prededuzione a favore del credito generato.

 

8. Il canone per la gestione dell’impresa nel concordato preventivo

L’art. 94, al comma 1, sancisce il principio del c.d. spossessamento attenuato del debitore (cui fa da contraltare il suo spossessamento pieno nella procedura di liquidazione giudiziale).

Dalla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo e fino all’omologazione, infatti, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Questo è il canone gestionale che differenzia il concordato preventivo dagli altri strumenti di regolazione della crisi, richiamando alla mente quello posto al curatore della liquidazione giudiziale il quale, per gli atti di straordinaria amministrazione, deve procedere all’integrazione dei propri poteri (art. 132 CCII) attraverso l’autorizzazione o del comitato dei creditori o del giudice delegato.

Il compito precipuo del commissario giudiziale è quindi quello di controllare l’operato dell’imprenditore, a cominciare dall’osservanza del divieto – sancito dal comma 2 dell’art. 94 CCII – di compiere, senza l’autorizzazione del giudice delegato, atti che eccedano l’ordinaria amministrazione.

Riguardo all’integrazione dei poteri del debitore in concordato, il CCII – con un chiaro intento semplificativo – è intervenuto su vari piani. Per un verso l’autorizzazione può essere concessa prima dell’omologazione, sentito il commissario giudiziale, se l’atto è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Per un altro, il tribunale può stabilire (con decreto) un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l’autorizzazione. Per un altro ancora, il CCII prevede una flessibilizzazione delle procedure per una categoria di atti che da un lato possono interferire sulle prospettive di soddisfacimento dei creditori (l’alienazione e l’affitto d’azienda, di suoi rami e di specifici beni), dall’altro possono rallentare -talvolta con significativo pregiudizio non solo per i creditori ma anche per l’attività – la trasmissione di compendi.  

In linea di principio, questi atti, debitamente autorizzati dal giudice delegato, impongono, infatti, l’esperimento di procedure competitive, previa stima ed adeguata pubblicità. È su questo aspetto, allora, che interviene il CCII disponendo che ogniqualvolta possa risultare compromesso irreparabilmente, a causa di questi adempimenti, l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento, il tribunale può autorizzare in caso di urgenza, sentito il commissario giudiziale, gli atti suddetti senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive.

Il legislatore del CCII – sulla linea della Direttiva – anche nello strumento più articolato e strutturato ha inteso esprimere in alcune norme l’intento di rendere possibile una regolazione efficace della crisi attraverso semplificazioni introdotte nella gestione del risanamento ed anche nella gestione dell’impresa[54].

 

In ogni modo, se per certi aspetti si può parlare di flessibilizzazione, dall’altra occorre registrare un’intensificazione delle funzioni di vigilanza del commissario sulla scorta dell’art. 44, comma 1, lett. b), CCII e dell’art. 46.

L’art. 44, comma 1, lett. b), dispone che il commissario giudiziale deve riferire immediatamente al Tribunale – per le opportune conseguenze – “su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda, ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi”.

Intanto la funzione di vigilanza del commissario giudiziale, già al momento della c.d. fase prenotativa, dovrà essere condotta, non solo riguardo alle attività e ai comportamenti del debitore concordatario successivi alla presentazione della domanda, ma anche riguardo alle condotte poste in essere dall’imprenditore prima dell’ammissione della domanda.

Dal testo dell’art. 44, comma 1, lett. b), CCII, si evince che la norma, scolpendo l’obbligo di segnalazione del commissario, si rivolge sia a tutte le condotte pregiudizievoli per un’efficace soluzione della crisi (come tali riferibili al momento che segue l’ammissione) sia alle condotte fraudolente che il debitore concordatario non abbia dichiarato all’interno della domanda (riferibili invece al momento antecedente alla presentazione dell’istanza).

“Allo stato attuale della disciplina, pare fondato ritenere che il commissario sia tenuto ad accertare non solo l’esistenza di quelle condotte successive al decreto di ammissione, che hanno l’effetto di frodare i creditori perché vanno ad incidere sul patrimonio dell’impresa e sulla tenuta del piano prospettato (conformemente a quanto già previsto dalla disciplina previgente), ma anche di tutti quei comportamenti anteriori da cui risulti l’eventuale intenzione del debitore di ingannare i creditori, proponendo ad essi un concordato che non tenga conto di tutto l’attivo e il passivo dell’impresa. In questo modo l’attuale disciplina anticipa il momento dell’attività accertativa da parte del commissario, che valuta le condotte pregresse sin dalla presentazione della domanda con riserva, consentendo chiaramente di risparmiare tempo e risorse, altrimenti superflue, per una procedura “immeritevole”, sin dalla sua primogenitura”[55].

