Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

L’eccezione di ricorso abusivo al credito nel giudizio di ammissione allo stato passivo*


Fabio Sebastiano e Alessia Schiavo

Data pubblicazione
04 maggio 2023

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Sommario: 1. Il contesto socio economico legato alla pandemia e le misure emergenziali dettate dal legislatore; 2. L’eccezione di abusiva concessione di credito nel giudizio di ammissione allo stato passivo.


1. Il contesto socio economico legato alla pandemia e le misure emergenziali dettate dal legislatore

L’emergenza pandemica, come ormai noto, ha posto in luce la drammatica necessità di offrire un supporto urgente ed immediato al tessuto produttivo e imprenditoriale nazionale, spingendo pertanto il legislatore italiano, coerentemente con il quadro europeo, ad introdurre differenti e molteplici misure a sostegno delle imprese ([1]).

Tra le eterogenee forme di aiuto assumono di gran lunga maggior rilevanza le garanzie pubbliche sui finanziamenti alle imprese, nell’àmbito delle quali il legislatore è intervenuto con l’intenzione di favorire l’erogazione del credito e ampliare la platea dei soggetti beneficiari, attribuendo così allo Stato ([2]) il rischio di credito correlato alla pandemia e permettendo l’erogazione del finanziamento anche in favore di imprese che, proprio in ragione della crisi economica, non sarebbero risultate agevolmente destinatarie di nuova finanza.

Le diverse garanzie pubbliche previste sono state inizialmente introdotte dal decreto “Cura Italia” per poi essere trasfuse, unitamente alle relative integrazioni, nel d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (“Decreto Liquidità”), infine modificate dalle leggi di bilancio che si sono susseguite ([3]).

In tale contesto eccezionale spicca la disposizione normativa di cui all’art. 13 del Decreto Liquidità che rafforza, amplia e semplifica l’accesso al Fondo di Garanzia per le PMI, permettendo alle imprese che non dispongono di idonee garanzie di accedere ai finanziamenti per ottenere il sostegno economico di cui necessitano. La garanzia, peraltro, ab origine concessa per importi massimi garantiti sino a cinque milioni di Euro, è stata di poi estesa anche a soggetti giuridici non qualificati come PMI ([4]).

Il tema delle garanzie pubbliche, introdotte per favorire l’erogazione del credito e per contenere le difficoltà economiche e finanziarie derivanti alle imprese dalla crisi pandemica, ai fini che in questa sede interessano, genera alcuni rilevanti interrogativi con riferimento al ruolo che svolge (o dovrebbe svolgere) il finanziatore. Come noto, questa attività non risulta limitata ad un mero controllo di tipo formale, posto che ad essa si aggiunge anche una valutazione generale della situazione del soggetto beneficiario, condizione preliminare per la concessione della garanzia ([5]). Le varie autocertificazioni introdotte dalla normativa, invero, dovrebbero esentare il finanziatore esclusivamente dalla verifica di correttezza e veridicità delle dichiarazioni rese dal beneficiario; esse pongono comunque il problema del giudizio di meritevolezza del credito da compiersi in capo all’istituto erogante. In altri termini, facilitare l’accesso alla garanzia ([6]) non dovrebbe comportare un automatismo nell’erogazione del credito ([7]).

Da questo punto di vista, il legislatore consente il rilascio di garanzia pubblica a favore di quelle imprese che versano in una condizione di difficoltà causata dal contesto pandemico, al ricorrere della quale (unitamente ai presupposti indicati nel d.l. 23/2020) l’istituto creditizio è legittimato ad erogare finanza, ferma in ogni caso la disamina del merito creditizio ([8])([9]).

In un contesto qual è quello precedentemente descritto, appare evidente che in seno alla valutazione del merito creditizio, l’agere professionale degli istituti finanziari assume un ruolo preponderante, posto che valutazioni errate, come noto, possono ingenerare una possibile responsabilità del finanziatore per la c.d. “abusiva concessione del credito” ([10])([11]); il problema è comprendere se i criteri cui orientare tale valutazione erano sempre i medesimi oppure l’eccezionalità della situazione e il contesto normativo di riferimento avessero imposto stime meno accurate di quanto accadrebbe in situazioni normali ([12]).

