, 19 maggio 2023, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Il volume al quale si premettono queste brevi (e consapevolmente sommarie) considerazioni si apre con quello che non poteva in effetti non essere il primo dei temi affrontati: l’adeguatezza degli assetti aziendali, qui considerato dall’angolo visuale giuridico e aziendalistico, rispettivamente, da Maurizio Onza e Andrea Panizza, e focalizzato – com’è d’uopo – sulle novità introdotte dal codice della crisi.
L’espressione “adeguatezza” riferita a strutture e sistemi delle società per azioni – lo si è ricordato in altra sede[1] – nasce non già con la riforma del diritto societario, bensì con il testo unico della finanza del 1998, che all’art. 149, 1° comma, lett. c) recita: “[Il collegio sindacale vigila: …] c) sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione”[2].
Non v’è dubbio peraltro che sia stata la novella del 2003 a suscitare il maggior interesse sul piano scientifico, come dimostrano i due lavori monografici apparsi a breve distanza dalla modifica degli artt. 2381 e 2403 c.c.[3]: norme, queste, che notoriamente prevedono, l’una, la valutazione da parte del consiglio di amministrazione, sulla base delle informazioni ricevute (dagli amministratori delegati), dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo amministrativo e contabile, l’altra, la vigilanza del collegio sindacale sul medesimo aspetto[4].
Il percorso si è completato all’incirca tre lustri più tardi – com’è ben noto – attraverso l’integrazione dell’art. 2086 c.c. nel 2019 e il successivo varo del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel 2022, con l’inevitabile “recrudescenza” del dibattito su questi profili fra gli studiosi e gli “addetti ai lavori”.
È l’art. 3, con cui si apre il Capo II (Principi generali), a prescrivere al secondo comma l’obbligo per l’imprenditore collettivo di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative” [5]. Assetti, questi, che ai sensi del terzo comma devono consentire, in particolare, di rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario e di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi.
Ma a ben vedere, anche i doveri del debitore ex art. 4[6] – l’illustrazione della propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, l’assunzione tempestiva di iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all'articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza prescelto e la gestione del patrimonio o dell'impresa durante i procedimenti nell'interesse prioritario dei creditori – presuppongono l’esistenza di assetti tali da porre l’imprenditore in condizioni di compiere al meglio tali ineludibili attività, tutte parimenti cruciali nell’ottica di risolvere la crisi a tempo debito.
Non sfugge allora come la questione dell’adeguatezza degli assetti sia intimamente connessa a quella delle responsabilità dei vari soggetti coinvolti: perché è chiaro che la non adeguatezza di tali assetti, quando non addirittura la loro omessa predisposizione, è foriera di responsabilità in capo agli amministratori (e per mancata o negligente vigilanza anche ai sindaci) ogniqualvolta da ciò sia scaturito un danno ingiusto alla società o ai suoi creditori.
Una responsabilità siffatta può travalicare i confini della società ove questa risulti essere stata abusivamente finanziata da uno o più istituti di credito, configurandosi in tal caso (come si avrà modo di chiarire sùbito in appresso) una responsabilità di questi ultimi in concorso con gli amministratori dell’impresa insolvente. E può al tempo stesso ravvisarsi una responsabilità degli amministratori bancari nei confronti della società che gestiscono (e dei creditori di essa, in caso di default) per inadeguatezza degli assetti all’interno della banca stessa, giacché non di rado il contraltare delle lacune strutturali e organizzative dell’impresa abusivamente finanziata sta precisamente in un problema (se possibile ancor più grave) di inadeguatezza degli assetti dell’impresa bancaria.
Non privo di collegamenti con la tematica dell’adeguatezza degli assetti è quella della sostenibilità della gestione imprenditoriale.
Com’è noto, sino a circa tre lustri fa non erano molte le imprese italiane ad aver avviato iniziative davvero tangibili (e interdipendenti con il business) per migliorare l’impatto ambientale e sociale della propria attività. L’irreversibile tendenza verso una gestione sostenibile ha peraltro da tempo iniziato a diffondersi, anche grazie alla pubblicazione nel 2015 (e con obiettivi di medio-lungo periodo), da parte delle Nazioni Unite, della “2030 Agenda for a Sustainable Development”, contenente l’enucleazione di diciassette “Sustainable Development Goals” (cc. dd. SDGs).
Del resto, il nostro legislatore costituzionale ha denotato piena consapevolezza dei problemi in parola quando ha modificato l’art. 9 della Costituzione, inserendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni[7], nonché l’art. 41[8] inserendo le parole «alla salute, all’ambiente,» al secondo comma e le parole «e ambientali» al terzo comma[9].
