, 12 gennaio 2024, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. La persistente rilevanza della competitività nel nuovo concordato preventivo - 2. Il nuovo perimetro applicativo delle proposte e delle offerte concorrenti - 3. Le proposte concorrenti: la contendibilità del surplus attivo eccedente il valore ritraibile dalla liquidazione giudiziale - 4. La legittimazione alla presentazione delle proposte concorrenti - 5. L’area di esenzione dalle proposte concorrenti - 6. Il contenuto della proposta concorrente, il correlato piano e il perimetro della relazione dell’esperto indipendente - 7. Le proposte concorrenti come strumento di acquisizione del controllo dell’impresa: l’aumento del capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione e le altre modifiche statutarie - 8. Le proposte concorrenti nel concordato di gruppo - 9. L’accesso alle informazioni da parte del terzo - 10. La presentazione e l’eventuale modifica della proposta concorrente - 11. Il vaglio di ammissibilità - 12. La selezione della proposta prevalente attraverso il voto - 13. La partecipazione al voto del terzo proponente - 14. La gestione dell’impresa in costanza di procedura e l’esposizione del terzo proponente al rischio di revoca dell’ammissione e di rinuncia alla domanda del debitore - 15. L’omologazione della proposta concorrente e i presidi della sua esecuzione - 16. La risoluzione e l’annullamento del concordato basato sulla proposta concorrente - 17. Le offerte concorrenti: il ricorso al mercato come presidio di eterotutela dei creditori - 18. Il presupposto applicativo: la sussistenza di un concordato chiuso - 19. Il labile nesso tra l’offerta e il piano: le offerte concorrenti nel concordato “in bianco” - 20. La natura e l’oggetto dell’offerta concorrente - 21. L’estensione della competitività all’affitto dell’azienda - 22. L’impossibilità di applicare la disciplina delle offerte concorrenti all’aumento del capitale - 23. Il rapporto tra le offerte concorrenti e il concordato con assunzione - 24. La deroga alle offerte concorrenti per ragioni di urgenza e al fine di tutelare i creditori - 25. La struttura bifasica della competizione - 26. Il decreto di apertura della procedura competitiva - 27. L’azione del tribunale tra l’impossibilità di modificare l’impostazione originaria e la necessità di garantire l’effettività della competizione attraverso la piena comparabilità delle offerte - 28. Lo svolgimento della procedura competitiva e i suoi effetti sul debitore, sull’originario offerente e sui creditori - 29. Le conseguenze della mancanza di vere e proprie offerte concorrenti - 30. Le interazioni tra le proposte e le offerte concorrenti
1. La persistente rilevanza della competitività nel nuovo concordato preventivo
Anche nel nuovo impianto normativo la competitività si conferma come uno dei tratti del concordato preventivo. Il rilievo attribuito alla concorrenza[1] è strumentale a incrementare il soddisfacimento dei creditori o, comunque, a favorire l’assetto di regolazione della crisi ritenuto dagli stessi preferibile[2]. L’attuale legge conserva, sia pur con alcune significative variazioni, l’impostazione di fondo adottata sin dalla c.d. “miniriforma” del 2015[3]: la soluzione elaborata dal debitore non è immutabile, ma contendibile e, quindi, migliorabile. Lo spazio di manovra dei creditori non si limita alla mera alternativa tra l’accettazione e il rifiuto del pacchetto confezionato dall’imprenditore, ma include la possibilità di apportare modifiche, le quali passano per una diversa strategia di regolazione dell’insolvenza[4] o, quantomeno, per l’esplorazione – attraverso l’azione degli organi della procedura – di un’eventuale più elevata valorizzazione delle componenti attive.
È stato mantenuto il doppio binario delle proposte (art. 90 c.c.i.i.) e delle offerte concorrenti (art. 91 c.c.i.i.). Da un lato, ancorché il debitore conservi la legittimazione esclusiva alla proposizione della domanda di concordato[5], la proposta e il piano sfuggono al suo monopolio[6]. Dall’altro, ogniqualvolta sia previsto il trasferimento di uno o più beni (inclusa l’azienda, secondo il noto schema della continuità aziendale indiretta) a un soggetto predeterminato, scatta il meccanismo che mira a scardinare transazioni preimpostate lesive degli interessi dei creditori[7]. Il risultato è che l’accesso al concordato preventivo porta con sé una certa apertura al mercato[8], la quale rende contendibili non solo i cespiti che l’imprenditore si risolva a dismettere[9], ma anche – sia pur a determinate condizioni – la stessa soluzione che egli abbia elaborato in vista della regolazione della propria insolvenza[10] e finanche il controllo del debitore costituito in forma societaria[11].
Il rovescio della medaglia di questa – ormai consolidata – impostazione è il parziale ridimensionamento del ruolo del debitore. Il piano e la proposta che giungono alla soglia del giudizio di omologazione sono, almeno potenzialmente, il precipitato dell’azione concorrente di una pluralità di soggetti (oltre all’imprenditore, i terzi proponenti e i terzi offerenti), i quali agiscono in competizione tra loro in un contesto governato dall’organo giurisdizionale. Il tribunale, infatti, non solo è chiamato a stabilire le concrete modalità dello svolgimento della competizione, ma ha altresì il potere di vincolare il debitore all’osservanza di un assetto della crisi o dell’insolvenza in tutto o in parte diverso da quello inizialmente prospettato. Di qui l’osservazione che l’apertura al mercato si traduce, probabilmente, in un inasprimento dello spossessamento concordatario, il quale, ancorché tuttora ben lontano dall’essere pieno come nella liquidazione giudiziale, si rivela tuttavia meno attenuato di quanto fosse in passato[12]. L’imprenditore che acceda al concordato preventivo continua a conservare l’amministrazione del proprio patrimonio, ma è assoggettato, oltre che alla sorveglianza commissariale e all’onere di munirsi della preventiva autorizzazione giudiziale al compimento degli atti di natura straordinaria, alle potenziali ingerenze dei terzi (e, in qualche misura, dello stesso tribunale) nella concreta conformazione della regolazione della crisi o dell’insolvenza[13].
2. Il nuovo perimetro applicativo delle proposte e delle offerte concorrenti
Il campo di applicazione delle proposte e delle offerte concorrenti continua anzitutto a coincidere con il concordato preventivo, senza distinzioni legate alla tipologia di piano[14]. Con l’entrata in vigore del nuovo codice, tuttavia, il perimetro della disciplina della competitività ha conosciuto una non trascurabile espansione: oggi esso include anche il piano di risanamento soggetto a omologazione[15], in forza dell’espresso richiamo di cui all’art. 64-bis, 9° comma, c.c.i.i.[16].
Non sembra invece possibile alcuna estensione al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata della crisi[17], non solo per l’assenza di uno specifico rimando[18], ma anche per via di una vera e propria incompatibilità strutturale[19]. Da un lato, l’assenza del voto (sostituito dal mero diritto di proporre opposizione ex art. 25-sexies, 4° comma, c.c.i.i.) preclude il confronto tra proposte alternative e la selezione di quella più gradita ai creditori. Dall’altro, in presenza di offerte da parte di soggetti individuati aventi per oggetto il trasferimento di aziende, rami di aziende o specifici beni, vengono in considerazione le regole di cui all’art. 25-septies, 2° e 3° comma, c.c.i.i., le quali si limitano a prevedere la verifica dell’assenza di soluzioni migliori sul mercato da parte – a seconda dei casi – dell’ausiliario o del liquidatore giudiziale.
3. Le proposte concorrenti: la contendibilità del surplus attivo eccedente il valore ritraibile dalla liquidazione giudiziale
L’istituto delle proposte concorrenti[20] permette a soggetti diversi dal debitore di formulare soluzioni concordatarie alternative a quella dell’imprenditore. Quando ciò concretamente accade, i creditori sono chiamati a selezionare lo specifico piano di regolazione dell’insolvenza che ritengano preferibile; con la possibilità che a prevalere sia quello del terzo, il quale viene conseguentemente messo nella condizione di disporre del patrimonio del debitore, anche contro la sua volontà[21].
Si persegue la massimizzazione del tasso di soddisfacimento dei creditori legittimando d’intervento dei terzi[22]. Questi ultimi, dinanzi a piani e proposte ritenuti sbilanciati a favore del ricorrente, potrebbero reputare conveniente proporre un diverso assetto dell’insolvenza, procacciandosi il consenso della maggioranza dei creditori attraverso un’alternativa allocazione delle risorse.
La varietà di articolazioni che può assumere il concordato preventivo non esclude che il debitore (o il terzo proponente) trattenga un quid per sé. Pur nel contesto di un dibattito assai articolato[23], tale possibilità era ammessa già in passato, nei limiti – naturalmente – dei casi di continuità aziendale (anzitutto, ma non esclusivamente, diretta)[24]; e tale impostazione ha trovato espressa conferma nelle disposizioni degli artt. 84, 1° e 6° comma, e 87, 3° comma, c.c.i.i.[25]. Quando opta per la continuità, infatti, il ricorrente evita, del tutto legittimamente, la dismissione dei cespiti strategici, distogliendoli dalla loro funzione di garanzia generica ex art. 2740 c.c., a condizione che la soluzione prospettata assicuri ai creditori un trattamento non deteriore di quello deriverebbe dalla liquidazione giudiziale. Considerazioni analoghe valgono per il concordato per assunzione, nel quale di regola l’assuntore mira non soltanto alla regolazione della crisi, ma anche – e soprattutto – ad appropriarsi del valore che residuerà una volta soddisfatti i creditori in conformità al decreto di omologazione[26]. In altre parole, le risorse generate dalla continuità eccedenti l’ammontare ritraibile dalla liquidazione giudiziale sono liberamente allocabili e, quindi, discrezionalmente distribuibili tra i creditori (con l’unico limite del rispetto della relative priority rule declinata dall’art. 84, 6° comma, c.c.i.i.) o destinabili a essere trattenute dal ricorrente, dal terzo proponente o dall’assuntore.
In questa prospettiva il concordato preventivo, pur configurandosi come uno strumento di attuazione della garanzia patrimoniale, assolve a tale funzione nei limiti del patrimonio segregato rappresentato dai soli valori di liquidazione giudiziale, con conseguente possibilità di emersione, negli scenari di continuità aziendale, di un surplus, la cui allocazione, originariamente rimessa alla sola discrezionalità del debitore, è oggi resa contendibile dall’istituto delle proposte concorrenti[27].
Nonostante esse siano ammissibili in tutti i contesti di concordato preventivo (senza distinzione tra piani con continuità aziendale e liquidatori), di fatto il loro settore di elezione sono proprio le situazioni in cui sia prospettabile un surplus derivante dalla prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività. In particolare, tanto maggiore sarà lo squilibrio dell’impianto originario a detrimento dei creditori (e a favore del ricorrente), quanto più ampi si riveleranno i margini di manovra dei potenziali terzi interessati; il che – almeno in astratto – dovrebbe tradursi in un impulso per l’imprenditore che voglia scongiurare invasive ingerenze di terzi nella gestione della propria insolvenza a evitare di formulare piani e proposte di concordato preventivo eccessivamente squilibrati “al ribasso”, impegnandosi invece per offrire da subito ai propri creditori un soddisfacimento congruo[28].
4. La legittimazione alla presentazione delle proposte concorrenti
Il diritto di presentare proposte concorrenti spetta esclusivamente ai creditori dell’impresa e, in particolare, a quelli che siano titolari di almeno il dieci per cento dell’ammontare complessivo dei crediti esposti nella situazione patrimoniale allegata al ricorso del debitore[29]. Nel caso di impresa costituita in forma societaria, la legittimazione spetta altresì ai soci, purché rappresentino almeno il dieci per cento del capitale[30].
Diversamente da quanto accade nel concordato nella liquidazione giudiziale, non si è voluto aprire la competizione a qualsiasi interessato. Si è invece preferito inserire un filtro teso a selezionare le eventuali iniziative dei terzi sulla base della rilevanza, qualitativa e quantitativa, dei loro interessi.
Dinanzi alla necessità di bilanciare le contrapposte istanze della libera iniziativa del debitore e del miglior soddisfacimento dei creditori, il punto di equilibrio è stato individuato dal legislatore in un meccanismo che non concede a chiunque la possibilità di interferire con il progetto di regolazione dell’insolvenza predisposto dall’imprenditore. Perché le prospettazioni alternative siano meritevoli di essere prese in considerazione e di entrare in dialettica con quella originaria è necessario che esse siano sostenute da un qualificato interesse al miglioramento del tasso di recovery, la cui sussistenza sembra in effetti potersi ravvisare quando il promotore dell’iniziativa alternativa sia coinvolto direttamente e in misura rilevante nell’insolvenza, in quanto, per l’appunto, esso stesso creditore per importi significativi[31].
Per ciò che concerne i soci, la legittimazione (sempre circoscritta ai titolari di una partecipazione qualificata) costituisce un opportuno contrappeso al potere dell’organo gestorio. Tenuto conto che l’art. 120-bis c.c.i.i. attribuisce in via esclusiva agli amministratori qualsiasi decisione circa l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, compresa la definizione del contenuto della proposta e delle condizioni del piano[32], si è attribuito ai soci uno strumento di reazione dinanzi a soluzioni ritenute dagli stessi eccessivamente penalizzanti o, comunque, subottimali; reazione, questa, individuata per l’appunto nel diritto di elaborare proposte concorrenti. Tale facoltà si presta a essere letta nella tradizionale dialettica tra maggioranza (di regola solidale con l’organo amministrativo) e minoranza, potendo quindi essere apprezzata come diritto spettante alle minoranze qualificate[33]. Non può tuttavia escludersi che, nei contesti di crisi, emerga una frattura ancora più radicale, perché collocata non all’interno della compagine sociale, bensì tra i soci nel loro complesso e gli amministratori, atteso che questi ultimi, nella gestione della crisi, possono prescindere dal sostegno della maggioranza, essendo immuni da revoca; salvo che sussista una giusta causa preventivamente accertata dal tribunale.
La condizione di creditore e, deve ritenersi, di socio qualificato può essere conseguita, all’occorrenza, sia mediante la costituzione di cordate di creditori o di soci, sia attraverso acquisti di crediti[34] o di partecipazioni sociali[35], effettuati a qualsiasi titolo, anche gratuito[36], e in qualsiasi momento, anche successivo all’apertura della procedura[37]. Deve tuttavia trattarsi di veri e propri trasferimenti, non essendo invece idoneo a fondare la legittimazione il mero mandato irrevocabile alla gestione dei crediti[38], delle quote o azioni.
Non è pertanto necessario che la condizione di creditore o socio qualificato sia presente in capo all’autore della proposta concorrente ab origine, vale a dire sin dal momento dell’apertura del concorso. Al contrario, è possibile non solo incrementare l’ammontare della propria preesistente esposizione creditoria o partecipazione societaria, ma addirittura acquisire ex novo la qualità di creditore[39] o di socio. Tale conclusione, oltre a trovare conferma nel dato letterale[40], è coerente con la finalità di incentivare la creazione e il consolidamento del mercato dei crediti problematici, palesata sin dalla relazione illustrativa della “miniriforma” del 2015[41]. Il suo sviluppo postula, infatti, che la presentazione delle proposte concorrenti sia aperta anche e soprattutto a operatori professionali, i quali, ove ravvisino appetibili opportunità di business, possano procedere da zero all’acquisto del pacchetto di crediti idoneo ad assicurare la legittimazione[42].
Di conseguenza, anche soggetti inizialmente estranei alla crisi (perché né creditori né soci) possono formulare proposte concorrenti, a condizione tuttavia che siano disposti a sostenere un investimento iniziale di una certa consistenza per l’acquisto dei crediti o della partecipazione necessari a far scattare la legittimazione; ciò sul presupposto che la disponibilità ad affrontare un simile costo iniziale costituisce la migliore cartina di tornasole dell’esistenza di un interesse sufficientemente intenso e genuino al miglioramento della regolazione dell’insolvenza da essere ritenuto meritevole di tutela[43].
L’importanza del filtro è chiaramente sottolineata già nella relazione illustrativa alla “miniriforma” del 2015, la quale menziona la necessità di impedire che si dia corso, con inutile dispendio di energie e di tempo, a “iniziative non rilevanti, che finirebbero solo per rischiare di appesantire la procedura”. Il meccanismo in esame sembra in effetti idoneo a sbarrare la strada alle azioni di mero disturbo, quando non apertamente ricattatorie, quali sarebbero quelle tese all’ottenimento di una qualche utilità a fronte della rinuncia ad avvalersi dello strumento di cui all’art. 90 c.c.i.i.[44]. Allo stesso modo, la previsione di una selezione su base soggettiva potrebbe rivelarsi opportuna nel disincentivare la presentazione, da parte, ad esempio, di concorrenti del debitore, di proposte alternative animate dall’unico intento di provocare l’insuccesso del progetto imprenditoriale del debitore, avendo di mira, più che il reale miglioramento del trattamento da riservarsi ai creditori, la sua definitiva eliminazione dal mercato[45].
D’altro canto si è osservato che la soglia indicata dalla legge (dieci per cento, a seconda dei casi, dell’esposizione debitoria o del capitale) sarebbe eccessivamente elevata e, come tale, penalizzante per i terzi interessati a contendersi la regolazione dell’insolvenza[46]. Il rilievo probabilmente coglie, almeno in parte (e soprattutto per quanto concerne i crediti), nel segno: la legge sembra aver posto l’asticella a un’altezza considerevole, rendendo l’apertura al mercato piuttosto timida. Va tuttavia considerato che quello che potrebbe apparire un esborso assai considerevole se computato sulla base del valore nominale delle poste, si riduce alquanto ogniqualvolta si dia luogo – secondo un modus operandi piuttosto diffuso tra gli investitori che finanziano la presentazione e l’esecuzione di proposte di concordato nella liquidazione giudiziale – all’acquisto di crediti concorsuali (e, segnatamente, chirografari) a forte sconto e, allo stesso tempo, con l’aspettativa di ottenerne il rimborso secondo i tempi, le modalità e le percentuali di cui alla proposta concorrente. Ciò induce a osservare che, se opportunamente gestito, anche il preventivo acquisto di crediti può trasformarsi, per operatori specializzati e adeguatamente attrezzati, da un mero costo addirittura in una opportunità di lucro; ferma, naturalmente, l’alea circa la selezione della proposta prevalente da parte della maggioranza dei creditori, nella cui formazione tuttavia lo stesso terzo proponente-creditore può giocare un ruolo attivo, non essendo prevista la sterilizzazione del suo voto, ma semplicemente la sua segregazione in una autonoma classe (art. 109, 7° comma, c.c.i.i.).
Il requisito di creditore o socio qualificato deve naturalmente sussistere al momento della presentazione della proposta concorrente. È invece controverso se debba altresì permanere successivamente e, in particolare, se vada conservato fino all’omologazione. Pur nella consapevolezza dell’oggettiva opinabilità della questione (anche per assenza di espresse indicazioni normative al riguardo), la soluzione affermativa sembrerebbe preferibile, potendosi probabilmente applicare in via analogica la regola di cui all’art. 2378, 2° comma, c.c. secondo la quale gli impugnanti la delibera assembleare di società azionaria devono conservare il numero di azioni di cui all’art. 2377, 3° comma, c.c. sino all’esito della lite[47].
Per ciò che concerne il computo della percentuale, in relazione ai crediti l’art. 90, 1° comma, c.c.i.i. fa riferimento alla situazione patrimoniale depositata dal debitore, con implicito rinvio all’art. 39, 1° comma, c.c.i.i. Dato che la legge mira a selezionare i terzi proponenti tra i creditori (originari o sopravvenuti) titolari di un’esposizione qualificata, è ragionevole che la percentuale vada calcolata sul complessivo ammontare delle passività esistenti alla data di deposito del ricorso ex art. 40 c.c.i.i. (contenente, quindi, il piano e la proposta)[48].
Ferma tale considerazione, la scelta di adottare come parametro la quantificazione operata dal debitore potrebbe risultare foriera di qualche criticità. Anzitutto potrebbe darsi il caso del debitore che, attraverso un’esposizione artefatta, tenti di ostacolare potenziali iniziative concorrenziali[49]. Si tratterebbe, però, di stratagemmi verosimilmente destinati all’insuccesso. Condotte siffatte, ove scoperte dal commissario giudiziale (se del caso anche grazie alle richieste di chiarimenti che gli pervengano dal terzo), andrebbero naturalmente qualificate alla stregua di atti di frode, quando non di fattispecie rilevanti sotto il profilo dell’esposizione di dati aziendali non veritieri. Il risultato sarebbe la revoca dell’ammissione al concordato.
Più dubbie sono le conseguenze dei meri errori (privi di connotazioni frodatorie), nella misura in cui essi, pur non inficiando la complessiva veridicità dei dati aziendali (atteso che in tal caso il problema della revoca dell’ammissione si porrebbe comunque), possano nondimeno influire (in positivo come in negativo) sul concreto raggiungimento della soglia di legittimazione. Nell’ipotesi in cui il riferimento al documento fosse considerato vincolante, non vi sarebbe modo di rimediare all’incongruenza: occorrerebbe tenere ugualmente fede ai dati esposti dal ricorrente, quand’anche non pienamente accurati. L’alternativa – che pare preferibile – è quella di ritenere che la situazione patrimoniale sia stata menzionata solo perché costituisce la fonte di prova più agevole, senza tuttavia escludere la necessità di verifiche da parte degli organi della procedura e, conseguentemente, la possibilità di adottare quale parametro di calcolo, ove esistenti, dati maggiormente affinati[50]. In particolare, ogniqualvolta la proposta concorrente sia formulata a valle del deposito della relazione commissariale, è ragionevole l’ammontare del passivo vada dedotto da essa, anziché dall’originaria prospettazione del debitore[51].
Quanto alla natura dei crediti da tenere in considerazione, è indifferente che si tratti di poste chirografarie, privilegiate o prededucibili[52], atteso che tutti i creditori hanno interesse a provocare miglioramenti delle proprie condizioni di rimborso, non solo con riguardo al quantum, ma anche in relazione al quando e, più in generale, ai profili di complessiva “tenuta” del piano e della proposta. Non vengono quindi in considerazione solo le poste assoggettate al concorso, ma tutte quelle che contribuiscono a formare il passivo alla data di riferimento, inclusi i debiti maturati in costanza di procedura, segnatamente con riguardo alla fase “in bianco”[53]. Si tende invece a escludere la rilevanza delle poste contestate e condizionate[54], nonché di quelle riferibili a meri fondi rischi.
La legge vieta la formulazione della proposta concorrente al debitore, quand’anche per interposta persona, al coniuge, alla parte di un’unione civile, al convivente di fatto, a parenti e affini entro il quarto grado del debitore e alle sue parti correlate[55]. In questo modo si mira a impedire la presentazione di proposte concorrenti “civetta”, verosimilmente animate soltanto dall’intento di disorientare i creditori e di contrastare in maniera obliqua le genuine iniziative di terzi, creando oggettivo turbamento nella competizione[56].
Coerentemente, i crediti della società che controlla quella in procedura, nonché di quelle da essa controllate e sottoposte a comune controllo non vanno considerati ai fini del computo della percentuale, che viene quindi calcolata sulla complessiva esposizione debitoria in capo a soggetti estranei al gruppo cui appartiene il debitore.
5. L’area di esenzione dalle proposte concorrenti
Il debitore ha la possibilità di sottrarsi alla competizione. È sufficiente che egli riservi ai propri creditori un trattamento non inferiore a determinati standard economici perché la presentazione di proposte concorrenti sia automaticamente preclusa. In tal caso la soluzione dell’imprenditore prevale tout court e ai creditori non resta che l’alternativa secca tra l’accettazione e il rifiuto del pacchetto preconfezionato dal ricorrente[57].
Naturalmente il regime di esenzione dalla concorrenza opera esclusivamente a favore del debitore. Ove invece sia la proposta concorrente a porsi al di sopra delle prescritte percentuali, sono comunque ammissibili rilanci, da parte sia dell’imprenditore che di eventuali ulteriori terzi[58].
Questo meccanismo si traduce in una forma di tutela del debitore dal mercato e contribuisce a circoscrivere in misura significativa l’effettiva portata dell’istituto delle proposte concorrenti, destinato a operare soltanto al cospetto di soluzioni concordatarie che offrano ai creditori un livello di soddisfacimento oggettivamente modesto, nell’ambito della regolazione di situazioni certamente riconducibili a grave incapienza patrimoniale e, quindi, senz’altro a vera e propria insolvenza[59]. Al di fuori di queste ipotesi, il debitore si riappropria del monopolio della proposta, con conseguente sacrificio delle istanze dei creditori tese al suo miglioramento.
D’altro canto, questo schema potrebbe essere comunque foriero, per i creditori, quantomeno di una sorte di vantaggio collaterale. Esso incentiva l’imprenditore ad adoperarsi, nel proprio stesso interesse, per elevare le percentuali offerte quantomeno fino ai valori di esenzione[60]. È infatti verosimile che, temendo l’ingerenza di terzi, il debitore che ne abbia la possibilità si risolva a incrementare il quantum da rendere disponibile per la copertura del fabbisogno concordatario proprio con lo scopo di scongiurare il rischio di essere espropriato dell’intero surplus che la soluzione concordataria con continuità aziendale offre rispetto alla liquidazione giudiziale[61].