In altri termini, il problema giuridico, che rimane ancóra in discussione, è quello di comprendere se, fermi i casi in cui fosse lampante lo stato d’insolvenza dell’impresa finanziata, l’erogazione di finanziamenti nel rispetto delle condizioni che consentono il rilascio di una garanzia statale (pubblica) possa comunque comportare una responsabilità per abusiva concessione del credito addebitabile all’istituto erogante, oppure tale responsabilità possa dirsi attenuata, considerati la situazione emergenziale e il contesto normativo in cui tali finanziamenti sono stati concessi ([13]).

 

2. L’eccezione di abusiva concessione di credito nel giudizio di ammissione allo stato passivo

La tematica delle garanzie statali e della valutazione del merito creditizio è sempre più spesso in discussione nelle aule di Tribunale. Invero, entro l’attuale terreno fertile della riconosciuta legittimazione attiva della curatela nei giudizi di merito all’azione per abusiva concessione di credito (sia quale azione di massa nell’interesse di tutti i creditori sia da esercitarsi nell’interesse della società a prescindere dalla liquidazione giudiziale della medesima), occorre registrare la tendenza ad eccepire da parte delle curatele, già in sede di verifica del passivo la fattispecie della concessione abusiva del credito, derivante da una possibile assenza di valutazione del merito creditizio da parte della banca, che per converso chiede l’insinuazione del proprio credito al passivo del fallimento([14]). Più specificamente, viene contestato alle banche, con la conseguente esclusione del relativo credito dallo stato passivo della procedura, il fatto di aver erogato finanziamenti, coperti dalla garanzia statale, in un momento in cui era divenuto già palese lo stato di crisi/insolvenza del soggetto beneficiario. Così deprimendo mediante il contestuale ricorso alla garanzia statale e il riconoscimento del privilegio al credito, la possibilità di soddisfazione dei creditori anteriori e concorrendo sia nel favorire la permanenza sul mercato del soggetto insolvente, sia all’aggravamento del dissesto. In altri termini, sempre più spesso si contesta all’istituto bancario l’assenza di adeguata verifica prescritta dall’articolo 5 del T.U.B. nonché il mancato rispetto di una serie di regole che individuano la banca come soggetto professionalmente deputato alla valutazione del merito creditizio delle imprese ([15])([16]).

L’indirizzo appena accennato trova il proprio terreno d’elezione nel novero delle erogazioni dei finanziamenti tutelati dalle garanzie statali in relazione ai quali, come appena sopra anticipato, viene contestata l’assenza, quale onere in capo all’istituto finanziatore, di una corretta valutazione del merito creditizio.

Dal punto di vista giuridico, escludere sin da subito il credito dalla richiesta ammissione al passivo e disconoscere inoltre la legittimità della relativa pretesa creditoria nella fase sommaria della verifica del credito consentono, da un lato, la formazione del giudicato sulle sorti dei rapporti de quibus ([17]), dall’altro, lasciano intatta la possibilità di rivendicare da parte della curatela un danno in altro giudizio di merito, se del caso in concorso con l’organo amministrativo ([18]).

Appare evidente, in un contesto qual è quello appena sopra delineato, la particolarità delle diverse posizioni processuali. Infatti, le contestazioni della curatela finiscono per imporre di avviare un giudizio di opposizione allo stato passivo, in cui la pacifica natura impugnatoria ([19]) di questo comporta una sorta d’inversione dell’onere della prova. Inoltre, come noto, tale giudizio mostra evidenti peculiarità che non ne consentono la completa assimilazione nemmeno a tutti i princìpi tipici del giudizio di appello ([20]); in buona sostanza, non si comprende a chi spetti la prova della conoscenza dello stato d’insolvenza dell’impresa finanziata e in quale grado di giudizio questa prova debba essere data.