Sono dunque chiari, non da oggi e a tutti i livelli, gli impatti delle problematiche ambientali e sociali sull’attività d’impresa, nonché la virtuosa correlazione tra i risultati ambientali e sociali dell’impresa stessa e la sua competitività sul mercato: tanto che numerosi economisti e giuristi ritengono che la sostenibilità sia destinata a rappresentare, negli anni a venire, addirittura il criterio fondante – e comunque uno dei più rilevanti – della gestione dell’impresa[10].
Non è un caso che già oggi la maggior parte dei gruppi multinazionali operi secondo questa logica (con esplicito riferimento agli SDGs) e che sia in costante crescita anche in Italia il numero di medie e piccole imprese che si pongono obiettivi non solo economici, ma anche ambientali e sociali. Ed è chiaro che una visione della gestione d’impresa incentrata sulla sostenibilità comporta giocoforza l’innovazione dell’apparato concettuale, delle strategie e delle stesse funzioni aziendali rispetto all’impostazione tradizionale: giacché per l’appunto un’impresa orientata alla sostenibilità, lungi dal perseguire il mero obiettivo della massimizzazione del profitto, è per sua natura votata alla creazione di un valore che è ad un tempo economico, ambientale e sociale; il che, quanto meno idealmente, ha come corollario intrinsecamente positivo, in ultima analisi, l’incremento del c.d. benessere collettivo.
Senza con ciò dimenticare, peraltro, le finalità (anche) “sanamente egoistiche” di tale approccio, dal momento che le inclinazioni di imprenditori e manager a farsi parte attiva nel sostegno a politiche sociali e ambientali, nonché nel contrasto a diseguaglianze, discriminazioni e sfruttamenti, sono stare “progressivamente considerate – nella loro dimensione reputazionale – un potenziale “valore aggiunto” capace di generare profitti e dunque, indirettamente, una competizione virtuosa tra imprese”[11].
Ecco perché si lascia apprezzare in particolar modo l’ampia e stimolante indagine di Stefania Pacchi sulla gestione sostenibile, nel cui ambito non potevano mancare, data la profonda conoscenza ed esperienza dell’autrice, preziosi spunti in materia di crisi d’impresa.
E proprio alla crisi d’impresa è dedicata la seconda parte del volume, costellata dai contributi di alcuni fra i massimi esperti della materia, da Alberto Maffei Alberti a Paolo Felice Censoni, da Alessandro Nigro a Giuseppe Bozza alla stessa Pacchi.
Il focus della maggior parte di questi interventi è puntato sulle nozioni centrali del codice della crisi (e sulla relativa disciplina), a partire da quelle di crisi e insolvenza – binomio che, come giustamente ricorda Censoni, “evoca una dialettica concettuale fra nozioni economico-aziendali e nozioni giuridiche, tra analisi prospettiche e analisi statiche, non semplice da dipanare” – e di continuità aziendale, per passare poi agli istituti che rappresentano, insieme al piano di ristrutturazione omologato, le maggiori novità delle recenti riforme: la composizione negoziata e il concordato semplificato [12].
Le finalità che questi ultimi si prefiggono sono tanto chiare quanto, nel complesso, condivisibili. Sull’effettivo “successo” di questi strumenti, tuttavia, conviene sospendere il giudizio, complici alcune non trascurabili criticità e lacune normative che stanno via via emergendo nella pratica: di tal che sembra preferibile attendere un congruo lasso di tempo prima di formarsi un’opinione, se non definitiva, quanto meno più meditata.
Quanto al profilo, centrale dal punto di vista sistematico, degli interessi protetti dalla nuova disciplina (segnatamente quella in materia di concordato preventivo, su cui avevo appuntato l’attenzione in concomitanza col varo del codice[13]), non possono non condividersi le conclusioni di Maffei Alberti: “La insistenza a volte ridondante con la quale si enfatizza l'interesse dei creditori conferma che la tutela di questo presupposto è il fulcro sul quale poggia l'intero sistema del codice. Dimostra anche la volontà di discostarsi dalla filosofia della procedura di amministrazione straordinaria ove la tutela della continuazione dell'attività di impresa sovrasta la tutela dei creditori”.