Venendo al dato numerico, le proposte concorrenti non sono ammesse se la prospettazione del debitore è idonea ad assicurare il pagamento di almeno il trenta per cento[62] dei debiti chirografari, inclusi, naturalmente, quelli degradati per effetto dell’incapienza dei beni sui quali insiste la prelazione, speciale o generale, da cui siano eventualmente assistiti[63]. La percentuale si riduce al venti per cento laddove il debitore abbia utilmente avviato la composizione negoziata della crisi[64], secondo un meccanismo premiale – che si affianca alle misure di cui all’art. 25-bis c.c.i.i.[65] – teso a incentivare l’adozione della stessa composizione negoziata, al quale sembra essere anzitutto affidata, nell’economia della nuova legge, la tempestiva emersione della crisi al fine del suo proficuo superamento. Non è chiaro quando l’accesso a tale nuovo strumento possa ritenersi utile, anche se sembra ragionevole ritenere che lo sia ogniqualvolta l’iniziativa non vada incontro a immediata archiviazione ai sensi dell’art. 17, 5° comma, c.c.i.i., e, quindi, quando, all’esito del primo incontro con l’imprenditore, l’esperto non abbia radicalmente escluso la sussistenza di qualsiasi concreta prospettiva di risanamento.
Il raggiungimento delle suddette percentuali non può essere meramente prospettato, ma dev’essere reso oggetto, nell’ambito della relazione di cui all’art. 87, 3° comma, c.c.i.i., della specifica attestazione dell’esperto indipendente, al quale si richiede di pronunciarsi circa l’effettiva capacità della proposta e del piano a essa sotteso di assicurare i suddetti livelli di soddisfacimento. Il verbo è il medesimo della disposizione di cui all’art. 84, 4° comma, c.c.i.i.[66], il quale prescrive che, fatta eccezione per i piani con continuità aziendale, il concordato deve, per l’appunto, “assicurare” il soddisfacimento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. È quindi necessario che essa appaia davvero conseguibile, pur con l’alea tipica di qualsiasi valutazione prognostica. Pertanto il superamento della soglia stabilita dalla legge deve presentarsi, se non alla stregua di un elemento di assoluta certezza, quantomeno come altamente probabile (e non meramente possibile) e, come già detto, si richiede che di tale circostanza l’attestatore fornisca convinta e motivata conferma[67]; senza peraltro che ciò postuli in alcun modo l’obbligatoria prestazione di alcuna forma di garanzia[68].
L’art. 90, 5° comma, c.c.i.i. individua lo standard economico idoneo a esentare il ricorrente dal rischio di presentazione di proposte concorrenti facendo riferimento non già alla generica nozione di soddisfacimento dei creditori, bensì a quella, più specifica, di “pagamento”, che pare postulare un versamento in denaro[69]. Ciò nondimeno si è ipotizzato che vi sarebbe la possibilità di superare il mero dato letterale, considerando il termine “pagamento” come (improprio) sinonimo di “soddisfacimento” [70]. In questo modo si consentirebbe “agli organi della procedura, in sede di delibazione di ammissibilità della proposta concorrente, il compito, non certo facile e non oggettivo, di procedere a una “conversione” teorica della modalità di soddisfacimento in una possibile percentuale di pagamento, onde valutare per questa via se è raggiunta o meno la soglia minima che impedisce l’apertura alle proposte concorrenti”[71].
Le ragioni sottese all’interpretazione meno restrittiva[72] – tesa a evitare differenziazioni nel grado di protezione del debitore dal mercato dipendenti dalla tipologia di prestazione prospettata – non paiono tuttavia sufficienti a giustificare una così netta deviazione dal testo della disposizione. Sembra infatti preferibile ritenere che, ferma la possibilità di prospettare ai creditori un soddisfacimento in qualsiasi forma (com’è consentito dall’art. 85, 3° comma, lettera a), c.c.i.i.), solo la previsione di un versamento in numerario sia idonea a provocare l’automatica sterilizzazione della competitività, verosimilmente in considerazione dell’obiettiva maggior appetibilità delle offerte in denaro rispetto a quelle che contemplano trattamenti alternativi e, in qualche modo, “atipici”[73].
Con riguardo al il quando del versamento, in assenza di indicazioni contrarie[74] deve ammettersi la possibilità di dilazione, sicché l’esenzione dalla competizione opera in tutti i casi di pagamento in numerario della percentuale prevista, ancorché il versamento non sia immediato[75].
Ulteriore questione attiene alle modalità di computo della percentuale ogniqualvolta la proposta preveda la differenziazione del trattamento dei creditori chirografari mediante la loro suddivisione in classi, ormai divenuta obbligatoria in tutti gli scenari di continuità aziendale. Secondo la tesi più rigorosa le proposte concorrenti diverrebbero inammissibili solo quando il livello di soddisfacimento prescritto sia assicurato a tutti i chirografari, con la conseguenza che a tutte le classi andrebbe prospettato un pagamento non inferiore alla soglia di legge[76]. La norma sembra tuttavia consentire anche una lettura diversa. Dal momento che la disposizione non fa riferimento al trattamento dei singoli creditori chirografari, ma si limita a stabilire che l’importo del pagamento offerto deve essere quantomeno pari a una determinata percentuale del complessivo ammontare dei crediti chirografari, sembra possibile affermare che l’esenzione dalla competitività scatti ogniqualvolta il trattamento medio assicurato sia superiore a quello prescritto dalla legge, pur in presenza di singole classi alle quali sia offerta una percentuale inferiore[77].
Occorre infine chiedersi se l’esenzione operi soltanto in relazione alla prima versione della proposta del debitore o se, al contrario, di essa possa beneficiare anche la sua successiva modifica, determinando l’inammissibilità sopravvenuta delle proposte concorrenti medio tempore presentate. In assenza di espresse limitazioni alla portata applicativa dell’art. 90, 5° comma, c.c.i.i., la tesi che ne circoscrive l’efficacia alla versione originale della proposta del debitore appare priva di diretti appigli normativi, tanto che è generalmente preferita la diversa soluzione che ammette la possibilità, per il debitore, di escludere i concorrenti dalla competizione mediante una modifica migliorativa che conduca al superamento delle soglie di esenzione[78]. Va tuttavia segnalato che ha avuto seguito, in giurisprudenza, l’orientamento opposto e più permissivo, mosso dal – peraltro obiettivamente apprezzabile – interesse a non penalizzare il presentatore della proposta concorrente inizialmente ammissibile, oltre che la generalità dei creditori[79].
6. Il contenuto della proposta concorrente, il correlato piano e il perimetro della relazione dell’esperto indipendente
La proposta concorrente è, a tutti gli effetti, una vera e propria proposta di concordato preventivo, assoggettata alle medesime disposizioni che governano quella del debitore, pur con gli aggiustamenti che si rendono necessari per via del suo innesto su di una procedura già avviata[80].
Il terzo proponente gode delle stesse libertà ed è astretto dai medesimi vincoli del ricorrente originario[81]. Anche la proposta concorrente deve fondarsi su un piano teso al soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività a un assuntore o qualsiasi altra forma (art. 84, 1° comma, c.c.i.i.). L’intervento del terzo può quindi declinarsi tanto secondo il modello della continuità aziendale (diretta o indiretta) quanto secondo schemi liquidatori, essendo in questo secondo caso comunque necessario rispettare l’obbligo di apporto di risorse esterne idonee a incrementare di almeno il dieci per cento l’attivo disponibile al momento di presentazione della domanda, oltre che assicurare ai creditori chirografari un soddisfacimento minimo del venti per cento (art. 84, 4° comma, c.c.i.i.).
La proposta concorrente va ad aggiungersi, per definizione, a quella originaria, confrontandosi e competendo con essa[82]. Non è tuttavia necessario che la prospettazione del terzo sia omogenea a quella del debitore[83]: egli è libero di costruire lo scenario alternativo con piena discrezionalità (ferma, naturalmente, l’osservanza della legge), senza essere in alcun modo vincolato dalle pregresse scelte dell’imprenditore. Di conseguenza, la proposta concorrente può indifferentemente adottare una soluzione di continuità aziendale o di liquidazione, in maniera del tutto indipendente dall’opzione che caratterizza l’impostazione del debitore[84]. Del resto, nulla vieta ai creditori di optare per la soluzione liquidatoria, anche preferendola all’impostazione fondata sulla prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa[85]. Tale risultato è del resto coerente con la circostanza che nel concordato preventivo – diversamente da quanto accade nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi – le istanze tese alla conservazione dei complessi produttivi e alla salvaguardia dei livelli occupazionali, pur non irrilevanti[86], restano tuttora comunque ancillari rispetto alla tutela del credito[87].
Dalla possibile disomogeneità nelle soluzioni enucleate dall’autonomia privata discende il rischio che le plurime proposte concretamente formulate risultino non agevolmente comparabili[88], con conseguente difficoltà di stabilire quale sia quella in assoluto migliore. Tale circostanza non deve tuttavia sorprendere. A differenza di quanto si verifica in materia di offerte concorrenti (laddove spetta agli organi della procedura selezionare l’offerta più idonea a massimizzare il tasso di recovery dei creditori, attraverso una apposita gara che postula la piena confrontabilità delle diverse opzioni sul tappeto), in questo caso l’individuazione della soluzione da preferirsi è rimessa alla discrezionale valutazione di convenienza dei creditori, da effettuarsi attraverso l’espressione del voto[89].
Di qui la necessità di escludere che la proposta concorrente vada considerata ammissibile solo se migliore di quella originaria[90]. Proprio la difficoltà di effettuare una comparazione in termini assoluti induce infatti a ritenere che la competizione debba estendersi a tutte le soluzioni concretamente enucleate, indipendentemente dal loro contenuto e alla sola condizione che rispettino i requisiti di legge.
Posta la sostanziale equivalenza, a livello di contenuto, tra la proposta concorrente e quella originaria, occorre chiedersi se il terzo debba corredare la propria prospettazione di tutti i documenti che l’imprenditore in crisi è tenuto ad allegare al ricorso. Nonostante il menzionato parallelismo, sembra ragionevole opinare che, in ragione del fatto che l’iniziativa in competizione è inevitabilmente destinata a innestarsi sull’originaria domanda del debitore, sia superfluo il deposito ex novo dei documenti prescritti dall’art. 39, 1° e 2° comma, c.c.i.i.[91]. Gli ultimi bilanci, la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria, lo stato analitico ed estimativo delle attività, l’elenco dei creditori e quello dei titolari di diritti reali o personali sui beni del debitore, le indicazioni circa la consistenza patrimoniale degli eventuali soci illimitatamente responsabili nonché il riepilogo degli atti di straordinaria amministrazione dell’ultimo quinquennio hanno tutti una funzione essenzialmente descrittiva delle condizioni dell’impresa al momento dell’accesso alla procedura; sicché, una volta che essa sia stata assolta dall’originario ricorrente, non sembra utile (né, tantomeno, necessario) che l’incombente venga replicato. A ciò si aggiunga che le informazioni necessarie per la predisposizione del menzionato set documentale si trovano – almeno di regola – nella esclusiva disponibilità del debitore, con la conseguenza che si rivelerebbe oggettivamente incongrua l’imposizione in capo al terzo dell’onere di produrle. Deve anzi ritenersi che proprio gli allegati al ricorso originario costituiscano la prima base di dati idonea a permettere a eventuali interessati di effettuare le proprie valutazioni in vista dell’eventuale presentazione di proposte concorrenti.
Mentre il terzo può essere esentato dal deposito dei documenti sin qui indicati, la sua iniziativa, oltre a estrinsecarsi nella formulazione di una prospettazione di soddisfacimento dei creditori, deve necessariamente fondarsi sul piano di cui all’ art. 87 c.c.i.i. Ancorché la legge individui l’oggetto della competizione nelle proposte, la concorrenza si esplica tra impostazioni che necessariamente sottendono piani tra loro alternativi, sicché forse dovrebbe più propriamente parlarsi di proposte e piani concorrenti; e ogni piano, a propria volta, postula – a pena di inammissibilità[92] – la relazione dell’esperto indipendente di cui all’art. 87, 3° comma, c.c.i.i.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, la legge peraltro stabilisce che l’oggetto della nuova attestazione è ben più circoscritto di quella originaria. Essa verte esclusivamente sulla fattibilità del piano, essendo oggettivamente superflua un’ulteriore verifica della veridicità dei dati aziendali[93]. Anche in questo caso la ratio della disposizione va individuata nella volontà di evitare inutili duplicazioni: tenuto conto che i dati aziendali vanno obbligatoriamente esposti dal ricorrente originario (il solo, del resto, che ne ha la piena e completa disponibilità) e che è requisito essenziale per l’ammissione al concordato che la loro veridicità sia stata oggetto di positivo scrutinio da parte del (primo) esperto indipendente, la rinnovazione dell’incombente non sarebbe di alcuna utilità.
Per quanto attiene alla fattibilità del piano, è stato previsto un onere di attestazione “a geometria variabile”. La sua trattazione può essere limitata ai soli profili che non siano già stati verificati dal commissario giudiziale, con la precisazione che, in assenza di novità, la relazione dell’esperto indipendente può addirittura essere omessa[94]. Tale prescrizione mira, con tutta evidenza, a favorire la presentazione delle proposte concorrenti, rendendo più agevole e di conseguenza più celere il processo di attestazione[95]. Ciò può suscitare qualche perplessità[96], nella misura in cui si permette al terzo di avvantaggiarsi, a “costo zero”, del lavoro del commissario e, a monte, dell’esperto nominato (e pagato) dal debitore[97]. D’altro canto, tale beneficio sembra pienamente giustificato dalle oggettive esigenze di speditezza imposte dagli stringenti limiti temporali entro i quali l’iniziativa del terzo può validamente esplicarsi[98].
Al fine di determinare l’esatto perimetro dell’intervento dell’esperto indipendente, può essere utile la classificazione delle proposte concorrenti come “parassitarie”, “derivate” o “originali”[99], secondo una gradazione cui fa da contraltare un onere di attestazione di fattibilità di intensità crescente. È ragionevole ritenere che la relazione di cui all’art. 87, 3° comma, c.c.i.i. possa essere del tutto omessa laddove l’impostazione del terzo ricalchi pedissequamente quella del debitore, differenziandosi da essa soltanto per elementi accessori, quali – in ipotesi – la prestazione di garanzie idonee a rendere sostanzialmente certo il livello di soddisfacimento offerto nel contesto di uno scenario di continuità aziendale. Nella situazione in cui, invece, la prospettazione concorrente, pur sovrapponendosi a quella originaria, se ne distacchi sotto il profilo dell’offerta economica (ad esempio perché preveda una ripartizione del surplus concordatario più favorevole per la massa), l’attestazione può probabilmente circoscriversi alla certificazione dell’idoneità del piano a generare tale maggior flusso a favore dei creditori. A questa fattispecie sembra in qualche misura assimilabile il caso del piano originario che si componga di più misure (si pensi alla combinazione della prosecuzione di un ramo aziendale con la liquidazione di un secondo comparto produttivo, ritenuto non più strategico) e della proposta concorrente che mutui soltanto alcune di esse (prospettando, ad esempio, la continuazione o la liquidazione di entrambi i rami, anziché di uno soltanto): anche qui lo scrutinio dell’esperto può verosimilmente limitarsi a prendere in considerazione esclusivamente l’effettiva mutazione dello scenario di base. Ogniqualvolta, invece, i drivers della proposta concorrente siano radicalmente diversi da quelli individuati dall’imprenditore in crisi (e, quindi, in tutte le situazioni in cui ci si trovi dinanzi a proposte concorrenti profondamente disomogenee rispetto a quella originaria), non pare possibile prescindere da una compiuta ed esaustiva attestazione di fattibilità.
7. Le proposte concorrenti come strumento di acquisizione del controllo dell’impresa: l’aumento del capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione e le altre modifiche statutarie
Le proposte concorrenti si attagliano a fenomeni che, dal punto di vista della sostanza economica, si rivelano profondamente eterogenei. Da un lato vi sono gli interventi di modifica, più o meno ampia, della proposta e del piano dell’imprenditore, i quali, senza privarlo del ruolo di attore protagonista, tuttavia lo costringono a recitare un copione diverso da quello originale[100].Dall’altro si pongono gli interventi animati da intenti acquisitivi, in quanto – segnatamente nei contesti di continuità aziendale diretta – mirano al subingresso del terzo nella posizione dell’imprenditore insolvente[101].
Queste ultime operazioni di norma si concretizzano in proposte concorrenti strutturate secondo gli schemi del concordato per assunzione o basate su piani che postulano interventi sul capitale idonei a determinare la diluizione dei soci originari, quando non la loro integrale fuoriuscita dalla compagine sociale. Esse si risolvono nel trasferimento (in via immediata nel primo caso, mediata dallo schermo societario nel secondo) della sostanziale disponibilità del patrimonio dell’imprenditore insolvente al terzo (o al soggetto dallo stesso individuato); il quale – beninteso – non l’acquista a costo zero. Al contrario, egli è chiamato a farsi carico di impegni oggettivamente gravosi, dovendo assicurare, secondo le modalità e nel rispetto dei termini prospettati, il reperimento delle risorse necessarie per la copertura del fabbisogno concordatario, facendosi carico in proprio (direttamente come assuntore o, indirettamente, quale nuovo socio di controllo) dell’obbligo di attuare il piano e di adempiere alla proposta[102].
Ove declinata in conformità a questi paradigmi, l’iniziativa concorrente assolve non solo alla funzione di favorire la regolazione dell’insolvenza più idonea a incrementare il tasso di recovery (che non appare prioritaria), ma anche (e soprattutto) a quella di stimolare il mercato delle imprese in difficoltà. La prospettazione di uno scenario alternativo più appetibile per i creditori si trasforma in una sorta di corollario accessorio di operazioni che sembrano doversi inquadrare anzitutto tra i fenomeni del trasferimento delle realtà produttive e, limitatamente agli interventi sul capitale di debitori costituiti in forma societaria, del cambio di controllo. In tali situazioni il vero intento del proponente non è tanto quello di vedere incrementato l’importo che riceverà dal concordato nella sua qualità di creditore, bensì quello di conseguire l’apprensione del patrimonio (e, normalmente, dell’impresa) del debitore.
In questa prospettiva si colloca una disposizione (oggi inserita all’art. 90, 6° comma, c.c.i.i.) che nel 2015, all’epoca della sua introduzione, presentava un carattere di forte innovazione e che ha fatto in qualche modo da apripista alle previsioni successivamente apportate dall’art. 120-bis, 2° comma, c.c.i.i., di portata generale perché estese a qualsiasi proposta e piano di regolazione della crisi (non solo nelle forme del concordato preventivo)[103] relativi a imprese costituite in forma societaria, anche al di fuori del meccanismo della competitività; il che – a ben vedere – induce a interrogarsi, nel mutato quadro normativo, sull’opportunità della permanenza della disposizione speciale in materia di proposte concorrenti, la cui conservazione deve probabilmente attribuirsi a una riscrittura tralaticia e, in fin dei conti, a un difetto di coordinamento.
L’art. 90, 6° comma, c.c.i.i. stabilisce che la proposta concorrente non solo può contemplare l’intervento di soggetti terzi rispetto al debitore e al proponente (come accade, ad esempio, quando quest’ultimo non coincida con l’eventuale assuntore, o il piano si basi su una offerta di acquisto esterna)[104], ma può altresì prevedere, se il debitore è costituito da una società per azioni o a responsabilità limitata, un aumento di capitale con limitazione, o finanche esclusione, del diritto di opzione. Il terzo è così messo in condizione, oltre che di intervenire sulla conformazione della proposta e del piano (e, quindi, di disporre del patrimonio della società debitrice, fino – ove lo ritenga – ad acquisirlo), di incidere sulla composizione della compagine sociale, con la facoltà di modificarla ab imis fundamentis. Se si considera, del resto, che le società che accedono al concordato preventivo senza essere in grado di prospettare ai creditori un trattamento eccedente le soglie di esenzione dalla disciplina delle proposte concorrenti sono certamente contraddistinte da un patrimonio netto negativo, l’esclusione del diritto di opzione dei vecchi soci consente l’azzeramento del precedente assetto proprietario e la conseguente concentrazione dell’intero capitale nelle mani dei nuovi sottoscrittori[105].
È ben vero che l’omologazione può (e deve, quantomeno laddove ci si trovi al cospetto di un piano con continuità aziendale diretta) determinare la ricostituzione del capitale sociale e che ciò può realizzarsi anche a vantaggio dei vecchi soci, ma quest’ultimo scenario è meramente eventuale. L’entità e le modalità della ricapitalizzazione costituiscono infatti una variabile dipendente del piano, che può liberamente individuarne le fonti in apporti esterni, nella riduzione del passivo per stralcio o nella sua (parziale) conversione in equity[106], nonché nella combinazione di questi fattori. Di conseguenza, ogniqualvolta la ricostituzione del capitale provocata dal concordato sia l’effetto non della mera ristrutturazione delle obbligazioni sociali mediante il loro opportuno abbattimento, bensì di un vero e proprio aumento del capitale (con l’apporto di risorse fresche o la conversione di crediti), i vecchi soci possono conservare il proprio ruolo solo attraverso l’esercizio dell’opzione; vale a dire esattamente di quel diritto che la disciplina in esame permette di paralizzare.
Essa estende il campo di azione del terzo proponente oltre il perimetro oggettivo del patrimonio del debitore, fino a intaccarne la sfera soggettiva. La disciplina concorsuale legittima iniziative che possono definirsi “doppiamente acquisitive”, quali sono quelle in cui il terzo proponente, insieme all’acquisto (indiretto) del patrimonio della società insolvente, si appropria (direttamente) della stessa, dando luogo a una sorta di subingresso “di secondo grado”, operato, per l’appunto, al livello dei soci. È invero ragionevole ipotizzare che, laddove scelga di avvalersi della possibilità di dare luogo all’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, il terzo riservi proprio a sé medesimo (o a un suo veicolo) l’ingresso nella compagine sociale[107], se del caso stabilendo che il versamento si consumi mediante la conversione dei crediti di cui egli sia titolare, magari per averli acquistati proprio al fine di conseguire la legittimazione a entrare in competizione con l’imprenditore[108].
Tale strumento contribuisce senz’altro ad ampliare il novero delle possibili esplicazioni dell’autonomia privata del terzo, permettendogli di giocare ad armi pari con la società debitrice. Egli può sottoporre ai creditori soluzioni fondate sulla continuità aziendale diretta, senza rinunciare a gestire in prima persona l’esecuzione del piano e l’adempimento della proposta, attraverso la nomina, quale nuovo socio di controllo, di amministratori di propria fiducia[109].
In passato sono peraltro state fornite letture divergenti del rapporto tra la disciplina concorsuale e quella societaria[110], inteso vuoi come mera giustapposizione, con conseguente coordinamento dei precetti; vuoi – come sembra preferibile[111], tanto più alla luce delle innovazioni di cui agli artt. 120-bis ss. c.c.i.i. – secondo lo schema della piena specialità, dal quale discende l’applicazione della (sola) lex specialis, in luogo di quella generale.
Secondo la prima opzione ermeneutica, la norma concorsuale non derogherebbe a quella societaria, ma occorrerebbe addivenire a una lettura congiunta dei due regimi. Il terzo proponente avrebbe sì il potere di procedere all’aumento del capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione, ma sarebbe comunque onerato dell’osservanza dei limiti imposti dagli artt. 2441[112] e 2481-bis c.c.[113]. Ciò equivale a dire che “l’esclusione (o la limitazione) del diritto di opzione è possibile, nella s.p.a. emittente azioni non quotate, solo se i) le nuove azioni devono essere liberate mediante un conferimento in natura (cfr. art. 2441, co 4°, c.c.); ii) l’interesse sociale lo esige (cfr. art. 2441, co. 5°, c.c.); iii) le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società debitrice (o di altre società che la controllano o sono dalla prima controllate: cfr. art. 2441, co. 8°, c.c.). Per l’esclusione del diritto di sottoscrizione nella s.r.l., invece, la facoltà deve essere prevista dall’atto costitutivo (cfr. art. 2482 bis, co. 1°, c.c.), altrimenti non se ne parla”[114].
Chi muove da questa impostazione sottolinea altresì che, da un lato, almeno di regola l’aumento di capitale viene previsto in denaro; dall’altro, in una situazione di crisi l’interesse sociale esige la ricapitalizzazione, ma non l’esclusione del diritto di opzione in capo a soci, che ben potrebbero risolversi a sottoscrivere l’aumento[115]. Né spiragli davvero significativi possono aprirsi in relazione al possibile ruolo dei dipendenti. Di qui la conclusione che, “con l’unica eccezione di una s.r.l. debitrice che contenga nel suo atto costitutivo una illimitata possibilità di offerta ai terzi delle quote di nuova sottoscrizione (e salvo il problema del recesso dei soci ex art. 2481 bis, co. 1°, c.c.), sarà pressoché impossibile sottrarre coattivamente ai vecchi soci il diritto di opzione. Al limite, si potrà immaginare una proposta concorrente con aumento del capitale sociale e con impegno del proponente (o di un terzo designato) alla sottoscrizione dell’aumento sospensivamente condizionato alla preventiva rinuncia all’esercizio del diritto di opzione da parte di tanti soci che consentano comunque al sottoscrittore di conseguire il controllo della società debitrice, salvo ogni dubbio in ordine all’ammissibilità di proposte concordatarie condizionate”[116].
Questa lettura, pur comprensibilmente mossa dall’intento di salvaguardare le prerogative dei soci, non sembra potersi ritenere davvero persuasiva. Essa rischia di rivelarsi contraria alla lettera e allo spirito della disposizione concorsuale[117], di cui fornisce un’interpretazione sostanzialmente abrogante e, come tale, difficilmente accettabile.