 

9. Conclusioni

Il cambiamento di impostazione verificatosi nell’ordinamento delle crisi d’impresa che oggi vede la continuità[56] come obiettivo da perseguire ogni volta che l’impresa, in crisi o in stato d’insolvenza, sia risanabile, ha indotto il legislatore a prendere in considerazione l’introduzione di principi flessibili per la “gestione dell’impresa” durante percorsi dialogici (come la composizione negoziata) o strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza che non possano essere identificabili con il concordato preventivo.

Potremmo ipotizzare, però, che il legislatore stia, a poco a poco,  iniziando ad “alleggerire” il regime autorizzatorio per atti, tipico di una disciplina concorsuale imperniata sull’ e sull’effetto dello spossessamento quale mezzo sia per controllare da vicino l’operato del debitore (sintomo questo di un malcelato sospetto nei suoi confronti) che per tutelare i creditori da possibili atti dispersivi del patrimonio durante procedure concorsuali tutte venate, in misura più o meno marcata, di tratti esecutivi.

Tale impostazione, che in fondo rivela anche un (obsoleto) scetticismo per la prosecuzione dell’impresa durante una procedura, anche quando sia preventiva, sconta rallentamenti, nemici di quella fluidità richiesta dalla natura stessa di quell’attività.

Lo scenario sta cambiando. L’obbiettivo della continuità sta imponendo un ripensamento.

La gestione dell’impresa - durante la ricerca, l‘elaborazione di una soluzione o quando lo strumento è nella fase applicativa in attesa dell’omologazione[57] - emerge adesso come momento dinamico e imprescindibile negli strumenti in cui si ragiona (sopra) o già si sta impostando una sistemazione negoziale della crisi.

Stiamo andando verso una disciplina dell’impresa in procedura per la quale la conservazione di skills impone la permanenza dell’imprenditore alla guida. Nel contempo la disciplina degli effetti della procedura per l’imprenditore si allontana dall’impostazione originaria che poggiava su una connotazione “mista” dello spossessamento, rispondendo da un lato ad istanze sanzionatorie e dall’altro all’esigenza di tutelare i creditori. Siccome oggi la tutela dei creditori passa sempre meno dal pagamento di una somma di denaro e sempre più dalla conservazione dei rapporti commerciali, forse tutto ciò impone al legislatore un ripensamento anche sul sistema autorizzativo causa spesso di rallentamenti nocivi per l’impresa.

Ciò non significa libertà incondizionata di gestione, quanto piuttosto evoluzione del controllo su di essa.

Tutto sta in un sistema che bilanci l’interesse dell’impresa con quello dei creditori su una gestione armonica con lo strumento impostato e, nel contempo, attenta ad evitare un aggravamento del rischio.

Non si imbriglia la gestione, pur non mandando esente da conseguenze in punto di responsabilità l’imprenditore che abbia operato incurante degli obiettivi e dei diritti delle parti.

L’autonomia privata potrebbe essere oggetto di “controlli” in momenti topici (misure protettive, cessione d’azienda e finanziamenti) ed essere accompagnata da “censure”: ma in nessun caso con l’effetto di condizionare la validità giuridica ovvero la opponibilità ai terzi dell’atto interessato.

L’esigenza di bilanciare gli interessi (dell’impresa e dei creditori) potrebbe risolversi in un regime meno invasivo e più elastico, non per questo esente da responsabilità.


(*) Il presente contributo è destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.

[1] Questo è il titolo di un Convegno tenutosi a Vicenza il 17-18 marzo 2023, che mi ha condotto, nella preparazione della mia relazione, ad alcune riflessioni oggetto del presente saggio.

[2] S. AMBROSINI, Il codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell'impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), Dir.fall., 2022, ha definito il tema della gestione dell’impresa negli strumenti di regolazione della crisi come ”fra le questioni di maggior interesse sistematico”.