E su un tema di ampio respiro teorico, ma nondimeno gravido di rilevanti implicazioni operative, come quello della gestione dell’impresa in crisi e del relativo regime autorizzatorio va senz’altro condiviso il pensiero di Pacchi, che giustamente annota: “Stiamo andando verso una disciplina dell’impresa in procedura per la quale la conservazione di skills impone la permanenza dell’imprenditore alla guida. Nel contempo la disciplina degli effetti della procedura per l’imprenditore si allontana dall’impostazione originaria che poggiava su una connotazione “mista” dello spossessamento, rispondendo da un lato ad istanze sanzionatorie e dall’altro all’esigenza di tutelare i creditori. Siccome oggi la tutela dei creditori passa sempre meno dal pagamento di una somma di denaro e sempre più dalla conservazione dei rapporti commerciali, forse tutto ciò impone al legislatore un ripensamento anche sul sistema autorizzativo causa spesso di rallentamenti nocivi per l’impresa. Ciò non significa libertà incondizionata di gestione, quanto piuttosto evoluzione del controllo su di essa. Tutto sta in un sistema che bilanci l’interesse dell’impresa con quello dei creditori su una gestione armonica con lo strumento impostato e, nel contempo, attenta ad evitare un aggravamento del rischio”.
La parte specificamente dedicata alla crisi d’impresa, che contiene anche una puntuale ricostruzione delle tipologie di concordato preventivo operata da Federico Pani, si chiude con i due pregevoli e stimolanti saggi di Alessandro Nigro e Francesco Bordiga sui più rilevanti profili del diritto societario della crisi.
Il fil rouge che tiene insieme, come si è visto, i macro-temi fin qui enucleati li collega altresì all’ultima problematica oggetto di indagine nella terza parte del libro: il ruolo e la responsabilità delle banche creditrici.
Con specifico riferimento alla responsabilità della banca per abusiva concessione di credito[14], ritengo possa affermarsi che il quadro giurisprudenziale, anche grazie ai numerosi contributi della dottrina, è andato progressivamente stabilizzandosi negli ultimi anni, a partire dalla nozione stessa di abuso di erogazione creditizia, da ravvisarsi nella situazione in cui essa è stata effettuata con dolo o colpa a beneficio di un’impresa che versava in condizioni di seria e oggettiva difficoltà economico-finanziaria e che appariva priva di concrete prospettive di superamento della crisi.
Non è per vero necessario – come ha chiarito la Cassazione – che l’intervento di supporto finanziario intervenga nell’ambito di una formale procedura di soluzione della crisi (anche se di regola è preferibile, sul piano della prudenza, seguire una strada del genere): ciò che conta è che la banca non abbia assunto un rischio irragionevole, come invece accade quando un’impresa, sulla base di un’attenta valutazione ex ante, risulta inidonea a restare proficuamente sul mercato.
In questi casi, nei quali non è stato evidentemente scrutinato a dovere il merito creditizio[15] dell’impresa finanziata, il danno viene arrecato tanto, in via diretta, al patrimonio sociale con conseguente riduzione della garanzia patrimoniale causata del maggior debito contratto, quanto, in via mediata e riflessa, all’intera massa dei creditori a cagione dell’intervenuto aggravamento del dissesto “figlio” dell’indebita prosecuzione dell’attività d’impresa. Responsabilità precontrattuale o contrattuale la prima, aquilana la seconda: ferma la possibilità, pacificamente ammessa dal nostro ordinamento, di concorso fra i due tipi di responsabilità, con la precisazione che il concorso di colpa del danneggiato come fattore diminuente della responsabilità è fondatamente invocabile solo nell’ipotesi di azione esercitata dal curatore come successore nei diritti della società e non anche quando egli agisca utendo iuribus creditorum.
Tale configurazione delle responsabilità in parola e il loro possibile “cumulo” sulla base dei diversi titoli invocabili consentono notoriamente alle curatele, all’atto pratico, di citare in giudizio sia gli amministratori della società fallita che la banca finanziatrice in concorso fra loro, sebbene l’abusiva concessione di credito possa ascriversi, in linea teorica, anche soltanto alla banca in virtù della regola della solidarietà passiva, non ravvisandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Aspetti, tutti quelli anzidetti, messi puntualmente in evidenza dai lucidi e perspicui contributi di Raffaele Del Porto e di Enrico Andreani, cui fanno seguito, in chiusura di volume, i saggi di Riccardo Bonivento, Fabio Sebastiano, Alessia Schiavo e Dino Crivellari, dedicati a profili specifici di notevole interesse pratico. Come pure interessanti sono le notazioni di Eugenio Bissocoli e Alessandro Turchi sul ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata.
Una duplice, sintetica, riflessione può infine proporsi nell’ambito di questa breve introduzione.