Occorre anzitutto tenere in debito conto il dato per cui la legge stabilisce, con formulazione tranchant e senza specificazioni che ne attenuino la forza, che la proposta del terzo può prevedere l’aumento del capitale e, soprattutto, che ciò può comportare la limitazione o perfino l’esclusione del diritto di opzione. Tenuto conto che la possibilità di inserire la suddetta operazione sociale straordinaria nel contesto di una proposta concorrente si desume altresì dall’art. 118, 6° comma, c.c.i.i., il quale crea i presupposti per l’ottenimento di una sorta di delibera assembleare coatta, la vera portata precettiva dell’art. 90, 6° comma, c.c.i.i. sembra doversi ravvisare proprio nella compressione delle prerogative dei vecchi soci, senza necessità di osservare alcuna ulteriore condizione. Ne discende la conferma dell’attitudine di tali disposizioni a derogare tout court al regime societario; sicché si rivelerebbe incongruo subordinare la limitazione o, a seconda dei casi, l’esclusione del diritto di opzione anche al positivo riscontro dei requisiti contemplati dagli artt. 2441 e 2481-bis c.c.
Sembra pertanto preferibile ritenere che la legge concorsuale abbia individuato una aggiuntiva (e speciale) ipotesi di esclusione del diritto di opzione, che si affianca a quelle prescritte dalla normativa societaria[118]. Pertanto, ove si dia corso a una proposta concorrente, nei modelli azionari può impedirsi ai vecchi soci di partecipare anche agli aumenti in denaro, senza necessità di verificare che l’interesse sociale esiga il sacrificio degli azionisti. Nella società a responsabilità limitata, parimenti, non occorre che la limitazione o l’esclusione del diritto dei vecchi soci di sottoscrivere le nuove quote sia prevista dallo statuto.
Come si è anticipato, la disciplina in esame va peraltro oggi coordinata con la più ampia previsione di cui all’art. 120-bis, 2° comma, c.c.i.i., che di fatto ne assorbe la portata. Essa infatti stabilisce che, nell’ambito di qualsiasi regolazione della crisi o dell’insolvenza di un’impresa societaria, il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto, inclusi aumenti e riduzioni del capitale, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidano direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. Pertanto, da un lato la deroga alle disposizioni di cui agli artt. 2441 e 2481-bis c.c. non è più una peculiarità delle proposte concorrenti, bensì una previsione estesa a tutti gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, anche nei casi – e sono, naturalmente, i più frequenti – nei quali il piano sia elaborato dall’organo amministrativo. Dall’altro, anche il piano sotteso a una proposta concorrente, ove riferito a un’impresa societaria, può contemplare qualsiasi modifica statutaria e qualsiasi operazione straordinaria senza necessità di procacciarsi l’approvazione assembleare, trovando applicazione il peculiare meccanismo di esecuzione previsto dall’art. 120-quinquies c.c.i.i.
La nuova legge si fa altresì carico di predisporre meccanismi di tutela dei soci, affidati, oltre che alla concessione alla minoranza qualificata della legittimazione alla presentazione di proposte concorrenti (art. 120-bis, 5° comma, c.c.i.i.), al meccanismo del classamento di cui all’art. 120-ter c.c.i.i.
8. Le proposte concorrenti nel concordato di gruppo
Nel codice manca un espresso coordinamento delle regole in materia di proposte concorrenti con la disciplina del concordato di gruppo[119]. Spetta quindi all’interprete enucleare le interrelazioni tra i due istituti e, in particolare, individuare come possa validamente atteggiarsi l’iniziativa del terzo dinanzi all’unica domanda formulata da più società del medesimo gruppo; la quale sembra porre interrogativi di non poco momento sotto il duplice profilo del perimetro della proposta concorrente e del computo delle soglie di legittimazione del proponente, nonché di esenzione a favore del debitore; senza dire delle oggettive criticità che rischiano di sorgere nella fase deliberativa.
Fermo restando che il terzo può formulare una proposta concorrente di gruppo solo nel caso in cui sia già stato depositato un unico ricorso di accesso al concordato (non avendo egli la possibilità di influire sulla costruzione della domanda), la circostanza che la proposta concorrente non debba conformarsi alla concreta articolazione della proposta e del piano del debitore potrebbe indurre a ritenere che neppure l’opzione per il concordato di gruppo sia vincolante per il terzo. Ove ci si ponesse in questa prospettiva, si dovrebbe sostenere che, come i ricorrenti possono valutare con piena discrezionalità se avvalersi o meno dello strumento di gestione unitaria della crisi, anche il terzo resterebbe libero sia di adottare una soluzione che si collochi al medesimo livello, sia di limitarsi a formulare soluzioni atomistiche per le singole società della compagine (o per una o alcune soltanto di esse), contravvenendo alla originaria impostazione dei ricorrenti.
Questa lettura potrebbe forse trovare un’indiretta conferma nel tenore letterale dell’art. 286, 5° comma, seconda parte, c.c.i.i., il quale – nel prescrivere che i creditori di ciascuna società “votano in maniera contestuale e separata sulla proposta presentata dalla società loro debitrice” e che il concordato di gruppo è approvato quando le “proposte delle singole imprese del gruppo” sono approvate dalle maggioranze di cui all’art. 109 c.c.i.i. – sembrerebbe presupporre che, nonostante l’unitarietà del ricorso e, ove i debitori si orientino in tal senso, del piano, le proposte restano distinte per ciascuna società, sicché la competizione di cui all’art. 90 c.c.i.i. ben potrebbe esplicarsi anche su base atomistica.
Pur nella consapevolezza della non decisività dell’argumentum ab inconvenienti, non può sottacersi che tale conclusione rischia di rivelarsi largamente insoddisfacente, nella misura in cui, ogniqualvolta la preferenza fosse accordata alla proposta della monade, verrebbero automaticamente meno le condizioni di fattibilità del piano unitario o, comunque, dei piani correlati (quale corollario del collegamento con essi), con conseguente verosimile concretizzazione di un epilogo coincidente con la liquidazione giudiziale per tutte le altre società del gruppo (salvo che anche i loro creditori optino per una prospettazione concorrente di stampo autarchico, sempre che sia effettivamente formulata). A esse non sarebbe infatti neppure concesso di modificare il proprio piano unitario (o i propri piani interrelati) per tenere conto della defezione della società in relazione alla quale sia prevalsa la proposta concorrente monade: dal momento che i creditori delle singole società del gruppo votano in maniera separata ma contestuale (art. 286, 5° comma, c.c.i.i.), la prevalenza dell’impostazione concorrente circoscritta alla singola realtà può essere nota solo quando sia ormai decorso, per tutte le società del gruppo, il termine di venti giorni antecedente all’inizio delle operazioni di voto entro il quale è consentita la modifica del piano e della proposta (artt. 90, 8° comma, e 105, 4° comma, c.c.i.i.).
Al fine di addivenire a una soluzione diversa occorre anzitutto dimostrare che non sia decisivo il dato della separazione delle singole proposte desumibile dal tenore letterale dell’art. 286, 5° comma, c.c.i.i. In effetti esso ben potrebbe essere inteso nel senso che i creditori di ciascuna società si esprimono sul trattamento loro specificamente riservato dal loro debitore, senza che ciò implichi una vera e propria dichiarazione di autonomia di ogni singola proposta. A ciò si aggiunga che l’unicità della domanda e la pacifica incapacità del terzo di influire su di essa (non essendo legittimato a proporla) potrebbero indurre a deporre nel senso che il perimetro soggettivo della crisi (o dell’insolvenza) cui la specifica procedura di concordato debba fornire una risposta sia definitivamente fissato nel ricorso, con la conseguenza che tutti i piani e le proposte, da chiunque formulati, risultano ammissibili solo se estesi all’intera compagine degli instanti.
Ove si acceda a questa interpretazione (che parrebbe in effetti doversi preferire), la proposta concorrente dovrebbe necessariamente anch’essa articolarsi secondo lo schema del concordato di gruppo, ferma la libertà del terzo di optare per un piano unitario o per piani collegati in piena libertà e senza dover seguire, a questo riguardo, la medesima impostazione degli imprenditori in crisi.
Come si è anticipato, l’assenza di un esplicito coordinamento tra la disciplina del concordato di gruppo e quella delle proposte concorrenti impone di confrontarsi con il calcolo delle soglie di legittimazione e di esenzione, dovendosi acclarare se esse vadano computate sulla base della singola società (e della sua sola esposizione debitoria) o, al contrario, tenendo conto dell’intero gruppo.
In assenza di deroghe a quanto stabilito dall’art. 90, 1° comma, c.c.i.i. e anche al fine di evitare che la parametrazione della percentuale alla complessiva esposizione debitoria del gruppo renda eccessivamente oneroso l’accesso alla proposta concorrente, sembrerebbe ragionevole ritenere che la legittimazione spetti al creditore di qualsiasi società ricorrente che abbia raggiunto, in relazione al proprio specifico debitore, la soglia di crediti prescritti. Si potrebbe osservare che, in questo modo, egli finirebbe per acquisire ampie possibilità di manovra anche in relazione a società delle quali non è creditore; il che, tuttavia, non sembra potersi considerare una conseguenza patologica, costituendo piuttosto il logico corollario della scelta di tutte le società ricorrenti, operata in via del tutto discrezionale, di legare le proprie sorti concordatarie a quelle delle consorelle.
Anche l’esenzione dalla competitività parrebbe doversi computare su base atomistica, nel senso che la proposizione di proposte concorrenti sembra preclusa ai creditori di quelle tra le società ricorrenti che assicurino un trattamento almeno pari a quello indicato dall’art. 90, 5° comma, c.c.i.i. I creditori delle altre società (ove ve ne siano) conservano invece la legittimazione e, per effetto della unitarietà della procedura, hanno la possibilità (e l’onere) di estendere la competizione a tutto il gruppo. Si potrebbe obiettare che, in questo modo, potrebbero darsi situazioni di sostanziale espropriazione a danno di imprenditori in stato di mera crisi (e non insolventi). Sennonché anche in questo caso la censura di (sospetta) incostituzionalità sembra poter essere superata dal ruolo che nella fattispecie gioca la volontà del debitore: egli, acconsentendo alla sottoscrizione di una domanda di concordato di gruppo, accetta (quantomeno implicitamente) il rischio di esporsi a una proposta concorrente contraddistinta dal medesimo perimetro soggettivo, quand’anche sia in grado di assicurare ai propri creditori le percentuali di cui all’art. 90, 5° comma, c.c.i.i.
Un ulteriore profilo di potenziale criticità generato dalla relazione tra il concordato di gruppo e le proposte concorrenti attiene, come si è anticipato, alla fase deliberativa. Dinanzi a prospettazioni alternative, infatti, le operazioni di voto non assolvono unicamente alla funzione di approvare (o respingere) il concordato, ma, ancor prima, sono deputate a selezionare la proposta prevalente. Sennonché la circostanza che il menzionato art. 286, 5° comma, c.c.i.i. stabilisca che i creditori di ciascuna società si esprimono autonomamente rischia di creare pericolosi disallineamenti a livello di preferenze, nel senso che, nelle diverse realtà del gruppo, potrebbe prevalere talora la proposta del debitore, talaltra quella del terzo. Con la conseguenza che, quand’anche in ciascuna società si formasse una maggioranza a favore dell’opzione concordataria (che potrebbe quindi astrattamente ritenersi approvata), potrebbe nondimeno verificarsi una inconciliabile disparità di vedute sulla concreta soluzione da adottare, il che finirebbe fatalmente per dischiudere la strada all’insuccesso della procedura minore e, di norma, all’apertura della liquidazione giudiziale; pur al cospetto di una pluralità di (ragionevolmente più appetibili) scenari concordatari.
In assenza di una disciplina di coordinamento (che, anche sotto questo profilo, sarebbe stata senz’altro opportuna), una lettura diversa passa necessariamente per una interpretazione “ortopedica” del combinato disposto degli artt. 109, 2° comma, e 286, 5° comma, c.c.i.i. Dovrebbe infatti reputarsi prevalente la proposta che abbia conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto non nella singola società, bensì a livello di gruppo, in tal modo individuando l’unica soluzione da sottoporre nuovamente ai creditori di tutte le realtà coinvolte onde appurare se vi siano le condizioni per la sua definitiva approvazione.
9. L’accesso alle informazioni da parte del terzo
La presentazione di una proposta concorrente postula anzitutto che il terzo sia messo in condizione di conoscere a fondo la realtà dell’impresa, colmando, per quanto possibile, il gap che, sotto questo profilo, necessariamente lo separa dal debitore[120]. A questo fine l’art. 92, 3° comma, c.c.i.i. stabilisce che, su richiesta di uno o più creditori, nonché di uno o più soci (data l’estensione anche a questi ultimi delle legittimazione), il commissario giudiziale, valutata la congruità dell’istanza e previa assunzione degli accorgimenti più idonei a tutelare la riservatezza dei dati aziendali, fornisce le informazioni in suo possesso che ritenga utili per la predisposizione di una iniziativa concordataria in concorrenza con quella del debitore, senza limitazione a quelle ricavabili dalla scritture contabili e fiscali obbligatorie.
La scelta di riservare l’accesso alle informazioni soltanto ai creditori e ai soci è coerente con il regime della legittimazione alla presentazione delle proposte concorrenti. D’altro canto, non sembra che, in questa fase embrionale, l’instante debba aver già raggiunto la soglia prescritta per poter validamente competere con il primo ricorrente. Al contrario, è ben possibile – e del tutto fisiologico – che il terzo, ove non sia ab origine un creditore o un socio qualificati, proceda in primo luogo a fare quanto necessario per poter prendere visione dei dati e solo successivamente a valutare se affrontare davvero l’intero investimento che gli permetta di raggiungere la quota del dieci per cento dell’esposizione debitoria o del capitale[121]. In altri termini, di regola inizialmente egli si limiterà ad acquisti assai più modesti, che valgono comunque a procurargli lo status di creditore o di socio, rinviando la successiva tranche di acquisti a una fase successiva.
Ciò non significa, tuttavia, che la consistenza del diritto di credito o della partecipazione del richiedente sia del tutto irrilevante ai fini in esame, essendo ragionevole ritenere che anch’essa possa (e debba) essere soppesata dal commissario giudiziale nell’ambito della valutazione circa la “congruità” – da intendersi anzitutto come serietà [122] – dell’istanza. Quella che, ad esempio, promanasse da un soggetto titolare di crediti modesti e, al contempo, obiettivamente privo della capacità finanziaria di acquisire i residui necessari per conseguire la legittimazione alla presentazione della proposta concorrente dovrebbe probabilmente essere giudicata come un’iniziativa meramente strumentale e, come tale, meritevole di rigetto, in quanto tesa unicamente a carpire informazioni riservate sull’impresa in procedura.
Per ciò che concerne l’oggetto della disclosure, la legge non stila un elenco tassativo delle informazioni che è possibile mettere a disposizione degli interessati. Si è preferita una formulazione aperta, incentrata sulla nozione dell’utilità, da valutarsi caso per caso in relazione alla eventuale presentazione di una proposta concorrente. Il potenziale spettro dell’accesso ai dati è quindi molto ampio e spazia da quelli patrimoniali, economici e finanziari a quelli attinenti ai profili industriali, alle strategie di business, al collocamento sul mercato, ai rapporti con i fornitori e i clienti. Di qui la necessità che il commissario giudiziale dosi con attenta ponderazione l’accesso alle informazioni[123].
Non a caso, la legge attribuisce al predetto organo il compito di soppesare se accogliere la richiesta del terzo e, in caso positivo, entro quali limiti effettuare la disclosure. Si affida quindi all’ufficio commissariale una funzione di filtro senz’altro opportuna[124], anche se, tenuto conto della necessità di procedere al bilanciamento tra interessi contrapposti, sarebbe forse stato più coerente con il sistema rimettere la questione al giudice delegato[125]. La criticità non va peraltro sovrastimata, atteso che è comunque sempre possibile provocare l’intervento giurisdizionale attraverso l’esperimento del reclamo di cui all’art. 133 c.c.i.i.[126].
Nella diffusione delle informazioni vanno in ogni caso adottate – come detto – le cautele più idonee a tutelare la riservatezza del debitore. Occorre anzitutto vincolare gli instanti al rispetto di stringenti non disclosure agreements[127], se del caso presidiati da congrue cauzioni o penali. Tale accorgimento potrebbe tuttavia rivelarsi non esaustivo, non potendosi escludere che si renda altresì opportuno effettuare una attenta selezione delle informazioni, se del caso depurandole dei dati maggiormente sensibili, tanto più ove (pur utili) non siano strettamente necessari al fine di consentire al terzo di elaborare la propria proposta[128].
Il concreto atteggiarsi dell’azione commissariale in materia non sembra poter prescindere dalle peculiarità di ciascuna fattispecie. Laddove il primo ricorrente abbia enucleato uno scenario meramente liquidatorio vi saranno infatti più esigue remore a dare corso a una accesso pieno alle informazioni, non essendovi, ragionevolmente, segreti aziendali da proteggere. La situazione muta, invece, dinanzi alle soluzioni fondate sulla continuità aziendale, al cospetto delle quali cresce l’importanza della difesa della riservatezza da iniziative di stampo opportunistico (intraprese, ad esempio, da imprese concorrenti), in quanto funzionale alla tutela non solo dell’imprenditore in crisi, ma anche dei suoi creditori, che vedrebbero frustrate le proprie aspettative di soddisfacimento laddove l’appeal del complesso aziendale venisse compromesso dalla incauta diffusione di dati sensibili.
Al commissario è quindi affidato un compito particolarmente delicato, da adempiere con equilibrio e con un’adeguata dose di pragmatismo. Per un verso va assicurato al terzo seriamente interessato l’accesso ai dati utili (o, quantomeno, a quelli necessari) per valutare la fattispecie e, se del caso, formulare la propria proposta; per l’altro, non può obliterarsi che l’eventuale consolidamento di prassi eccessivamente largheggianti nella condivisione di informazioni potrebbe tradursi in un grave nocumento per l’imprenditore (e, sia pur indirettamente, per i suoi creditori) e, di conseguenza, in un insidioso disincentivo all’adozione dello strumento concordatario ogniqualvolta ancora vi sia una realtà aziendale da salvare[129].
Ferma l’importanza del ruolo attribuito al commissario giudiziale, merita evidenziare – per quanto si tratti di circostanza ovvia – che egli è in grado di fornire ai terzi esclusivamente le informazioni di cui disponga, per averle a propria volta ricevute dal debitore. A tale stregua, la diffusione di dati che non trovino riscontro nel piano e nella proposta dell’imprenditore in crisi (o, comunque, nei documenti posti a corredo degli stessi) postula la collaborazione del debitore; il che pone il problema della reazione al suo eventuale ostruzionismo.
Tenuto conto che il tribunale non dispone di poteri coercitivi in materia (essendo quelli di cui all’art. 118 c.c.i.i. destinati a esplicarsi soltanto nella fase esecutiva), l’unico rimedio a livello concordatario sembra coincidere con l’attivazione del subprocedimento di revoca dell’ammissione ai sensi dell’art. 106 c.c.i.i., quantomeno ogniqualvolta la condotta dell’imprenditore, per la sua rilevanza, assuma i connotati del vero e proprio atto di frode[130]. Sennonché tale sanzione, pur rappresentando un significativo stimolo all’adempimento del debitore (particolarmente potente quando siano pendenti istanze di liquidazione giudiziale), non si traduce in una diretta tutela dell’istanza del terzo, la cui protezione postulerebbe un intervento sull’imprenditore o, ove si tratti di società, sul suo organo amministrativo[131]. La prematura interruzione dell’iter concordatario non apporta alcun beneficio al terzo, che si vede anzi definitivamente privato della possibilità di intervenire nell’insolvenza del debitore.
10. La presentazione e l’eventuale modifica della proposta concorrente
La presentazione della proposta concorrente è ammissibile solo all’interno di una ben precisa finestra temporale[132].
Essa presuppone che sia intervenuto il deposito, da parte dell’imprenditore, del piano e della proposta originari. Tale incombente è infatti indispensabile perché sia verificabile l’ammissibilità dell’iniziativa del terzo, la quale risulterebbe paralizzata laddove il debitore fosse stato in grado di assicurare la soglia minima di soddisfacimento che lo pone al riparo dalla concorrenza. Deve pertanto escludersi che la proposta concorrente possa essere validamente formalizzata prima che il debitore sia stato ammesso al concordato e, in particolare, nella fase “in bianco” di cui all’art. 44 c.c.i.i.[133].
Il dies ad quem è fissato nel trentesimo giorno antecedente l’inizio delle operazioni di voto. Tale scadenza è successiva al deposito della relazione commissariale, che deve intervenire quarantacinque giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto (art. 105, 1° comma, c.c.i.i.). Ciò consente al terzo non solo di fruire in via preventiva di un documento oggettivamente assai rilevante con riguardo agli aspetti informativi, ma anche di profittare della possibilità di circoscrivere il perimetro della relazione dell’esperto indipendente ai soli profili di fattibilità che non siano già stati positivamente vagliati dal commissario.
Non può tuttavia sottacersi che il breve lasso di tempo (appena quindici giorni) che separa il termine per il deposito della relazione commissariale da quello per la presentazione della proposta concorrente potrebbe rivelarsi insufficiente per procedere al confezionamento da zero dell’iniziativa del terzo, soprattutto quando sia comunque necessario il coinvolgimento, più o meno ampio, dell’esperto indipendente. Di qui l’importanza dell’avvalersi con tempestività e sin dalle prime fasi della procedura, inclusa quella “in bianco”, della facoltà di accedere alle informazioni aziendali, in conformità a quanto stabilito dall’art. 92, 3° comma, c.c.i.i. Non peraltro escludersi che, dinanzi a situazioni particolarmente complesse o nelle quali – in ipotesi anche a causa di ritardi imputabili al debitore – sia stato possibile raccogliere i dati necessari per evadere le istanze informative del terzo solo in prossimità della scadenza del termine per la presentazione delle proposte concorrenti, il commissario richieda al giudice delegato di valutare un congruo differimento dell’inizio delle operazioni di voto, per la quale non è previsto un termine perentorio[134].
La legge prescrive che, nella menzionata relazione, si deve dare conto di tutte le proposte presentate[135]. Sicché, salvo il caso – per vero improbabile – in cui il terzo dia corso alla propria iniziativa senza attendere il deposito del predetto documento, dalla presentazione di una proposta concorrente discende l’onere, per il commissario, di redigere un’integrazione al proprio elaborato, da depositarsi entro quindici giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto (art. 105, 3° comma, c.c.i.i.)[136].
Nella propria relazione (o, comunque, nella sua integrazione) egli, all’esito di un attento vaglio critico, deve illustrare le diverse soluzioni sul tappeto con adeguato livello di dettaglio, procedendo altresì alla loro comparazione (art. 105, 4° comma, c.c.i.i.)[137]. Tale confronto non implica peraltro che le proposte debbano essere tra loro omogenee: nel caso in cui le soluzioni prospettate si basino su percorsi talmente divergenti da risultare incommensurabili, il commissario ben può limitarsi a rappresentare ai creditori le caratteristiche di ciascun percorso, soffermandosi sui punti di forza e di debolezza di ciascuno; senza che vi sia alcuna necessità di individuare la prospettazione in assoluto migliore[138], atteso che – diversamente da quanto accade in materia di offerte concorrenti – la selezione è affidata non agli organi della procedura, bensì alla valutazione di convenienza effettuata in via discrezionale dalla massa attraverso il voto.
Tutte le proposte (sia quella originaria che le eventuali concorrenti) sono modificabili fino al ventesimo giorno precedente l’inizio delle operazioni di voto (artt. 90, 8° comma, e 105, 4° comma, c.c.i.i.)[139]. Nell’ipotesi in cui gli interessati decidano di avvalersi di tale facoltà, il commissario giudiziale dispone di un lasso di tempo davvero molto contenuto (appena cinque giorni) per integrare ulteriormente la propria relazione; il che – soprattutto dinanzi a modifiche articolate o contraddistinte da particolare complessità – potrebbe indurlo a formulare istanza al giudice delegato affinché sia disposto il differimento delle operazioni di voto, così tuttavia provocando, ove lo slittamento sia sufficientemente ampio, la riapertura sia del termine per la presentazione di eventuali proposte concorrenti aggiuntive che di quello per le modifiche a quelle già formulate.
La facoltà di emendare le proposte consente a ciascun concorrente (incluso l’imprenditore), una volta conosciuta la prospettazione degli avversari, di migliorare la propria, onde tentare di procacciarsi il consenso della maggioranza dei creditori[140]. La competizione non si esplica, tuttavia, tra soggetti in posizione di piena parità, in quanto il debitore sembra godere di un’arma di cui gli altri contendenti invece non dispongono. Come si è visto, laddove, per effetto della modifica, egli incrementi il livello di soddisfacimento assicurato ai creditori fino a raggiungere (o a superare) le soglie di cui all’art. 90, 5° comma, c.c.i.i., le proposte concorrenti devono considerarsi automaticamente caducate per sopravvenuta inammissibilità; salvo ritenere – senza però un chiaro appiglio normativo – che dell’esenzione dalla competitività possa avvantaggiarsi solo l’imprenditore che abbia raggiunto i prescritti standard quantitativi sin dall’inizio.
