, 29 novembre 2023, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
1. Queste brevi note racchiudono alcune considerazioni dedicate ad un tema che potremmo definire “classico” della vecchia disciplina fallimentare, ma che conserva sicura attualità anche nel contesto del nuovo codice.
Lo spunto mi è stato offerto da un interessante evento formativo organizzato dai responsabili della nostra formazione decentrata al quale ho partecipato alcuni mesi fa, dedicato al tema delle azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali; erano ospiti in qualità di relatori due miei colleghi, il presidente della sezione specializzata in materia di impresa – diritto societario - di Milano ed un collega della Corte di cassazione, molto attivo anche sul piano scientifico; a me era affidato il ruolo di moderatore/coordinatore.
Lo spunto mi è stato offerto dall’intervento del collega della Corte, diretto a proporre una interpretazione/nozione restrittiva della categoria delle azioni cc.dd. di massa[1], volta a riconoscere, in sostanza, la legittimazione attiva del curatore all’esercizio delle sole azioni che gli siano attribuite da una espressa previsione di legge.
2. Qui di seguito (con qualche eccessiva semplificazione) la tesi restrittiva proposta dal collega.
La prima ipotesi di legittimazione attiva del curatore deriva dall’ampia previsione del vecchio art. 43 L.F. (ora art. 143 C.C.I.I.), che prevede il c.d. spossessamento anche processuale del fallito.
Entrambe le norme citate prevedono difatti che nelle controversie - anche in corso - relative a rapporti di diritto patrimoniale del debitore/fallito compresi nella procedura concorsuale sta in giudizio il curatore.
La norma affida quindi al curatore l’esercizio (anche nella forma della prosecuzione) delle azioni relative a diritti preesistenti nel patrimonio del patrimonio del debitore/fallito, operando quindi la sostituzione di quest’ultimo al debitore nell’esercizio di dette azioni.
Vi sono poi altre norme che attribuiscono - espressamente - al curatore la legittimazione all’esercizio di alcune azioni che, nello scenario anteriore all’apertura della procedura concorsuale, spettano ai (singoli) creditori; fra le altre, l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), attribuita al curatore ex artt. 66 L.F. e 165 C.C.I.I., l’azione di responsabilità dei creditori sociali (artt. 2394 e 2476, 6° comma, C.C.), sempre attribuita al curatore ex artt. 146 L.F., 255 C.C.I.I. e 2394 bis C.C. e l’azione di cui all’art. 2497, 4° comma, C.C.
Al di fuori di queste ipotesi, vige la regola generale dell’art. 81 c.p.c., a norma del quale la c.d. sostituzione processuale deve ritenersi ammessa nei soli casi previsti dalla legge; in assenza di una espressa previsione normativa, l’esercizio del diritto in giudizio deve ritenersi quindi consentito al solo titolare (o meglio a colui che si affermi titolare) della corrispondente situazione sostanziale.
In estrema sintesi, in difetto di una espressa previsione normativa, non può riconoscersi al curatore la legittimazione attiva con riferimento a quelle azioni che, spettanti in origine ai creditori uti singuli, non gli sono espressamente attribuite dal diritto positivo in conseguenza della apertura della procedura concorsuale.
La creazione della categoria delle azioni di “massa”, naturalmente attribuite al curatore quale unico legittimato attivo in ragioni delle loro peculiari natura e funzione, risulterebbe perciò fuorviante, perché incompatibile col dato normativo, univoco - come ricordato - nel ritenere la natura eccezionale delle ipotesi di sostituzione processuale.
3. La tesi, pur stimolante, può essere definita sicuramente minoritaria, avuto riferimento all’orientamento ad oggi consolidato della Corte di cassazione[2].
Sono difatti numerose le pronunce di legittimità, anche delle Sezioni unite, che fondano le loro decisioni facendo espresso richiamo alla categoria delle azioni di massa e riconoscono la legittimazione (attiva) del curatore all’esercizio di tali azioni, senza richiedere che la sostituzione dell’organo della procedura concorsuale all’originario titolare trovi giustificazione in una espressa previsione di legge.
