Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Concessione abusiva di credito e risarcimento del danno da violazione di norme di condotta


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Articolo

Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa


Stefania Pacchi

Data pubblicazione
26 maggio 2023

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Sommario: 1. Premessa. – 2. La presenza degli stakeholders e la Responsabilità sociale d’impresa. - 3. La sostenibilità nella Direttiva Insolvency 2019/1023. – 4. Continuità, Adeguati assetti e sostenibilità. – 5. L’ingresso dei criteri ESG nella predisposizione degli assetti. – 6. Gli interventi Unionali sul tema della sostenibilità. – 7. La sostenibilità negli strumenti per la crisi. – 8. Conclusioni


1.       Premessa

Negli ultimi decenni il vocabolo “sostenibilità” è sempre più ricorrente[1].

Il vocabolo affonda le proprie radici semantiche nel primigenio significato di “sorreggere” (dal latino habere e sustinere) nel senso di abilità di sostenere, di essere cioè in grado di sopportare sia cambiamenti di stato emotivo che di status economico.

“Sostenibilità” evoca la presenza di differenti posizioni che in un rapporto devono tutte trarre soddisfazione, ciascuna contemperando la propria pretesa con quelle degli altri.

Il vocabolo richiama il “senso del limite”[2] che, inevitabilmente, suggerisce un bilanciamento degli interessi e sottintende un “principio di responsabilità”. Ciascuno è responsabile del soddisfacimento dell’altro.

Questa lettura trova un aggancio nella definizione di sostenibilità coniata nel Rapporto della Commissione Brundtland (1987)[3] come “una strategia di sviluppo sociale che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”[4].

Il tema della sostenibilità nasce con l’affermarsi delle tematiche ambientali ma successivamente si evolve verso altre problematiche[5] diventando un quadro concettuale normativo olistico marcato da spiccata impronta sociale.

Dall'originario focus, secondo una visione integrata, la sostenibilità vede adesso una convergenza tra i tre pilastri dello: sviluppo economico, equità sociale e protezione ambientale[6]. Ciò ha provocato un ampliamento anche degli ambiti di studio. Dopo le scienze naturali, le scienze sociali e l’economia, è stato attratto anche il diritto.

Il termine “sostenibilità”, infatti, è ormai ampiamente utilizzato anche dai giuristi[7] in particolare, nelle riflessioni sull’impresa e sulla sua gestione[8]; è entrato nella produzione legislativa e inizia a comparire nelle decisioni giurisprudenziali. Il diritto dell’impresa, il diritto societario e, infine, il diritto della crisi[9] si confrontano – sotto diversi profili – con questo parametro della sostenibilità.

Ciò è comprensibile, dal momento che il lemma “sostenibilità” è correlato a un divenire[10] e rinvia a “qualcosa” che può essere mantenuto o continuato nel tempo e nello spazio e, quindi, rivela la capacità di proiettarsi nel futuro per un equilibrio che un determinato processo assicura al prodotto. Con ciò - menzionato ogni elemento che si rintraccia nell’impresa o che dovrebbe (auspicabilmente) contrassegnarla - diviene chiaro perché ultimamente la declinazione del tema abbia trovato nell’attività economica un punto di riferimento con valenza giuridica, economica, sociale e, infine, politica.

Vale la pena sottolineare che quando si parla di impresa (e poi di società) il termine sostenibilità si declina in due diverse accezioni.

“Per un verso, con tale termine si allude alla sostenibilità della impresa nel tempo: alla possibilità, quindi, che essa conservi l’equilibrio finanziario su di un orizzonte temporale (sufficientemente) lungo. È a questa sostenibilità che ci si riferisce quando si parla di sviluppo sostenibile dal punto di vista economico. In questa accezione la sostenibilità è vista nella prospettiva interna dell’impresa e in questo senso ha un significato assai vicino, se non coincidente, con quello di stabilità”[11].

In questo senso sostenibilità si identifica con la continuità aziendale per la quale è d’obbligo il richiamo all’art. 2086, comma 2, c.c. così come è stato riformulato dal d.lgs. 14/2019.

La sostenibilità può essere considerata, però, anche esternamente all’impresa. Sotto questa visuale “è sostenibile l’impresa le cui esternalità non sono tali da pregiudicare (o, meglio, da contribuire a pregiudicare) nell’orizzonte temporale considerato gli assetti naturali, ambientali, climatici, sociali, sanitari, dei diritti civili e via discorrendo. È a questa sostenibilità che ci si riferisce quando si parla di sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale”[12].

Sotto questo profilo, torniamo, così, ad interrogarci su quale sia l’interesse dell’impresa; a chi essa “appartenga; quali siano i suoi compiti rispetto alla collettività che la circonda o all’ambiente nel quale è inserita; quali siano i rapporti e le interazioni con ciò che tradizionalmente è stato appannaggio dello stato sociale.

“In sostanza, in un momento caratterizzato, (…) da intollerabili disuguaglianze, da crescenti rischi ambientali e da forti difficoltà degli Stati nazionali a perseguire adeguate politiche di welfare, alla grande impresa viene chiesto di interrogarsi sul proprio ruolo sociale, rilegittimando sé stessa come soggetto più inclusivo. Tutto questo non significa, in alcun modo, sostituire lo stato con l'impresa. Le Corporations non sono state create per essere organizzazioni politiche ed occuparsi di problemi generali, ma devono avere il coraggio di farsi sentire quando i cardini essenziali della società sono a rischio, perché nel lungo periodo questa influirà sulla capacità di chiunque di generare profitti”[13].

 

2.       La presenza degli stakeholders[14] e la Responsabilità sociale d’impresa

L’apertura dell’impresa societaria verso l’esterno, a interessi di rilevanza collettiva e ulteriori rispetto a quello dei soci, questi ultimi a lungo ritenuti come l’unico punto di riferimento della gestione, riporta in primo piano il tema della Responsabilità sociale d’impresa (RSI).

Da tempo il modello economico classico, secondo cui il corporate purpose consisterebbe nell’accrescere costantemente gli utili per i suoi azionisti[15], è entrato in discussione. Si sta affermando un nuovo modello di gestione del business chiamato modello socioeconomico[16] che muove dalla considerazione secondo cui gli azionisti, pur costituendo un gruppo rilevante di parti interessate, non sono gli unici “proprietari”. Altri soggetti – oltre gli shareholders - possono vantare diritti di tipo proprietario[17].

L’attività suppone, infatti, un crogiuolo di relazioni, alcune delle quali nascenti dall’assunzione della stessa iniziativa economica (i soci), altre da contratti (i fornitori, i finanziatori, clienti ecc.), altre da bisogni di varia natura dell’impresa (lavoratori, territorio, le comunità locali ecc.) che generano aspettative e/o attese di contropartite.

Nell’impresa - intesa come sistema aperto che vive anche per questo incessante dialogo perché proprio da queste relazioni può derivare un supporto essenziale – scorgiamo, così, la presenza di soggetti diversi che sono accomunati dall’obbiettivo di mantenere la salute dell’attività. L’impresa necessita della presenza di tutti: senza shareholders non nasce ma senza gli stakeholders non si mantiene. L’impresa esiste non solo per i primi ma anche per i secondi: sono distinti e complementari allo stesso tempo.

“(…) È nella cornice della teoria degli stakeholder che, a ben vedere, affonda le proprie radici – muovendo per giunta in chiave evolutiva dalla responsabilità sociale d’impresa – il paradigma della sostenibilità”[18] che può essere identificato nella creazione di valore nel lungo periodo sia per l’impresa che per gli stakeholder (i lavoratori, le comunità locali, la salute, l’ambiente)[19].

Lo stakeholderism attiene, infatti, al concetto di corporate purpose, il quale evoca il fine che le società devono perseguire nello svolgere la propria attività. L’impostazione, però, non è unitaria in quanto può essere espressa secondo tre diverse sfumature[20].

Quella più estremistica sostiene che la creazione di valore per i soci e il perseguimento degli interessi degli altri stakeholder sono tra loro parificati.

Da questa si passa a quella secondo cui lo stakeholderism è inteso quale sinonimo di ricerca pur sempre del profitto, ma al netto dei costi necessari per garantire adeguate condizioni di lavoro, per ridurre l’inquinamento, per tutelare la salute. In questa accezione di stakeholderism si ha una responsabilizzazione delle società quanto alla limitazione delle esternalità negative dell’attività. Così le società devono assumere “un ruolo proattivo – attraverso il perseguimento di politiche di riduzione dell’impatto ambientale, di sviluppo sostenibile etc. – anziché demandare la tutela di questi interessi esclusivamente all’intervento dello Stato”[21].