Per ciò che concerne i profili di forma, la proposta concorrente si introduce con ricorso al tribunale, da depositarsi nell’ambito del procedimento concordatario già instaurato dall’imprenditore e avvalendosi del patrocinio di un legale [141]. Nel caso in cui il terzo coincida con una società, non è necessaria l’adozione delle formalità di cui all’art. 120-bis, 1° comma, c.c.i.i., applicabile solo all’iniziativa della società in crisi o insolvente[142].
Parimenti inapplicabile alle proposte concorrenti sembra la previsione che impone la pubblicazione nel registro delle imprese a cura della cancelleria e la comunicazione al pubblico ministero, secondo le prescrizioni di cui all’art. 40, 3° comma, c.c.i.i.[143]. In questo senso depone anzitutto il dato letterale: tali disposizioni si riferiscono espressamente alla domanda (non alla proposta) di concordato, vale a dire a un atto che non solo va tenuto distinto dalla proposta (e dal piano), ma costituisce altresì prerogativa esclusiva del debitore. A ciò si aggiunga che il momento pubblicitario assolve alla funzione di rendere edotti i terzi dell’accesso alla procedura, non anche di diffondere il contenuto del piano e della proposta (chiunque ne sia l’autore), com’è dimostrato dal fatto che non sono sottoposte ad alcun onere di pubblicazione nel registro delle imprese le modifiche che il debitore apporti, in costanza di procedura, all’impostazione originaria. Dal che deriva che la prima iscrizione (riferita, per l’appunto, alla domanda del debitore) può ritenersi esaustiva e non vi è necessità di replicare la formalità in occasione delle eventuali iniziative concorrenti.
Per quanto concerne il pubblico ministero, egli è opportunamente allertato dalla comunicazione della domanda, sicché la rinnovazione dell’adempimento in occasione dell’intervento del terzo potrebbe risultare una inutile duplicazione. Non vi è del resto ragione di temere che il pubblico ministero resti all’oscuro della presentazione di eventuali proposte concorrenti, atteso che egli figura tra i destinatari della relazione commissariale (art. 105, 1° comma, c.c.i.i.).
11. Il vaglio di ammissibilità
Una volta depositata, la proposta del terzo è soggetta al vaglio del tribunale, che si pronuncia sulla sua ammissibilità. Ancorché l’art. 90, 7° comma, c.c.i.i. faccia specifico riferimento alla sola verifica della correttezza dei criteri di formazione delle classi, sembra doversi ritenere che lo spettro del sindacato giudiziale sia più ampio e coincida con il perimetro dell’accertamento sull’ammissibilità della proposta del debitore[144], con l’aggiunta dell’accertamento della sussistenza dei requisiti, soggettivi e oggettivi, cui la legge subordina la valida presentazione della proposta concorrente.
Questa lettura non è, tuttavia, pacifica. Muovendo dal dato letterale è stato sostenuto che il tribunale debba invece limitarsi a pronunciarsi esclusivamente sulla corretta formazione delle classi, omettendo la disamina di qualsivoglia profilo ulteriore. A supporto di questa lettura si è osservato che l’art. 107, 2° comma, c.c.i.i. prescrive di sottoporre al voto tutte le proposte, salvo consentire che eventuali contestazioni in punto ammissibilità siano sollevate dai creditori (inclusi i terzi proponenti) o dal debitore (art. 107, 4° comma, c.c.i.i.). Da ciò si è tratta la conclusione che, con riguardo alle proposte concorrenti, al collegio non spetterebbe alcuna funzione di filtro, perché tutte le prospettazioni (incluse quelle inammissibili) andrebbero poste all’attenzione dei creditori. Competerebbe poi al giudice delegato determinare, all’esito del contraddittorio instaurato in epoca immediatamente antecedente alle operazioni di voto, quali proposte rendere oggetto del meccanismo di approvazione[145]. Laddove peraltro, anche per via dell’assenza di osservazioni critiche da parte dei controinteressati, il consenso della maggioranza dovesse in concreto convergere su una proposta affetta da vizi di inammissibilità, essi potrebbero comunque essere rilevati nel corso del giudizio di omologazione[146].
Come anticipato, questa interpretazione non convince. Solo in apparenza essa sembra la più aderente alla lettera della legge, mentre a un esame più approfondito rivela la propria intima contraddittorietà; senza dire delle criticità di cui sarebbe foriera sul piano operativo.
A rivelarsi scarsamente persuasivo è anzitutto l’assunto secondo il quale l’art. 107, 2° comma c.c.i.i. prescriverebbe la sottoposizione al voto anche delle proposte inammissibili. Ove davvero il contenuto della previsione fosse questo, lo stesso vaglio preventivo circa la corretta formazione delle classi (espressamente previsto dall’art. 90, 7° comma, c.c.i.i.) si rivelerebbe superfluo o, comunque, privo di effetto. Le disposizioni in esame vanno quindi intese, più ragionevolmente, nel senso che – diversamente da quanto accade per il concordato nella liquidazione giudiziale, ove la scelta circa la proposta da comunicare ai creditori è rimessa al comitato dei creditori (art. 241, 2° comma, c.c.i.i.) – tutte le proposte, purché ammissibili, devono essere portate all’attenzione dei creditori, non essendo possibile operare, a monte della votazione, alcuna selezione basata su criteri di convenienza o di opportunità.
Merita altresì osservare che le previsioni di cui all’art. 107, 2° comma, c.c.i.i., secondo le quali almeno dieci giorni prima delle operazioni di voto i creditori (incluso il terzo proponente) e il debitore possono formulare osservazioni e sollevare contestazioni con riguardo ai profili di ammissibilità, si riferiscono a qualsiasi proposta, inclusa quella formulata dal debitore, nonostante essa abbia necessariamente già superato il vaglio del collegio. Ciò induce a concludere che questa fase di verifica – la quale estende il contraddittorio sull’ammissibilità anche a soggetti non coinvolti nella prima decisione collegiale – si aggiunge al precedente sindacato del tribunale, senza sostituirlo. In altre parole, la legge ha stabilito un momento di rivalutazione dei requisiti di ammissione, nell’ambito del quale possono essere portati all’attenzione del giudice delegato profili di cui, in ipotesi, il tribunale non abbia potuto inizialmente tenere conto; con la precisazione che, ove egli li ritenga rilevanti, non potrà far altro che rinviare le operazioni di voto, per rimettere la questione al collegio[147].
Sia la tasi dell’affidamento del sindacato sull’ammissibilità delle proposte concorrenti al giudice delegato nell’imminenza dell’apertura delle operazioni di voto sia quella del suo assorbimento nel giudizio di omologazione presentano inoltre oggettive criticità sotto il profilo dell’adeguata tutela dei diritti dei soggetti coinvolti. Nel primo caso, infatti, il terzo la cui proposta fosse illegittimamente esclusa dalla votazione rischierebbe, quand’anche esperisse vittoriosamente il reclamo di cui all’art. 124 c.c.i.i., di non poter comunque rientrare in partita in tempo utile; quantomeno ogniqualvolta il meccanismo di approvazione si concluda prima (o in sostanziale coincidenza) con il giudizio impugnatorio. Nel secondo, invece, si rischierebbe di mettere a repentaglio la possibilità di dare corso alla soluzione alla crisi formulata dal debitore (e necessariamente sottoposta al preventivo vaglio di ammissibilità del collegio) preferendole una impostazione viziata al punto di risultare inammissibile, con serio pericolo che l’omologazione venga sic et simpliciter rigettata e si dia luogo, sussistendone le condizioni, alla dichiarazione della liquidazione giudiziale dell’imprenditore insolvente, nonostante egli avesse elaborato una proposta e un piano ammissibili; salvo che, alla luce delle nuove circostanze, sopraggiungano ai sensi dell’art. 110, 3° comma, c.c.i.i., modifiche dei voti sufficienti a determinare l’approvazione della proposta originaria. Senza considerare che il differimento del giudizio di ammissibilità alla fase dell’omologazione appare oggettivamente in contrasto con il principio di economia processuale[148].
Alla luce di queste considerazioni, è senz’altro preferibile opinare che il tribunale sia tenuto, anche con riguardo alle proposte concorrenti, a emettere un provvedimento con cui ne disponga l’ammissione o, a seconda delle ipotesi, ne dichiari l’inammissibilità[149]; se del caso previa concessione al terzo di un termine non superiore a quindici giorni per apportare eventuali intergazioni al proprio piano o per produrre nuovi documenti, in conformità alla previsione dell’art. 47, 4° comma, c.c.i.i.[150].
Una volta che il vaglio di ammissibilità sia stato positivamente superato la proposta concorrente può essere finalmente comunicata ai creditori (art. 90, 7° comma, c.c.i.i.), nonché resa oggetto della relazione commissariale e sottoposta al voto.
Il provvedimento sull’ammissione della proposta concorrente è senz’altro reclamabile[151]. Per un verso, infatti, si pone l’esigenza di fornire adeguata tutela al terzo ingiustamente escluso dalla competizione che voglia rientrare in gara prima della sua celebrazione, sempre che l’impugnazione venga concretamente decisa prima della conclusione delle operazioni di voto; il che non è peraltro scontato, tenuto conto del serrato incedere dell’iter concordatario[152]. Per l’altro, sembra comunque opportuno permettere ai controinteressati (a cominciare dal debitore) di provocare l’esclusione dalla competizione della proposta concorrente che sia stata ammessa in violazione dei requisiti di legge. In particolare, il decreto che nega l’ammissione deve ritenersi reclamabile dinanzi alla corte d’appello, al pari di quanto stabilito dall’art. 47, 4° comma, c.c.i.i. per l’iniziativa del debitore. Nel caso di provvedimento positivo vi è invece spazio per il reclamo di cui all’art. 124 c.c.i.i., esperibile da chiunque vi abbia interesse[153].
12. La selezione della proposta prevalente attraverso il voto
La presenza di proposte concorrenti incide sulle operazioni di voto, le quali, in tali situazioni, assolvono a una duplice funzione: non è sufficiente che si accolga o rigetti il concordato, ma occorre anzitutto selezionare lo specifico piano di regolazione dell’insolvenza che, in caso di esito positivo della consultazione e una volta ottenuta l’omologazione, dovrà essere concretamente attuato[154].
Diversamente da quanto accade in materia di concordato nella liquidazione giudiziale, laddove si sottopone all’approvazione dei creditori esclusivamente la proposta scelta dal comitato dei creditori (fatta salva la possibilità che il giudice delegato, su istanza del curatore, estenda la votazione anche alle altre proposte ritenute parimenti convenienti: art. 241, 2° comma, c.c.i.i.)[155], la legge prescrive che tutte le proposte siano messe ai voti, alla sola condizione che esse siano state previamente ritenute ammissibili dal tribunale.
Per quanto concerne le modalità di espressione del consenso (o del diniego, al quale è equiparata l’astensione)[156], si procede a sottoporre ai creditori ciascuna proposta, partendo da quella del debitore[157] per poi passare a quelle concorrenti, queste ultime da presentarsi in ordine cronologico secondo la data del loro deposito (art. 107, 2° comma, c.c.i.i.). Ciò significa che i creditori sono chiamati a esprimere il proprio voto su ciascuna soluzione, in successione ma nella medesima occasione[158], con piena discrezionalità di valutazione su tutte le opzioni e senza obbligo di manifestare la propria preferenza per una di esse soltanto[159].
Nulla vieta, quindi, l’ipotetica adesione a tutte le prospettazioni, che potrebbe essere mossa dall’intento di favorire il buon esito del concordato indipendentemente dalla sua declinazione, valutando preminente l’interesse a scongiurare lo scenario alternativo della liquidazione giudiziale[160]. È tuttavia verosimile che ciascun creditore si determini a esprimere il proprio assenso solo con riferimento alla proposta che gli appaia maggiormente conveniente, al fine di attribuire all’impostazione più gradita un vantaggio differenziale sulle altre. Né la manifestazione di una specifica preferenza pare scontare il rischio che, per effetto della parcellizzazione dei consensi, spalmati su più opzioni alternative, nessuna raggiunga le maggioranze prescritte per l’approvazione del concordato. La legge ha infatti opportunamente previsto una sorta di doppio turno: una volta individuata la proposta che ha riscosso il più elevato gradimento (avendo ottenuto, in prima battuta, la maggioranza relativa dei consensi), essa sola va nuovamente sottoposta al voto dei creditori, onde permettere loro di esprimersi in maniera secca sull’approvazione sua e, al contempo, del concordato[161].
Più nel dettaglio, per effetto del sistema regolato dall’art. 109, 2° comma, c.c.i.i. (non privo, per vero, di qualche profilo di macchinosità)[162], prevale sulle altre la proposta che abbia conseguito la maggioranza (relativa) più elevata dei crediti ammessi al voto; con la precisazione che, in caso di parità, si preferisce la proposta del debitore[163] o, se questa non figuri tra quelle posizionatesi ex aequo al primo posto, quella depositata per prima. Nell’ipotesi in cui la proposta prevalente abbia altresì raggiunto le maggioranze di cui all’art. 109, 1° o 5° comma, c.c.i.i., essa deve intendersi immediatamente approvata, con conseguente possibilità di dare impulso alla fase dell’omologazione. Diversamente, il giudice delegato, con provvedimento da adottarsi entro trenta giorni dalla chiusura della prima tornata delle operazioni di voto (e, in particolare, dal deposito della relazione commissariale sul loro esito), sottopone nuovamente ai creditori la sola proposta prevalente, onde verificare se su di essa convengano consensi sufficienti a determinarne l’approvazione.
La circostanza che i creditori siano chiamati a pronunciarsi per due volte (salvo – come detto – che la proposta prevalente risulti altresì immediatamente approvata) e per fini non esattamente coincidenti (nel primo caso, per l’appunto, per individuare la proposta vincente; nel secondo, per approvarla) induce a ritenere che, nella seconda tornata, essi possano esprimere il proprio assenso (o dissenso) in totale libertà, con conseguente possibilità, ove lo ritengano, di schierarsi in senso divergente dalla prima manifestazione di voto[164].
Il grado di complessità del meccanismo è accresciuto dal fatto che le maggioranze per l’approvazione del concordato e la stessa platea di creditori ammessi al voto sono suscettibili di variare a seconda della proposta presa in considerazione. La suddivisione in classi può infatti essere articolata diversamente in ciascuna prospettazione, mentre il diverso atteggiarsi dell’eventuale falcidia del privilegio (speciale come generale) può comportare variazioni, anche significative, con riguardo numero dei creditori ammessi al voto o, comunque, sull’entità delle loro pretese[165].
La necessità di individuare una sola proposta vincitrice impone di adottare un criterio di prevalenza univoco e, allo stesso tempo, idoneo ad adattarsi anche alle situazioni nelle quali la base di computo possa mutare da una soluzione all’altra. Sembra pertanto doversi considerare – in aderenza, del resto, al dato letterale – esclusivamente il parametro della maggioranza (relativa) dei crediti, calcolata tenendo conto, per ciascuna proposta, del complessivo importo delle adesioni in rapporto all’intero monte dei crediti di volta in volta ammessi al voto[166]. In altre parole, la selezione va espletata raffrontando soltanto le percentuali di adesione raccolte dalle singole proposte, non i valori assoluti dei crediti assenzienti, sicché ben potrebbe risultare preferita l’impostazione che abbia ricevuto consensi per un controvalore inferiore a quello delle soluzioni concorrenti, ma al cospetto di una più esegua quantità di crediti ammessi al voto, per via dell’integrale soddisfacimento di privilegiati resi oggetto di degrado negli scenari alternativi. Da ciò deriva che, nel primo round, non rilevano né le adesioni a livello di classi[167], né la regola della maggioranza per teste prevista dall’art. 109, 1° comma, c.c.i.i. limitatamente al caso del c.d. creditore “tiranno” (vale a dire del soggetto che accentri su di sé la titolarità della maggioranza dei crediti); fermo restando che entrambe queste soglie vanno naturalmente rispettate ai fini dell’approvazione della proposta (rilevando quindi, essenzialmente, nel “secondo turno” di votazioni).
13. La partecipazione al voto del terzo proponente
L’art. 109, 6° comma, c.c.i.i. esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi[168]. Tra essi ben si potrebbe collocare il creditore terzo proponente[169] (unitamente alle società da egli controllate, che lo controllano o sottoposte a comune controllo), per il quale, tuttavia, è previsto un regime speciale. Egli è ammesso al voto, purché venga collocato in una autonoma classe (art. 109, 7° comma, c.c.i.i.), sicché solo l’omesso ricorso alla sua segregazione ne impedisce la partecipazione alla fase dell’approvazione, con conseguente scomputo dal quorum dei crediti di cui sia titolare[170]. Pur in assenza di indicazioni espresse, la medesima soluzione sembra poter essere adottata quando la proposta concorrente sia formulata da un socio e i soci siano chiamati a votare ai sensi dell’art. 120-ter c.c.i.i.
La soluzione del classamento è stata ritenuta non pienamente soddisfacente sotto il profilo dell’effettività del presidio[171], nella misura in cui genera un’oggettiva disparità di trattamento tra il terzo proponente e il debitore, il quale non concorre in alcun modo né alla selezione della proposta prevalente né all’approvazione del concordato[172].
D’altro canto, l’attribuzione al terzo proponente di un vantaggio competitivo potrebbe ritenersi non irragionevole alla luce, da un lato, delle finalità perseguite dall’istituto delle proposte concorrenti; dall’altro, della necessità di compensare, per quanto possibile, l’oggettivo squilibrio che intercorre tra la posizione del debitore e quella del terzo, affinché la competizione possa esplicarsi a parità di armi.
Per quanto concerne il primo aspetto, l’ammissione al voto si rivela coerente con l’intenzione di stimolare il mercato dei crediti deteriorati, atteso che il terzo può essere indotto ad acquistarne una quantità maggiore (superiore, cioè, alla soglia di legittimazione) proprio al fine di far pesare il proprio pacchetto nella formazione delle maggioranze[173].
Con riguardo al secondo profilo, potrebbe ritenersi che l’attribuzione al terzo proponente del vantaggio determinato dalla possibilità di partecipare al voto sortisca l’effetto non già di falsare la concorrenza, bensì di rendere effettiva la competizione, contribuendo a bilanciare quella naturale situazione di preminenza di cui gode l’imprenditore. Soltanto il debitore dispone di informazioni di prima mano sulla propria situazione; egli solo è legittimato a proporre la domanda di concordato e, di conseguenza, è l’unico a poter scegliere non solo il momento in cui attivare la procedura, ma anche se e quando rinunciarvi; ove formuli una proposta che assicuri ai creditori il livello di soddisfacimento indicato dalla legge, rende automaticamente inammissibili le iniziative dei terzi; egli resta titolare del potere di gestione (ancorché sotto il controllo degli organi della procedura) per tutta la durata del concordato. Questi elementi, nel loro insieme, forniscono al debitore un oggettivo vantaggio competitivo, al cospetto del quale la (parziale) esenzione dagli oneri di attestazione e l’ammissione al voto disposte a favore del terzo proponente appaiono probabilmente giustificabili, proprio nell’ottica di provare ad accorciare le distanze.
14. La gestione dell’impresa in costanza di procedura e l’esposizione del terzo proponente al rischio di revoca dell’ammissione e di rinuncia alla domanda del debitore
La legge non prevede appositi strumenti di protezione dell’iniziativa del terzo in costanza di procedura, quando il debitore, pur colpito dallo spossessamento attenuato tipico del concordato, conserva la gestione dell’impresa. In questa fase è del tutto fisiologico che egli ponga in essere atti coerenti con il proprio piano (ancorché ancora in attesa dell’approvazione dei creditori) e, quando necessario, chieda di essere autorizzato a eseguirli. Non può tuttavia escludersi che essi, soprattutto se connotati da elementi di straordinarietà, presentino profili di incompatibilità con le proposte alternative eventualmente prospettate[174].
Sotto questo aspetto il vantaggio competitivo di cui gode il debitore si rivela difficilmente colmabile.
L’intera ordinaria amministrazione esula dall’area d’influenza degli organi della procedura, sicché l’imprenditore resta libero di orientarla in conformità al proprio piano e alla propria proposta, senza alcun obbligo di tenere in considerazione le istanze del terzo proponente.
Un più ampio margine di manovra può invece ipotizzarsi con riferimento alle operazioni di portata straordinaria. Esse postulano l’autorizzazione del giudice delegato (art. 94 c.c.i.i.), il quale, nel pronunciarsi sulla richiesta, deve tenere conto dell’impatto che l’atto è idoneo a spiegare non solo sull’impostazione del debitore, ma anche su quella dei terzi[175]. Pertanto, quando non sussistano ragioni di particolare urgenza, potrebbe rivelarsi opportuno rinviare l’attuazione delle misure che non appaiano neutre ai fini della competizione a data successiva alla conclusione delle operazioni di voto[176].
Per ciò che concerne, invece, le condotte che il debitore adotti con il preciso scopo di ostacolare il terzo[177], ad esempio rifiutando di mettere a disposizione del commissario giudiziale le informazioni utili per la predisposizione della proposta concorrente, in assenza di specifici strumenti coercitivi l’unica sanzione prospettabile è quella, generale, della revoca dell’ammissione ai sensi dell’art. 106 c.c.i.i. Essa, ancorché foriera di conseguenze di segno negativo per il debitore, tuttavia non giova al terzo proponente, che vede comunque vanificata la possibilità di portare innanzi la propria iniziativa[178].
Parimenti, anche la rinuncia alla domanda da parte del debitore[179], possibile fino all’omologazione[180], comporta inevitabilmente l’interruzione della procedura e la conseguente automatica caducazione delle proposte concorrenti.
Nell’intento di scongiurare che le sorti della soluzione prospettata dal terzo siano assoggettate alle conseguenze sanzionatorie cui vada incontro l’imprenditore, quando non addirittura al suo mero arbitrio, è stato sostenuto che, venendo meno la proposta principale, la procedura potrebbe comunque proseguire in relazione alla sola proposta concorrente[181].
Ancorché le preoccupazioni sottese a questa interpretazione appaiano in larga misura condivisibili, essa non sembra tuttavia meritare accoglimento. Al terzo è preclusa la possibilità di formulare in proprio la domanda di concordato, la quale resta prerogativa esclusiva del debitore. Dal punto di vista processuale la sua posizione non è quindi connotata da autonomia, presentando invece i caratteri tipici della dipendenza. Di conseguenza, qualsiasi circostanza determini la caducazione dell’iniziativa principale provoca necessariamente altresì l’automatica estinzione delle proposte concorrenti[182]. Tale conclusione trova conferma nel disposto dell’art. 43, 1° comma, c.c.i.i., il quale stabilisce che, in caso di rinuncia alla domanda di cui all’art. 40 c.c.i.i., il procedimento prosegue su iniziativa del pubblico ministero o degli altri intervenuti (tra i quali possono includersi i terzi proponenti), ma solo ai fini dell’apertura della liquidazione giudiziale (non, quindi, dell’omologazione della proposta concorrente).
15. L’omologazione della proposta concorrente e i presidi della sua esecuzione
In caso di prevalenza e approvazione della proposta concorrente, il giudizio di omologazione verte su di essa[183]. Ciò peraltro non produce variazioni significative a livello procedimentale[184], fatta salva la necessità che il terzo si costituisca nel menzionato giudizio, comunque aperto a tutti gli interessati (art. 48, 2° comma, c.c.i.i.) e a cui deve naturalmente partecipare anche il debitore, il quale in quella sede può far valere le proprie eventuali ragioni di opposizione[185].
Il consolidamento del procedimento concordatario sulla proposta concorrente prevalente è definitivo: le prospettazioni alternative decadono, inclusa quella del debitore. Pertanto, nell’eventualità di diniego dell’omologazione, la procedura si interrompe; senza alcuna reviviscenza delle opzioni scartate in sede di operazioni di voto, quand’anche esse, pur non concretamente prevalse, avessero ugualmente conseguito le maggioranze necessarie per l’approvazione[186].
La sentenza che rigetta l’omologazione è naturalmente impugnabile ai sensi dell’art. 51 c.c.i.i. anche da parte del terzo proponente, il quale può altresì esperire reclamo contro l’eventuale dichiarazione della liquidazione giudiziale, essendo tale rimedio azionabile da qualunque interessato.
Quando l’omologazione sia invece concessa, ferma la reclamabilità secondo le forme del già richiamato art. 51 c.c.i.i. da parte di coloro che vi si fossero opposti (incluso, se del caso, il debitore), si apre la fase esecutiva, con la peculiarità che, prevalsa l’impostazione concorrente, deve per l’appunto darsi attuazione alla proposta e al piano del terzo.
Onde fronteggiare il rischio che il rifiuto del debitore di cooperare renda di fatto ineseguibile il concordato, in passato erano state introdotte specifiche contromisure per ovviare all’eventuale inerzia del debitore, attraverso la “forzosa” attuazione della proposta del terzo[187]. Tali rimedi, originariamente previsti per le sole proposte concorrenti, sono ben presto divenuti di portata generale[188] e trovano oggi collocazione nell’art. 118 c.c.i.i.[189].