[3] Sul binomio interesse dei creditori e conservazione dell’impresa attività si vedano, da ultimo, le lucide riflessioni di A. MAFFEI ALBERTI, L’interesse dei creditori e la continuazione dell’attività nel Codice della crisi e dell’insolvenza: un’analisi trasversale, in Ristrutturazioni aziendali.Il caso.it del 30 marzo 2023.

[4] Su questo tema, v. il saggio di G.B. NARDECCHIA, La continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Questionegiustizia.it, 2/2019, 192 ss.

[5] Lo stato d’insolvenza era il presupposto sia del fallimento che del concordato preventivo (sull’evoluzione dei concordati, v.  da ultimo, l’interessante saggio di F. P. CENSONI, Il diritto della crisi e i nuovi concordati, in Ristrutturazioni aziendali.Il caso.it del 23 marzo 2023). L’altro presupposto oggettivo – sul quale poggiava l’amministrazione controllata (sulla quale mi permetto di rinviare a S. PACCHI, L’amministrazione controllata, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. CIU – F. MESSINEO – L. MENGONI, continuato da P. SCHLESINGER, Milano, 2004) - era la temporanea difficoltà di adempiere, specificato poi (legge n. 391 del 1978) dall’ulteriore condizione dell’esistenza di “comprovate possibilità di risanare l’impresa”.

[6] Salvatore Satta (Diritto fallimentare2, agg. ed ampliata da R. VACCARELLA e F. P. LUISO, Padova, 1990, 268) percependo l'inerenza dell'insolvenza all'impresa, affermava che è la disciplina dei contratti pendenti nel fallimento “che impedisce di ridurlo allo schema di una esecuzione forzata, e sia pur collettiva”.

[7] La sostituzione gestoria poteva perfino scattare anche nell’amministrazione controllata (art. 191 l. fall.) “su istanza di ogni interessato o d'ufficio sentito il comitato dei creditori”

[8] Cass., 28 agosto 1995, n. 9030, in Fallimento, 1996, 69. Sul punto, v. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. COTTINO,XI, Padova, 2008, 95 ss.

[9] Così, Cass., 5 novembre 1990, n. 10620, in Giur.comm., 1992, II, 179.

[10] Sul tema della gestione in procedura, v. da ultimo lo stimolante saggio di S. AMBROSINI, La gestione dell’impresa “in perdita” tra vecchia e nuova sistematica concorsuale, in Ristrutturazioni aziendali.Il caso.it  del 21 marzo 2023.

[11] Nel 1979 la crisi di importanti gruppi italiani (cfr. G. MINERVINI, Alcune riflessioni in tema di composizione dell’impresa industriale, in AA.VV., Problemi attuali dell’impresa in crisi, Padova, 1983, 14 ss.) indusse il nostro legislatore a varare l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (d.l. 30.1.1979, n. 26, conv. nella legge 3.4.1979, n. 95, cd. Legge Prodi), procedura concorsuale diretta, a differenza del fallimento, alla conservazione del complesso aziendale attraverso la continuazione dell’attività affidata ad un commissario straordinario nominato dall’autorità amministrativa (sui dubbi di costituzionalità, cfr. C. cost., 22.5.1987, n. 187, in Giust. civ., 1987, I. 189) e supportata da aiuti statali di varia tipologia tra cui la possibilità di esercitare l’azione revocatoria (cfr. Cass., 19.5.1997, n. 434, in Fallimento, 1998, 598; Trib. Genova, 15.11.1999, in Fallimento, 2000, 503). Erano sottoponibili ad amministrazione straordinaria, con esclusione del fallimento, le imprese, delle quali fosse stata accertata l’insolvenza (artt. 5 e 195 l. fall.) o l’omesso pagamento di almeno tre mensilità di retribuzione ai dipendenti, qualora avessero, da almeno un anno, un numero di “addetti”, compresi quelli ammessi all’integrazione dei guadagni, non inferiore a trecento, un’esposizione debitoria, verso aziende di credito, istituti speciali di credito, istituti di previdenza e di assistenza sociale non inferiore a trentacinque miliardi di lire, e superiore a cinque volte il capitale versato risultante dall’ultimo bilancio approvato. È stata una procedura molto discussa, in particolare perché la previsione di aiuti si poneva in contrasto con le norme del Trattato di Roma in materia di concorrenza, sollevando censure da parte della Comunità europea. Per alcune osservazioni dell’autrice del presente saggio, svolte sulla disciplina dell’A.S. si rinvia a S. PACCHI, Alcune riflessioni in tema di insolvenza, impresa e complesso aziendale, derivanti dalla lettura della legge delega per l’emanazione della nuova legge sull’amministrazione straordinaria, in Giur.comm., 1999, I, 297 e ss.