Fra queste, mi limito a ricordare le note “sentenze gemelle” delle Sezioni unite del 2006 (sentenze nn. 7029, 7030 e 7031)[3] in tema di concessione abusiva di credito (che, per la verità, negavano nei casi allora in esame la legittimazione attiva del curatore proprio perché l’azione promossa non aveva natura di azione di massa); l’altrettanto nota sentenza - sempre delle Sezioni Unite – n. 1641/2017[4] in tema di responsabilità per danno da bancarotta preferenziale nonché le recenti ordinanze nn. 18610/2021[5] e 24725/2021[6] con le quali la Corte è nuovamente intervenuta sul tema della concessione abusiva di credito.
Le azioni di massa, secondo tale giurisprudenza (confortata da autorevole dottrina), sono finalizzate “alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo …” (Cass. SS.UU. 7029/2006 citata) e le norme che attribuiscono espressamente al curatore la legittimazione all’esercizio di alcune di tali azioni costituiscono quindi espressione di “un sistema, che autorizza a non ritenerle norme eccezionali, ma piuttosto manifestazione di un principio più generale, secondo cui il curatore si sostituisce al fallito ed ai creditori per le azioni che tendono a ripristinare la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., mirando alla ricostituzione del patrimonio dell’imprenditore nell’interesse della massa” (Cass. 18610/2021 citata).
Si osserva, in particolare, che “il curatore, in sostanza, diviene titolare, per specifica ‘missione’, dell’interesse a conservare ed a ripristinare il patrimonio del debitore, il quale è nel contempo per definizione la garanzia ‘indiscriminata’ del ceto creditorio” e che “la funzione recuperatoria della garanzia patrimoniale a tutela della par condicio creditorum è tipica dell’attività demandata dalla legge al curatore: il quale, esercitando un’azione di massa, non si sostituisce ai singoli creditori, ma amministra il patrimonio dell’impresa soggetto ad esecuzione concorsuale, recuperandolo alla sua propria funzione di garanzia (così, sempre Cass. 18610/2021 citata).
4. Non ho certo la presunzione di voler aggiungere argomenti personali a quelli – ben più autorevoli e convincenti – illustrati dalle sentenze citate e mi limito quindi ad alcune semplici considerazioni.
Sul piano generale mi sembra che l’attribuire al curatore la legittimazione esclusiva all’esercizio delle azioni “di massa”, anche in assenza di un’espressa norma di legge, risponda, come ben evidenziato dalle sentenze citate, ad una esigenza “di sistema”.
La disciplina del fallimento dettata dalla “vecchia” legge fallimentare e la nuova disciplina della liquidazione giudiziale dettata dal codice della crisi costituiscono entrambe espressione del principio di necessaria (o quantomeno tendenziale) universalità della procedura concorsuale dal punto di vista sia oggettivo che soggettivo.
Fatte salve le eccezioni di legge, tutto il patrimonio del debitore/fallito è acquisito all’attivo della procedura concorsuale e tutti i creditori devono insinuare al passivo del fallimento/liquidazione giudiziale il proprio credito e ricevere l’eventuale pagamento nell’ambito dei riparti predisposti dalla curatela.
Operano infatti in entrambe le procedure i (noti) principi che caratterizzano le procedure concorsuali: il debitore/fallito, come detto, perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, che vengono affidati alla gestione del curatore sotto la vigilanza del giudice delegato; vige la regola dell’esclusività del rito speciale d’accertamento del passivo e, sul piano esecutivo, opera il divieto delle azioni individuali.
La liquidazione dei beni è affidata al curatore (affiancato dal comitato dei creditori e sotto la vigilanza del giudice delegato) al quale è anche affidata la distribuzione del ricavato, mediante i riparti, effettuati nel rispetto delle regole del concorso.