Oltre alla questione, sempre attuale, dell’inadeguato scrutinio del merito creditizio, ritengo che la responsabilità della banca sia destinata, all’interno del nuovo quadro ordinamentale, a essere invocata con maggiore frequenza rispetto al passato quale fattore co-causativo della crisi irreversibile dell’impresa a seguito della brusca “chiusura dei rubinetti” del credito e, più in generale, per violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza verso il debitore. Lo denota chiaramente, oltre all’art. 4, c. 1, del codice della crisi, il disposto dell’art. 16, c. 5, in tema di composizione negoziata, là dove – una volta vietati i comportamenti disinformati e neghittosi attraverso la prescritta partecipazione alle trattative “in modo attivo e informato” – si chiarisce, da un lato, che l’accesso allo strumento in questione non costituisce di per sé causa di sospensione, né tanto meno di revoca, degli affidamenti bancari, dall’altro, che tali provvedimenti, in ogni caso, sono adottabili solo a condizione (i) che ciò sia richiesto dalle regole di vigilanza prudenziali e (ii) che la relativa comunicazione dia conto (può aggiungersi: in modo preciso e articolato) delle ragioni della decisione assunta. E siccome il successivo c. 6 richiede che tutte le parti coinvolte nelle trattative collaborino lealmente, nonché in modo sollecito, con il debitore e postula espressamente una “risposta tempestiva e motivata”, ecco che dal combinato disposto di detta previsione e dell’art. 4 si evince che il dovere di buona fede e correttezza nei confronti del debitore è declinato ad un tempo come leale collaborazione, riservatezza e rapidità di “reazione”; senza dire, andando oltre la lettera della norma, del dubbio circa la possibilità di configurare profili di responsabilità verso gli altri creditori nell’ipotesi di violazione degli obblighi di cui trattasi.
In ogni caso, l’insidioso passaggio della nave-banca (per dirla metaforicamente) attraverso lo stretto di mare presidiato sui due rispettivi lati da Scilla e Cariddi continua a restituirci l’immagine di un soggetto, l’istituto di credito, destinato a correre comunque un rischio: quello di dover rispondere di abusivo finanziamento, in un caso, e di recesso brutale dal credito, nell’altro[16].
Il tipo di rischio che va corso per andare esenti, per quanto possibile, da responsabilità è – come si diceva in esordio di discorso – quello connotato da ragionevolezza alla stregua del dovere inderogabile di sana e prudente gestione, di cui gli assetti adeguati dovrebbero essere, nell’ambito dell’impresa finanziata, un deterrente rispetto a richieste abusive e, in quello dell’impresa bancaria, un presidio essenziale proprio ai fini del corretto scrutinio del merito creditizio. Sicché, quando non risulti eccessivamente azzardato sostenere dal punto di vista finanziario un’impresa che, seppur in crisi, presenta concrete chances di risanabilità, può farsi ricorso sul piano giuridico, a mo’ di bussola, a una serie di elementi – testuali e di sistema – i quali depongono, pur con tutte le cautele del caso, nel senso della (giusta) preferenza accordata dal legislatore del codice a questa scelta “supportiva”, coerentemente al generale favor per le soluzioni alternative alla liquidazione giudiziale.
* Questo veloce contributo è destinato a costituire l’introduzione al volume da me curato “Assetti aziendali e sostenibilità, soluzioni concordate della crisi, ruolo e responsabilità della banca”, di prossima pubblicazione per i tipi di Pacini Giuridica.
[1] Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della Crisi e della “miniriforma” del 2021, in dirittobancario.it, 11 novembre 2021.
[2] Cfr., all’indomani della c.d. Legge Draghi, Ambrosini, sub art. 149, in Cottino (diretto da), La Legge Draghi e le società quotate in borsa, Torino, 1999, 277 ss.
[3] Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005; Zamperetti, Il dovere di informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005.
[4] Sul terzo comma dell’art. 2381 c.c. cfr., in luogo di altri, Montalenti, Sub art. 2381, in Cottino - Bonfante - Cagnasso - Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 680 e Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Abbadessa - Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Torino, 2006, 491 ss., cui può aggiungersi la puntuale ricostruzione di Aiello, Gli amministratori di società per azioni, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, vol. 16, t. VI, Torino, 2013, 128. Sull’art. 2403 v., ex aliis, Rigotti, Sub art. 2403. Doveri del collegio sindacale, in Ghezzi (a cura di), Collegio sindacale. Controllo contabile, in Marchetti - Bianchi - Ghezzi - Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, vol. 4, Milano, 2005, 159 ss.; Ambrosini, Il collegio sindacale, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, vol. 16, cit., 187 ss.