[12] I contrasti con l’ordinamento comunitario (cfr. C. Giust. CE, 1.12.1998, C-200/97, in Fallimento, 1999, 831), ne determinarono nel 1999 la riforma (cfr. art. 1, l. 30.7.1998, n. 274) con il d.lgs. n. 270/1999. Successivamente, altri interventi hanno recato modifiche alla disciplina “base” dell’amministrazione straordinaria per adattarla alle specificità di dissesti di grandi gruppi (Parmalat, Volare Web, Alitalia): per la crisi Parmalat, il d.l. 27.12.2003, n. 347 (cd. decreto Marzano), conv. in l. 18.2.2004, n. 39 e modificato dal d.l. 3.5.2004, n. 119, conv. in l. 5.7.2004, n. 166 e dal d.l. 28.2.2005, n. 22., conv. in l. 29.4.2005, n. 71; per la crisi Alitalia è intervenuto il d.l. 28.8.2008, n. 134, conv. in l. 27.10.2008, n. 166 e l’art. 3, co. 3, del d.l. 25.3.2010, n. 40, conv. in l. 22.5.2010, n. 73, per regolare l’amministrazione straordinaria delle società di riscossione delle entrate degli enti locali. Da ultimo, il d.l. 13.5.2011, n. 70, conv. in l. 12.7.2011, n. 106 è intervenuto per disciplinare aspetti particolari.

[13] L’obiettivo della riformata procedura (art.1, d.lgs. n. 270/1999) è la conservazione del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali. La procedura è riservata alle imprese, anche individuali, soggette alle disposizioni sul fallimento che: a) abbiano da almeno un anno non meno di duecento dipendenti (compresi quelli in cassa integrazione); b) abbiano debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio (art. 2); c) si trovino in stato d’insolvenza (art. 3); d) presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico (art. 27). L’iter che potrà condurre all’apertura dell’amministrazione straordinaria prende avvio con la sentenza (art. 8) con cui il Tribunale (su ricorso dell’imprenditore, di uno o più creditori, del p.m. o d’ufficio) accerta la sussistenza del presupposto e dei requisiti soggettivi di cui alle lett. a) e b) e di quello oggettivo di cui alla lett. c) e nomina il giudice delegato alla procedura e uno o tre commissari giudiziali. L’assenza (anche di uno solo) di tali presupposti e requisiti determinerà la dichiarazione di fallimento.

[14] Sulla disciplina dell’amministrazione straordinaria ex d.lgs. 270/1999 quale paradigma per i successivi interventi legislativi sul concordato preventivo, ed in particolare su quello in continuità, si rinvia al saggio di S. AMBROSINI, La gestione dell’impresa “in perdita” tra vecchia e nuova sistematica concorsuale, cit.

[15] Sulle amministrazioni straordinarie cfr.: AA.VV., Problemi attuali dell’impresa in crisi, Padova, 1983; A. CASTAGNOLA -R. SACCHI, a cura di, La legge Marzano. Commentario, Torino 2006; S. PACCHI, L’amministrazione straordinaria delle imprese di «rilevanti dimensioni», in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, a cura di U. Apice, III, Torino, 2011; S. PACCHI, Gli organi della procedura di amministrazione straordinaria, in L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a cura di C. COSTA, Torino, 2008; V. ZANICHELLI, L’amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia, L. Panzani, Torino, 2009; V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, Torino, 2010; S. AMBROSINI, Profili di riforma delle leggi in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in Il nuovo diritto delle società, 2018, 549 ss.; S. AMBROSINI, La revocatoria fallimentare nelle procedure 'amministrative' fra diritto concorsuale e diritto della concorrenza: la questione degli aiuti di Stato, in Giur.comm., 2002, I, 192 ss.