Peraltro la revoca dell’organo amministrativo e la nomina dell’amministrazione giudiziario presuppongono necessariamente un apposito intervento del soggetto che ha presentato la proposta omologata. Solo a costui, infatti, l’art. 118, 5° comma, c.c.i.i. assegna il potere di formulare la denuncia al tribunale, incardinando esclusivamente nella sua iniziativa (e non, a quanto sembra, in quella commissariale di cui all’art. 118, 4° comma, c.c.i.i.) l’eventuale nomina di un amministratore giudiziale, con l’opportuna precisazione che restano in ogni caso salvi i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza. A tutta prima, l’istituto parrebbe concepito essenzialmente per offrire tutela al terzo proponente, così conservando alle proposte concorrenti un profilo di specialità sotto il profilo della loro esecuzione coatta. D’altro canto, non può escludersi che gli stessi amministratori possano avvalersene, naturalmente non per dolersi della propria inerzia, ma per superare quella dei soci che si oppongano all’adozione di una delibera indispensabile per l’attuazione del piano: ai sensi dell’art. 118, 6° comma, c.c.i.i., infatti, l’amministratore giudiziario può essere dotato dal tribunale del potere di convocare l’assemblea dei soci a qualsiasi scopo (e non soltanto ai fini della deliberazione dell’aumento di capitale)[190], esercitandovi altresì il voto limitatamente alle azioni o alle quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza[191]. Tale strumento va peraltro coordinato con le previsioni di cui agli artt. 120-bis ss. c.c.i.i., che sembrano destinate ad assorbirlo[192].
16. La risoluzione e l’annullamento del concordato basato sulla proposta concorrente
Dinanzi all’inadempimento del terzo alla proposta concorrente omologata che non sia sanato mediante i meccanismi di cui all’art. 118 c.c.i.i., al di là delle ordinarie azioni civili l’unico strumento esperibile a livello concorsuale coincide con la risoluzione. Nel caso di proposta concorrente la cui esecuzione sia rimessa al terzo, tuttavia, essa tuttavia sanzionerebbe, oltre al soggetto effettivamente inadempiente, anche il debitore, il quale, ancorché esente da colpa, perderebbe i vantaggi derivanti dall’omologazione; con il rischio che, a seguito di apposita istanza, sopraggiunga a suo carico la dichiarazione della liquidazione giudiziale.
Se tale scenario può lasciare, prima facie, insoddisfatti (tanto da indurre alcuni commentatori a escludere l’applicabilità della risoluzione alla proposta concorrente omologata)[193], occorre tuttavia considerare che la questione dell’inadempimento del terzo si pone soltanto quando egli si faccia direttamente carico dell’esecuzione del piano e della proposta, vale a dire essenzialmente nei casi delle proposte concorrenti acquisitive, di regola declinate mediante il concordato per assunzione o attraverso l’aumento del capitale. Nel primo caso la risoluzione è espressamente esclusa dall’art. 119, 5° comma, c.c.i.i.[194]; nel secondo, essa resta possibile, anche perché va – sia pur indirettamente – a danno del terzo, medio tempore divenuto socio di riferimento della debitrice. A ben vedere, quindi, il paventato rischio di aberratio ictus non sussiste: ove l’inadempimento sia riconducibile al terzo, egli risulta altresì il soggetto attinto dalle conseguenze della risoluzione (sempre che essa sia possibile).
Con riferimento ai profili di patologia, è stato altresì sostenuto che, in caso di approvazione e omologazione della proposta concorrente, non sarebbe invocabile il rimedio dell’annullamento del concordato. Tale impostazione muove dal presupposto che le condotte della dolosa esagerazione del passivo e della sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo sono ascrivibili al debitore (che in effetti predispone la situazione patrimoniale e l’elenco dei creditori), non al terzo proponente; il quale si limita a recepisce i dati esposti dell’imprenditore, di norma a valle delle verifiche del commissario giudiziale. In questa prospettiva, potrebbe sembrare incongrua l’opzione di far subire al terzo gli effetti dell’annullamento del concordato, atteso che esso dipende – per l’appunto – da condotte che non gli possono essere imputate[195].
Sennonché non si rinviene alcuna norma che deroghi al rimedio di cui all’art. 120 c.c.i.i. quando gli obblighi di esecuzione siano stati assunti da un terzo né, al contempo, sembra che il suo intervento sia idoneo, di per sé solo, a elidere la rilevanza di quello che costituisce un grave vizio genetico del concordato[196]. Pertanto, ove il consenso dei creditori sia stato coartato, perché il concordato “sia stato la risultante di raggiri dolosi o fraudolenti, di effetto decisivo in ordine alla valutazione dell’attivo o all’alterazione del passivo”[197] e – com’è possibile – tali raggiri si siano riverberati anche sulla proposta concorrente (ancorché concretamente perpetrati dal debitore), il diritto all’annullamento non sembra poter essere negato.
17. Le offerte concorrenti: il ricorso al mercato come presidio di eterotutela dei creditori
Le offerte concorrenti[198] mirano a stimolare la competizione tra i soggetti interessati ad acquisire beni dell’imprenditore, facendo prevalere chi prometta il corrispettivo più elevato (e, come tale, più idoneo a massimizzare il tasso di soddisfacimento dei creditori)[199], indipendentemente dalla preferenza che il ricorrente possa aver già accordato a un diverso offerente[200]. Si contrastano in questo modo le condotte opportunistiche che potrebbero annidarsi nei concordati chiusi o preconfezionati[201], al cospetto delle quali il rischio della mancata approvazione da parte dei creditori potrebbe talora non costituire un deterrente pienamente adeguato[202].
L’istituto valorizza gli elementi del controllo giurisdizionale e dell’eterotutela creditor oriented, a discapito delle istanze privatistiche provenienti dal debitore, che vede compressa l’area della propria discrezionalità[203]. Il contenuto della proposta e del piano sono resi permeabili all’azione del tribunale, ancorché nei limiti di quanto strettamente necessario per assicurare effettività alla competizione, che va sempre imperniata sull’offerta originaria. Quando essa sia superata da una migliorativa (in termini di incasso e, quindi, di vantaggio per i creditori), il piano e la proposta devono piegarsi alla nuova situazione di fatto, alla quale l’art. 91, 9° comma, c.c.i.i. prevede che ci si debba conformare.
18. Il presupposto applicativo: la sussistenza di un concordato chiuso
La legge riconnette l’area di operatività della disciplina delle offerte concorrenti esclusivamente alla presenza di un’offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione,verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni; con la precisazione che le medesime regole si applicano all’affitto dell’azienda e quando, prima dell’apertura della procedura, il debitore stipuli un contratto comunque finalizzato al trasferimento dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni aziendali.
Le regole in esame non si attaglino quindi alle situazioni in cui la vendita, pur prospettata, non sia supportata da un’offerta per la quale il debitore abbia manifestato gradimento. Ciò, beninteso, non perché quando manchi tale preselezione si possa abdicare alla competitività, ma semplicemente perché la sua attuazione è demandata alle regole di cui all’art. 114, 4° comma, c.c.i.i. [204], in forza delle quali alle cessioni poste in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione dello stesso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle vendite nella liquidazione giudiziale[205].
Per rientrare nell’alveo dell’art. 91 c.c.i.i. occorre pertanto che la soluzione concordataria sia fondata, inter alia, sull’offerta di un soggetto predeterminato, nel senso che l’imprenditore in crisi deve aver previsto la sua accettazione, quando non si sia addirittura determinato a formalizzarla prima del deposito del ricorso: alle offerte sono infatti espressamente equiparati, come detto, i veri e propri contratti idonei a trasferire, sia pure con effetto non immediato, i cespiti ricompresi nell’attivo dell’imprenditore in crisi. D’altro canto, quando l’offerta del terzo è rappresentata dallo stesso debitore non come elemento essenziale della soluzione concordataria, bensì quale mera opportunità di valorizzazione, da cogliere se (e solo se) si riveli davvero la migliore opzione di mercato, l’art. 91 c.c.i.i. cede il passo alle previsioni di cui all’art. 114, 4° comma, c.c.i.i.[206].
In questa prospettiva, nel coniare il sintagma “offerte concorrenti” il legislatore sembra aver fatto uso della figura retorica della sineddoche, adoperando un termine (“offerta”) il cui significato proprio è, al contempo, più ristretto e più ampio di quello in realtà sotteso dalla norma, la quale: da un lato, include anche i veri e propri contratti; dall’altro, esclude le offerte che non siano state in qualche modo recepite dal debitore[207].
19. Il labile nesso tra l’offerta e il piano: le offerte concorrenti nel concordato “in bianco”
La sede elettiva nella quale il debitore di norma rappresenta la volontà di basare la regolazione della propria crisi (anche) sulla specifica offerta del terzo è, naturalmente, il piano, indipendentemente dalla sua tipologia[208]. L’istituto si attaglia, infatti, sia alle liquidazioni che ai concordati con continuità indiretta, i quali del resto presuppongono l’alienazione del compendio aziendale[209]. Neppure la continuità diretta è del tutto immune all’art. 91 c.c.i.i., limitatamente alle fattispecie in cui – secondo o schema del concordato misto – si preveda la dismissione di assets non strategici[210].
D’altro canto il collegamento tra l’offerta e il piano non va enfatizzato. Ove esso fosse davvero indispensabile, se ne dovrebbe desumere l’applicabilità dell’art. 91 c.c.i.i. alle sole fattispecie di concordato “pieno”[211]. Sennonché il legislatore ha espressamente individuato proprio nella disciplina delle offerte concorrenti lo schema della competitività tipico della fase “in bianco”[212]: l’art. 91, 11° comma, c.c.i.i. stabilisce infatti che essa opera, nei limiti della compatibilità, anche ai casi in cui il debitore abbia chiesto e ottenuto l’assegnazione del termine per il deposito del piano; vale a dire con riguardo atti di straordinaria amministrazione dismissivi che l’imprenditore può compiere solo se urgenti e, comunque, dopo aver ottenuto il placet del collegio ex art. 46 c.c.i.i.[213].
Questa impostazione si rivela sostanzialmente coerente con la natura dell’istituto e, soprattutto, con la sua valenza di antidoto alle cessioni effettuate in assenza di preventiva interrogazione del mercato. Tenuto conto delle caratteristiche della fase introdotta dal ricorso di cui all’art. 44 c.c.i.i. (e, in particolare, sia dell’assenza di un piano da eseguire, sia della possibilità di dare luogo solo ad atti di straordinaria amministrazione che si rivelino urgenti), è infrequente che essa ospiti cessioni di attivi senza che sia pervenuta alcuna offerta per rilevarli. Anzi, di norma è proprio la ricezione di un impegno all’acquisto con efficacia circoscritta nel tempo l’elemento che fa sorgere il presupposto per la richiesta di autorizzazione[214].
La mancanza del piano non è quindi un ostacolo all’applicazione della disciplina delle offerte concorrenti, da attivarsi ogniqualvolta emerga (in qualsiasi fase della procedura) un’offerta di acquisizione di un cespite che l’imprenditore intenda accettare; ferma la necessità, perché il tribunale possa valutare la fattispecie, che l’istanza di autorizzazione si faccia carico di illustrare funditus i termini e le implicazioni dell’affare, supplendo all’impossibilità di inquadrare l’operazione nella più ampia cornice di una soluzione della crisi già compiutamente enucleata[215].
20. La natura e l’oggetto dell’offerta concorrente
Come si è detto, il meccanismo di cui all’art. 91 c.c.i.i. scatta in presenza tanto di un’offerta in senso proprio quanto di un’intesa preliminare. È in ogni caso indispensabile che l’operazione abbia carattere oneroso, ancorché il corrispettivo non debba necessariamente essere rappresentato da denaro[216]. Solo la previsione di un prezzo rende utile la ricerca del miglior offerente e, peraltro, assai difficilmente l’imprenditore in concordato potrebbe validamente dismettere cespiti a titolo di liberalità, perché si tratterebbe di atti pregiudizievoli per i creditori (al confine con la vera e propria distrazione), oltre che assai difficilmente giustificabili in una prospettiva d’impresa (quale pur sempre è quella in cui si colloca l’azione del ricorrente).
Per ciò che concerne l’offerta, essa non può consistere in una mera manifestazione di interesse o in una semplice dichiarazione di intenti[217], ma deve trattarsi di un impegno cogente e irrevocabile[218]. Non è invece necessario che essa sia cauzionata o garantita.
Con riguardo ai contratti già perfezionati, il regime delle offerte concorrenti si traduce nella deroga alla regola generale secondo la quale, nel concordato preventivo, i negozi pendenti restano validi ed efficaci, fatto salvo il regime della sospensione e dello scioglimento di cui all’art. 97 c.c.i.i. La disciplina speciale, infatti, congela le intese finalizzate al trasferimento dei cespiti attivi considerati, sottoponendo anch’esse alla prova del mercato.
Questi negozi possono assumere la forma più varia. La fattispecie più frequente è quella del contratto preliminare[219], ma può venire in considerazione anche, ad esempio, la concessione al terzo di un diritto di opzione di acquisto e, almeno secondo un certo orientamento giurisprudenziale, il contratto estimatorio[220]. È tuttavia essenziale che essi producano effetti meramente obbligatori (non reali): la procedura competitiva non può riguardare beni già trasferiti e, quindi, non più rinvenibili nell’attivo. In tali situazioni si pone unicamente il problema dell’apprezzamento della cessione già intervenuta nella diversa prospettiva del raffronto tra il concordato e la liquidazione giudiziale, anche per verificare la reale tenuta della dismissione rispetto all’eventuale rimedio revocatorio.
Quanto all’oggetto della competizione, esso coincide con componenti dell’attivo, che, secondo il tenore letterale della norma, possono indifferentemente essere individuati nell’azienda, in uno o più rami d’azienda o in specifici beni. Il dato testuale non è tuttavia del tutto perspicuo. Comprensibilmente, data la rilevanza della fattispecie, si dà particolare rilievo all’azienda, al quale viene giustapposto il riferimento ai singoli cespiti. Così, tuttavia, si lasciano apparentemente scoperti i compendi diversi da quello aziendale, che vanno invece comunque ricompresi nel perimetro nella disposizione[221].
L’art. 91 c.c.i.i. non prevede esenzioni discendenti dal valore del bene o dalla sua tipologia[222]. Ciò nondimeno, è ragionevole che quando il tribunale fissi una soglia minima di rilevanza quantitativa per la richiesta dell’autorizzazione di cui all’art. 94 c.c.i.i., tutte le operazioni di valore inferiore, incluse le dismissioni, possano essere liberamente compiute dal debitore senza alcuna particolare formalità, neppure sotto il profilo della competitività. Deve parimenti escludersi che la disciplina in esame si attagli alle cessioni che intervengano nel normale esercizio dell’impresa, oltre che ai negozi (quali i contratti preliminari) già sottoscritti all’epoca della presentazione della domanda che rientrino nella medesima quotidiana operatività[223]. Ciò si desume, oltre che dalla conservazione in capo al debitore dell’esercizio dell’impresa (art. 94, 1° comma, c.c.i.i.), dall’espressa qualificazione come “aziendali” dei beni oggetto dell’intesa di cui all’art. 91, 2° comma, c.c.i.i., interpretabile nel senso che solo i negozi tesi alla cessione di componenti dell’azienda devono essere sottoposti alla prova del mercato, mentre i beni che rappresentano il prodotto dell’attività d’impresa (e vengono quindi normalmente alienati dell’imprenditore ai propri clienti) restano esclusi dalla competizione[224].
Non può peraltro sottacersi una certa insoddisfazione circa la scelta lessicale operata dal legislatore: ove interpretata in senso strettamente letterale, la disposizione di cui all’art. 91, 2° comma, c.c.i.i. sembrerebbe implicare che tutti i preliminari (ma non le semplici offerte, stante il diverso tenore dell’art. 91, 1° comma, c.c.i.i.) che abbiano ad oggetto beni non aziendali siano sottratti alla regola della competitività, quand’anche si tratti di cespiti di grande valore; quale potrebbe essere, ad esempio, l’immobile di civile abitazione dell’imprenditore in crisi. Anche a costo di qualche forzatura e avendo di mira la ratio della tutela dei creditori e della massimizzazione del loro soddisfacimento, pare preferibile la diversa lettura che esclude dalla competizione (e, quindi, qualifica come non aziendali) soltanto i beni che vengono normalmente scambiati nell’ambito del regolare espletamento dell’attività d’impresa del ricorrente.
Al di là di tali profili, è indubbio che le offerte concorrenti riguardano esclusivamente il trasferimento di beni ricompresi nel patrimonio dell’imprenditore in crisi, mentre non operano in relazione alle offerte di terzi le quali, pur integrandosi con il piano, presentino un contenuto radicalmente diverso dall’acquisto dell’azienda o di specifici cespiti. Si pensi alle offerte di forniture o di finanziamenti funzionali alla continuità aziendale, la cui accettazione da parte dell’imprenditore, quand’anche considerata atto di straordinaria amministrazione abbisognevole di preventiva autorizzazione, non postula l’esperimento di una gara per verificare la possibilità di ottenere dal mercato migliori condizioni contrattuali[225].
21. L’estensione della competitività all’affitto dell’azienda
Data l’oggettiva importanza dell’azienda, limitatamente ad essa (e ai suoi rami) la disciplina delle offerte concorrenti si applica, oltre che alle cessioni a titolo definitivo, anche all’affitto.
Resta tuttavia da dimostrare che la ricerca del miglior ritorno economico immediato (attraverso la selezione dell’offerente disposto a pagare il canone più elevato) sia davvero lo strumento più idoneo a tutelare l’interesse dei creditori nella peculiare situazione della concessione del compendio produttivo in godimento solo temporaneo.
La cessione e l’affitto dell’azienda sono di regola impiegati, nell’ambito del concordato preventivo, con finalità ben distinte, rispondendo a funzioni altrettanto disomogenee. Mentre lo scopo della vendita è essenzialmente quello di fare cassa, sicché la ricerca del soggetto disponibile a versare il prezzo più elevato è senz’altro confacente alla tutela degli interessi dei creditori, nella maggior parte dei casi l’affitto non persegue, quale obiettivo principale, l’accrescimento delle disponibilità liquide. Anzi, il canone finisce per costituire un elemento tutto sommato accessorio, mentre la vera utilità perseguita è quella della conservazione dell’integrità e della funzionalità del complesso aziendale, in modo da poterne assicurare la continuità e la successiva cessione in condizioni di regolare operatività; così lucrando – in occasione della vendita – un prezzo superiore a quello ragionevolmente ricavabile dalla dismissione di un insieme di cespiti non più proficuamente allocati nel processo produttivo[226].
Se ciò è vero e se, quindi, spesso l’affitto mira non tanto alla massimizzazione del canone, quanto alla salvaguardia del compendio nelle migliori condizioni, può sorgere qualche perplessità circa l’opportunità della scelta – pur scolpita nella legge – di assoggettare anche questo negozio alla procedura competitiva; quando sarebbe forse stato preferibile limitarsi a prescrivere la preventiva autorizzazione giudiziale, da concedersi all’esito del prudente vaglio delle concrete capacità dell’affittuario in pectore di condurre l’azienda ordinatamente e di preservarne l’integrità e il valore[227].
D’altro canto, il tenore della norma è chiaro: salve – come si vedrà – le ipotesi caratterizzate da urgenza e dal rischio di irrimediabile compromissione dell’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento (art. 94, 6° comma, c.c.i.i.), anche la selezione dell’affittuario dell’azienda deve passare per il vaglio della competizione, la cui necessità è ribadita dall’art. 94, 5° comma, c.c.i.i. Ciò, probabilmente, nella consapevolezza che consentire all’imprenditore in crisi di selezionare liberamente l’affittuario potrebbe fornire a quest’ultimo un significativo vantaggio competitivo in occasione della successiva per la cessione; in quanto chi detiene anche solo temporaneamente l’azienda è oggettivamente favorito rispetto agli altri potenziali offerenti, quantomeno con riguardo alla comprensione dei fatti aziendali e alla valutazione dell’effettivo stato del compendio[228].
Un ultimo cenno merita il momento di conclusione dell’affitto. Occorre infatti chiedersi se esso sia sottoposto alla regola della competitività solo se stipulato in costanza di procedura o se, al contrario, la gara vada esperita anche dinanzi a un contratto già perfezionato.
Ancorché questa seconda tesi abbia avuto un certo seguito sia in dottrina[229] che in alcune pronunce di merito[230], annche al cospetto del dato letterale sembra preferibile l’opinione che considera intangibile il contratto già stipilato. A ben vedere, infatti, esso – che va giocoforza distinto dall’eventuale contestuale impegno all’acquisto – non può ritenersi un negozio finalizzato al trasferimento non immediato dell’azienda. Salvo che si tratti di mero preliminare di affitto (esso sì assoggettato alla disciplina delle offerte concorrenti), la concessione al terzo del compendio produttivo interviene da subito, sicché la fattispecie non può sussumersi nell’art. 91, 2° comma, c.c.i.i. Ci si trova dinanzi non a un’offerta (neppure nel senso particolarmente ampio enucleato dalle disposizioni in esame), bensì a un vero e proprio contratto a tutti gli effetti valido ed efficace, fatta naturalmente salva la possibilità di provocarne la sospensione o lo scioglimento ai sensi dell’art. 97 c.c.i.i.[231].
22. L’impossibilità di applicare la disciplina delle offerte concorrenti all’aumento del capitale
Alcune pronunce di merito[232] hanno esteso il perimetro applicativo delle offerte concorrenti all’aumento del capitale riservato a un terzo, sul presupposto che tale operazione produrrebbe, di fatto, il medesimo risultato della cessione dell’azienda[233]. Secondo questa impostazione, ove si voglia davvero scongiurare il rischio che l’attivo sociale venga acquisito da un terzo, anche indirettamente, secondo condizioni preconfezionate, occorrerebbe esperire la gara non solo nel caso di offerta di acquisto dell’azienda, ma anche quando sia prospettato un intervento al livello del capitale che, di fatto, miri a raggiungere, per altra via, il medesimo obiettivo[234]. Diversamente, si consentirebbe l’elusione del presidio costituito dalle offerte concorrenti[235].
Questa tesi, benché non priva di profili di suggestione, non sembra davvero convincente[236].L’art. 91 c.c.i.i. circoscrive l’istituto delle offerte concorrenti esclusivamente[237] alle operazioni mirano al trasferimento di specifici beni dell’imprenditore in crisi (quand’anche organizzati in aziende o in rami delle stesse), senza alcuna possibilità di estensione agli atti che si collochino al diverso livello della compagine sociale.Non è quindi possibile assimilare tout court il trasferimento del pacchetto di controllo della società, in qualsiasi forma effettuato (anche per effetto di interventi sul capitale o di operazioni societarie straordinarie)[238], all’alienazione dell’azienda, sicché la disciplina delle offerte concorrenti resta limitata soltanto a questa seconda ipotesi.
Non è del resto ammissibile – neppure nella prospettiva del diritto concorsuale – porre sullo stesso piano il c.d. “share deal” e il c.d. “asset deal”, se non a prezzo di inaccettabili semplificazioni. Ancorché la finalità ultima di entrambe le transazioni sia in qualche modo riconducibile alla traslazione della titolarità di un complesso di beni e rapporti giuridici, i due negozi presentano tuttavia differenze molto significative, non solo sul piano formale e tecnico-giuridico, ma anche di natura economica e di sostanza; il che conferma l’impossibilità di ravvisare gli estremi dell’eadem ratio.
Chi si renda cessionario dell’azienda dal concordato diviene titolare, a fronte del versamento di un determinato corrispettivo, di un insieme di elementi patrimoniali appositamente selezionati e, per lo più, esclusivamente di segno attivo, essendo di regola i debiti esclusi dal compendio; fatta salva la possibilità di dare luogo all’accollo di specifiche passività (quali, tipicamente, il trattamento di fine rapporto), da scomputarsi dal prezzo. In questi casi non vi è alcuna commistione dell’acquirente con l’impresa in crisi, alle cui vicende il primo resta del tutto estraneo.
Ben diversamente, il soggetto che acquisisca – con qualsiasi mezzo, inclusi l’acquisto di quote, la sottoscrizione di un aumento di capitale riservato, l’incorporazione della debitrice o di una sua costola, derivante da una preventiva scissione – il controllo della società in crisi con lo scopo di risanarla (o, comunque, di regolarne la crisi) assume su di sé (pur nei limiti dell’investimento, potendo naturalmente beneficiare della limitazione della responsabilità tipica delle società di capitali) il rischio del successo (o dell’insuccesso) dell’intera operazione di salvataggio. Non si assiste all’enucleazione del perimetro aziendale di esclusivo interesse (dal quale, nel diverso schema della cessione, possono essere agevolmente espunti tutti gli elementi non graditi), né all’offerta alla società di un corrispettivo la cui allocazione dovrà consentire (si badi: a rischio del debitore, non dell’acquirente) di superare la crisi attraverso un congruo soddisfacimento dei creditori. Al contrario, si dà luogo al (tentativo di) rivitalizzazione della stessa società in difficoltà, alla quale il terzo partecipa direttamente e – lo si ripete – a proprio rischio, nella qualità di nuovo socio di riferimento.
Nel primo caso (asset deal) si pone essenzialmente una questione di prezzo: una volta enucleato il compendio di effettivo interesse, occorre acclarare – a protezione dei creditori – se vi siano terzi disponibili a pagare un corrispettivo più elevato, coeteris paribus. È questa la verifica che avviene, obbligatoriamente, secondo le modalità prescritte dall’art. 91 c.c.i.i.