Infine, secondo una lettura ancor più sfumata, lo stakeholderism, pur non abbandonando il corporate purpose dalla creazione di valore per i soci, imporrebbe una prospettiva di lungo termine e di sostenibilità. E’questa una proposta cheessenzialmente si pone come antidoto allo short-termism, inteso quale obiettivo di profitto nel breve termine insensibile ai rischi e alle conseguenze di lungo periodo[22].

Al di là di queste gradazioni, si sta comunque affermando, con la rivisitazione dello scopo della società, la necessità di perseguire non solo l’interesse dei soci ma anche dei terzi. È questa la celebrazione del ruolo sociale dell’impresa e, quindi, di una RSI[23].

Per poter rispondere in maniera adeguata alla crisi attuale, le imprese devono, così, interpretare e definire linee guida specifiche al fine di assicurare sostenibilità sociale e ambientale[24]. Di conseguenza, si profila un momento di ripensamento di quelle pratiche di sostenibilità e responsabilità sociale già seguite prima della pandemia e verso le quali anche le istituzioni europee fin dagli anni Novanta hanno additato con sempre più forte decisione[25].     

Riallacciandosi agli studi sulla Stakeholder Theory di Freeman, si può sostenere che le imprese oggi non possano limitarsi al soddisfacimento dei soli azionisti “e alla massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di più stakeholder cercando di soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento efficiente dell’attività economica”. Oggi l’imperativo è, così, quello di ripensare alla RSI e alle sue strutture teoriche di riferimento per comprendere le dinamiche tra mercato e società e tra etica e business alla luce della crisi attuale. L’obiettivo è generare valore nel lungo termine, combinando virtuosamente – secondo la tesi del 1997 di John Elkington - queste diverse dimensioni[26].

I driver principali per attuare questa impostazione sono la comunicazione e l’informazione, tasselli fondamentali di un processo conosciuto come stakeholder engagement[27]. 

L’impresa soddisfa le attese degli stakeholder quando comunica il più possibile in maniera trasparente a seconda degli interessi dei soggetti a cui si rivolge, mantenendo in ogni caso fedeltà alla propria mission con l’obiettivo, però, di salvaguardare interessi, diritti e opportunità di tutti.

“Il coinvolgimento degli stakeholder rende dinamici i flussi informativi con l’esterno, facilita la ricognizione dei bisogni emergenti e delle problematiche sociali del territorio e, in linea generale, permette di trovare più facilmente soluzioni a problemi complessi”, scriveva Edwin A. Locke[28] nel 1997.     

Come è stato autorevolmente scritto “l’impresa non può vivere come una entità cui siano sottesi solo interessi ad essa inerenti – id est l’interesse dell’imprenditore individuale o degli azionisti – perché essa è inserita in un sistema in cui trovano posto altri interessi e, in primo luogo, quello delle componenti esterne – appunto i consumatori e per certi versi i lavoratori subordinati – della comunità civile in cui essa vive ed opera”[29].

In questo movimento che sospinge verso un riposizionamento della mission dell’impresa sta dando un apporto significativo il legislatore unionale.

 

3.       La sostenibilità nella Direttiva Insolvency 2019/1023

La Direttiva 2019/1023[30] se pur non offre sul tema uno specifico approfondimento[31], promuovendo la cultura della ristrutturazione preventiva[32], il cui obiettivo è la continuità, è imperniata sull’idea della sostenibilità e su una visione sociale dell’impresa.

Il baricentro della Direttiva è, infatti, costituito dalla ristrutturazione preventiva sostenibile (all’interno e all’esterno) dal punto vista economico e sociale.

In primo luogo, lo scopo della ristrutturazione preventiva è quello di trattenere le risorse esistenti cercando di garantire la continuità dell'impresa viable (sostenibilità interna).

In secondo luogo, la ristrutturazione preventiva, per essere efficace ed efficiente, dovrebbe entrare in azione tempestivamente (grazie al sistema di allerta), svolgersi rapidamente e senza oneri amministrativi (sostenibilità esterna).

In particolare, il legislatore dell'Unione pone l’accento per lo più soltanto sul capitale umano. Risalta il rimando continuo ai lavoratori, ai posti di lavoro, agli stakeholders in nome e a vantaggio dei quali la ristrutturazione dovrebbe essere operata in quanto strumento per tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale[33].

Sotto questo profilo la Direttiva è in linea con la stagione attuale nella quale “diventano sempre più forti le istanze di un ripensamento dell’impresa secondo canoni comunitari, innervati su una ricomposizione dei rapporti con tutti gli stakeholders; tra questi è evidente il ruolo di inevitabile protagonista ricoperto dal fattore lavoro, da un lato principale destinatario dei tristemente noti effetti della crisi, e dall’altro prioritario riferimento per uscirne il prima possibile” [34].

Visto il richiamo agli stakeholder ci saremmo aspettati un intervento del legislatore unionale per fissare il perimetro della categoria[35]. Il termine “stakeholder” viene, invece, utilizzato in senso generale e residuale, facendo intuire una diversificazione tra parti interessate[36] – perché legate all’impresa da un rapporto contrattuale che genera un credito attualmente insoddisfatto – e stakeholder[37].

In definitiva, la Direttiva tace sul significato preciso di "stakeholder". Può riferirsi a coloro che sarebbero parti interessate dopo l'avvio della procedura di pre-insolvenza, ma probabilmente si riferisce a un gruppo più ampio di interessi finanziari, sociali e ambientali preesistenti.

Eppure, la Direttiva riserva attenzione agli stakeholder giungendo a riconoscere loro una significativa posizione interlocutoria nella ristrutturazione. Ciò è dato desumere dal Considerando 10: “Any restructuring operation, in particular one of major size which generates a significant impact, should be based on a dialogue with the stakeholders. That dialogue should cover the choice of the measures envisaged in relation to the objectives of the restructuring operation, as well as alternative options, and there should be appropriate involvement of employees' representatives as provided for in Union and national law”.

Nella direttiva sono stati, però, trascurati gli aspetti ambientali, green, che tuttavia possono avere un grande impatto sulla crisi di molte imprese e sulla gestione delle procedure concorsuali.

Sulla responsabilità sociale dell’impresa in crisi vi è stata indubbiamente una importante presa di posizione[38]. La Direttiva, sensibile alla dimensione sociale dell’impresa, pur non abbandonando l’obiettivo che tradizionalmente ha plasmato la prevalenza degli ordinamenti della crisi – la tutela dei creditori – non lo pone come condizione assoluta per la ristrutturazione. Come è stato segnalato il legislatore Unionale “abbandona la considerazione esclusiva e totalizzante dell’interesse dei creditori nella crisi d’impresa[39]. Sotto questo aspetto la Direttiva Insolvency può essere considerata il primo passo di un percorso – se pur iniziato con il capitolo conclusivo del diritto dell’impresa (la crisi) – verso l’affermazione a livello normativo del parametro della gestione sostenibile dell’impresa in crisi.

Altri passi nel cammino verso la gestione sostenibile dell’impresa sono attesi a breve in quanto oggetto di ulteriori recenti interventi Unionali (che saranno esaminati successivamente nel corso di questo scritto) specificamente diretti a introdurre e uniformare una gestione dell’impresa incardinata nel rispetto delle regole ESG[40].

Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno, infatti, rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”.

L’obbligo di informare circa la politica assunta rispetto ai valori di sostenibilità e di improntare la gestione ai relativi criteri incentiva le imprese a “fare meglio e di più”, atteso che quelle con buone performance ESG, infatti, vengono premiate da investitori[41] e consumatori.Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”.

 

4.       Continuità, Adeguati assetti e sostenibilità

Il messaggio della Direttiva Insolvency – recepito dal legislatore italiano con il d.lgs. 83/2023 che ha segnato l’entrata in vigore del Codice della crisi – è chiaro: l’impresa esprime un coacervo di interessi e la sua continuità costituisce un valore per il quale tutti devono concorrere accettando un bilanciamento degli interessi quale è implicito nel requisito della sostenibilità.

Ciò determina la necessità, in primo luogo, di regole funzionali ad interventi tempestivi per la continuità; in secondo luogo, di regole circa la selezione degli “interessi da parte della società e in terzo luogo, di regole di comunicazione (anche) rispetto agli indirizzi gestionali relativi a fattori di sostenibilità.

La base della continuità è costituita dagli early warnings tools, strumenti di rilevazione tempestiva della crisi per i quali viene ampliato il ventaglio dei soggetti interni all’impresa, tradizionalmente preposti alla rilevazione degli squilibri, con una significativa apertura verso l’esterno, attribuendo ai creditori il ruolo di segnalatori di inadempimenti che li riguardano.

Il pernio è l’organizzazione d’impresa attraverso un apparato di procedure e strutture, analiticamente individuate, finalizzate ad una effettiva, efficace e tempestiva identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi.