[16] Così nella Relazione Ministeriale illustrativa della Riforma di cui alla L. 80/2005.

[17] Questa procedura è stata improntata, al pari di quelle preventive, ai principi della ‘‘contrattualizzazione’’ e ‘‘autogestione’’ che ‘‘trovano la loro collocazione naturale proprio in quella disciplina chiamata a regolare un’attività tipicamente economica (quale è, come si è detto, quella di liquidazione dell’attivo), nella quale le rigide regole giuridiche, ancorché imprescindibili, rischiano di costituire un intralcio alla realizzazione del massimo profitto’’ (G. MICCOLIS, La liquidazione dell’attivo, in F. Vassalli-F.P. Luiso-E. Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, 686).

[18] Questa è la regola del fallimento ridisegnato dalla riforma del 2006. In dottrina: C. FERRI, Liquidazione fallimentare, approvazione del programma e poteri del giudice delegato, in Riv. dir. proc., 2007, 403; M. FABIANI, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, 461; F. FIMMANO`, Liquidazione programmata, salvaguardia dei valori aziendali e gestione riallocativa dell’impresa fallita, in A. Jorio-M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010, 447 ss.; S. PACCHI, La liquidazione dell’attivo con particolare riferimento all’azienda, in Dir.fall., 2016, I, 1 ss.

[19] B. LIBONATI, Diritto commerciale, Milano, 2004, p. 499.

[20] Ciò ha determinato per conseguenza anche quello che ho definito un nuovo ‘‘giuoco delle parti’’: S. PACCHI, Il giuoco delle parti nella liquidazione fallimentare, in Giur. comm., 2009, I, 480 ss.

[21] Rispetto ai soggetti possiamo dire che in tutti e tre un “soggetto” con funzioni (anche) di controllo c’è. Per PRO e CP (e ADR) il “soggetto” de qua è anzi previsto fin dalla fase con riserva (art. 44), tale scelta rivelando l’attenzione del legislatore per una fase che altrimenti sarebbe lasciata eccessivamente sguarnita di controlli sia sull’attività d’impresa sia su quella negoziale funzionale al deposito del piano proposta e accordi per ADR).

[22] La letteratura sulla Composizione negoziata è già vasta. Sull’istituto, ex multis, S. AMBROSINI, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2021; S. BONFATTI, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa - Natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative, in www.dirittodellacrisi.it, 2021; S. LEUZZI, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in www.dirittodellacrisi.it, 2021; S. PACCHI, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2021; ID., L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore, dal codice della crisi alla composizione negoziata, in Dir.fall., 2022; I. PAGNI – M. FABIANI, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in www.dirittodellacrisi.it, 2021; A. ROSSI, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, in www.dirittodellacrisi.it 2021.

[23] Circa la natura della composizione negoziata vi è stata chiarezza fin da subito. Su questo profilo la giurisprudenza è compatta: Trib. Milano, 16 settembre 2022; Trib. Pescara 9 maggio 2022; Trib. Firenze, 6 giugno 2022 tutte rimarcando la volontarietà, la funzione di ospitare trattative volte a ricercare tempestivamente (e sul punto dell’obiettivo di incentivare l’emersione tempestiva della crisi, Trib. Roma, 10 ottobre 2022 e Trib. Siracusa, 14 settembre 2022) un accordo su un piano di risanamento dell’impresa attraverso trattative facilitate dall’esperto, per prevenire la disaggregazione del compendio aziendale.

[24] In tal senso in giurisprudenza, Trib. Milano, 14 maggio 2022 Est. Pipicelli.

[25] Sul piano attestato nel CCII, ex multis, D. BURRONI, I piani attestati di risanamento nel Codice della crisi, in Crisi d’impresa. Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di Danovi e Acciaro, Milano, 2019; G. FAUCEGLIA, Il piano di risanamento nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 1281 e ss.; G. B. NARDECCHIA, Il piano attestato di risanamento nel Codice, in Fall., 2020, pp. 5 ss.; S. PACCHI, Il piano di risanamento tu tra disciplina in vigore, prossimo codice è presente pandemico, in S. AMBROSINI (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, Liber Amicorum per Alberto Jorio, Bologna, 2021, 443; R. BROGI, Codice della crisi d’impresa: gli strumenti di regolazione della crisi di tipo negoziale, in Quotidiano Giuridico, 20 dicembre 2022.