Laddove invece la mutazione avvenga al livello degli assetti proprietari (share deal), non si tratta di accertare se il quantum versato ai precedenti soci sia congruo (atteso che esso non va in alcun modo a vantaggio dei creditori), né semplicemente di individuare soggetti disponibili a incrementare il capitale in misura superiore. A fortiori, nelle ipotesi di fusione e di scissione non va ricercato un corrispettivo più elevato, atteso che esso neppure è previsto. In tutte queste situazioni occorre invece valutare il complessivo progetto di risanamento dell’investitore e le sue ricadute sulla proposta ai creditori; il che difficilmente potrebbe avvenire nel contesto di una gara unicamente tesa all’individuazione della migliore offerta. Fatalmente, la comparazione si sposta da un singolo elemento (il prezzo) all’insieme dei fattori dai quali scaturisce l’iniziativa del terzo. Va pertanto messa in competizione non la specifica offerta, bensì, più in generale, l’intera proposta di concordato fondata sull’ingresso del terzo nel capitale o, comunque, sulla modifica degli assetti proprietari.
Da queste considerazioni non discende, peraltro, alcuna obliterazione dei principi della competitività e della contendibilità, che ben possono (recte devono) trovare idonea tutela anche nelle ipotesi di operazioni sul capitale, nonché di fusioni o scissioni, occorrendo tuttavia fare ricorso al presidio corretto, da indentificarsi nell’istituto delle proposte concorrenti.Di qui l’inservibilità dello strumento analogico per difetto, oltre che dell’eadem ratio, dello stesso presupposto della lacuna normativa: non vi è, nella specie, alcun vuoto da colmare, attesa la persistente tutela accordata dall’art. 90 c.c.i.i.
23. Il rapporto tra le offerte concorrenti e il concordato con assunzione
Incertezze sostanzialmente analoghe a quelle emerse con riguardo alle operazioni sul capitale sono sorte circa la possibilità di estendere la disciplina delle offerte concorrenti al concordato con assunzione. Anche in questo caso, infatti, nonostante la lettera della legge escluda la fattispecie dal proprio perimetro applicativo[239], non sono mancati casi in cui essa vi è stata fatta rientrare[240]. Tale interpretazione non pare tuttavia potersi condividere, perché oggettivamente esorbitante il perimetro tracciato dall’art. 91 c.c.i.i.[241].
Nell’assunzione non si assiste al mero trasferimento di specifiche componenti dell’attivo a fronte di un determinato corrispettivo, ipoteticamente incrementabile attraverso il meccanismo della gara. Si dà invece corso alla traslazione in capo all’assuntore dell’intero patrimonio dell’imprenditore in crisi (tanto nelle componenti attive quanto in quelle passive), con l’onere per il cessionario di far fronte al fabbisogno concordatario in luogo del debitore originario e in conformità a quanto stabilito nel piano e nella proposta di concordato[242].
Occorre inoltre considerare che, nei casi di concordato con assunzione, i contenuti del piano e della proposta necessariamente coincidono con gli impegni dell’assuntore. Ove pertanto si ritenesse di indire una procedura competitiva al fine di ottenere la formulazione di obblighi di assunzione alternativi, si darebbe di fatto corso all’instaurazione di una gara volta all’individuazione di piani e di proposte diversi da quelli elaborati dall’imprenditore in crisi d’intesa con l’assuntore originario. Il che equivale a dire che una procedura competitiva con il menzionato oggetto sortirebbe l’effetto di sondare il mercato con riguardo non già alla formulazione di mere offerte concorrenti, bensì alla presentazione di vere e proprie proposte concorrenti[243].
Non ci si può poi esimere dal registrare le oggettive difficoltà che sorgerebbero, nel concreto espletamento dell’ipotetica gara, in relazione alla comparabilità di più impegni di assunzione, i quali ben potrebbero presentare molteplici profili di disomogeneità, atteso che, in astratto, ciascun potenziale assuntore sarebbe libero di enucleare il trattamento dei creditori nelle maniere più varie[244]. In queste situazioni la stessa individuazione dell’offerta migliore rischia quindi di rivelarsi un’ardua impresa, perché da effettuarsi secondo meccanismi (quali sono quelli della gara tra offerte concorrenti) che si dimostrano efficaci (ed efficienti) nei limiti in cui ci si proponga di individuare il corrispettivo più elevato, mentre rischiano di rivelarsi sostanzialmente inservibili quando si ci trovi al cospetto della necessità di confrontare una pluralità di proposte di soluzione alla crisi tra loro (potenzialmente) eterogenee[245].
24. La deroga alle offerte concorrenti per ragioni di urgenza e al fine di tutelare i creditori
Già nel vigore della legge fallimentare ci si era interrogati se il regime delle offerte concorrenti fosse sia inderogabile[246] o se, al contrario, fosse suscettibile di essere disapplicato, quantomeno nei casi in cui ciò si renda indispensabile per ragioni di urgenza e, comunque, ai fini della tutela dell’interesse dei creditori[247].
Oggi la questione trova risposta nell’art. 94, 6° comma, c.c.i.i., il quale stabilisce espressamente che, in caso di urgenza, il tribunale può autorizzare l’alienazione o l’affitto dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni “senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive quando può essere compromesso l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento”; con la precisazione che “del provvedimento e del compimento dell’atto deve comunque essere data adeguata pubblicità”[248].
La nuova disciplina sembra quindi confermare la bontà della tesi – già in passato fatta propria da alcuni giudici di merito – secondo la quale la competitività non costituisce un valore in sé, ma rappresenta un mero strumento al servizio della tutela dei creditori, dei quali mira a massimizzare il soddisfacimento. Da tale rilievo discende che la competizione non può essere disposta al prezzo di pregiudicare gli interessi della massa[249]; come senz’altro avverrebbe laddove, nel perseguire il tentativo, attraverso la gara, di incrementare il quantum del realizzo, se ne precludesse alla radice il conseguimento, vanificando qualsiasi aspettativa di introito. Ciò si rivelerebbe, del resto, in contrasto con la prudente gestione che – sempre a salvaguardia delle aspettative di soddisfacimento dei creditori – deve caratterizzare le procedure concorsuali. Non si vede pertanto come sia possibile giustificare il sacrificio dell’incasso certo che deriverebbe dall’accettazione dell’offerta procurata dall’imprenditore in crisi sull’altare della mera speranza di conseguire lucro più elevato tutte le volte in cui l’avvio della ricerca si accompagni al serio pericolo di azzerare ogni introito.
In altri termini, il nuovo art. 94, 6° comma, c.c.i.i. sembra aver definitivamente chiarito che la disciplina delle offerte concorrenti, ancorché di applicazione generale, è nondimeno destinata a cedere il passo alla negoziazione privatistica (pur sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria, comunque chiamata ad autorizzare le operazioni straordinarie, tra cui rientrano le cessioni di beni, eccettuate quelle relative ai prodotti della normale attività d’impresa) ogniqualvolta la competizione si riveli, anziché un positivo stimolo all’incremento della valorizzazione dell’attivo, un mero ostacolo al raggiungimento di risultati ragionevolmente forieri di vantaggi per i creditori.
25. La struttura bifasica della competizione
La presenza di un’offerta idonea a connotare il concordato come chiuso fa scattare la competizione, che tuttavia, diversamente da quanto accadeva in passato, non si esplica direttamente e invariabilmente con l’apertura della gara (con conseguenti oggettive inefficienze[250]), ma si dipana in una più duttile struttura bifasica. Si dà anzitutto luogo a una prima sollecitazione del mercato, con funzione di filtro. Solo nell’eventualità in cui essa sortisca esito positivo si dichiara aperta la vera e propria procedura competitiva.
In primo luogo il tribunale (o, a seconda dei casi, il giudice delegato) dispone che sia data idonea pubblicità dell’offerta, al dichiarato scopo di acquisire riscontri dal mercato. Se (e solo se) tale tentativo produca l’effetto sperato (quando, in particolare, pervengano quantomeno manifestazioni di interesse da parte di terzi), si dà corso alla gara, che in caso contrario non viene disposta, in quanto sarebbe obiettivamente superfluo avviare un’asta in assenza di una pluralità di interessati a competere tra loro[251].
La scelta del tribunale non è discrezionale, ma vincolata al riscontro ottenuto dalla pubblicità iniziale. Laddove non pervengano segni tangibili di un interesse di terzi, l’offerta originaria potrà essere accettata (anche precedentemente all’omologazione, ove sussistano i presupposti per l’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione), senza esperimento di incombenti aggiuntivi. Al contrario, la presenza di potenziali offerenti (desumibile dal fatto che essi si palesino facendo pervenire manifestazioni di interesse) impone, di per sé sola, di dare luogo alla competizione.
Tale modus procedendi presenta il pregio di limitare il dispendio di tempo e di energie connesso all’esperimento dell’asta alle sole situazioni in cui essa, insistendo su una situazione di effettivo interesse del mercato, possa rivelarsi davvero utile e funzionale a incrementare le risorse da destinarsi alla massa. Il risultato sembra essere quello di un meccanismo che, da un lato, mantiene intatta la propria efficacia nella prevenzione di eventuali condotte opportunistiche; dall’altro, offre un approccio maggiormente graduale alla competizione, evitando di imporre al debitore e all’offerente originario[252] adempimenti privi di attinenza alla fattispecie concreta.
26. Il decreto di apertura della procedura competitiva
In presenza dei presupposti per l’esperimento della vera e propria procedura competitiva (e, quindi, quando dalla pubblicità siano scaturite manifestazioni di interesse), spetta al collegio o, a seconda dei casi, al giudice delegato[253] dichiararne l’apertura con decreto, reclamabile ai sensi dell’art. 124 c.c.i.i.[254].
Il contenuto del provvedimento si desume dall’art. 91, 4° comma, c.c.i.i. Esso deve stabilire quanto necessario per dare corso alla gara: le modalità di presentazione delle offerte irrevocabili, agendo in modo che ne sia in ogni caso assicurata la comparabilità; i requisiti che gli offerenti devono soddisfare per poter essere ammessi a partecipare alla competizione; le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti ai fini della valutazione dell’operazione e della formulazione delle offerte, con la specificazione delle modalità con le quali il commissario deve fornirle a quanti ne facciano richiesta e con previsione degli eventuali limiti al loro utilizzo; le modalità di svolgimento della procedura competitiva, inclusa l’indicazione dell’aumento minimo del corrispettivo che le offerte dovranno prevedere; le garanzie da prestarsi da parte degli offerenti; la data dell’udienza per l’esame delle offerte (salvo che la gara non si svolga dinanzi al giudice delegato[255], nel qual caso si deve fare riferimento al tempo e al luogo fissati per l’apertura delle buste); le forme di pubblicità del decreto.
Al fine di ottemperare compiutamente a queste dettagliate prescrizioni il decreto deve contenere, nella sostanza, l’indicazione di tutte le condizioni e di tutti i termini del bando di gara, il quale di norma costituisce parte integrante del provvedimento o, comunque, un documento separato al quale esso rinvia per relationem.
Si tratta quindi di un atto che mira a regolare la competizione in tutti i suoi aspetti, a cominciare dalla diffusione del corredo informativo, indispensabile per superare eventuali asimmetrie tra l’offerente originario e i concorrenti[256]. Nelle operazioni che presentano un più elevato tasso di complessità (quali la cessione o l’affitto dell’azienda o di un suo ramo), nella prassi si procede con l’allestimento di una vera e propria data room, fisica o virtuale. Allo scopo di tutelare gli interessi dell’imprenditore in crisi (nonché, indirettamente, quelli della massa dei creditori alla conservazione del valore degli assets), di norma l’accesso ai dati non è libero, ma presuppone una qualche forma di accreditamento, pressoché invariabilmente subordinato all’assunzione di stringenti obblighi di riservatezza, in conformità a clausole che vanno anch’esse enucleate (o, quantomeno, approvate) dal decreto.
I terzi interessati non devono necessariamente attendere l’avvio della competizione per ottenere le informazioni di cui abbisognino: la stessa formulazione di manifestazioni di interesse (alla quale, come si è visto, resta subordinato l’esperimento della gara) postula una preventiva diffusione quantomeno dei tratti salienti dell’operazione. Non è un caso che l’art. 92, 4° comma, c.c.i.i. (nel rinviare al 3° comma della medesima disposizione, dettato con riguardo alle proposte concorrenti) stabilisca che il commissario fornisce ai soggetti che ne facciano richiesta i dati utili per la presentazione di offerte concorrenti, fermo restando che l’istanza di accesso va soppesata con la dovuta attenzione, potendo trovare accoglimento solo se accompagnata, anche in questo caso, dall’assunzione di idonei obblighi di riservatezza[257].
Va inoltre considerato che, talvolta, né il commissario né il tribunale dispongono di tutte le informazioni da diffondere. Esse, infatti, appartengono anzitutto al debitore, la cui leale collaborazione è pertanto indispensabile per poter dare proficuamente corso alla competizione. Di qui l’opportunità che il decreto preveda anche i tempi e i modi con i quali l’imprenditore in crisi sia tenuto a fornire al commissario i dati richiesti[258], con la precisazione che – al di là delle sanzioni che il provvedimento possa eventualmente prevedere per il caso di inadempimento[259] – nell’ostruzionismo del debitore ben potrebbe ravvisarsi una condotta fraudolenta, potenzialmente rilevante ai sensi dell’art. 106 c.c.i.i.
Quanto ai requisiti di cui gli offerenti debbano essere muniti per poter validamente partecipare alla gara, la legge sembra consentire all’autorità giudiziaria una valutazione pienamente discrezionale, che si traduce nell’apposizione di barriere all’ingresso idonee a effettuare una prima scrematura della platea dei potenziali interessati. In questo modo si escludono automaticamente (senza necessità di una valutazione nel merito delle loro eventuali offerte, in quanto inammissibili) i soggetti privi delle caratteristiche minime per poter aspirare a concludere l’operazione, ad esempio perché protestati o assoggettati ad azioni esecutive[260], oppure perché versino in situazioni di irregolarità tali da destare allarme, come nelle ipotesi di omesso deposito dei bilanci o – laddove ciò possa rilevare, come accade quando la competizione attenga alla vendita o all’affitto dell’azienda – quando non sia dimostrato il possesso della certificazione di regolarità contributiva.
Si è osservato – con prospettazione che non si ritiene di poter condividere – che la norma permetterebbe all’autorità giudiziaria “di escludere dalla partecipazione le offerte provenienti da parti correlate o comunque da soggetti che possono trovarsi in situazioni di conflitto d’interesse non tecnicamente riconducibili alla nozione di parti correlate”[261], giungendo a circoscrivere i concorrenti “a coloro che abbiano requisiti di indipendenza”[262].
Sennonché, la ratio delle offerte concorrenti non sta nella selezione di acquirenti scevri da ipotetici conflitti di interessi, bensì nella ricerca della massimizzazione del soddisfacimento dei creditori, da perseguirsi attraverso la competizione tra tutti i soggetti disponibili a rilevare cespiti dell’impresa in crisi, indipendentemente dai motivi – sempre irrilevanti, salvo che illeciti e comuni ai paciscenti – sottesi alla volontà di contrarre di ciascuno. In questa prospettiva, non si vede davvero per quale ragione dovrebbero essere esclusi dalla gara quanti presentino collegamenti più o meno stretti con l’imprenditore, tenuto conto che anche costoro – quando non soprattutto costoro – potrebbero essere propensi a effettuare i più consistenti rilanci[263].
L’esperienza insegna, del resto, che non sempre la sussistenza di un nesso tra l’offerente e il ricorrente si traduce in un pregiudizio per la massa. Anzi, le offerte poste alla base dei piani di concordato sono spesso costruite a ritroso, con la fissazione del prezzo sulla base, più che del reale valore dell’asset, delle necessità di copertura del fabbisogno concordatario, le quali talora sopravanzano significativamente il primo. In questi casi, solo chi sia direttamente o indirettamente interessato al buon esito del salvataggio, scongiurando la liquidazione giudiziale, si rivela disponibile a concludere l’affare, ancorché esso si traduca, di fatto, in una sopravvalutazione del bene da acquisire[264].
Come detto, il decreto provvede altresì a stabilire la forma e il contenuto dell’offerta, con il vincolo – imposto direttamente dalla legge – che sono suscettibili di essere prese in considerazione solo le quelle irrevocabili[265]. A pena d’inammissibilità, inoltre, esse devono presentare il carattere della segretezza e non possono recare condizioni.
Il tribunale (o il giudice delegato, a seconda dei casi) può inoltre imporre la prestazione di garanzie, individuando quelle che ritenga più idonee a meglio tutelare l’interesse della massa, siano esse reali o personali, tipiche o atipiche (quali, ad esempio, la canalizzazione o la cessione di crediti verso soggetti ritenuti solvibili)[266].
Il contenuto del provvedimento si estende poi a ulteriori elementi di oggettiva rilevanza sotto il profilo procedimentale, a cominciare dalla fissazione della data e del luogo in cui si procederà all’apertura delle buste e alla successiva gara, che si celebrano al cospetto del giudice o, in alternativa, dinanzi al commissario o al professionista all’uopo delegato (di regola un notaio). Vanno inoltre disciplinate le modalità di svolgimento della procedura competitiva (comunque vincolata all’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 91, 7° e 8° comma, c.c.i.i.), con immediata indicazione della misura minima dell’aumento del corrispettivo rispetto all’offerta base.
Non possono infine mancare le prescrizioni in materia di pubblicità. Di regola si procede sia agli avvisi sui portali telematici che alla pubblicazione, talora per estratto, su uno o più quotidiani nazionali o locali, a seconda delle caratteristiche del bene e dell’ampiezza della platea dei potenziali interessati. Ove opportuno, ci si può avvalere anche della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. È in ogni caso disposta la pubblicità sul portale delle vendite telematiche di cui all’art. 490 c.p.c.[267].
27. L’azione del tribunale tra l’impossibilità di modificare l’impostazione originaria e la necessità di garantire l’effettività della competizione attraverso la piena comparabilità delle offerte
Il decreto che dispone l’apertura della competizione incontra un preciso limite (coerente, peraltro, con il suo scopo): esso è astretto dalla conformazione dell’offerta originaria, che deve costituire la base della gara, in coerenza con l’impostazione recepita nel piano.
Mentre la legge fallimentare sembrava assegnare al tribunale un potenzialmente ampio jus variandi in relazione alla determinazione dell’esatto oggetto della competizione[268], con possibilità di adottare prescrizioni alle quali anche l’offerente originario pareva in qualche misura tenuto a conformarsi, oggi l’azione dell’organo giurisdizionale è stata più opportunamente circoscritta al ruolo di garante dell’effettività della competizione, senza interferenze circa il suo contenuto, che resta quello enucleato dall’imprenditore in crisi nel rapporto dialettico con l’originario offerente[269].
Il raggio di azione dell’autorità giudiziaria deve invece circoscritto alle misure davvero necessarie per rendere le offerte pienamente comparabili.
La comparabilità non va peraltro intesa nel senso della mera indicazione dei criteri formali da prendere in considerazione onde addivenire all’aggiudicazione (quale sarebbe, ad esempio, il prezzo più elevato). Rileva invece tutto quanto occorra, in concreto, per fare sì che le offerte siano davvero raffrontabili, ponendole, per quanto possibile, sullo stesso piano. Una comparazione davvero obiettiva presuppone che le condizioni di partecipazione alla gara siano sostanzialmente eguali per tutti e che sia fornita a ogni partecipante la possibilità di risultare aggiudicatario; purché sulla base di un impegno che rechi un vantaggio alla massa, così assicurando l’effettività della competizione. In questo senso, la comparabilità tra le offerte si lega indissolubilmente alla reale contendibilità degli assets concordatari. In altre parole, il giudice pare dover dosare il proprio intervento in modo da favorire una reale competizione, emanando le prescrizioni più idonee a eliminare quelle situazioni di squilibrio negoziale (le quali, con una certa frequenza, avvantaggiano l’originario offerente rispetto agli altri) che rischiano di falsare la comparazione tra le offerte, minando la competitività e ostacolando l’emersione e la prevalenza dell’opzione capace di condurre alla massimizzazione del soddisfacimento dei creditori[270].
Fermo l’impianto del piano, il tribunale deve quindi limitarsi a rimuovere gli ostacoli alla competizione e alla partecipazione alla gara del più elevato numero di seri potenziali acquirenti. Sarebbe ad esempio lesiva della comparabilità (e della competitività) la clausola – non a caso ritenuta illegittima dalle corti di merito[271] – che preveda l’imputazione in conto prezzo, da parte dell’offerente originario, di quanto già versato a titolo di canone di affitto dell’azienda. Il canone, infatti, costituisce il corrispettivo per il temporaneo godimento del compendio aziendale, sicché permettere al soggetto che lo abbia versato (per aver goduto del bene) di scontarlo dal prezzo renderebbe la sua offerta di acquisto difficilmente comparabile con quella dei terzi, i quali si troverebbero oggettivamente svantaggiati nella competizione, in quanto – a parità di prezzo offerto – sosterrebbero, di fatto, un esborso più elevato[272].
Il giudice potrebbe inoltre essere indotto depurare l’oggetto della competizione dai profili che la riconnettono alle specifiche caratteristiche soggettive dell’originario offerente, favorendo – per quanto concretamente possibile – la fungibilità della sua posizione, così da rendenderla maggiormente contendibile. Fermo restando che, da un lato, ciò dovrà tradursi in un miglioramento del trattamento dei creditori; dall’altro, laddove il mercato non fornisse positivo riscontro al diverso assetto approntato dal tribunale, dovrebbe comunque essere consentito al debitore di accettare la prima offerta, dando così attuazione all’originaria impostazione, la quale avrebbe del resto dato prova di aver superato il test della competizione.
Si pensi, ad esempio, a un piano di concordato costruito secondo lo schema della continuità indiretta, il quale preveda la soddisfazione dei creditori attraverso il ricavato della cessione dell’azienda, il cui acquirente sia stato individuato in un soggetto che abbia già predisposto un piano industriale di rilancio positivamente vagliato dall’attestatore e di cui si prospetti l’idoneità a generare, in un determinato arco di tempo, i flussi necessari per far fronte al pagamento dilazionato del prezzo e, in via mediata, per dare integrale copertura al fabbisogno concordatario. Non v’è bisogno di dilungarsi per dimostrare che, in questo caso, l’offerente appare non agevolmente sostituibile (almeno secondo un parametro di piena fungibilità): non si tratterebbe, infatti, di individuare semplicemente un soggetto disposto a incrementare il prezzo, ma di ipotizzare che un terzo subentri nel progetto imprenditoriale costruito dal primo offerente, inevitabilmente tarato sulle sue capacità e caratteristiche soggettive e, come tale, non immediatamente esportabile.
Ebbene, in una situazione siffatta il tribunale potrebbe – almeno in astratto – ritenere di mettere a bando la proposta originaria, sollecitando i terzi alla formulazione di piani industriali alternativi e capaci di ipotizzare migliori condizioni di pagamento. Tale impostazione sarebbe però foriera di oggettive (e forse insuperabili) criticità. Vi sarebbe anzitutto la difficoltà di enucleare criteri che consentano una doppia comparazione, a livello sia di prezzo che di effettiva solidità del piano. Occorrerebbe cioè individuare un algoritmo che permetta al tribunale (non – si badi – ai creditori, come avverrebbe invece laddove il nuovo piano fosse posto alla base di una proposta concorrente, da sottoporre al voto) di scegliere la migliore offerta, senza che sia tuttavia agevole optare, ad esempio, per un piano prudenziale che offra importi modesti ma ragionevolmente certi o per un’impostazione aggressiva, che prospetti percentuali elevate, ma con un altrettanto alto rischio di insuccesso.
Per evitare di dover affrontare simili dilemmi, il giudice potrebbe adottare un percorso differente. Si potrebbe, in ipotesi, superare ogni elemento di incertezza circa l’esecuzione dei piani industriali alternativi modificando – ai fini della competizione – i termini dell’impostazione originaria e subordinando la partecipazione alla gara alla prestazione di idonea garanzia per l’intero prezzo. Ove infatti si reperisse sul mercato un soggetto disponibile a offrire l’importo maggiorato dell’aumento minimo richiesto e il pagamento fosse integralmente garantito, si sarebbe dato luogo a una soluzione certamente più appetibile per i creditori, la quale ben giustificherebbe la compressione dell’autonomia negoziale del debitore e del primo offerente. D’altro canto, ove tale percorso non sortisse l’effetto sperato – perché, comprensibilmente, l’originario offerente si rivelasse indisponibile a una così pregnante modifica della propria impostazione e non si reperisse sul mercato alcun operatore disposto a partecipare alla competizione a condizioni così gravose – il tentativo di ottenere migliori condizioni per i creditori dovrebbe ritenersi fallito, con conseguente reviviscenza dell’impostazione originaria che, a quel punto, potrebbe essere sottoposta, come parte integrante della proposta, all’approvazione dei creditori, i quali dovrebbero naturalmente tenere conto, nelle proprie valutazioni, del negativo riscontro ottenuto dal mercato.
Lo strumento delle garanzie sembra essere utile anche al fine di ovviare all’oggettiva criticità insita nella circostanza che le offerte concorrenti non sono accompagnate dalla relazione di un esperto indipendente che certifichi in via preventiva la fattibilità del piano che deriverebbe dal loro recepimento, diversamente da quanto accade in materia di proposte concorrenti. Pertanto lo scenario alternativo che eventualmente dovesse risultare vittorioso in sede di gara dev’essere idoneo a venire recepito nel piano senza ingenerare alcuna criticità a livello di attestazione. Diversamente si incorrerebbe nel paradosso che, selezionata l’offerta migliore nell’ambito della gara e imposto al debitore di procedere alla modifica del piano e della proposta in conformità a essa, il processo concordatario rischi poi di bloccarsi per verifica della sopravvenuta non fattibilità della nuova soluzione.