I principi (e le esigenze) propri della “concorsualità sistematizzata” sembrano quindi suggerire (o forse imporre) la regola della necessaria legittimazione esclusiva del curatore all’esercizio di quelle azioni che, come ricordato, sono dirette alla ricostruzione del patrimonio del debitore/fallito in funzione della reintegrazione della garanzia generica rappresentata proprio da quel patrimonio.
È questa, difatti, la soluzione che appare più coerente ai ricordati obiettivi di ricostruzione del patrimonio del debitore nel contesto della procedura concorsuale necessariamente unitaria, finalizzata alla soddisfazione ordinata dei creditori nel rispetto delle regole della par condicio.
Soluzione alternativa a quella della iniziativa individuale, necessariamente egoistica, del singolo creditore.
L’attribuzione al curatore della legittimazione esclusiva all’esercizio delle azioni di massa non vale quindi a sottrarre detta azione ai creditori, ma, piuttosto, al singolo creditore, consentendo quindi al curatore di riversare l’eventuale risultato utile dell’esercizio vittorioso dell’azione in favore dell’intera platea dei creditori.
Sotto un diverso profilo sembra opportuno ricordare che, al di fuori del terreno delle azioni risarcitorie, sembra pacifica l’attribuzione al curatore del fallimento/liquidazione giudiziale della legittimazione esclusiva all’esercizio di azioni quale quella di simulazione, diretta a far valere, soprattutto in rappresentanza della massa dei creditori, la natura simulata di atti posti in essere dal debitore/fallito con finalità – di norma - recuperatorie.
L’azione di simulazione preesiste, per la verità, nel patrimonio del debitore/fallito (anche le parti del contratto simulato, difatti, possono far valere la simulazione del contratto nei limiti stabiliti dall’art. 1415 C.C.), ma pare pacifica, alla stregua del diritto vivente, la posizione di terzietà del curatore che eserciti l’azione di simulazione.
E ciò con particolare riferimento al tema della prova della simulazione, ove si riconosce al curatore ampia libertà di mezzi nel fornire la prova della natura simulata dell’atto, in considerazione della qualità che gli è propria di rappresentante della massa dei creditori, sottraendolo ai severi limiti probatori che l’art. 1417 C.C. pone alle sole parti del negozio simulato.
Ecco quindi che, al di fuori del campo delle azioni risarcitorie, si riconosce al curatore la legittimazione all’esercizio di un’azione che, anteriormente all’apertura della procedura concorsuale, risulterebbe affidata ai singoli creditori; e ciò in assenza di un’espressa previsione di legge.
5. Il Codice della crisi fornisce interessanti spunti in tema di legittimazione attiva del curatore.
In tema di azioni di responsabilità, l’art 255 C.C.I.I. detta un puntuale elenco delle azioni di responsabilità affidate al curatore.
L’art. 255[7], in particolare, attribuisce espressamente al curatore la legittimazione a promuovere o proseguire le specifiche azioni contemplate alle lettere a), b) c) e d), alle quali aggiunge, alla lettera e), “tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge”, adottando una formula che sembra introdurre una sorta di “riserva di legge”.
In tema di azioni di responsabilità sembrerebbe perciò ora esclusa la possibilità di attribuire al curatore la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità, anche in difetto di una espressa previsione normativa, mediante richiamo - sul piano generale - alla categoria delle azioni di massa.
Più complesso il caso delle azioni di responsabilità nel concordato preventivo per cessione dei beni disciplinato dall’art. 115 C.C.I.I.[8]
Il primo comma dell’articolo in esame attribuisce infatti al liquidatore giudiziale, come noto, la legittimazione all’esercizio di “ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti” e, in armonia con tale disposizione, il secondo comma dell’articolo affida al liquidatore giudiziale l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità.