Si tratta effettivamente di una sorta d’inversione dell’onere della prova, poiché la giurisprudenza di legittimità più recente, in ordine alla condotta lesiva della banca, inquadra la responsabilità della stessa nel novero dell’illecito aquiliano ([21]), con ogni nota conseguenza circa il relativo onere probatorio; e ciò considerando che l’evento lesivo si concretizza nell’ipotizzare un pregiudizio della garanzia patrimoniale generica facente capo al terzo danneggiato, qualificabile in termini di danno ingiusto ex art. 2043 c.c. D’altro canto, nel corso di un ordinario giudizio di cognizione la curatela dovrebbe non solo sostenere l’aggravio del dissesto, ma anche l’effettiva conoscibilità in capo alla banca e, infine, soprattutto, fornire la prova effettiva che l’evento dannoso risulti conseguenza immediata e diretta della condotta tenuta dall’istituto finanziatore. Anche qualora si volesse opinare diversamente, e dunque ravvisare in capo alla banca un addebito di responsabilità nei confronti dell’impresa fallita (e non solo nei confronti dei creditori della stessa), la responsabilità da riscontrarsi rivestirebbe i contorni, in ossequio a quanto recentemente sostenuto dai Giudici di legittimità, della responsabilità precontrattuale ([22]).

Tutto ciò impone di valutare la natura dell’eccezione della curatela in sede di ammissione allo stato passivo e il conseguente onere della prova in sede di giudizio in opposizione allo stato passivo. Infatti, per le ragioni di cui supra, la contestazione della curatela con riferimento alla conoscenza della banca dello stato d’insolvenza dell’impresa finanziata non dovrebbe essere qualificata come una eccezione d’inadempimento, ma una eccezione riconvenzionale ([23]), cosicché dovrebbe spettare alla curatela la medesima prova che le incomberebbe in un giudizio di merito, non potendosi la stessa limitare ad affermare lo stato di insolvenza, ma dovendo fornirne la relativa prova. Come noto, il danno sul piano economico esprime la diminuita consistenza del patrimonio; il danno sul piano contabile riflette l’aggravamento di perdite favorite dalla continuazione dell’attività di impresa ([24]).

Pertanto, non potendosi configurare quella della curatela un’eccezione d’inadempimento, perché fondata su un illecito extracontrattuale della banca, dovrebbe essere la curatela a provare nel giudizio di ammissione allo stato passivo gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, riservandosi poi di agire in giudizio per il risarcimento del maggior credito, e ciò con possibile contrasto di giudicati, a meno che non si provveda alla sospensione del giudizio di opposizione allo stato passivo.

Si badi che tale giudizio non si presta ad una prova siffatta da parte della curatela.

Paradossalmente, in presenza dell’eccezione di concessione abusiva di credito da parte della curatela nel corso del giudizio di ammissione allo stato passivo, cui non corrisponde un’azione della massa nell’ordinario giudizio di cognizione che la curatela intenderà promuovere, per un istituto di credito potrebbe essere conveniente rinunciare all’ammissione e opporre in compensazione il proprio controcredito nel giudizio di merito.

Ciò naturalmente (la mancata inclusione nello stato passivo), per converso, pone evidenti problemi in relazione all’escussione della garanzia statale.

 

(*) Il presente contributo è destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.



([1]) Cfr. decisione 21 maggio 2020 della Commissione Europea con la quale è stata riconosciuta la compatibilità delle misure adottate dal legislatore nazionale con le disposizioni del TFUE e del Quadro Temporaneo di Aiuti dettato a sostegno dell’economia. Con la decisione predetta (rinvenibile al seguente link https://www.politicheeuropee.gov.it/media/5287/aiuti-di-stato.pdf) la Commissione Europea ha dichiarato che le misure adottate dal legislatore risultano coerenti con gli artt. 107(3)(b) e 107(3)(c) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, i quali statuiscono che gli aiuti compatibili con il mercato interno sono: “b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse”.

([2]) Fondo istituito dal MISE con l. 23 dicembre 1996, n. 662.

([3]) Ci si riferisce alla legge di bilancio per il 2021 (l. 30 dicembre 2020, n. 178) e alla legge di bilancio per il 2022 (l. 30 dicembre 2021, n. 234).

([4]) Invero, dall’esame dei commi 245 e 246 della l. 178 del 2020 si evinceva come la garanzia potesse essere concessa alle cosiddette imprese “mid cap”; prescindendo da qualunque riferimento al fatturato e agli indici positivi di bilancio, la predetta legge poneva – quale unico limite alla fruizione del beneficio – la presenza di un numero di dipendenti non inferiore a duecentocinquanta e non superiore a quattrocentonovantanove unità.

([5]) Dal combinato disposto degli articoli 1, 1-bis e 13 del d.l. 23/2020 (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”) emergeva all’evidenza, da un lato, la volontà del legislatore di favorire l’accesso al credito al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese aventi sede in Italia, dall’altro, una necessaria, seppur implicita, attività della banca nella valutazione del merito creditizio.