Di conseguenza, la modifica del piano e della proposta derivante dall’esito della competizione non può che tradursi in una variazione di intensità tale da non comportare una nuova attestazione e, quindi, l’offerta concorrente deve risultare pienamente compatibile con il piano originario, discostandosene solo con riguardo a elementi certi e agevolmente verificabili o, comunque, integralmente coperti da garanzia. Salvo voler ritenere che il tribunale, nello stabilire il contenuto delle offerte concorrenti, possa disporre che esse, ove basate su un piano diverso da quello originario, siano munite di idonea attestazione; il che tuttavia desterebbe più di una perplessità, atteso che, da un lato, si correrebbe il rischio di legittimare quei sovvertimenti dell’impostazione data dal debitore che la norma sembrerebbe voler scongiurare; dall’altro, si finirebbe per sovrapporre l’istituto alla diversa e autonoma figura delle proposte concorrenti, eludendo, di fatto, le regole che enucleano, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, le condizioni per la loro valida formulazione.
Per quanto concerne il primo offerente, egli è libero di adeguarsi alle richieste del tribunale (acquisendo la possibilità di partecipare alla procedura competitiva) o, al contrario, di mantenere ferma la propria prospettazione, esponendosi così al rischio di essere sopravanzato da altri, ma al contempo potendo contare sul fatto che in caso di diserzione dell’asta resterà ferma l’offerta originaria, con conseguente obliterazione delle prescrizioni emanate dal tribunale al solo fine di favorire la concorrenza.
28. Lo svolgimento della procedura competitiva e i suoi effetti sul debitore, sull’originario offerente e sui creditori
Le offerte, efficaci ai fini della competizione solo se conformi alle prescrizioni del decreto del tribunale (o del giudice delegato), non condizionate e segrete, sono rese pubbliche nel giorno stabilito per il loro esame e per l’eventuale gara alla presenza degli offerenti e di qualsiasi interessato, trattandosi, come si conviene in queste situazioni, di evento aperto al pubblico[273].
Ogniqualvolta sia presentata almeno un’offerta migliorativa, si procede alla gara, alla quale sono ammessi, oltre all’originario offerente (sempre che abbia assolto alle eventuali prescrizioni funzionali a garantire la comparabilità delle offerte), tutti i concorrenti che abbiano fatto pervenire offerte valide. Essa ha luogo nella medesima circostanza o, a seconda dei casi, in data successiva appositamente fissata e si conclude con l’aggiudicazione.
L’intera procedura (inclusa l’eventuale fase della gara) deve esaurirsi prima dell’inizio delle operazioni di voto. Tale tempistica va rispettata quand’anche il piano avesse previsto che la vendita o l’aggiudicazione dovessero intervenire a valle dell’omologazione: il meccanismo è infatti coerente con la necessità di sottoporre ai creditori la definitiva versione della soluzione alla crisi, alla luce delle eventuali modifiche che il piano e la proposta debbano subire per effetto dell’esito della competizione[274].
Più nel dettaglio, l’art. 47, 3° comma, lettera c), c.c.i.i. concede una certa discrezionalità nella fissazione delle date iniziale e finale per l’espressione del voto, dovendosi tenere conto, a questi fini, del numero dei creditori, dell’entità del passivo e della necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia della procedura. In ogni caso, però, la gara deve necessariamente concludersi entro venti giorni prima delle operazioni di voto; nello stesso termine devono altresì intervenire eventuali modifiche del piano e della proposta (art. 105, 4° comma, c.c.i.i.), mentre la relazione commissariale dev’essere depositata almeno quarantacinque giorni prima della data di inizio delle operazioni di voto (art. 105, 1° comma, c.c.i.i.), ma vi è possibilità di integrazioni fino a quindi giorni prima (art. 105, 5° comma, c.c.i.i.). Ancorché, sulla carta, vi sia la possibilità di rispettare le scadenza, non può escludersi che, all’occorrenza, si possa dar luogo al rinvio delle operazioni di voto proprio per consentire di procedere alle modifiche al piano e alla proposta e all’integrazione della relazione del commissario.
Come già indicato, la celebrazione della procedura competitiva prima del momento dell’approvazione del concordato da parte dei creditori ha senz’altro il pregio di consentire loro di pronunciarsi sul piano e sulla proposta che recepiscono la migliore offerta reperita sul mercato[275], pur nella cornice – beninteso – della soluzione della crisi elaborata dal debitore.
D’altro canto, non può sottacersi che tale impostazione potrebbe sminuire l’importanza del voto, nella misura in cui si ritenesse che i creditori, esprimendosi a cose fatte, non abbiano alcuna possibilità di impedire la cessione. In altre parole, volendo ritenere che il vincitore della competizione abbia acquisito, nei confronti non solo del debitore, ma anche della procedura concorsuale, il diritto di stipulare l’atto di trasferimento, occorrerebbe concludere che la traslazione sia destinata a trovare attuazione in ogni caso, quand’anche i creditori si determinassero a respingere il concordato e finanche per l’eventualità della liquidazione giudiziale. Questa lettura valorizza in misura massima i caratteri dell’eterotutela (da parte del tribunale) degli interessi della massa, al punto da ritenere la scelta effettuata dal giudice comunque idonea a produrre effetti, condizionando in via stabile e definitiva il trattamento dei creditori, indipendentemente dalla successiva manifestazione di volontà della maggioranza, che si troverebbe in qualche modo a dover semplicemente prendere atto di una dismissione già compiuta (e, spesso, di un piano già in larga misura eseguito), senza possibilità né di impedirla né di rimuoverne gli effetti.
Al fine di ovviare a questa obiettiva incongruenza, si potrebbe ritenere – come sembra in effetti preferibile – che l’operazione vada intesa come implicitamente condizionata all’omologazione del concordato; sicché il diritto dell’offerente selezionato dalla competizione al trasferimento del bene non sorgerebbe immediatamente, bensì, per l’appunto, soltanto all’esito della positiva conclusione dell’iter concordatario[276]. Tale diversa interpretazione presenta il vantaggio di meglio contemperare le istanze di eterotutela con il rispetto dell’autonomia privata, anche e soprattutto per ciò che concerne la potestà dei creditori di rigettare un piano e una proposta di concordato che (ancorché migliorati dall’apertura al mercato) siano comunque giudicati insoddisfacenti. Essa si rivela altresì l’unica idonea a consentire la piena compatibilità tra la disciplina delle offerte e quella delle proposte concorrenti, le quali sono suscettibili di applicazione simultanea, con l’avvertenza, tuttavia, che solo all’esito della votazione (e della conseguente emersione della proposta prevalente e della sua eventuale approvazione) è possibile determinare il cessionario dei beni oggetto della parallela contesa ai sensi dell’art. 91 c.c.i.i.
Queste considerazioni peraltro non implicano che siano precluse le cessioni da effettuarsi prima dell’omologazione (e neppure prima delle operazioni di voto): esse restano naturalmente possibili, ma l’esecuzione anticipata dev’essere espressamente prospettata dall’imprenditore in crisi, tenuto a formulare apposita richiesta di autorizzazione al riguardo, trattandosi, all’evidenza, di atti di straordinaria amministrazione[277].
Tornando all’epilogo della competizione, per il caso in cui risulti vincitrice un’offerta diversa da quella originaria l’art. 91, 9° comma, c.c.i.i. stabilisce che il primo offerente è liberato dalle obbligazioni assunte. L’effetto liberatorio si estende al debitore nelle situazioni in cui la procedura abbia avuto ad oggetto non una offerta in senso stretto, bensì un vero e proprio contratto teso al trasferimento (non immediato) di beni, anch’esso ricompreso nell’ampia nozione di “offerta” di cui alla disciplina in esame. Ciò significa la prima offerta (in senso stretto) non potrà essere accettata dall’imprenditore in crisi (che dovrà invece necessariamente recepire quella dell’aggiudicatario), mentre l’originario contratto si considererà sciolto ope legis.
A tutela della posizione del primo offerente – esposto a costi di transazione, senza tuttavia avere la certezza di poter concludere l’affare, nonostante il sostanziale accordo raggiunto con l’imprenditore in crisi – la legge prescrive che il commissario dispone in suo favore il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell’offerta, ma entro il limite massimo del tre per cento del prezzo nella stessa indicato. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una magra consolazione, atteso che la norma non sembra tenere conto degli investimenti eventualmente posti in essere in vista dell’esecuzione dell’operazione[278]. D’altro canto, il riconoscimento di un più congruo indennizzo avrebbe probabilmente finito per frustrare le finalità dell’istituto: gravando l’esborso sulla massa, esso va giocoforza calmierato, in quanto diversamente rischierebbe di erodere il vantaggio (in termini di tasso di recovery) discendente dall’individuazione di una offerta migliore di quella iniziale.
Per ciò che concerne il ricorrente, egli è tenuto ad adeguare il piano e la proposta di concordato all’offerta giudicata vittoriosa e quindi, sia pur indirettamente, alle prescrizioni contenute nel decreto del tribunale, alle quali la predetta offerta deve necessariamente risultare, a propria volta, conforme. Tale incombente costituisce un vero e proprio onere per il debitore, il quale non ha alcuna possibilità di insistere per l’accoglimento dell’offerta originaria. Ancorché la legge non preveda una sanzione espressa, deve infatti ritenersi che il rifiuto di recepire l’assetto emerso dall’esperimento della competizione integri un comportamento idoneo a determinare la revoca dell’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 106 c.c.i.i.[279]. Sembra invece più arduo ipotizzare una reazione di carattere direttamente coercitivo, ad esempio attraverso l’applicazione analogica dell’art. 118 c.c.i.i. [280], atteso che esso attiene alla ben diversa fattispecie dell’inerzia del debitore nell’esecuzione del piano di concordato già omologato[281].
Pertanto, il debitore che non intenda conformarsi all’esito della competizione sembra doversi rassegnare alla rinuncia alla domanda di concordato[282], il che – ogniqualvolta non pendano istanze di apertura della liquidazione giudiziale – potrebbe consentirgli di elaborare una nuova soluzione alla crisi. Salvo che vi siano le condizioni e i tempi per procedere, immediatamente dopo l’esperimento della gara, alla radicale modifica del piano e della proposta, determinando la caducazione dell’offerta; cosa che potrebbe avvenire quando, ad esempio, dinanzi a una cessione di azienda a soggetto non gradito, si abbandonasse lo schema della continuità indiretta per adottare un piano con continuità aziendale diretta. Tale soluzione appare, di per sé, ammissibile, fatta ragionevolmente eccezione per quelle situazioni nelle quali il nuovo piano si riveli certamente peggiorativo rispetto al risultato della competizione: in queste eventualità, infatti, la modifica andrebbe verosimilmente reputata abusiva e dischiuderebbe quindi ugualmente la strada alla revoca dell’ammissione.
29. Le conseguenze della mancanza di vere e proprie offerte concorrenti
In passato la legge ometteva di prendere in considerazione il caso in cui la procedura competitiva fosse andata deserta. La tesi prevalente era nondimeno quella che, in tale ipotesi, si dovesse dare corso all’offerta originaria[283].
Questa soluzione ha trovato conferma nell’attuale assetto normativo. L’art. 91, 10° comma, c.c.i.i. stabilisce infatti espressamente che nel caso in cui, indetta la gara, non vengano presentate offerte migliorative, l’originario offerente rimane vincolato nei termini di cui al proprio impegno. Inutile dire che, se la prima offerta resta ferma (com’è del resto fisiologico che sia, dal momento che essa, in quanto necessariamente irrevocabile, è idonea a restare valida indipendentemente dall’effettiva partecipazione del suo autore alla competizione), ben potrà essere accettata dall’imprenditore in crisi. Lo stesso naturalmente vale, a fortiori, quando la procedura competitiva vera e propria neppure sia indetta, per via della mancanza di manifestazioni di interesse all’esito dell’espletamento dell’iniziale fase pubblicitaria.
Il meccanismo qui enucleato, oltre a essere pienamente coerente con le già menzionate finalità della norma (la quale – lo si ripete – mira a reperire offerte migliori, senza che, in difetto, vi sia alcuna ragione per rigettare quella iniziale)[284], contribuisce altresì enucleare con maggiore chiarezza il perimetro dei poteri del tribunale nell’ambito della competizione. Come si è visto, infatti, il ruolo dell’organo giurisdizionale è strumentale ad assicurare l’esperimento di una competizione davvero efficace; ma laddove non si riceva positivo riscontro da parte del mercato riprende giocoforza vigore la prospettazione originaria.
30. Le interazioni tra le proposte e le offerte concorrenti
La legge non prevede alcuna forma di coordinamento tra la disciplina delle proposte concorrenti e quella parallela delle offerte concorrenti, lasciando all’interprete l’onere di acclarare se le due forme di competitività siano alternative (escludendosi reciprocamente) o se, al contrario, possano (e debbano) coesistere nella medesima procedura.
Atteso che i due istituti, pur avendo una matrice comune, regolano fattispecie distinte (avendo riguardo l’una alla eventuale formulazione, da parte di creditori o soci qualificati, di una proposta alternativa di concordato; l’altra all’esperimento di una procedura competitiva tesa a individuare, senza limitazioni soggettive, un terzo ipoteticamente disponibile a rilevare beni ricompresi nell’attivo dell’imprenditore in crisi a condizioni migliori di quelle prospettate dall’acquirente già selezionato dal debitore), sembra doversi ritenere che, ove si verifichino i presupposti per l’applicazione di entrambi, essi vadano attivati congiuntamente[285]; il che dà luogo a una sorta di competitività “al quadrato”. Ciò accade, ad esempio, ogniqualvolta il piano dell’imprenditore in crisi, quello del terzo o entrambi siano basati sullo schema della continuità aziendale indiretta, il quale, concretizzandosi nella cessione dell’azienda o di un suo ramo a un soggetto predeterminato, postula che si dia corso alla procedura di cui all’art. 91 c.c.i.i. Naturalmente le medesime considerazioni valgono, più in generale, quando qualsiasi proposta che si contenda la prevalenza (e la successiva approvazione da parte dei creditori) incorpori in sé il trasferimento a un soggetto prestabilito di assets dell’impresa in procedura.
Nonostante l’art. 91, 9° comma, c.c.i.i. apparentemente imponga al solo debitore l’obbligo di conformarsi all’esito della gara (il che potrebbe indurre a concludere che esso non vincoli il terzo, il quale sarebbe quindi esonerato dal subire la competizione propria delle offerte concorrenti), sembra preferibile ritenere, alla luce della ratio delle
Disposizioni in esame, che l’intera disciplina delle offerte concorrenti (incluso il menzionato onere di conformazione) si applichi a tutti i concordati chiusi, da chiunque presentati[286].
D’altro canto, il campo di elezione delle offerte concorrenti sembra destinato a restare essenzialmente confinato (per ragioni, però, meramente fattuali) alla prospettazione del debitore: ove infatti il terzo sia interessato all’acquisto dell’azienda, non avrà bisogno di presentare una proposta concorrente, ben potendo limitarsi a competere con l’acquirente già selezionato dall’imprenditore in crisi in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 91 c.c.i.i. Nell’ipotesi in cui, invece, egli voglia farsi carico in prima persona della gestione dell’insolvenza, attuando un piano ed eseguendo una proposta alternativi a quelli originari, dovrà senz’altro optare per la formulazione di una proposta concorrente acquisitiva, di norma basata su negozi (l’assunzione o l’aumento di capitale) che – come si è visto – restano estranei al perimetro di operatività delle regole sulle offerte concorrenti.
Ciò non toglie che qualche residuo spazio di concreta applicazione delle regole di cui all’art. 91 c.c.i.i. alla soluzione formulata dal terzo sussista. Non può ad esempio escludersi la proponibilità di una proposta concorrente meramente modificativa di quella del debitore che miri alla diversa modulazione del compendio da cedere (in ipotesi aggregando o scorporando dal ramo di azienda la componente immobiliare), con la contestuale individuazione di un soggetto (naturalmente diverso da quello selezionato dall’imprenditore in crisi) che si impegni, alla luce di tali mutate condizioni, all’acquisto. Orbene, in situazioni siffatte non si vede perché la prospettazione chiusa del terzo debba essere esentata dal test del mercato, atteso che anche in questo caso si pongono quelle esigenze di tutela dell’interesse dei creditori alla massimizzazione del tasso di recovery che inducono a rendere contendibile la soluzione originaria.
Acclarato che deve ammettersi l’interazione tra le proposte e le offerte concorrenti, sorge la necessità di coordinare le due discipline. Si tratta di un compito non propriamente agevole sotto il profilo operativo[287]: il simultaneo svolgimento delle due forme di competizione (ciascuna delle quali declinata secondo schemi di per sé articolati e complessi) genera infatti l’oggettivo – ma inevitabile – inconveniente di una certa superfetazione procedurale, con conseguente rischio di dilatazione dei tempi del concordato[288].
Atteso che tutte le procedure competitive ai sensi dell’art. 91 c.c.i.i. devono concludersi prima delle operazioni di voto e, di conseguenza, prima che sia stata selezionata la proposta prevalente, deve giocoforza concludersi che le gare (una per ciascuna proposta chiusa) vadano esperite prima della consultazione dei creditori; il che può naturalmente comportare un differimento della deliberazione della massa nel caso in cui l’asta derivi da una proposta concorrente, in quanto essa può essere depositata fino a trenta giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto, vale a dire entro un termine che potrebbe rivelarsi insufficiente a consentire l’espletamento delle formalità della competizione tra offerte; senza contare che le proposte (da chiunque presentate) restano modificabili fino a venti giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto.
Ogni singola gara tra offerenti deve naturalmente concludersi con l’aggiudicazione, con l’avvertenza che, onde evitare di pregiudicare la fattibilità delle soluzioni alternative concretamente proposte, è opportuno che gli effetti traslativi siano espressamente condizionati alla circostanza che l’omologazione intervenga con riguardo alla specifica proposta cui si riferisce la gara in questione o, quantomeno, al fatto che essa sia selezionata come prevalente dai creditori e approvata. La possibilità di dare luogo all’immediato trasferimento del bene in favore dell’aggiudicatario, ancorché non possa ritenersi preclusa a priori, quantomeno laddove il piano originario la preveda, sembra quindi dover essere esclusa ogniqualvolta ci si trovi al cospetto di proposte concorrenti. Di qui l’onere per il terzo che intenda avvalersi dell’istituto e che abbia in animo di prospettare una soluzione incompatibile con la cessione prevista dal debitore di depositare il proprio ricorso prima della conclusione della gara che il tribunale abbia disposto ai sensi dell’art. 91 c.c.i.i. con riguardo all’impostazione dell’imprenditore che preveda una dismissione immediata.
* Il presente contributo è destinato a un volume a più mani sul concordato preventivo. Una editio minor, incentrata sulla prima parte, verrà sottoposta alla Direzione di Diritto fallimentare e delle società commerciali per la pubblicazione.
[1] Cfr. A. Jorio, Orizzonti prevedibili e orizzonti improbabili del diritto concorsuale, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pp. 24 ss.
[2] Cfr. R. Guidotti, Le proposte (e le offerte) concorrenti nel concordato preventivo dopo il recepimento della Dir. Insolvency, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022, p. 7.
[3] Le regole sulla competitività, introdotte per la prima volta in via d’urgenza dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, hanno trovato conferma nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La disciplina delle proposte concorrenti di cui all’art. 163, 4°-7° comma, l. fall. è stata trasfusa nell’art. 90 c.c.i.i., mentre quella delle offerte concorrenti di cui all’art. 163-bis l. fall. ha trovato collocazione nell’art. 91 c.c.i.i. In entrambi i casi sono state apportate modifiche, anche rilevanti, le quali, tuttavia, non hanno alterato i tratti salienti dei due istituti (cfr. A. Audino, sub art. 90, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Padova, 2023, p. 655).
[4] Il campo di applicazione delle proposte concorrenti è sostanzialmente circoscritto alle situazioni di vera e propria insolvenza. L’imprenditore in mero stato di crisi è infatti di norma in grado di formulare una proposta che superi le soglie di esenzione di cui all’art. 90, 5° comma, c.c.i.i.
[5] Cfr., al riguardo, le riflessioni critiche di A. Jorio, Ragionando sul concordato preventivo. Alcuni consigli (non richiesti) ai conditores, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022, pp. 6 ss.
[6] Cfr. G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, in M. Arato-G. Domenichini (a cura di), Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, pp. 91 ss.
[7] Cfr. G. Meo, Appunti in tema di cessione dei beni nel concordato preventivo, in Osservatorio-Oci.org, 2017, p. 9; S. Leuzzi, sub art. 91, in F. Di Marzio (diretto da), Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2022, p. 421.
[8] Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Appendice di aggiornamento in relazione al d.l. n. 83/2015, conv. dalla legge n. 132/2015, Bologna, 2016, p. 14.
[9] Cfr. S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, Bologna, 2016, pp. 107 ss.
[10] Cfr. P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in A. Jorio-B.N. Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, IV, Milano, 2016, pp. 175 ss.
[11] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, in M. Sandulli-G. D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Torino, 2016, pp. 121 ss.
[12] Cfr. M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, Torino, 2019, pp. 22-23 e 181.
[13] Alla luce del nuovo impianto, pur volendo ritenere che la procedura minore conservi una natura essenzialmente negoziale (cfr. S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Aa.Vv., Le altre procedure concorsuali, in F. Vassalli-F.P. Luiso-E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, pp. 9 ss.), non possono sottacersi le oggettive difficoltà di inquadramento della fattispecie concordataria (cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 145-146). Non sembra infatti possibile continuare a concepire il concordato preventivo semplicemente come una sorta di – sia pur peculiare – accordo tra il debitore e (la maggioranza de)i creditori i cui effetti sono subordinati all’omologazione. Oggi il contenuto del negozio non è più (o, comunque, non è sempre) il prodotto dell’incontro delle volontà dell’imprenditore e di chi lo ha a vario titolo finanziato, siccome la proposta del primo è suscettibile di essere sostituita, integrata o modificata ab externo a vari livelli, sulla base di schemi concorrenziali che sembrano strutturati con lo scopo di premiare le impostazioni più gradite ai creditori (cui – lo si ripete – spetta individuare la proposta destinata a prevalere) o che appaiono comunque per loro più favorevoli, perché idonee a perseguire la massimizzazione degli incassi (certificata dal crisma della procedura competitiva) e, di conseguenza, a incrementare l’ammontare delle risorse distribuibili. In questa prospettiva, la pervasività della competitività è tale da contribuire a spostare la collocazione del baricentro del concordato preventivo. Mentre fino al 2015 esso gravitava intorno all’autonomia negoziale e a uno spiccato favor debitoris, la “miniriforma” prima e il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza poi hanno fatto segnare un’ampia rivalutazione dell’eterotutela, per l’appunto tesa alla protezione degli interessi dei creditori (cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Appendice di aggiornamento in relazione al d.l. n. 83/2015, conv. dalla legge n. 132/2015, cit., p. 8.).
[14] Cfr. R. Guidotti, Le proposte (e le offerte) concorrenti nel concordato preventivo dopo il recepimento della Dir. Insolvency, cit., 3.
[15] In materia cfr. S. Ambrosini, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; S. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in DirittodellaCrisi.it, 2022; M. Fabiani-I. Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. Commento alla normativa, in Fallimento, 2022; S. Pacchi, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in S. Pacchi-S. Ambrosini (a cura di), Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, pp. 156 ss.; L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; F. Platania, Piano di Ristrutturazione soggetto ad omologa, in IlFallimentarista.it, 2022; G. Lener-L.A. Bottai, Prime applicazioni del PRO: la realtà supera le attese, in DirittodellaCrisi, 2023; I. Pellecchia, La valutazione di convenienza nel giudizio di omologa del PRO, in RistrutturazioniAziendali.it, 2023; E. Ricciardiello, Il piano di ristrutturazione omologato: un caso di “concorrenza sleale” tra istituti?, cit., 2023.
[16] Per una delle prime applicazioni delle offerte concorrenti al piano di risanamento soggetto a omologazione cfr. Trib. Asti, 16 novembre 2023, Impresa Cauda s.r.l., pres. P. Rampini, est. A. Carena, ined., il quale ha osservato che “l’art. 91 CCII, pacificamente applicabile anche al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione in forza del richiamo operato dall’art. 64 bis, comma 9 CCII, stabilisce che laddove pervenga un’offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento dell’azienda, di uno o più rami d’azienda o di specifici beni, il Tribunale dispone che dell’offerta stessa sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti”.
[17] In materia cfr. S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, in RistrutturazioniAziendali.it, 2021; Id., Concordato semplificato: la giurisdizione come antidoto alla “coattività” dello strumento e alla “tirannia” dell’esperto, ivi, 2023; L.A. Bottai, La rivoluzione del concordato semplificato, il DirittodellaCrisi.it, 2021; G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche, dalla l. n. 147 del 2021, ivi, 2021; Id., Il ruolo del giudice nel concordato semplificato, in RistrutturazioniAziendali.it, 2023; G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Fallimento, 2021, pp. 1603 ss.; G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in DirittodellaCrisi.it, 2021; P.F. Censoni, Il concordato “semplificato”: un istituto enigmatico, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; A. Rossi, L’apertura del concordato semplificato, in DirittodellaCrisi.it, 2022; M. Spiotta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in M. Irrera-S.A. Cerrato (diretto da), F. Pasquariello (coordinato da), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento d.l. 118/2021 conv. in l. 147/2021, Bologna, 2022, pp. 409 ss.; M. Vitiello, Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta, in IlFallimentarista.it, 2022; S. Pacchi, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in RistrutturazioniAziendali.it, 2023; Id., Il concordato semplificato: un epilogo ragionevole della composizione negoziata, ivi, 2023.