Se “sostenibilità implica gestione dei rischi (risk management)”[42], anche nel Codice della Crisi si rinvengono elementi del diritto dell’impresa sostenibile. La continuità aziendale, nella sua accezione di dovere di improntare la gestione dell’impresa ad un equilibrio economico – finanziario di lungo termine, implica la necessità di approntare sistemi di rilevazione periodica dell’andamento della gestione e della profilatura dei rischi.

Il «business sostenibile» comporta, allora, un dovere organizzativo e di pianificazione: la gestione diligente dell’azienda è quella organizzata in modo tale da prevenire l’emersione della crisi mediante l’implementazione di procedure da adottare in determinate situazioni che possono avere un impatto negativo sull’andamento economico-finanziario fino a minare la continuità.

Su questa scia, il nostro Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza ("CCII")[43] che ha sostituito la vecchia Legge fallimentare del 1942, ha inciso sui canoni gestionali dell’impresa (art. 2086 c.c.)[44] compiendo, inoltre, una rivoluzione nel diritto della crisi, imponendo la creazione di una governance razionalmente e funzionalmente strutturata, idonea non solo al conseguimento di risultati ottimali di gestione ma anche a sventare la penetrazione e degenerazione di squilibri di varia natura rendendo possibile, se del caso, l’immediata assunzione delle necessarie contromisure.

Il legislatore ha, così, posto come base dell’organizzazione dell’impresa e della prevenzione della crisi, per le società l’istituzione di assetti adeguati[45] e per l’imprenditore individuale l’adozione di misure idonee al fine della rilevazione tempestiva dello stato di crisi e dell’assunzione delle iniziative necessarie a superarlo (art. 3 CCII). Non è tuttavia sufficiente che gli assetti e le misure vengano implementati ma occorre che essi siano adeguati alla tipologia e dimensione dell’impresa nonché idonei a captare e gestire tempestivamente i rischi emergenti.

Agli organi interni dell’impresa, - e in primis agli amministratori – incombe la creazione di tali assetti e il monitoraggio incessante sulla loro conformazione e funzione nonché sulla plastica permanente corrispondenza alla dimensione e alle esigenze gestionali.

Sui sindaci, come organo di controllo ricade (art.2403) la verifica continua: a) del corretto espletamento degli obblighi di cui sopra da parte degli amministratori e b) della sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario, del prevedibile andamento della gestione e dell’assunzione delle misure idonee da parte dell’organo amministrativo. Inoltre, ai sindaci compete l’obbligo di segnalazione agli stessi amministratori dei rilevati fondati indizi di crisi e di garantire un monitoraggio della sostenibilità dei debiti e della continuità aziendale per almeno dodici mesi successivi alla rilevazione dei segnali; infine, quello di predisporre flussi informativi per estrarre dati sufficienti a verificare la possibilità di risanamento della crisi.

Il collegamento con l’attività degli amministratori deve essere incessante, perché i sindaci devono vegliare circa l’assunzione da parte dei gestori delle misure necessarie a rimuovere gli squilibri spingendoli a intervenire e, se del caso, denunciando l’inerzia o le eventuali omissioni con gli strumenti a loro rimessi, quali la denuncia di gravi irregolarità e la richiesta della liquidazione giudiziale.

Per rendere effettiva la tempestività il CCII pone, dunque, come strumento di vertice, l’organizzazione interna dell’impresa. Per questo gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili[46], che devono essere adeguati alla gestione aziendale e idonei alla prevenzione della crisi, costituiscono il cuore della disciplina non solo dell’impresa ma anche della crisi (dall’art. 2086 c.c. all’art. 3 CCII).

 

5.       L’ingresso dei criteri ESG nella predisposizione degli assetti

Se l’obbligo di allestimento di un congruo apparato di governance poteva già apparire nel 2019 come un notevole cambiamento di visuale dal punto di vista sia aziendalistico che giuridico, il recente ampliamento ai fattori ESG sta imponendo una rivisitazione degli obbiettivi cui gli assetti organizzativi sono diretti, in considerazione della rilevazione e della gestione dei rischi di sostenibilità posti in aggiunta ai tradizionali rischi economico-finanziari.

L’impostazione unionale ruota attorno ad alcuni principi guida, sinteticamente riassumibili nei seguenti punti principali: (i) un più ampio grado di disclosure di informazioni non finanziarie; nonché (ii) una precisa accountability e un dovere di due diligence in capo a determinate società.

Tale approdo comporta che l’impresa sarà monitorata e valutata non solo attraverso indicatori patrimoniali, economici e finanziari perché oggi, a fianco di questi, deve essere inserita la performance delle imprese relativamente al loro impatto ambientale, sociale e alla Governance che ispira le loro attività.​

I rischi di sostenibilità[47] sono definiti dal Regolamento UE 2019/2088 (SFDR Sustainable Finance Disclosure Regulation) “Relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari” - applicabile con i suoi obblighi informativi agli operatori del mercato finanziario, alle banche e alle assicurazioni - come "un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell'investimento".

La sostenibilità diventa strategica e determinante per la continuità aziendale.

Così, la gestione dei rischi ESG necessita infatti di un sistema di governance strutturato e di strumenti adeguati alla loro identificazione, valutazione e mitigazione.

Ne deriva che, in un’ottica di struttura organizzativa, amministrativa e contabile d’impresa, si devono oggi perimetrare gli assetti, monitorandone l’idoneità, anche in considerazione di questa sfera di rischi capaci di riflettersi negativamente sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico/finanziario.

Così la progressiva affermazione dei temi riferiti alla sostenibilità, ed in primis ai fattori ESG, determina un’ulteriore svolta.

L’orizzonte strategico dell’impresa, infatti, si amplia: dalla continuità a quello della sostenibilità. Diverso è il terreno di elezione di ciascuno dei due obbiettivi.

Mentre la continuità aziendale si concentra sullo sviluppo economico, la sostenibilità si incentra sul processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali devono trovare una loro sintonia, valorizzando il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dei diversi portatori di interessi in una logica di sviluppo “sostenibile” che riguarda, in modo interconnesso, l'ambito ambientale, quello economico e quello sociale.

Diversi sono i registi dell’una e dell’altra performance.

Mentre per la continuità aziendale sono i managers e i responsabili delle procedure e dei processi gestionali e amministrativi, per la sostenibilità, stante il contenuto strategico, è l’organo di indirizzo. Tanto ciò è vero che gli strumenti di lavoro e d’informazione (delle citate funzioni) sono prevalentemente rappresentati dal budget per i primi e dal piano strategico d’impresa per il secondo.

La progressiva affermazione di interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli dei soci, messi a fuoco ancor più incisivamente dagli accadimenti (pandemia e conflitti bellici) che stanno interessando da qualche anno tutto il globo e che inducono a privilegiare previsioni di lungo termine nella programmazione dei rischi, sta incidendo sul tessuto della disciplina dell’impresa.

Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”. I criteri ESG oggi consentono di ricondurre a criteri di misurazione oggettivi e condivisi anche le attività ambientali, sociali e di governance. La traduzione di questi criteri in norme segna una svolta nella disciplina dell’impresa, tanto ciò è vero che è stato autorevolmente scritto che: “La punta più avanzata del movimento di riforma del diritto dell’impresa, nella direzione dell’affermazione di un principio di gestione sostenibile, può essere vista nelle iniziative assunte, negli ultimi due anni, dagli organi di vertice dell’Unione Europea”[48].

 

6.       Gli interventi Unionali sul tema della sostenibilità

Con il tema della sostenibilità, attraverso strumenti di hard law, si sta cimentando il legislatore unionale che, messe da parte le Raccomandazioni, adotta la Direttiva uscendo “da un sistema di adesione volontaria a determinati comportamenti o da un approccio di soft law per entrare nell’universo di ciò che è giuridicamente sanzionabile e può comportare responsabilità”[49].

Il primo gennaio 2023 è entrata in vigore la Corporate Sustainability Reporting Standard Directive, la Direttiva (UE) 2022/2464 (Direttiva sulla rendicontazione societaria di Sostenibilità - CSRD), che modifica il precedente regime della rendicontazione non finanziaria[50] ponendo le basi per un flusso coerente ed efficiente di informazioni - sulla base di standard europei prefissati[51] - circa la sostenibilità lungo l’intera catena di valore economico-finanziaria[52].

Le nuove norme si applicheranno ad un numero significativamente crescente di imprese che saranno chiamate a rendersi responsabili del loro impatto sulla società, sul rispetto dei diritti umani, sulla governance e sull'ambiente. Significativo è, infatti, - rispetto alla Direttiva che si modifica - l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'obbligo di rendicontazione sulla sostenibilità. Non solo, infatti, si rivolge a tutte le grandi imprese, quotate in borsa o meno, comprese le imprese estere che fatturano più di 150 milioni di euro nell'UE, ma anche alle PMI quotate che dovranno presentare la rendicontazione, ma, che avranno più tempo per adattarsi alla nuova normativa.