L’ultimo periodo dell’art. 13 statuisce invero che: “La garanzia e' altresì concessa in favore di beneficiari finali che presentano esposizioni che, anche prima del 31 gennaio 2020, sono state classificate come inadempienze probabili o esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi delle avvertenze generali, parte B), paragrafo 2, della circolare n. 272 del 30 luglio 2008 della Banca d'Italia, a condizione che le predette esposizioni alla data della richiesta del finanziamento non siano più classificabili come esposizioni deteriorate ai sensi dell'articolo 47-bis, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013. Nel caso in cui le predette esposizioni siano state oggetto di misure di concessione, la garanzia è altresì concessa in favore dei beneficiari finali a condizione che le stesse esposizioni non siano classificabili come esposizioni deteriorate ai sensi del citato articolo 47-bis, par. 6, del Reg. (UE) n. 575/2013, ad eccezione di quanto disposto dalla lettera b) del medesimo paragrafo”, ciò comportando un necessario controllo da parte del soggetto finanziatore.

([6]) Vedasi, sul punto, ancora una volta l’art. 13, lett. m) del d.l. 23/2020 (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”)  il quale, in ordine ai finanziamenti minori, stabilisce che la garanzia “opera automaticamente, gratuitamente, senza valutazione e il soggetto finanziatore eroga il finanziamento coperto dalla garanzia del fondo […]”.

([7]) Cfr. Trib. Bologna 2 ottobre 2020, in www.DeJure.it secondo cui l’art. 13 D.L. 23/2020 non introduce un obbligo per le banche, bensì prevede delle misure per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza; cfr. ABF Bari 31 marzo 2021 n. 8848, in www.arbitrobancariofinanziario.it.

([8]) Sul punto, pare opportuno accennare al dibattito instauratosi, vieppiù a seguito delle normative emergenziali dettate per fronteggiare la crisi pandemica, in ordine alla natura – privilegiata o chirografaria ­– dei crediti originati a seguito dell’escussione degli interventi di sostegno pubblico alle attività produttive. Le garanzie pubbliche concesse da SACE (art. 1 d.l. n. 23/2020) e da MCC (art. 13 d.l. n. 23/2020) sono ricomprese, infatti, tra i finanziamenti pubblici, trovando tutela nei principi generali di cui al d.lgs. n. 123/1998. Anzitutto, con riferimento alla garanzia concessa dal Fondo PMI è possibile affermare che il credito, in seguito all’azione di regresso, si trasforma automaticamente in credito privilegiato, stante il disposto dell’articolo 8-bis del d. lgs. 3/2015 (conv. l. 33/2018), secondo cui “il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate dal Fondo costituisce credito privilegiato, prevalendo su ogni altro diritto di prelazione ad eccezione del privilegio per le spese di giustizia e di quelli previsti dall'art. 2751-bis c.c., con salvezza dei precedenti diritti di prelazione spettanti ai terzi”. Più specificamente, il d.lgs. n. 123/1998 si propone di individuare i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive (art. 1), che possono consistere “in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale secondo i criteri e le procedure previsti dall’articolo 1 del decreto-legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato” (art. 7). La giurisprudenza più recente risulta oramai orientata nel senso di riconoscere natura privilegiata anche al credito derivante dall’escussione della garanzia concessa da SACE (Così Cass., sez. un., 17 maggio 2010, n. 11930; Cass. 4 ottobre 2019, n. 24836, entrambe in Italgiure; cfr. anche Cass. 13 maggio 2020, n. 8882 e Cass. 9 marzo 2020, n. 6508, annotate da M. Fabiani, Privilegio dei crediti con garanzia dello Stato, in Fall., 2020, 11, 1378.

([9])Cfr., sul punto, specificamente in ordine alla centralità della valutazione del merito creditizio anche nel contesto emergenziale, M. Palladino, La gestione del Fondo centrale di Garanzia per le PMI nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai dd. Lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, Bologna, 2022, 865.