[26] G. BRUNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Contratto e impresa, 2021, pp. 436 e ss.; L. D’ORAZIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in S. AMBROSINI (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, Liber Amicorum per Alberto Jorio, cit., 32 e ss.; V. ZANICHELLI, La nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Bari, 2019; A. ZORZI, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel Codice della crisi, in Fallimento, 2020, 993 e ss.

[27] G. B. NARDECCHIA, Il piano attestato di risanamento nel Codice, cit., pp. 5 ss.

[28] M. FABIANI, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Milano, 2023, 92.

[29] F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, 128.

[30] Mi riferisco al blocco delle azioni esecutive e cautelari, alla sospensione delle norme societarie relative agli obblighi degli amministratori in presenza di perdita o di riduzione del capitale (art. 89 CCII); alla transazione fiscale; ai finanziamenti non muniti della prededuzione, così come non lo sono le spese per la gestione dell’impresa, anche se ciò è compatibile con l’assenza di un controllo giudiziale sia, conseguentemente, di un organo di controllo.

[31] Sul punto, v. la critica di M. FABIANI, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., 180.

[32] Cass, 21 giugno 2018, n. 16347 (Rel. Terrusi)

[33] Sul piano di ristrutturazione soggetto ad omologa, S. AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa. E una (non lieve) criticità, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 19.8.2022;  M. FABIANI - I. PAGNI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fallimento, 2022, p. 1025 ss.; G. BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7.6.2022; L. PANZANI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, Fasc. 3/2022; S. BONFATTI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 15.8.2022, p. 21; G. LENER – L. A. BOTTAI, Prime applicazioni del PRO: la realtà supera le attese, in Dirittodellacrisi.it, 28.3.2023.

[34] Nel corso dell’iter di approvazione del d.lgs. n. 83/2022, lil PRO ha ricevuto un parere parzialmente negativo da parte del Consiglio di Stato (parere n. 832 pubblicato il 13 maggio 2022).

[35] In tal senso anche M. FABIANI, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., 275; M. FABIANI – I. PAGNI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 1025. L’orientamento, però, che sta prevalendo è nel senso di una sua identificazione con il concordato preventivo: in tal senso, S. AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima) ecc., cit.; L. PANZANI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit.

[36] A sostegno di questa tesi possiamo considerare: la prededucibilità dei crediti sorti per effetto di atti compiuti in corso di procedura; la esenzione da revocatoria degli atti posti in essere in esecuzione del “Piano”; l’applicabilità di una serie di norma del Concordato preventivo (per quanto riguarda: il soddisfacimento dei creditori privilegiati; la moratoria del pagamento dei creditori privilegiati; la sospensione della disciplina sulla integrità del capitale sociale; la disciplina delle “Proposte concorrenti”; la disciplina delle “Offerte concorrenti”; la nomina di un Giudice delegato e di un Commissario giudiziale; gli effetti sui contratti pendenti; la disciplina dei “finanziamenti prededucibili” e dei “finanziamenti soci”; gli effetti “impeditivi” nei confronti delle iscrizioni di ipoteche giudiziali;  la conseguibilità di misure protettive.

 

[37] Sulla metamorfosi del concordato preventivo dalla legge fallimentare fino al Codice della crisi e dell’insolvenza, v. E. RICCIARDIELLO, Il nuovo concordato preventivo "in pillole", in Ristrutturazioni Aziendali, 25 agosto 2022; ID., I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, Zanichelli, 2022, pagine 733 e seguenti; L. PANZANI, Le finalità del concordato preventivo, in Ristrutturazioni Aziendali, 10 ottobre 2022; F. PANI, Appunti sulle tipologie di concordato preventivo nel nuovo Codice della crisi, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it del 28 febbraio 2023.

[38] Tale previsione è in armonia con le indicazioni più radicali sul c.d. debtor in possession di cui all’art. 5 della Direttiva UE 2019/1023.

[39] S. AMBROSINI, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ilcaso.it, 3.

[40] F. CESARE, La nuova composizione negoziata della crisi e il concordato liquidatorio semplificato, in il fallimentarista.it, 19 agosto 2021.