Restano escluse le microimprese anche se quotate. L'obbligo di redigere e rendere pubblico il bilancio di sostenibilità si applicherà in quattro fasi successive a seconda se le imprese cui si dirige fossero o meno già soggette alle comunicazioni non finanziarie[53].

La rendicontazione oggetto di questa Direttiva consiste nella comunicazione, da parte dell’impresa, di informazioni pertinenti, comparabili e affidabili sulla sostenibilità, già prassi alla luce della c.d. comunicazione non finanziaria introdotta dalla Direttiva 2013/34/UE poi modificata dalla Direttiva 2014/95/UE - recepita in Italia con il D.lgs 254/2016 - che ha disposto che le imprese comunichino informazioni nella relazione sulla gestione, in un'apposita sezione, circa determinati ambiti quali: modello e strategia aziendali che indichino resilienza ed opportunità rispetto alle questioni di sostenibilità; obiettivi e modello di governance aziendale a presidio delle questioni ESG; politiche e procedure seguite in relazione alle questioni di sostenibilità; informazioni sull'esistenza di incentivi connessi ai temi di sostenibilità destinati ai membri di amministrazione, direzione e controllo; azioni intraprese per mitigare ripercussioni negative derivanti da questioni ambientali e sociali; rischi e relativa gestione; infine, indicatori per la comunicazione di informazioni nell'ambito della rendicontazione in tema ESG.

Di conseguenza, con il reporting di sostenibilità, l'impresa è invitata a fornire:

• tutte le informazioni sul modo in cui gli sviluppi nel campo della sostenibilità influenzano ed hanno effetto sull'impresa; un esempio sono gli effetti del cambiamento climatico sul modello di business. Si parla in questo caso di materialità finanziaria.

• tutte le informazioni sugli effetti che l'impresa stessa ha sull'ambiente circostante; ad esempio, l'effetto delle emissioni dei processi produttivi sulla qualità dell'aria dei residenti locali. Si parla in questo caso di materialità d'impatto.

Quanto sopra è sintetizzato con "doppia materialità" quando cioè ci si riferisce all'impatto sull'impresa e all'impatto dell'impresa. Viene così richiesto di informare il pubblico su elementi “vincolanti per società ed amministratori cui viene chiesto, oltre che di gestire correttamente l’attività economica e finanziaria per il perseguimento del profitto, anche di farsi carico degli impatti esterni di tale attività di gestione e di fornire adeguata informazione esterna”[54].

Le informazioni saranno declinate sulle prospettive temporali a breve, medio e lungo termine e includeranno informazioni anche sulla catena del valore.

Attraverso la disclosure di dati sull'impronta ambientale e sociale che dovranno essere resi disponibili al pubblico, la CRSD ha lo scopo di guidare le società verso un'economia maggiormente sostenibile. Allo stesso tempo, i nuovi requisiti di rendicontazione introdotti dalla Direttiva sono adattati e graduati alle varie dimensioni delle imprese e forniscono loro un periodo transitorio per prepararsi.

Con riferimento agli standard sulla governance (ed in particolare al nuovo disclosure requirement dell’Ed ESRS G1) si rileva una forte convergenza dell’informativa non finanziaria, in assonanza con quella finanziaria, verso l’attuazione degli adeguati assetti O.A.C. quale miglior esplicitazione del principio di corretta gestione dell’impresa che già con la Riforma del 2003 (in particolare gli artt. 2381 e 2403 c.c.) e poi con la modifica del secondo comma dell’art. 2086 c.c. del 2019, sono usciti dall’alveo delle best practice aziendali per assurgere a rango di norme di legge, assumendo quale linea guida il c.d. risk approach. L’idea del legislatore unionale espressa in questa Direttiva “è fondata sulla visione di un ruolo globale dell’impresa come operatore che deve guardare al lungo periodo e pertanto curare anche i fattori sociali ed ambientali per raccogliere la fiducia degli investitori”[55].

Nello stesso arco temporale e nella medesima ottica di rafforzare il perseguimento di obiettivi non finanziari si registra la Direttiva 2017/828/UE sui diritti degli azionisti, recepita in Italia con il d.lgs. 49/2019 (Shareholders Rights 2). Questo intervento unionale vuole collegare la politica di remunerazione degli amministratori e management con l’obbligo di enunciare la “strategia aziendale, gli interessi di lungo termine e la sostenibilità della società”.

In questo solco, si inserisce, inoltre, la proposta di Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (Corporate Sustainability Due Diligence) - elaborata nel 2022[56] e approvata lo scorso 23 febbraio 2023 dalla Commissione UE[57] -, per la creazione di un sistema di indagine preventiva da parte delle società destinatarie della normativa (imprese grandi o ad alto-rischio di impatto socio-ambientale), volta a monitorare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sull'ambiente, sulle condizioni di lavoro e sui diritti e libertà individuali sia della propria attività d'impresa, sia della value chain a monte e a valle.

Questa proposta di Direttiva costituisce il primo strumento normativo dell’Unione europea recante obblighi di due diligence in materia di diritti umani per il settore privato destinato ad applicarsi orizzontalmente a tutti i settori produttivi e con effetti extraterritoriali.

In sintesi, la proposta di Direttiva CSDD prevede che le società dovranno:

- integrare gli obblighi di diligenza nelle proprie politiche di gestione;

- identificare gli impatti negativi effettivi e potenziali;

- prevenire o mitigare i possibili impatti negativi;

- eliminare o minimizzare gli attuali impatti negativi;

- stabilire e mantenere una procedura di reclamo;

- monitorare l’effettività delle politiche e delle misure di diligenza adottate;

- pubblicare informazioni relative alle procedure di due diligence adottate.

Inoltre, la proposta di Direttiva CSDD impone alle grandi imprese UE ed extra-UE di redigere e adottare un piano che garantisca un modello di business e una strategia aziendale compatibili con gli obiettivi di transizione verso un’economia sostenibile. 

La proposta di Direttiva prevede altresì un regime di responsabilità civile per le società destinatarie della disciplina. Le imprese saranno tenute, infatti, a rispondere dei danni cagionati se:

- non ottemperano agli obblighi imposti dalla Direttiva in ordine alla prevenzione degli impatti negativi e all’arresto degli impatti negativi effettivi, e

- a seguito di tale inadempienza si verifichi un impatto negativo che avrebbe dovuto essere individuato, prevenuto, attutito, arrestato o minimizzato.

Con questi interventi, il legislatore unionale indica misure volte a orientare i flussi di capitali verso investimenti ESG per una crescita sostenibile e inclusiva, per gestire i rischi finanziari derivati dai cambiamenti climatici, l'esaurimento delle risorse, il degrado ambientale e le questioni sociali nonché promuovere la trasparenza, la visione a lungo termine nelle attività economico-finanziarie.

Volendo collocare storicamente questi interventi osserviamo che giungono mentre nel capitalismo sono in atto processi di trasformazione orientati verso la stakeholder economy e assumono crescente importanza i fattori di sostenibilità come parte integrante del ciclo vitale e dello sviluppo aziendale[58].

Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno, infatti, rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà; non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”.

L’azione legislativa della Commissione si giustifica così alla luce del sostanziale fallimento dell’approccio tradizionale fondato su misure volontarie e di autoregolamentazione aziendale, espresso essenzialmente nella nozione di ‘responsabilità sociale d’impresa’.[59]

 

7.       La sostenibilità negli strumenti per la crisi

Nel nucleo centrale della sostenibilità rientra l’istanza di preservare, conservare, continuare le attività esistenti (meritevoli) evitando in tal modo una dispersione di risorse. Condicio sine qua non per la conservazione (diretta e indiretta) – e quindi per la sostenibilità in senso economico – è che l’organismo (nel caso che ci occupa, l’impresa) sia viable.

In ogni modo la conservazione implica (sempre) costi, per cui è indispensabile effettuare una valutazione della convenienza della singola operazione determinando prima l’ambito degli interessi sul quale ricadranno gli effetti (positivi e negativi) e rispetto al quale la suddetta analisi deve essere condotta.    

Alcune classificazioni degli strumenti concorsuali possono essere di aiuto[60].    

Innanzi tutto, un approccio alle procedure concorsuali in chiave di sostenibilità non può prescindere sia da una loro suddivisione condotta sulla base della funzione svolta (meramente liquidativa o, invece, conservativa) sia dalla posizione/apporto dei creditori in termini satisfattivi e decisionali. Riguardo alla funzione occorre dire che se la conservazione contraddistingue gli strumenti di ristrutturazione preventiva, cionondimeno aspetti di (almeno potenziale) conservazione possono presentarsi anche nella procedura di liquidazione giudiziale.