([10]) A séguito dell’elaborazione svolta dalle sentenze del 28 marzo 2006 rese dalle Sezioni Unite della Cassazione, nn. 7029; 7030; 7031, in www.DeJure.it, la concessione abusiva di credito consiste nel comportamento del soggetto finanziatore che mantiene artificiosamente in vita un’impresa insolvente, suscitando negli altri operatori del mercato una errata percezione della realtà finanziaria ed economica dell’impresa, inducendo così i terzi operatori a contrattare o a continuare a contrattare con tale impresa in una situazione di sostanziale aggravamento del dissesto, conoscendo la quale si sarebbero presumibilmente astenuti dal contrarre o si sarebbero attivati a tutela delle proprie ragioni di credito già maturate. Tali sentenze discutono anche della legittimazione attiva della curatela, che la giurisprudenza meno recente aveva sempre escluso (cfr. Cass. 1 giugno 2010, n. 13413). In Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, in www.DeJure.it, i Giudici di legittimità chiarivano come la banca potesse essere convenuta, anche in solido con l’organo amministrativo, per ottenere sia il risarcimento per i danni diretti cagionati alla società, sia quello per i danni indiretti alla massa dei creditori, precisando come l’azione nei confronti degli istituti di credito possa essere promossa anche in assenza di liquidazione giudiziale, se la condotta della stessa avesse arrecato un danno al patrimonio sociale.

([11])Per un’efficace disamina in ordine alle maggioritarie pronunce susseguitesi sul tema in analisi, R Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva del credito, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 ottobre 2022;

([12]) Occorre peraltro rammentare che nel settore bancario l’obbligo di diligenza è valutato tenendo conto del ruolo assunto dalla banca che, sul piano funzionale, risulta preminente. Più precisamente, è stato ritenuto che, per il carattere dell'attività svolta dalle banche, a queste è richiesto un maggior grado di attenzione e prudenza nonché l'adozione di ogni cautela utile o necessaria richiesta dal comportamento diligente dell'accorto banchiere, ovverosia la .cd. diligenza del “bonus argentarius”, che deve trovare applicazione non solo in riferimento ai contratti bancari in senso stretto ma anche nel compimento di ogni altro atto o di operazione posta in essere dalla banca nello svolgimento della propria attività. Cfr. Cass. 19 luglio 2016, n. 14777; App. Perugia 2 novembre 2022, tutte in www.DeJure.it.

([13]) Ad esempio, in relazione ai finanziamenti previsti dall’art. 13, lett. m) del D.L. 23/2020, il legislatore – nella versione originaria della disposizione – ne permetteva “automaticamente” la concessione, purché i finanziamenti prevedessero una durata massima di 10 anni, l’inizio del rimborso dopo 2 anni e un importo non superiore al doppio della spesa salariale annua del beneficiario nel 2019 o al 25% del fatturato totale del beneficiario nello stesso anno. La versione successiva della medesima disposizione prevede l’erogazione dei finanziamenti condizionatamente alle seguenti previsioni: inizio del rimborso del capitale non prima di trenta mesi dall'erogazione; durata fino a 120 mesi e importo non superiore, alternativamente, anche tenuto conto di eventi calamitosi, a uno degli importi di cui alla lett. c), n. 1) o 2), come risultante dall'ultimo bilancio depositato o dall'ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia.

([14]) In tema di esclusione dallo stato passivo del credito da finanziamento per irripetibilità del pagamento ai sensi dell’art. 2035 c.c., Trib. Vicenza, 22 aprile 2021, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it; Trib. Vicenza, 19 maggio 2022 in www.unijuris.it.

([15]) Si tratta delle direttive del CICR, delle Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi elaborate dalla Banca d’Italia, delle raccomandazioni alle banche chiamate a fornirsi di sistemi idonei a garantire efficaci istruttorie nonché dell’apposito codice di comportamento del settore bancario e finanziario emanato dall’ABI: regole tutte dalle quali emerge un vero e proprio dovere di accertamento del merito creditizio che esclude la possibilità di concedere credito a imprese immeritevoli, a tutela di interessi eterogenei (sul punto, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, vedasi artt. 120-undecies e 124-bis del T.U.B., ove viene disciplinato un vero e proprio dovere di accertamento del merito creditizio con riferimento al credito ai consumatori).

([16])Per un esame circa il ruolo delle Linee Guida EBA come strumento di verifica del merito creditizio, E. Andreani, Verifica del merito creditizio ed abusiva concessione di credito, in www. ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2 gennaio 2023.