Entrambe le norme attribuiscono quindi all’organo nominato dal tribunale (quale mandatario dei creditori per la ordinata liquidazione dei beni offerti in cessione) l’esercizio delle azioni (anche di responsabilità) preesistenti nel patrimonio del debitore e sembrano quindi dirette a confermare quella esigenza di concorsualità che, propria della disciplina del fallimento e della liquidazione giudiziale, ispira anche - in parte - l’esecuzione del concordato liquidatorio con cessione dei beni.
Più complessa la lettura del terzo comma dell’art. 115, a norma del quale “resta ferma, in ogni caso anche in pendenza della procedura e nel corso della sua esecuzione, la legittimazione di ciascun creditore sociale a esercitare o proseguire l’azione di responsabilità prevista dall’articolo 2394 del codice civile”.
Non è questa la sede per commentare la scelta operata dal legislatore, sulla cui bontà ho già espresso le mie personali perplessità.
Limitatamente al tema della legittimazione attiva degli organi delle procedure concorsuali, mi sembra di poter dire che la norma si presti ad una doppia interpretazione.
Una prima lettura dell’art. 115 C.C.I.I. potrebbe infatti suggerire come tale previsione costituisca implicita conferma della regola di tassatività delle ipotesi di legittimazione attiva (del curatore) all’esercizio delle azioni di responsabilità già ricavabile dal tenore dell’art. 255 C.C.I.I.
E perciò, in difetto di una espressa disposizione di legge, l’azione di responsabilità dei creditori sociali, che - come ovvio - spetta ai soli creditori nello scenario anteriore all’apertura della procedura concorsuale, resta affidata ai medesimi creditori anche nella intera pendenza della procedura di concordato e nell’ulteriore fase della sua esecuzione.
Ho già espresso la mia esplicita preferenza per la soluzione tuttora condivisa dalla giurisprudenza di legittimità in tema di legittimazione all’esercizio delle azioni di massa (e la mia perplessità per la soluzione adottata dal terzo comma dell’art 115 C.C.I.I.). Mi spingo quindi a proporre, in chiusura del mio intervento, un’interpretazione della norma quasi provocatoria. Le azioni di massa, per le ragioni già indicate, sono naturalmente affidate alla legittimazione esclusiva del curatore (o del liquidatore giudiziale): potrebbe quindi ritenersi che il legislatore abbia ritenuto necessaria una norma ad hoc per derogare a tale regola “di sistema” e prevedere che l’azione dei creditori sociali resti, nell’ambito del concordato per cessione dei beni, agli stessi creditori proprio in forza di tale espressa previsione.
[1] M. Spiotta, Codice della crisi: tra novità e dubbi (ir)risolti (II parte) - Le azioni del Curatore e quelle esperibili dalle corrispondenti figure, in Giur. It., 2023, 1747 ss.; sulle azioni di responsabilità nelle diverse procedure concorsuali v. AA.VV., Crisi d’impresa e responsabilità nelle società di capitali, a cura di Balestra e Martino, Milano, 2022, Parte III, 613 ss.
[2] In argomento si veda tuttavia, in senso contrario, la recente ordinanza della Corte di cassazione n. 31389/2022
[3] Cass., Sez. Unite, 28 marzo 2006, n. 7029, in Fall., 2007, 101 ss.; Cass., Sez. Unite, 28 marzo 2006, n. 7030, in Fall., 2006, 1125 ss.; Cass, Sez. Unite, 28 marzo 2006, n. 7031, in Giur. It., 2006, 1191 ss.
[4] Cass., Sez. Unite, 23 gennaio 2017, n. 1641, in Fall., 2017, 149 ss.
[5] Cass., 30 giugno 2021, n. 18610, in Contratti, 2022, 171 ss.
[6] Cass., 14 settembre 2021, n. 24725, in Foro It., 2021, I, 3897 ss.
[7] S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, Bologna 2023, 341 ss.; T. Tomasi, Sub art. 255, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Padova, 2023.
[8] S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, Bologna 2023, 343 ss.; A. Audino, Sub art. 115, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Padova, 2023.