[5] Sul rapporto tra assetti adeguati e crisi d’impresa si vedano, tra i contributi più recenti (anche per copiosi riferimenti), Ambrosini, Adeguatezza degli assetti aziendali, doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in Callegari - Cerrato - Desana (a cura di), Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, Torino, 2022, 1703 ss.; Giannelli, Gli assetti organizzativi per la prevenzione della crisi nei controlli nelle società per azioni; ivi, 1721 ss.; Pagni, Crisi d’impresa e risanamento aziendale: la rilevazione anticipata della crisi tra adeguatezza degli assetti organizzativi e avvio della composizione negoziata, ivi, 1740 ss.; Briguglio, Il principio di esclusività in materia di assetti adeguati alla luce del complessivo intervento di riforma del codice della crisi di impresa, ivi, 1753 ss.
[6] Su cui si veda, in luogo di altri, Panzani, I doveri delle parti, in dirittodellacrisi.it, 14 settembre 2022, , cui adde il lavoro monografico di Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d'impresa, Milano, 2022.
[7] Cfr. art. 1, comma 1, della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1.
[8] Art. 2, comma 1, lett. a), della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1.
[9] Queste problematiche sono in corso di approfondimento nel mio volumetto L’impresa nella Costituzione. Introduzione al corso di diritto commerciale, destinato alla pubblicazione per i tipi della Zanichelli.
[10]Sui concetti di “Environmental Social Governance” e “Social Corporate Governance”, talora con accenti critici e comunque scettici, v. tra gli altri Angelici, Divagazioni sulla “responsabilità sociale” d'impresa, in Riv. soc., 2018, 3 ss.; Libertini, Sulla proposta di direttiva UE su “dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, ivi, 2021, 325 ss.; Strampelli, La strategia dell'Unione europea per il capitalismo sostenibile: l'oscillazione del pendolo tra amministratori, soci e stakeholders, ivi, 2021, 365 ss., cui adde, da ultimo, E. Barcellona, La sustainable corporate governance nelle proposte di riforma del diritto europeo: a proposito dei limiti strutturali del c.d. stakeholderism, in Callegari - Cerrato - Desana (a cura di), Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, cit., 101 ss.; Mucciarelli, Perseguire un diritto societario “sostenibile”: un obiettivo sincero?, ivi, 182 ss.; M. Rescigno, Note sulle “regole” dell’impresa “sostenibile”: dall’informazione non finanziaria all’informativa sulla sostenibilità, ivi, 194 ss.; Loffredo, Sostenibilità ed economicità dell’impresa: prime riflessioni, ivi, 209 ss.; Cerrato, Appunti per una “via italiana” all’ESG: l’impresa “costituzionalmente solidale”(anche alla luce dei “nuovi” artt. 9 e 41, comma 3, Cost.), ivi, 227 ss., cui adde, con riguardo ad aspetti più specifici, Mosco - Felicetti, Orizzonte temporale e corporate governance sostenibile tra iniziative europee e autodisciplina interna, ivi, 266 ss.; Genovese, La “sustainable corporate governance” delle società quotate. Note introduttive, ivi, 282 ss.; Desana, Politiche di dialogo con gli azionisti, equilibrio di genere e fattori ESG: appunti, ivi, 295 ss.; Maugeri, Sostenibilità ed engagement degli azionisti istituzionali, ivi, 308 ss.; Siri, La sostenibilità nei codici di autodisciplina, ivi, 326 ss.
[11] Cerrato, op. cit., 229.
[12] Su questi temi, per un efficace quadro di sintesi, si vedano Rordorf, Prefazione ad Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, XXIX ss.; Jorio, Introduzione, ivi, 1 ss.
[13] Concordato preventivo e soggetti protetti nel codice della crisi dopo la Direttiva Insolvency: i creditori e i lavoratori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 giugno 2022.
[14] Fattispecie sulla quale la letteratura è non da oggi assai ampia (e in luogo di altri cfr. Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2005; Piscitello, Piani di risanamento e posizione delle banche, in Banca borsa tit. cred., 2007, I, 538 ss.; Nigro, La responsabilità delle banche nell'erogazione del credito alle imprese in “crisi”, in Giur. comm., 2011, I, 305 ss.; Inzitari - Depretis, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziato, in Dir. fall., 2018, I, 1035 ss.).
[15] Sul tema, fra i molti, Sartori, Deviazioni del bancario e dissociazione dei formanti: a proposito del diritto al credito, in Giust. civ., 2015, 569 ss.
[16] Nello stesso senso Gobio Casali - Binelli, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, in dirittodellacrisi.it, 18 aprile 2023, 16.