([17]) Invero, nel procedimento fallimentare l’ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell’art. 97 l.fall., acquisisce all’interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato, con efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito, comprese le eventuali cause di prelazione che lo assistono, questioni che non possono più essere riproposte inter partes neanche successivamente in altro giudizio in sede ordinaria (Trib. Milano, 7 marzo 2018, in www.IlFallimentarista.it; cfr. anche Cass. 3 dicembre 2020, n. 22709 in www.DeJure.it).

([18]) Ciò poiché la fase dell’opposizione al passivo risulta strutturata come un procedimento contratto, ove non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all'art. 345 c.p.c. in materia di "ius novorum", con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell'opposizione, se esclude l'immutazione del "thema disputandum" e non ammette l'introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all'esame del giudice delegato (cfr. Cass. 6 ottobre 2020, n. 21490; cfr. inoltre Cass. 4 dicembre 2020, n. 27902; Cass. 10 giugno 2021, n. 16324; tutte su www.DeJure.it).

([19]) Cfr. ex multis Cass. 24 febbraio 2022, n. 6279 in www.ilcaso.it  secondo cui nell'àmbito del procedimento di opposizione allo stato passivo sono inammissibili domande dell'opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, non applicandosi il principio, proprio del giudizio di primo grado, secondo cui entro il primo termine di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., è consentita la "mutatio” di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; il procedimento di opposizione allo stato passivo ha infatti natura impugnatoria, è disciplinato specificamente dall'art. 99 l.fall. e si coordina necessariamente con quanto previsto dall'art. 101 l.fall.

([20]) La non completa assimilabilità tra il giudizio di appello e il giudizio di opposizione allo stato passivo si rinviene altresì in tema di produzione documentale: invero, sul punto, la giurisprudenza maggioritaria afferma che in tema di opposizione allo stato passivo - cui il collegio intende dare continuità - la produzione di documenti a sostegno dell'istanza di ammissione al passivo, anche nel sistema introdotto dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (come nel regime intermedio, successivo al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), non può considerarsi assoggettata alla disciplina dettata dall'art. 345 c.p.c., trattandosi di un giudizio diverso da quello ordinario di cognizione, autonomamente disciplinato dalla L. Fall., artt. 98 e 99 è stato infatti chiarito che tale rimedio, pur avendo natura impugnatoria, mira a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria ed idoneo, se non opposto, ad acquistare efficacia di giudicato meramente endofallimentare, ai sensi dell'art. 96 della L. Fall., con la conseguenza che il termine preclusivo per l'articolazione dei mezzi istruttori è segnato soltanto dagli atti introduttivi del giudizio, in riferimento ai quali l'art. 99 della L. Fall. prevede l'onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti (cfr. Cass., Sez. I, n. 21201/17; n. 4708/11; n. 24028/10; n. 19697/09). (Cass. 25 febbraio 2020, n. 4952 in www.expartecreditoris.it).

([21]) Sul punto cfr. Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, cit.

([22]) Sul punto, la già citata Cassazione civile sez. I, 30 giugno 2021 n.18610, in www.DeJure.it.

([23]) Cass. sez. I, 14 settembre 2021, n.24725 in www.DeJure.it secondo cui: “la responsabilità verso il fallito è a titolo precontrattuale ex art. 1337 c.c., in quanto la banca avrà contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne presidiano l'agire, dolosamente o colpevolmente disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale ed acconsentendo alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato”.

([24]) Il discrimen tra i due tipi di danno è stato sapientemente vagliato da una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, nella quale i Giudici di legittimità, confermando la legittimazione attiva della curatela ad agire per il risarcimento del danno, hanno affermato che: per quanto riguarda i profili civili risarcitori le condotte di «abusivo ricorso e di abusiva concessione del credito» possono cagionare alla società amministrata o finanziata, sul piano economico, un danno da diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, l'aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell'attività d'impresa e che, a fronte di tali situazioni pregiudizievoli, il curatore è investito della legittimazione a promuovere le azioni previste dall'art. 2394-bis cod. civ. e dall'art. 146 I.f. nei confronti degli amministratori, dei direttori generali e dei liquidatori nell'interesse della massa dei creditori”. Cass. 18 gennaio 2023, n. 1387 in www.ilcaso.it.