Sotto questo aspetto, entrambe le categorie di strumenti potrebbero così – ad una prima lettura - collocarsi nell’alveo della sostenibilità sociale. In realtà tra le due categorie si riscontrano differenze di non poco conto. La liquidazione giudiziale (così come il “vecchio” fallimento)[61] presenta, infatti, una sostenibilità-fattuale mentre gli strumenti di ristrutturazione preventiva una sostenibilità-funzionale. Nel primo caso cadranno sotto la lente di osservazione le singole operazioni “orientate” alla sostenibilità mentre nel secondo tutto il piano.   

Può essere, inoltre, operata una classificazione a seconda dei punti di vista della sostenibilità: se interna o esterna ai procedimenti.

La sostenibilità interna è connessa all'esito del procedimento, cioè se il procedimento produce sostenibilità, ad esempio protezione delle risorse naturali o umane. Al contrario, la sostenibilità esterna si riferisce alla gestione del procedimento (in modo sostenibile). Entrambi questi aspetti possono esistere in parallelo. Ad esempio, una procedura semplificata ed efficace di ristrutturazione del debito che conservi un’impresa con macchinari, Know-how, e posti di lavoro, è procedura sostenibile sotto i due profili.

Negli strumenti per la ristrutturazione l’obbiettivo è che l’impresa possa tornare ad essere fonte di produttività con vantaggio per creditori e stakeholder, osservando che il primato degli interessi dei creditori nelle procedure concorsuali non è l'unico strumento immaginabile per tutelare i loro interessi.

Come efficacemente è stato scritto: “When important social or ecological capital is in danger exceeding the interests of a single stake- holder and approaching the public interest, the claims of creditors have to step aside to some extent. Determining to what extent is a task of the legislator to regulate”[62].         

Lo scopo, però, non è la conservazione delle risorse in quanto tali, ma il mantenimento delle parti dell'attività in cui sia presente un potenziale di redditività. L'impresa debitrice potrebbe dover rinunciare, ad esempio, ad alcuni investimenti onerosi per attuare il piano di ristrutturazione, anche se ciò comporterà una perdita di risorse: nella ristrutturazione non vi è motivo di mantenere una parte non redditizia dell'attività, anche se le risorse investite andranno disperse in quanto il prezzo ricavato non coprirà i costi sostenuti all’origine.

La ristrutturazione è un procedimento funzionale alla sostenibilità, ma solo fino al punto in cui promuove lo scopo della ristrutturazione.       

L'obiettivo delle procedure preventive non deve essere, infatti, quello di salvare a tutti i costi le imprese, anche quando non sono redditizie nel lungo periodo.

Queste procedure dovrebbero prima di tutto mirare a filtrare le attività redditizie da quelle che non lo sono. Le prime devono essere ristrutturate ben prima di una formale insolvenza, mentre le seconde devono essere prontamente liquidate, in modo che le risorse aziendali possano essere distribuite in modo più efficiente per l'economia e la collettività. Solo così sarà possibile ridurre i costi del finanziamento ex ante e garantire la crescita economica a lungo termine.      

Di conseguenza il piano di riorganizzazione viene esaminato[63] con una triplice lente: se sia utile conservare quell’impresa per i creditori (quanto incide il costo sulle loro aspettative di soddisfacimento?), per il mercato (c’è necessità di quella produzione?), per gli stakeholder (quanto effettiva e durevole sarà la continuità?).  

La sostenibilità suppone, infatti, un adeguato compenso/ritorno per le risorse impiegate nella ristrutturazione.   

In questa prospettiva ritroviamo alcuni parametri con i quali lo strumento per gestire una crisi deve fare i conti. Sono in giuoco il costo dello strumento, la durata delle sequenze, i benefici e la loro distribuzione, le ricadute in ambito territoriale, sociale e umano, l’effetto (finanziario, economico, produttivo) sull’impresa.

Deve trattarsi, quindi, di gestione sostenibile della crisi: dal punto di vista economico, in quanto permetta all’impresa di riacquisire e mantenere la capacità di produrre reddito e lavoro in maniera duratura; dal punto di vista sociale quando lo strumento garantisca un’equa distribuzione del costo della crisi - risanamento, quindi, - e dei conseguenti benefici su tutti coloro che s’incontrano nell’orbita dell’impresa; e in alcuni casi anche dal punto di vista ambientale.

 

8.       Conclusioni

Con l’approccio inclusivo che si sta affermando, non vengono ripudiati gli interessi dei soci a favore di obiettivi politici e sociali, ma si offre – sempre a vantaggio prima di tutto dell’impresa - riconoscimento alle aspettative eque di un'ampia gamma di stakeholder ai quali potrà essere richiesto un contributo per la continuità[64].

Inoltre, una pratica multistakeholder[65] è in grado, da un lato, di estendere il controllo dell’organizzazione stessa, concedendo occasioni di verifiche continue ai portatori di interesse che vogliono seguire gli obiettivi strategici dell’impresa, e dall’altro di limitare i comportamenti opportunistici e non conformi a quelli stabiliti.              

Consapevole che un regime di RSI non è ancora riconosciuto nel contesto delle procedure concorsuali (almeno a livello teorico)[66], tuttavia, a me pare che un simile approccio sia coerente con l’idea dell’apparato per risolvere la crisi che trova la sua idea basilare nel principio nella distribuzione delle perdite tra gli stakeholder secondo un metodo socialmente responsabile in armonia con la natura di problema sociale dell’insolvenza.

Su questa via l’impresa che coniuga il profitto con la dimensione sociale (e ambientale) può diventare sostenibile e, quando è in crisi, può diventare sostenibile il percorso per rendere possibile la sua permanenza sul mercato.

Quando vi è crisi, il complesso produttivo viable con un piano industriale e finanziario credibile dovrà quindi confrontarsi con i vari Stakeholders[67] vuoi per verificarne la disponibilità a collaborare, anche dall’esterno, per la realizzazione dell’obiettivo, vuoi per commisurare il proprio orizzonte di continuità con l’interesse dei creditori a un soddisfacimento migliore di quello che ricaverebbero dalla liquidazione disgregativa[68].

Al termine di queste riflessioni circa l’incidenza sul diritto dell’impresa, delle società e della crisi, del paradigma della sostenibilità, non possiamo non rilevare che il senso del limite - che porta con sé quello del contemperamento con “nuovi” interessi di quello ritenuto fino ad oggi esclusivo – sta scompigliando tante narrazioni. Così è riguardo all’interesse dei soci al profitto e così per quello dei creditori a costituire l’esclusivo polo di attenzione nel momento della crisi[69].

 

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[1] Sul vocabolo sostenibilità come “termine politico ed economico), G. ALPA, Solidarietà. Un principio normativo, Bologna, 2022, 275.

[2] Per i Romani i limites o termini erano le pietre squadrate usate per indicare i confini ed erano considerate sacre, tanto che se a qualcuno fosse venuto in mente di spostarle doveva sapere che avrebbe commesso un delitto e, dunque, sarebbe stato perseguibile. Godevano, queste pietre, della protezione di Terminus, (uno degli epiteti di Iuppiter/Giove come protettore di ogni diritto e di ogni impegno), l’unico ad avere il proprio luogo di culto in Campidoglio nel tempio dedicato appunto a Iuppiter Optimus Maximus, al cui interno, sul tetto, era stata praticata un’apertura a forma circolare in modo che il “dio dei confini” sia fisici che spirituali, posto a guardia del mondo materiale e di quello spirituale, potesse estendere il proprio potere sull’Universo e ricordare che la “forza del limite” era destinata a espandersi anche nel mondo dell’iperuranio, oltre la volta celeste.

[3] Report della World Commission on Environment and Development (WCED): Our Common Future (1987).

[4] Il concetto ha subito nel tempo un'evoluzione significativa. In particolare, se l’iter ha inizio con il "Rapporto Brundtland" del 1987, successivamente attraversa la Dichiarazione di Rio del 1992 sull'ambiente e lo sviluppo - United Nations General Assembly (1992) Rio Declaration on Environment and Development (United Nations Conference on Environment and Development: Annex 1: Declaration on Environment and Development), UN Doc. A/CONF.151/26 (Vol. I), 12 August - e, successivamente, i 2000 Millennium Development Goals (OSM) del 2007 (MDGs) - United Nations General Assembly (2000) United Nations Millennium Declaration, UN Doc. A/Res/55/2, 18 September - per approdare ai 2015 Sustainable Development Goals (SDGs) - United Nations General Assembly (2015) Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development, UN Doc. A/Res/70/1, 21 October. Il programma dell’Agenda 2030 si articola in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile - e poi all’Agenda 2030 sottoscritta, nel 2015, da 193 paesi membri delle Nazioni Unite (La 2030 Agenda for Sustainable Development, è leggibile in: //sustainabledevelopment.un.org/post2015/transformingourworld>. Per una analitica scansione del “lungo cammino verso lo sviluppo sostenibile”, E. GIOVANNINI, L’utopia sostenibile, Bari, 2018, 27 ss.).