[41] A tal riguardo il decreto dirigenziale chiarisce alla sezione terza nel punto 7.5, che non vi è di norma pregiudizio per la sostenibilità economico finanziaria quando nel corso della composizione negoziata ci si attende un margine operativo lordo positivo, al netto delle componenti straordinarie, o quando, in presenza di margine operativo lordo negativo, esso sia compensato dai vantaggi per i creditori, derivanti, secondo una ragionevole valutazione prospettica, dalla continuità aziendale (ad esempio, attraverso un miglior realizzo del magazzino dei crediti, il completamento dei lavori in corso, il maggior valore del compendio aziendale rispetto alla liquidazione atomistica dei beni che lo compongono).

[42] I. PAGNI – M. FABIANI, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit.

[43] Tale canone viene ripreso nell’art. 64-bis, comma 5 e applicato, quindi, sia che il PRO sia aperto in presenza di crisi o d’insolvenza.

[44] In ogni caso, anche alla luce del rapporto virtuoso e collaborativo tra debitore ed esperto auspicato dal legislatore, sarà buona prassi che l'imprenditore, laddove incerto sulla natura dell'atto che intende porre in essere, non esiti a notiziare prontamente l'esperto di tale atto. Al fine di consentire all'imprenditore di assolvere agli obblighi informativi sullo stesso gravanti il decreto dirigenziale precisa alla Sezione terza( 7.2) che “è opportuno che l'esperto, nel corso del primo incontro, faccia presente all'imprenditore che, con preavviso adeguato, deve informarlo preventivamente per iscritto e tramite la piattaforma telematica quando intenda porre in essere atti di straordinaria amministrazione e tutte le volte che i pagamenti che intende eseguire possano non risultare coerenti con l'andamento delle trattative e le prospettive di risanamento.  A tal fine opportuno che l'esperto indichi i tempi in cui l'informativa dovrà intervenire”.

[45] Questi sono elencati, ancorché in via soltanto esemplificativa, nel decreto dirigenziale (Sezione terza, 7.3) il quale annovera: le operazioni sul capitale sociale e sull'azienda; la concessione di garanzie; i pagamenti anticipati delle forniture; la cessione pro soluto di crediti; l'erogazione di finanziamenti a favore di terzi e di parti correlate; la rinunzia alle liti e le transazioni; le ricognizioni di diritti di terzi; il consenso alla cancellazione di ipoteche; la restituzioni di pegni; l’effettuazione di significativi investimenti; i rimborsi di finanziamenti ai soci o a  parti correlate; la creazione di patrimoni destinati e forme di segregazione del patrimonio in generale; gli atti dispositivi in genere.

[46] Così, Cass., 20 ottobre 2005, n. 20291.

[47] Tra le decisioni della S.C. che più chiaramente ha disegnato il perimetro degli atti di ordinaria amministrazione, Cass. 21 ottobre 2011, n. 2194.

[48] Tale clausola, assai generica, rischia di dar luogo a difficoltà applicative di non poco momento: per esempio in tema di pagamento dei crediti indifferibili o dei crediti c.d. strategici, laddove si potranno prevedibilmente registrare visioni differenti tra l'imprenditore - per il quale spesso tutto è urgente e indifferibile – e l'esperto, che sarà normalmente portato a valutare in un'ottica prudenziale i pagamenti necessari per la gestione delle imprese e coerenti con le trattative in corso e le prospettive di risanamento. Anche riguardo i pagamenti, la loro non coerenza andrà valutata caso per caso in relazione sia allo stato delle negoziazioni in essere con i creditori, sia alle concrete possibilità di risanamento dell'impresa e quindi di uscita dallo stato di crisi della stessa. Pure in tale caso in presenza di un qualsiasi dubbio circa la coerenza del pagamento è buona prassi che l'imprenditore comunichi all'esperto l'atto che intende compiere. Cercando di risolvere a monte i problemi, il decreto dirigenziale offre alcuni suggerimenti nella Sezione terza. 7.4, tra i quali: di fare particolare attenzione a pagamenti diversi da seguenti: pagamento di retribuzioni ai dipendenti, pagamento di provvigioni ad agenti e compensi a collaboratori coordinati e continuativi, pagamento di debiti fiscali e contributivi, pagamento di debiti commerciali nei confronti di coloro che non siano parti correlate e comunque nei termini d'uso se finalizzati a non pregiudicare il ciclo degli approvvigionamenti di beni o servizi, il pagamento di rate di mutuo e canone di leasing alle scadenze contrattuali, quando non è in essere una moratoria dei pagamenti, tutte le ipotesi in cui il mancato pagamento determini la perdita del beneficio del termine in caso di rateazione. I pagamenti non ricompresi in questo elenco, quindi, potenzialmente possono essere non coerenti in virtù di una specie di presunzione legale e devono essere valutati con particolare attenzione dall'imprenditore e quindi dall'esperto.