[5] Sull’espansione di “sostenibilità” quale “paradigma, forse anche retorico, di adeguamento a valori generalmente riconosciuti ed accettati diffusamente dalle carte costituzionali e dai trattati internazionali”, E. RICCIARDIELLO, Sustainability and going concern, in Riv. soc., 2022, pp. 53 ss.

[6] Sul perseguimento di uno sviluppo sostenibile che richiede un approccio integrato su tutte e tre le dimensioni: C. MIO, L’azienda sostenibile, Bari, 2021, VII.

[7] Sul termine sostenibilità come concetto normativo, G. ALPA, Solidarietà ecc., cit., 276.

[8] Tra i molti scritti, AA.VV., Sostenibilità. Profili giuridici, economici e manageriali delle PMI italiane, a cura di F. Massa, Torino, 2019; L’impresa sostenibile. Alla prova del dialogo dei saperi, a cura di D. Caterino - I. Ingravallo, Lecce, 2020; U. TOMBARI, Corporate purpose e diritto societario: dalla “supremazia degli interessi dei soci” alla libertà di scelta dello “scopo sociale”?, in Riv.soc., 2021, 3 ss.; R. ROLLI, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa, Bologna, 2020. E. RICCIARDIELLO, Sustainability and going concern, cit.; M. LIBERTINI, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 2023, 54 ss.

[9] Sulla sostenibilità come parametro di valutazione degli strumenti di regolazione della crisi, G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Diritto della crisi, 13 aprile 2021; S. PACCHI, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Quaderni di Ristrutturazione Aziendale, fasc.4/2022.

[10] Come si legge nel rapporto Brundtland, quando si parla di sviluppo non si vuole alludere a una definitiva condizione di armonia quanto, invece, ad un processo di cambiamento “tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.

[11] M. STELLA RICHTER jr., Long-termism, in Riv.soc., 2021, 30.

[12] M. STELLA RICHTER jr., Long-termism, cit., 30.

[13] U. TOMBARI, Corporate purpose e diritto societario: dalla “supremazia degli interessi dei soci” alla libertà di scelta dello “scopo sociale”?, cit., 3.

[14] Per “Stakeholder” si intende – B. WESSELS – S. MADAUS, Rescue of business in insolvency law, Instrument of European Law Institute, 2017, 73, leggibile in https://ssrn.com/abstract=3032309 – qualsiasi soggetto i cui diritti o interessi sono interessati direttamente o indirettamente da procedure di insolvenza o ristrutturazione, motivo per cui potrebbe dover essere coinvolta ai sensi delle leggi sull'insolvenza e sulla ristrutturazione.

[15] D’obbligo è il rinvio al premio Nobel per l’economia M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to Increase Its Profits, in The New York Times Magazine, 13 September 1970, Available online: https://www.nytimes.com/1970/09/13/archives/a-friedman-doctrine-the-social-responsibility-of-business- is-to.html. Secondo la tesi di Friedman (shareholder-based view), gli amministratori ricevono la loro investitura dal soggetto economico, per cui ogni loro iniziativa che si discosti dall’obbiettivo di generare utile per i soci, costituisce inosservanza al mandato ricevuto. In contrapposizione – pur presentando alcune complementarità (C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 8) - a questa impostazione si pone la c.d. stakeholder teory di Freeman per la quale rinvio alla nota 21. In ogni caso l’approccio stakeholder non esclude il perseguimento dell’utile per i soci perché la produzione di reddito è condizione dell’equilibrio economico. Soltanto secondo quest’ultima tesi si deve tener conto delle aspettative dei diversi portatori di interesse.

[16] GEOFFREY P. LANTOS (2001),The Boundaries of Strategic Corporate Social Responsibility, in Journal of Consumer Marketing, 2001, 18(7):595-630.

[17] Su questa linea una società può essere inquadrata come “commons”. Per una chiara spiegazione v. S. DEAKIN, The Corporation as Commons: Rethinking Property Rights, Governance and Sustainability in the Business Enterprise, leggibile in https://journal.queenslaw.ca/sites/qljwww/files/Issues/Vol%2037%20i2/1.%20Deakin.pdf.

[18] C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 8.

[19] M. STELLA RICHTER jr., Long-termis,16 ss.

[20] F. DENOZZA, Due concetti di stakeholderism, in Governance e mercati. Scritti in onore di Paolo Montalenti, I, Torino, 2022, 78 ss.

[21] S. ROMANELLI, B. NAPOLITANO, La tutela degli stakeholders. L’espansione dell’interesse sociale, leggibile in https://dem.ilsole24ore.com/pagemanager/files/3036/societa_commerciali/Pagine%201-8.pdf.

[22] S. ROMANELLI, B. NAPOLITANO, La tutela degli stakeholders. ecc., cit., 6. Sulla equivocità delle formule short-termism e long-termism, si rinvia a M. STELLA RICHTER jr., Long-termism, cit., 34 ss.

[23] U. TOMBARI, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 33. In senso assolutamente contrario al riconoscimento della RSI, F. D’ALESSANDRO, Il mantello di San Martino, la benevolenza del birraio e la Ford modello T, senza dimenticare Robin Hood (Divagazioni semi- serie sulla c.d. responsabilità sociale dell’impresa e dintorni), in Riv. dir. civ., 2022, I, 409 ss

[24] Da ultimo V. FERRANTE, Perché anche i managers devono tornare a scuola, di sostenibilità, in Ipsoa Quotidiano, 6 agosto 2022. La promozione della RSI è stata considerata importante anche nella strategia Europa 2020. Nella sua politica dell'innovazione, la Commissione europea (COM (2010) 2020, 8, 10 e 15) ha dichiarato di lavorare, tra l'altro, per sviluppare un'agenda di ricerca incentrata su sfide quali il cambiamento climatico, l'efficienza delle risorse, metodi di produzione e gestione del territorio rispettosi dell'ambiente.

[25] Risalgono al 1995 l’European Business Declaration against Social Exclusion e il Forum europeo multistakeholder sulla RSI, che posero le premesse per il Libro Verde della Commissione Europea nel 2001. Successivamente il tema della RSI è stato inserito nell’Agenda sociale europea, nella strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile e nella Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale fino a quando, nel 2006, la Commissione Europea ha prima promosso l’Alleanza europea per la responsabilità sociale d’impresa e poi redatto la comunicazione del 2011.Attualmente, la strategia dell’Unione Europea in materia di RSI si basa sulle indicazioni contenute all’interno della Strategia Europa 2020. Per una efficace sintesi degli interventi per la RSI compiuti in sede di UE v. C. CERRI, Evoluzione e nuove prospettive della responsabilità sociale di impresa, in Pandorarivista, 15 giugno 2021. Per un’analisi della politica di promozione della responsabilità sociale d’impresa nel contesto dell’Unione europea, ex multis, v. D. RUSSO, La promozione della responsabilità sociale d'impresa nell'Unione europea, in Dir. Un. eur., 2011/2; A. DI PASCALE, La responsabilità sociale dell’impresa nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2010; M. CASTELLANETA, La promozione dello sviluppo sostenibile e la responsabilità sociale di impresa, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, Napoli, 2009; A. LATINO, La responsabilità sociale d’impresa quale strumento di tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro dell’Unione, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, cit.; A. PERFETTI, La promozione della responsabilità sociale di impresa nel quadro dell’Unione, in AA.VV., La responsabilità sociale di impresa in Europa, cit.; A. ANTONUCCI, La responsabilità sociale d’impresa, in Studi in onore di Vincenzo Storace, Napoli, Editoriale scientifica, 2008, p. 1645 ss.

[26] J. ELKINGTON, The Triple Bottom Line, in Cannibals with forks, Capstone Publishing Limited, Oxford, 1997, 69 ss.; ID., Enter the triple bottom Line, in A. HENRIQUES and J. RICHARDSON, The triple bottom line, dose it all add up? Assessing the sustainability of Business and CSR, Earthscan, London, 2004, 1 ss.

[27] Lo stakeholder engagement è – C. MIO, L’azienda sostenibile, cit., 69 - “il processo che l’impresa compie per coinvolgere i portatori di interesse nelle proprie attività e nei processi decisionali, e costituisce un driver fondamentale per il successo dell’implementazione dei modelli di business e per il raggiungimento dei risultati prefissati. (…) L’importanza dello stakeholder engagement nella sostenibilità si manifesta in quanto il coinvolgimento e il dialogo favoriscono la legittimazione delle azioni dell’impresa e una migliore comprensione dell’impatto e delle opinioni che queste generano all’esterno.”

[28] E. LOCKE, The myths of behavior mod in organization, Academy of Management Review, 1997, 3: 594–601. Nonostante l’evoluzione del management aziendale la regola continua ad essere estremamente attuale.