 

 

 

[49] Parlano di “vantaggio” rispetto al concordato preventivo, P.D. BELTRAMI e F. CARELLI, La gestione dell’impresa nel Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, del 17 novembre 2022, 9.

 

[50] Nel dizionario Treccani, l’aggettivo prioritario qualifica chi ha la priorità, chi deve avere la priorità, cioè la precedenza, in quanto più importante, più valido, più significativo. Diversamente, l’aggettivo prevalente che corrisponde a ciò “che ha maggiore diffusione, importanza o consistenza; predominante, preminente, dominante.

[51] Su questa possibile duplicità di piani v. però le considerazioni di S. AMBROSINI, Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della Crisi e della “miniriforma” del 2021, in Dialoghi di diritto dell’economia, Dirittobancario.it, novembre 2021. L’Autore tratta approfonditamente la questione sul versante della responsabilità degli amministratori.

[52] Secondo G. BOZZA, Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in Dirittodellacrisi.it, del 7 giugno 2022, questa impostazione sarebbe da ricollegare all’idea del legislatore secondo il quale “si ha una procedura concorsuale solo  “quando è la legge che stabilisce come le risorse del debitore debbono essere distribuite tra i creditori”, sicché, poiché il PRO può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali consentendo che il ricavato del piano sia assegnato ai creditori senza vincoli di distribuzione, non si sarebbe in presenza di una procedura, da cui il richiamo del sistema creato per la composizione negoziata (e, probabilmente, la limitazione della vigilanza  alla sola gestione dell’impresa)”.

[53] Per il vero il richiamo a tale ultima disposizione potrebbe avere più ampio rilievo sistematico, sia in ordine alla natura del piano in esame (di cui potrebbe essere possibile l’attrazione nell’ambito dei concordati preventivi), sia in ordine alle valutazioni da parte del Tribunale, al di là degli elementi letterali dell’art. 64 bis cit. (del resto in questo senso militano anche i rinvii all’art. 46, 54, 96 e 145 C.C.I., nonché agli artt. 90 e 91 in tema di proposte e offerte concorrenti, ed ulteriormente alle disposizioni in tema di contratti pendenti e finanziamenti).

[54] Al raggiungimento di tale obiettivo è protesa anche la previsione (di cui all’art. 92, comma 3 per il concordato in continuità aziendale), di un inedito ruolo propulsivo assegnato al commissario giudiziale, non solo limitato all’affiancamento delle parti nel procedimento di concordato, ma, anche partecipativo nella predisposizione ed elaborazione del piano.

 

[55] M. MONTELEONE, Funzione e ruolo del commissario giudiziale, in Gli organi nel vigente codice della crisi d’impresa a cura di M. MONTELEONE, Milano, 2023, 238, il quale osserva inoltre che “l’estensione dell’attività di vigilanza attualmente prevista appare diversa rispetto al passato in quanto, sembrerebbe che tra le condotte fraudolente che necessitano di essere monitorate, ora vi rientrino anche le attività di occultamento o di dissimulazione di parte dell’attivo”.

[56] Sulla continuità come fine, anziché come mezzo, v. l’approfondito saggio di P. VELLA, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 2019/1023 e nel diritto nazionale, in Fallimento, 2020, 1034.

[57] Che ciascuna di queste norme, assumendo un diverso momento in cui si colloca la gestione dell’impresa,  si ponga diversamente rispetto la Business Judgement Rule è stato immediatamente e lucidamente posto in evidenza da S. AMBROSINI in Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della Crisi e della “miniriforma” del 2021, in dirittobancario.it, 11 novembre 2021; ID., La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del cci, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, pp. 901 ss. e in Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17 luglio 2022.