[29] V. BUONOCORE, voce Impresa (Diritto privato), in Enc dir. Annali I, Milano, 2007, p. 765.

[30] B. ARMELI, Insolvenza, ristrutturazione e sgravio dei debiti: la proposta di Direttiva, in www.ilfallimentarista.it, 16 maggio 2017L. PANZANI, La proposta di Direttiva della Commissione UE: early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fall., 2017, 2, p. 129 ss.; A. PELLEGATTA, Verso una nuova direttiva europea in tema di restructuring e insolvency, in www.ilcaso.it, 15 marzo 2017; L. STANGHELLINI, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fall., 2017, 8-9, p. 873 ss.; S. PACCHI, La ristrutturazione dell’impresa come strumento
per la continuità nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023, 
in Riv.dir.fall., 2019, I, 1259 ss. Da ultimo sull’impatto della Direttiva Insolvency sul nostro diritto concorsuale, v. P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2 gennaio 2022.

[31] Sul tema la Direttiva non è né chiara né completa, apparendo alla fine non sufficientemente consapevole della sostenibilità “a tutto tondo” (in confronto alla comunicazione Europa 2020).

[32] Ciò viene affermato nel considerando 16 dove si legge che: “Removing the barriers to effective preventive restructuring of viable debtors in financial difficulties contributes to minimising job losses and losses of value for creditors in the supply chain, preserves know-how and skills and hence benefits the wider economy”.

[33] F. APRILE, Note sparse in tema di interesse dei creditori e tutela dei posti di lavoro nel concordato preventivo in continuità, in Diritto della crisi, 28 luglio 2022.

[34] F. VELLA, Introduzione a FONDAZIONE UNIPOLIS, La partecipazione dei lavoratori nelle imprese, Bologna, 2017, 9. Sulle modalità di coinvolgimento virtuoso dei vari Stakeholders cfr. L. STANGHELLINI, R. MOKAL, C.G. PAULUS, I. TIRADO, Best practices in European Restructuring, Milano, 2018.

[35] Sul punto si sofferma anche T. LINNA, op.cit., 230.

[36] È presente il termine "parti interessate"(affected parties) che si riferisce ai creditori o alle classi di creditori e, ove applicabile ai sensi del diritto nazionale, ai lavoratori e agli azionisti i cui diritti o interessi sono direttamente incisi da un piano di ristrutturazione (articolo 2, paragrafo 1, punto 2). Il termine “parti interessate” allora non comprende tutte le parti interessate i cui diritti sono in giuoco nella ristrutturazione.      

[37] Il considerando 3 presenta la dicitura “creditors, workers and other stakeholders” e ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 6, gli Stati membri possono adottare disposizioni che limitino il coinvolgimento di un'autorità giudiziaria o amministrativa garantendo nel contempo che i diritti “of any affected parties and relevant stakeholders are safeguarded”. Inoltre, l'articolo 19 (Compiti degli amministratori) utilizza la dicitura “interests of creditors, equity holders and other stakeholders”.

[38] A mio avviso, ha inciso anche per quanto riguarda la scelta tra Absolute o relative priority rule Limitandomi a citare gli ultimi scritti sul tema usciti in attesa del recepimento della Direttiva Insolvency: G. BALLERINI, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625; G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Diritto della crisi, 6 aprile 2022; G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Diritto della acrisi.it, 25 febbraio 2022; S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 7 gennaio 2022.

[39] G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv.dir.civ., 2021, 78.

[40] L’acronimo ESG riassume i termini: Environmental (ambientale), Social (sociale), e Governance (governo societario). Questi sono i tre criteri fondamentali della sostenibilità. Più precisamente, si tratta dei criteri che riguardano l’ impatto dell’attività sull'ambiente; all’impatto sociale vale a dire alle relazioni di lavoro, con il territorio, la comunità; infine i criteri di governo societario che riguardano le logiche legate alla retribuzione dei dirigenti, il rispetto dei diritti degli azionisti, la trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, il rispetto delle minoranze, le modalità di remunerazione dei dirigenti. La presenza di questi fattori qualifica un’attività come sostenibile.

[41] Le linee guida EBA (European Banking Authority), entrate in vigore nel giugno 2021, hanno incorporato i fattori ESG e i relativi rischi (principalmente quelli ambientali) nelle loro politiche di gestione del rischio di credito, valutando il loro impatto sulla solidità dei clienti e sull'adeguatezza dei sistemi aziendali volti alla loro prevenzione e alla loro relativa mitigazione.

[42] E. RICCIARDIELLO, Sustainability and going concern”, in Ristrutturazioni aziendali, 13 ottobre 2021.

[43] Il Codice è stato emanato – in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 – con D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ma è entrato in vigore, dopo alcuni rinvii, il 15 luglio 2022 con il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 che, recependo la Direttiva Insolvency, ha apportato significativi mutamenti al testo originario.

[44] Fulcro di questa parte della disciplina diventa l’art. 2086 - la cui rubrica è stata peraltro ridenominata da “Direzione e gerarchia dell’impresa” a “Gestione dell’impresa” - che da mera regola “gerarchica” dell’imprenditore individuale (come era stata concepita nel 1942 dal legislatore del codice civile) diventa il parametro di riferimento per tutte le imprese, anche societarie.

[45] L’art. 3 CCII specifica che deve trattarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili.Gli assetti organizzativi sono incentrati sulla allocazione del potere decisionale e sulla concreta attuabilità dello stesso nell'esercizio dell'impresa; gli assetti amministrativi consistono, invece, nelle procedure volte a garantire che le attività aziendali, e le fasi in cui si articolano, vengano svolte in modo corretto ed ordinato e l'assetto contabile, infine, è il sistema di rilevazione dei fatti di gestione dell'azienda.

[46] Gli assetti organizzativi sono incentrati sulla allocazione del potere decisionale e sulla concreta attuabilità dello stesso nell'esercizio dell'impresa. Gli assetti amministrativi consistono, invece, nelle procedure volte a garantire che le attività aziendali, e le fasi in cui si articolano, vengano svolte in modo corretto ed ordinato. L'assetto contabile, infine, è il sistema di rilevazione dei fatti di gestione dell'azienda. Non è tuttavia sufficiente che tali assetti vengano implementati ma occorre che essi siano adeguati alla gestione aziendale, anche nell'ottica di prevenzione della crisi: in primo luogo, gli assetti devono infatti essere idonei a rilevare tempestivamente gli squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario; in secondo luogo, devono garantire un monitoraggio della sostenibilità dei debiti e della continuità aziendale per almeno dodici mesi successivi alla rilevazione dei segnali; infine, devono assicurare flussi informativi per estrarre dati sufficienti a verificare la possibilità di risanamento della crisi.

[47] Questi rischi, la loro prevenzione e la loro gestione rilevano non solo nei processi di investimento, ma anche durante il loro ciclo vitale, nella misura in cui ne diminuiscano il valore, impattando negativamente sul bilancio dell'azienda investita. Rileveranno, infine, in un eventuale piano di risanamento, perfino, in un esercizio dell’impresa in liquidazione giudiziale. Tali rischi potranno poi essere in contrasto l’uno con l’altro. Considerando poi i costi generati dalla loro previsione, può accadere che la sostenibilità esterna impatti negativamente sulla sostenibilità interna. Per alcune riflessioni su questi profili, M. STELLA RICHTER jr., Long-termism, cit., 32.

 

[48] M. LIBERTINI, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 2023, 63.

[49] R. ROLLI, L’impatto dei fattori EG sull’impresa, Bologna, 2020, 34.

[50] La necessità di prevedere degli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità deriva dagli impegni assunti dall'Unione Europea con l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del 2016, il Sustainable Finance Action Plan del 2018 ed il Green Deal per l'Unione Europea e i suoi cittadini del 2019. Con questa Direttiva il legislatore unionale ha inteso realizzare un ulteriore profilo informativo e contrastare il fenomeno del c.d. greenwashing.

[51] Per la compilazione della rendicontazione in argomento le imprese interessate dovranno conformarsi a nuovi standard europei: gli European Sustainability Reporting Standards – ESRS) sviluppati dall'EFRAG - European Financial Reporting Advisory Group, che saranno emanati dalla Commissione, tramite atti delegati, entro il 30 giugno 2023.

[52] Dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, avvenuta in data 16 dicembre 2022, l'Italia ha a disposizione 18 mesi per recepire la Direttiva nella legislazione nazionale.

[53] Nel 2025, comunicazione sull'esercizio finanziario 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario; nel 2026, comunicazione sull'esercizio finanziario 2025 per le grandi imprese attualmente non soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario; nel 2027, comunicazione sull'esercizio finanziario 2026 per le PMI quotate (ad eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive. È invece facoltativa la rendicontazione in questione per le PMI non quotate; nel 2029, comunicazione sull'esercizio finanziario 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell'UE, se hanno almeno un'impresa figlia o una succursale nell'UE che supera determinate soglie.

 

[54] G. ALPA, Solidarietà ecc., cit., 286.

[55] G. ALPA, Solidarietà ecc., cit., 285.

[56] Da segnalare anche la proposta di Regolamento per vietare prodotti realizzati avvalendosi di lavori forzati (the "Forced Labour Ban Regulation"), che mira ad eliminare ogni forma di schiavitù moderna a livello internazionale e ad eliminare dal mercato dell'UE tutti i prodotti realizzati con il lavoro forzato. La Direttiva CSRD e la proposta di Direttiva CSDD, unitamente ai Regolamenti (UE) 2019/2088 e 2020/852 (Sustainable Financial Disclosure Regulation in materia di informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari e Regolamento Tassonomia) costituiranno, dunque, il pilastro fondamentale per l’attuazione dell’Action Plan europeo in materia di economia e finanza sostenibile.

[57] Conformemente all’iter di approvazione, il Consiglio Europeo ha espresso il 1° dicembre 2022 il proprio orientamento formulando alcune significative proposte di modifica (ad es. un ridimensionamento degli stringenti profili di responsabilità ipotizzati per gli amministratori) per un “compromesso” e avviando così i negoziati con il Parlamento Europeo.

[58] U. TOMBARI, La Proposta di Direttiva sulla Corporate Due Diligence e sulla Corporate Accountability: prove (incerte) di un “capitalismo sostenibile”, in Riv. soc., 2021, 375 ss.; E. BARCELLONA, La sustainable corporate governance nelle proposte di riforma del diritto europeo: a proposito dei limiti strutturali del c.d. stakeholderism, in Governance e mercati, Studi in onore di Paolo Montalenti, I, Torino, 2022,119-122.

[59] Le misure proposte, insomma, intendono evitare i rischi di una frammentazione del mercato interno, e le conseguenze per la libertà di stabilimento, che deriverebbero dalle differenze regolamentari originate dalle diverse scelte adottate in materia dai singoli Paesi membri, con alcuni di essi che potrebbero decidere di regolare il settore autonomamente (cosa già avvenuta ad esempio in Francia – Loi n° 2017-399 du 27 mars 2017 relative au devoir de vigilance des sociétés mères et des entreprises donneuses d’ordre – e in Germania – Act on Corporate Due Diligence Obligations in Supply Chains (Lieferkettengesetz), BGBl I 2021, 2959) oppure con altri Paesi che potrebbero decidere di non legiferare del tutto in materia. Con questa proposta di direttiva, quindi, il legislatore europeo intende prevenire tali rischi armonizzando gli obblighi delle imprese in materia di due diligence e creare in tal modo le condizioni in base alle quali società di dimensioni simili e i loro amministratori siano soggetti agli stessi obblighi circa l’integrazione di misure di sostenibilità e di due diligence sui diritti umani e l’ambiente nella governance societaria.

[60] Queste classificazioni si rinvengono nel lavoro di T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 215.

[61] Mentre la procedura liquidativa, innestata su una situazione di insolvenza irreversibile - per lo più di natura economica -, e proiettata tassativamente al soddisfacimento dei creditori, non lascia spazio per operazioni di salvaguardia dei valori aziendali e, quindi, offre, soltanto con esclusivo riferimento alla dichiarazione di inefficacia di atti pregressi e alla ripartizione delle risorse, aperture verso un suo utilizzo in chiave di sostenibilità economica e sociale, gli strumenti per la continuità, anche per la loro natura negoziale, paiono essere il terreno elettivo per un’applicazione che sia “utile” per i diversi interessi.

[62] T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, cit., 225.

[63] Sull’analisi e previsione da condurre sul piano v. le osservazioni di S. MADAUS (On Decision-Making in Rescue Cases: Why Creditors and Shareholders Should Decide About a Rescue Plan, in B. Santen e D. Van Offeren (a cura di), Perspectives on International Insolvency Law. A Tribute to Bob Wessels, Kluwer Law, 2014, 216, 226, leggibile in SSRN: https://ssrn.com/abstract=2648853): A rescue plan proposal is comprised of an analysis and a prediction. The analysis explains the current state of the business, thereby portraying where things went wrong for an insolvent company. Based on these assumptions, the plan proposes the measures required to turn the business around. It is at this point that uncertainty often arises as the proposed measures cannot guarantee success. It is the prediction of future business developments that thus sells every rescue plan proposal”.

 

[64] Sta riemergendo il valore della solidarietà, - come pratica che mette al centro i diritti sociali - di contributi non egoistici, fondamentali nella gestione aziendale (S. RODOTA’, Solidarietà: un’utopia necessaria, Bari, 2014).

[65] Con questo termine ci si riferisce a quel reticolato di relazioni, all’insieme di “produttori, fornitori, sindacati, organizzazioni internazionali, istituzioni nazionali e locali, cittadinanza attiva, lavoratori, dirigenti, proprietari o shareholders, consumatori ecc” che compongono una sorta di platea potenzialmente sempre attenta alle mosse che l’impresa fa e a quanto si impegna per la salvaguardia del bene comune e il rispetto delle normative vigenti. Un approccio multi-stakeholder implica che coloro che agiscono nell’interesse della società dovranno valutare attentamente l’impatto delle loro decisioni non solo sul valore che riescono a generare per l’azionista, ma anche sugli interessi degli altri soggetti coinvolti nella gestione (Fondazione Luca Pacioli-centro Studi Telos-Etica ed Economia, La responsabilità sociale d’impresa, leggibile in https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/aree-tematiche/pac/ET_RSI_%20ETICA.pdf).

[66] K. BAUER e J. KRASODOMSKA, The premises for Corporate Social Responsibility in Insolvency Proceedings, in M. ROJEK-NOWOSIELSKA (a cura di), Social Responsibility of Organizations Directions of Changes, Research Paper della Wrocław University of Economics, n. 387, Publishing House of Wrocław University of Economics Wrocław, 2015, p. 20-21 ss.; T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, in International Insolvency Revue, 2019, vol. 28 , no. 2 , pp. 210-232, leggibile in https://doi.org/10.1002/iir.1345 , https://doi.org/10.1002/iir.1345, 216; G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv.dir.civ., 2021, 60.

[67] R. E. FREEMAN, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge University Press, Cambridge, 1984, per il quale le imprese non debbano limitarsi al soddisfacimento dei soli azionisti “e alla massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di più stakeholder cercando di soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento efficiente dell’attività economica. Sul tema del confronto, nel momento della crisi, con tutti i portatori di interessi, si segnala la Direttiva 2019/1023 che al Considerando 10 sollecita in tal senso affermando che: “Tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi. Tale dialogo dovrebbe riguardare la scelta delle misure previste in relazione agli obiettivi dell’operazione di ristrutturazione, come pure sulle opzioni alternative, e dovrebbero garantire l’adeguata partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori come previsto dal diritto dell’Unione e nazionale”.

[68] Tra la vasta letteratura, v. V. BUONOCORE, Impresa (Diritto privato), in Enciclopedia del diritto. Annali I, Milano, 2007, 765; U. TOMBARI, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 36 ss.; La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. CASTELLANETA e F. VESSIA, Napoli, 2019; G. D’ATTORRE, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss.; ID., Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Diritto della crisi, 13 aprile 2021;F. PERRINI, Responsabilità sociale dell’impresa e finanza etica, EGEA, Milano, 2003.; S. ZAMAGNI, L’ancoraggio etico della Responsabilità Sociale d’Impresa e la critica alla RSI, Working Paper n. 1, Dip. di scienze economiche, Università di Bologna, ottobre 2004; M. LIBERTINI, Economia sociale di mercato e responsabilità sociale dell'impresa, in Rivista ODC, 2013, fasc.3; ID., Impresa e finalita' sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilita' sociale d'impresa, in Riv.soc., 2009, 1 ss.; R. PESSI, La responsabilità sociale dell’impresa, in Riv.dir.sic.soc., 2011, 1 ss.; V. DI CATALDO e P. M. SANFILIPPO, (a cura di), La Responsabilità Sociale d’Impresa, Torino, 2013, p. 9 ss.; M. STELLA RICHTER JR., Corporate Social Responsibility, Social Enterprise, Benefit Corporation: magia delle parole? in Vita not., 2017, p. 953 ss.

[69] Quanto meno una domanda potrebbe derivare su “che cosa di nuovo o di buono la CSR può introdurre nei rapporti tra imprese in crisi e propri creditori, in aggiunta a ciò che stabilisce direttamente la legge o quali interpretazioni della legge essa può incoraggiare” (A. BASSI, LA CSR doctrine di fronte ai creditori, stakeholders di prima istanza, in Giur. comm., 2022, I, 179).