[18] Cfr. S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs. ordinario, in DirittodellaCrisi.it, 2021, p. 20.
[19] Cfr. R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in RistrutturazioniAziendali.it, 2021, p. 24.
[20] Con riguardo alla disciplina delle proposte concorrenti cfr., in ordine cronologico e senza pretesa di esaustività, S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in IlCaso.it, 2015, pp. 26 ss.; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in FallimentieSocietà.it, 2015, pp. 1 ss.; Id., Le proposte concorrenti, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., pp. 225 ss.; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, pp. 1163 ss.; Id., Le proposte “ostili”, cit., pp. 117 ss.; M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in IlCaso.it, 2015, pp. 8 ss.; F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte III: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in IlFallimentarista.it, 2015, pp. 3 ss.; A. Nigro-D. Vattermoli, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Dir. banca merc. fin., 2015, II, pp. 93 ss.; G.M. Nonno, Offerte e proposte concorrenti alla luce della l. n. 132/2015, di conversione del d.l. Giustizia, in Quot. giur., 2015; M. Ratti, sub art. 163. Ammissione al concordato e proposte concorrenti, in Aa.Vv., La nuova riforma del diritto concorsuale. Commento operativo al d.l. n. 132/2015 conv. in l. n. 132/2015, Torino, 2015, pp. 134 ss.; L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare. Terza parte, in IlCaso.it, 2015, pp. 1 ss.; N. Abriani, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere della società di adempiere agli obblighi concordatari, in Giust. civ., 2016, p. 365 ss.; ID., Sulla legittimazione alla presentazione della proposta concorrente di concordato preventivo, in DirittodellaCrisi.it, 2021; G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, in F. Santangeli (a cura di), La nuova legge fallimentare dopo la l. n. 132/2015, Milano, 2016, pp. 145 ss.; A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., pp. 289 ss.;P. VELLA, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in IlCaso.it, 2 febbraio 2016; M. RANIELI, Proposte di concordato preventivo concorrenti, trasferimento del controllo ed esenzione dall’obbligo di opa per salvataggio “ostile”, in Riv. dir. banc., 2017, p. 59 ss.; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, Torino, 2019, pp. _ ss.;R. RANALLI, Gli ostacoli normativi e culturali alle proposte concorrenti nel concordato preventivo in continuità, in Fallimento, 2021, p. 5 ss.;R. FAVA, L’iniziativa dei creditori nella ristrutturazione dell’impresa in crisi fra passato, presente e futuro, in Dir. fall., 2022, p. 33 ss.; R. Guidotti, Le proposte (e le offerte) concorrenti nel concordato preventivo dopo il recepimento della Dir. Insolvency, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022.
[21] Le proposte concorrenti sembrano determinare il superamento della ricostruzione del concordato come accordo tra debitore e creditore e, probabilmente, incidono altresì sulla possibilità di fornirne una qualificazione in termini puramente contrattuali. Com’è stato osservato, “se è vero che queste ipotesi di concordato potrebbero essere inquadrate come accordi non più tra debitore e massa dei creditori, quanto tra proponente e massa dei creditori, così mutandosi i soggetti coinvolti ma non la struttura giuridica, rimane irrisolto il problema di giustificare un contratto con il quale dei soggetti dispongono della sorte del patrimonio altrui” (così D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1163). La possibilità in invocare la figura del contratto a favore di terzo non sembra infatti del tutto persuasiva, dal momento che l’intervento del (terzo) proponente di regola sposta l’asse dell’intesa verso gli interessi dei creditori, allontanandolo da quello del debitore; salvo che si voglia ritenere – con un approccio squisitamente formale – che il vantaggio procurato all’imprenditore dall’omologazione del concordato (qualsiasi sia la proposta che risulti approvata) sia idoneo, di per sé, a consentire una (nella specie, potenzialmente assai ampia) compressione della sua sfera di autonomia. Di qui la conclusione che l’attuale assetto sembra fatalmente riportare in primo piano il ruolo del tribunale, che attraverso il decreto di omologazione conferisce efficacia a una pattuizione del tutto peculiare e altrimenti inidonea a vincolare il terzo debitore, in maniera non dissimile da quanto si verifica con riguardo ai concordati nella liquidazione giudiziale proposti da soggetti diversi dal debitore (cfr. M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, p. 338; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, p. 274; F. Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, pp. 191 ss.; G. D’Attorre, I concordati “ostili”, cit., pp. 3 ss.).
[22] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 226.
[23] Cfr. L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fallimento, 2013, pp. 1222 ss. 1240; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, Absolute Priority Rule e New Value Exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, pp. 342 e ss.; A. Rossi, Le proposte “indecenti” nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, pp. 334 e ss; M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., pp. 41 ss.; A. Bassi, La “finanza esterna” nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, in Giur. comm., 2019, I, pp. 181 e ss.; G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallimento, 2020, pp. 1071 e ss.; D. Galletti, I proventi della continuità, come qualsiasi surplus concordatario, non sono liberamente distribuibili, in IlFallimentarista.it, 2020.
[24] Cfr. M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, cit., p. 48, il quale osserva che “siamo abituati a pensare che già la domanda di concordato crei un vincolo di segregazione sul patrimonio del debitore. Il patrimonio è funzionalizzato al soddisfacimento dei creditori per i quali il concordato è obbligatorio (art. 184 l.fall.) al netto dei costi di “produzione”, cioè al netto del peso della prededuzione. Se, però, guardiamo all’art. 2740 c.c. ed insieme all’art. 42 l.fall., facciamo fatica ad escludere che in quel patrimonio segregato vadano inclusi anche i beni che sopravvengono. Per ciò che qui interessa, facciamo fatica a negare che la ricchezza della continuità possa restare estranea al patrimonio responsabile. Eppure la garanzia patrimoniale si concentra sul patrimonio del debitore realizzabile, non sul patrimonio virtuale perché l’attuazione della garanzia patrimoniale non è mai astratta ma è sempre concreta perché si realizza, solo, con l’adempimento spontaneo o con l’adempimento coattivo. Siamo in grado di precisare che tutto il patrimonio, anche futuro, è assorbito dalla garanzia patrimoniale, ma nei limiti in cui sia concretamente liquidabile. L’equilibrio fra l’art. 2740 c.c. e l’art. 186 bis c.c. si raggiunge quando si avverte che il patrimonio destinato ai creditori può essere solo quello che è liquidabile senza la volontà collaborativa del debitore. In tale prospettiva, anche le risorse generate dalla continuità debbono andare al servizio dei creditori, interamente, sino a che la misura di quelle risorse è ricavabile altrimenti”.
[25] Cfr. G. Acciaro-A. Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022, pp. 6 ss.; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in DirittodellaCrisi.it, 2022; G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in DirittodellaCrisi.it, 2022; A. Audino, sub art. 84, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, cit., p. 578.
[26] Cfr. Trib. Milano, 5 dicembre 2018, Waste Italia s.p.a., pres. A. Paluchowski, est. F. Rolfi, ined. secondo cui “lo schema del concordato per assunzione ha in sé connaturata l’aspettativa dell’assuntore medesimo di riuscire e realizzare l’attivo della procedura in modo più fruttuoso di quanto possa avvenire nella procedura medesima”, dal che discende “la piena ammissibilità dell’appropriazione da parte dell’assuntore del delta da esso ricavato liquidando autonomamente l’attivo della procedura”.
[27] Nell’attuale impostazione “la ricchezza della continuità” – com’è stato osservato – “è un patrimonio comune che i creditori possono spartirsi, contro i soci, ri-costringendoli nella posizione di residual claimants ovvero stimolando contro-proposte al rialzo” (così M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, cit., p. 50). Ciò dipende, per l’appunto, dal fatto che il provento della continuità è divenuto contendibile: “se la continuità dell’attività può, davvero, generare ricchezza, non si deve più temere che le nuove risorse finiscano col premiare i vecchi soci, anche quando tutto ciò si risolva sempre in un vantaggio per i creditori, perché proprio i creditori sono in grado di organizzare una proposta con la quale prevedere una maggiore distribuzione di ricchezza fra tutti” (così M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, cit., p. 50). Fermo restando che, naturalmente, il terzo proponente ragionevolmente vorrà (e potrà) trattenere per sé un vantaggio esclusivo, che tuttavia – onde poter prevalere in sede di deliberazione sul concordato – dovrà comunque essere inferiore a quello implicito nella prima proposta.
[28] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 11.
[29] È innegabile che la fissazione di una (tutt’altro che irrisoria) percentuale di partecipazione all’indebitamento si traduce in una significativa limitazione alle concrete possibilità di ricorso a questa peculiare forma di competizione. Da ciò sono scaturite le osservazioni critiche di quanti hanno evidenziato che solo il libero ricorso al mercato sarebbe stato davvero idoneo a contribuire al miglioramento delle aspettative di soddisfacimento dei creditori (cfr. L. Panzani, Introduzione, in S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, cit., p. 33; M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 27; D. Finardi, La riforma del 2015 del concordato preventivo e la figura del commissario giudiziale, in Dir. fall., 2016, I, p. 498; A. Jorio, La parabola del concordato preventivo: dieci anni di riforme e controriforme, in Giur. comm., 2016, I, p. 19).
[30] Cfr. L. Panzani, Le finalità del concordato preventivo, in RistrutturazioniAziendali, 2022, p. 22, il quale rileva che “è peraltro certamente improbabile che tale facoltà, di fatto raramente utilizzata dai creditori, venga esercitata da una minoranza dei soci”.
[31] Cfr. P. Piscitello, Il concordato preventivo tra modelli competitivi e ritorno al passato, in Corr. giur., 2016, pp. 302-303.
[32] In materia cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, ivi, 2022; F. Iozzo-C. Scribano, sub art. 120-bis, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, cit., pp. 880 ss.; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che be resta dei soci?, in DirittodellaCrisi.it, 2023.
[33] Cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., p. 18.
[34] Trib. Padova, 2 aprile 2021, in IlCaso.it, ha ritenuto infondata l’“eccezione di nullità dei contratti di cessione per violazione della riserva di attività finanziaria stabilita dall’art. 106 TUB, quest’ultima riguardando l’esercizio di attività di conclusione di negozi aventi l’effetto diretto o indiretto di concessione di un finanziamento, che sia svolto nei confronti del pubblico”; ciò in quanto nel caso di proposte concorrenti “non si verte nella suddetta ipotesi, cui espressamente fa riferimento l’art. 106 TUB, e ciò sia in quanto difetta la condizione di apertura al pubblico dell’attività, essendosi [la società terza proponente] rivolta non a terzi indifferenziati, bensì ad un insieme ben definito di soggetti, da identificarsi nei creditori originari [dell’imprenditore ricorrente], sia anche perché, ove si ritenesse violata la riserva di cui all’art. 106 TUB, e quindi nulli i contratti di cessione dei crediti, nei casi in cui un terzo proceda ad un acquisto a titolo oneroso di crediti per un ammontare idoneo a consentirgli la formulazione di proposte concorrenti, tale interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto con il precetto di cui all’art. 163, comma 4, l.f. (oltre che con la previsione del nuovo C.C.I.) in quanto lo svuoterebbe completamente di significato, a meno di non ritenere che a tale iniziativa siano legittimati esclusivamente le banche e gli intermediari autorizzati, con il risultato tuttavia di limitare irragionevolmente, alla luce della interpretazione della citata disposizione cui ha aderito questo Tribunale, la platea dei terzi legittimati alla formulazione di proposte concorrenti”.
[35] Benché l’art. 120-bis, 5° comma, c.c.i.i., diversamente dall’art. 90, 1° comma, c.c.i.i., non faccia espresso riferimento agli acquisti effettuati anche successivamente all’apertura del concorso, non pare esservi ragione per distinguere, sotto il profilo in esame, la posizione del creditore da quella del socio. Pertanto, la legittimazione alla presentazione della proposta concorrente deve riconoscersi non solo a chi abbia acquisito la sufficiente quantità di crediti successivamente all’accesso del debitore al concordato, ma anche a coloro che siano divenuti soci qualificati solo in costanza di procedura.
[36] Cfr. A. Audino, sub art. 90, cit., p. 656.
[37] Cfr. A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., p. 317.
[38] Cfr. Trib. Napoli, 2 febbraio 2018, in Fallimento, 2019, p. 87, con nota di A. Rossi, Il difficile avvio delle proposte concorrenti nel concordato preventivo.
[39] Cfr. S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della “miniriforma” del 2015, in Dir. fall., 2015, I, p. 374; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1165; P.F. Censoni, Il concordato preventivo, cit., p. 177; G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, cit., pp. 153-154; P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, cit., pp. 22 ss.; G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, cit., p. 95; contra R. Amatore, Offerte e proposte concorrenti nel concordato preventivo: le novità introdotte dalla “mini” riforma del diritto fallimentare, in GiustiziaCivile.com, 2015, pp. 8-9; A. Farolfi, Concordato preventivo: le novità di agosto, in IlFallimentarista.it, 2015, p. 9; A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., pp. 317-318; N. Abriani, Sulla legittimazione alla presentazione della proposta concorrente di concordato preventivo, cit., pp. 4 ss.
[40] L’art. 163, 4° comma, l. fall., nel menzionare “uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di cui all’art. 161, rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti”, sembrava fare esclusivo riferimento alla situazione del soggetto che, essendo già creditore al momento dell’apertura del concorso, incrementasse il quantum delle proprie pretese grazie a successivi acquisti fino a raggiungere la soglia valida ai fini della legittimazione. La nuova norma è invece maggiormente perspicua. L’art. 90, 1° comma, c.c.i.i. evita infatti il decettivo riferimento all’originaria qualità di creditore, menzionando, con formulazione di oggettiva più agevole interpretazione, “colui o coloro che, anche per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato, rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti”.
[41] La duplice valenza teleologica dell’istituto delle proposte concorrenti è rappresentata con chiarezza dalla relazione illustrativa dell’intervento riformatore del 2015, la quale afferma che “le finalità sono quelle di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a disposizione dei creditori concordatari una possibilità ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore”, precisando tuttavia che il nuovo regime “è funzionale a due importanti obiettivi:
a) offrire ai creditori strumenti per impedire che il debitore presenti proposte che non rispecchiano il reale valore dell’azienda (appropriandosi, così, integralmente del surplus di ristrutturazione, ossia del maggiore valore creato dalla riorganizzazione rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare), anche quando ai creditori non sia offerta l’integrale soddisfazione dei loro crediti, benché riscadenzati;
b) creare i presupposti per la nascita, anche in Italia, di un mercato dei distressed debt, già da tempo sviluppatosi in altri Paesi (tra cui, in particolare, gli Stati Uniti d’America) in modo da consentirne un significativo smobilizzo. Eventuali investitori interessati a compiere un’operazione di acquisto e risanamento di un’impresa in concordato, per poter presentare una proposta alternativa, dovrebbero infatti acquistare crediti nei confronti dell’impresa in concordato per un valore pari almeno al 10 per cento dell’indebitamento di quest’ultima. Se poi l’investitore volesse assicurarsi il successo della propria proposta la percentuale di crediti che dovrebbe essere acquistata sarebbe molto maggiore”.
[42] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 237; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1165.
[43] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 239.
[44] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1165.
[45] Da un lato è oggettivamente improbabile che creditori particolarmente esposti si profondano in iniziative complesse e dispendiose (qual è la formulazione di una proposta concorrente) all’unico fine di ostacolare un piano che essi hanno comunque la possibilità di contrastare, con maggiore efficacia, attraverso l’espressione di un voto negativo. Dall’altro, l’investimento necessario per procacciarsi la legittimazione appare un deterrente idoneo, di per sé solo, a scoraggiare operatori mossi soltanto da intenti squisitamente opportunistici.
[46] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1165, nota 8.
[47] Cfr. D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, in Giur. it., 2017, p. 263, nota 11; contra, sia pure in termini almeno in parte dubitativi, L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare. Terza parte, cit., p. 3. Con riguardo alla necessaria permanenza dello status di azionista qualificato per tutta la durata del giudizio impugnatorio della delibera assembleare cfr., senza pretesa di esaustività, C. Ferri, Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 58; R. Sacchi, Tutela reale e tutela obbligatoria della minoranza, in P. Abbadessa-G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2, Torino, 2006, p. 138; S.A. Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, pp. 143 ss.; F. Terrusi, L’invalidità delle delibere assembleari della spa, Milano, 2007, pp. 163 ss. Ancorché le due fattispecie (presentazione della proposta concorrente e impugnazione della delibera assembleare) non siano immediatamente sovrapponibili, esse sembrano comunque presentare un comune denominatore nella misura in cui circoscrivono la legittimazione (pur a fini diversi) a soggetti qualificati dall’entità della partecipazione (a seconda dei casi, nel capitale o nell’esposizione debitoria), sicché non pare irragionevole adottare la medesima soluzione con riguardo alla necessità della permanenza del requisito sino all’esito dell’iter.
[48] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, in DirittodellaCrisi.it.
[49] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, in IlFallimentarista.it, 2015, p. 13.
[50] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1166.
[51] Cfr. M. Arato, La domanda di concordato preventivo, in O. Cagnasso-L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, III, Torino, 2016, p. 3368; G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, cit., pp. 152-153.
[52] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 237; M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., p. 3368; contra A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 316.
[53] Cfr. A. Audino, sub art. 90, p. 656, il quale osserva che “la norma non fa riferimento ai crediti anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso, per i quali il concordato è obbligatorio a norma dell’art. 117, bensì ai crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dl debitore, la quale, in caso di concessione del termine di cui all’art. 44, co. 1, lett. a), comprende anche i crediti eventualmente sorti dopo il deposito della domanda di accesso”. In giurisprudenza cfr. Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, cit., secondo cui “la prededuzione maturata nel primo concordato e non ancora pagata al momento della presentazione della seconda domanda […] deve necessariamente ritenersi compresa nella situazione patrimoniale”, dal momento che si tratta di “debiti cristallizzati a tale momento, che pertanto valgono a comporre lo stato passivo della procedura sin dall’origine”.
[54] Cfr. M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., p. 3368.
[55] L’art. 2, lettera l), c.c.i.i. fornisce un’espressa definizione della nozione di parti correlate, la quale si esaurisce nel rinvio al regolamento Consob, vale a dire al “Regolamento operazioni con parti correlate” adottato con la delibera del 12 marzo 2010, n. 17221, e alle sue successive modificazioni e integrazioni. In materia cfr., tra gli altri, P. Montalenti, Le operazioni con parti correlate tra efficienza gestionale nei gruppi e rischi di conflitti di interessi: quale disciplina?, in Aa.Vv., La crisi finanziaria: banche, regolatori, sanzioni. Atti del Convegno. Courmayeur 25-26 settembre 2009, Milano, 2010, pp. 135 ss.; Id. Impresa, società di capitali, mercati finanziari, Milano, 2017, pp. 150 ss. M. Miola, Le operazioni con parti correlate, in Aa.Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, pp. 625 ss.
[56] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1165.
[57] Cfr. L. Panzani, Introduzione, cit., p. 31, il quale rileva che, superate determinate soglie di soddisfacimento, “il legislatore ha ritenuto che i creditori […] sono abbastanza tutelati o ha voluto premiare il debitore che s’impegna oltre una certa percentuale”.
[58] Cfr. M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., p. 3369; A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 321.
[59] Cfr. M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 46 ss.
[60] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1166, il quale sottolinea la “funzione di moral suasion attribuita all’istituto, funzionale a sanzionare proposte di concordato eccessivamente punitive per i creditori”.
[61] Cfr. A. Rimato, Proposte concorrenti e mercati delle proposte nel nuovo concordato preventivo, in FallimentieSocietà.it, 2015, p. 7.
[62] Con l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è venuta meno la distinzione in passato effettuata dall’art. 163, 5° comma, l. fall., il quale fissava due diverse percentuali: il quaranta per cento nel caso di concordato liquidatorio e il trenta per cento nell’ipotesi di continuità aziendale. La modifica costituisce il logico corollario del forte ridimensionamento del concordato preventivo liquidatorio, il cui spazio applicativo è stato circoscritto ai casi di apporto di finanza esterna in misura tale da incrementare di almeno il dieci per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e assicuri il soddisfacimento dei chirografari in misura non inferiore al venti per cento (art. 84, 4° comma, c.c.i.i.) (cfr. E. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022, p. 9).
[63] Cfr. A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 321.
[64] In materia cfr., senza pretesa di esaustività, I. Pagni-M. Fabiani, Introduzione alla composizione negoziata, in Fallimento, 2021, pp. 1477 ss.; Id., La transizione del codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in DirittodellaCrisi.it; 2021; A. Rossi, Composizione negoziata della crisi: presupposti e obiettivi, ivi, 2021; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. 118 del 2021, ivi, 2021; S. Ambrosini, La composizione negoziata compie un anno: breve itinerario fra le prime applicazioni, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022; S. Bonfatti, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa - natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative, in DirittodellaCrisi.it, 2022; V. Minervini, Composizione negoziata, norma unionali e (nuovo) Codice della crisi, ivi, 2022; L. Panzani, La composizione negoziata alla luce della direttiva Insolvency, in RistrutturazioniAziendali.it, 2022.
[65] Cfr. G. Garesio, Le misure premiali, in M. Irrera-S.A. Cerrato (diretto da), F. Pasquariello (coordinato da), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento d.l. 118/2021 conv. in l. 147/2021, cit., pp. 383 ss.
[66] E, prim’ancora, dell’art. 160, 4° comma, l. fall. (cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 246).
[67] Cfr. M. Sandulli, La rilevanza del livello di soddisfazione dei creditori (le percentuali concordatarie), in M. Sandulli-G. D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, cit., p. 106, il quale ritiene che la previsione di cui all’art. 160, 4° comma, l. fall. – ma lo stesso può dirsi per quella di cui all’art. 163, 5° comma, l. fall. e, oggi, di cui all’art. 90, 5° comma, c.c.i.i. – deve considerarsi rispettata “quando dall’attestazione – correttamente operata – emerga con “concreta” attendibilità la corrispondenza a tal valore”.
[68] Cfr. E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, in IlCaso.it, 2015, p. 15; M. Sandulli, La rilevanza del livello di soddisfazione dei creditori (le percentuali concordatarie), cit., p. 105; G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 246-247.
[69] Cfr. M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., p. 24; G.B. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato preventivo, in IlCaso.it, 2015, p. 23; E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., p. 22.
[70] Cfr. M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., p. 3369; P.F. Censoni, Il concordato preventivo, cit., pp. 176-177; G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 242 ss.; G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, cit., p. 96.
[71] Così G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1168.
[72] La tesi meno restrittiva è stata recepita da Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, cit., sul presupposto – qui non condiviso – che “in tutti i casi le norme in tema di concordato preventivo utilizzano i termini “pagamento” e “soddisfazione” quali sinonimi”. Peraltro la pronuncia ha per oggetto una fattispecie nella quale la previsione del trattamento di una parte dei creditori con forme diverse dal denaro (datio in solutum) rappresenta uno scenario meramente eventuale, subordinato a quello principale del versamento in numerario.
[73] Cfr. M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., p. 24; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 70-71; contra M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., 3369; G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 242 ss. L’oggettiva difficoltà di superare il dato letterale si è acuita con l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Mentre l’art. 90, 5° comma, c.c.i.i. ha conservato il riferimento al “pagamento” già presente nell’art. 163, 5° comma, l. fall., l’art. 84, 4° comma, c.c.i.i. si è significativamente discostato dall’art. 160, 4° comma, l. fall. e non prescrive più il “pagamento” di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, bensì un “soddisfacimento” che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell’ammontare complessivo del credito chirografario. Il che sembra confermare che il legislatore (quantomeno quello del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) ha fatto un uso pienamente consapevole del termine “pagamento”, il cui significato non pare pertanto potersi fare forzatamente coincidere con la (obiettivamente più lata) nozione di “soddisfacimento”.
[74] Il testo del decreto legge specificava espressamente la possibilità di dilazionare il pagamento. L’inciso è tuttavia venuto meno in sede di conversione della “miniriforma” del 2015 e da tale circostanza alcuni commentatori avevano inferito che la percentuale offerta dovesse obbligatoriamente essere corrisposta immediatamente, salvo fare ricorso a complessi meccanismi di attualizzazione (cfr. D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., p. 265). Sembra tuttavia preferibile ritenere che il sintagma sia stato soppresso (peraltro nell’ambito della più generale riformulazione della disposizione ad opera della legge di conversione) soltanto perché superfluo (cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 240, nota 23), sicché, in assenza di qualsiasi divieto al riguardo (che neppure si rinviene nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), la dilazione resta possibile, purché contenuta entro l’orizzonte tenporale del piano.
[75] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, cit.
[76] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1168; G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, cit., pp. 155-156; P. Piscitello, Il concordato preventivo tra modelli competitivi e ritorno al passato, cit., p. 302; G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 244 ss.
[77] Cfr. G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, cit., p. 97; D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., p. 266; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., 71, nonché, in giurisprudenza, Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, cit., secondo cui “proprio un’interpretazione letterale della norma porta a ritenere […] che la percentuale minima richiesta si riferisca, non già ad ogni singolo credito o classe di crediti, bensì a tutti i crediti chirografari nel loro complesso”. Nel medesimo senso, con riguardo al computo della percentuale minima del venti per cento nel concordato liquidatorio con classi, G.B. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato preventivo, cit., p. 13; S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, cit., p. 92, cui adde Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in IlCaso.it, 2015. Tale impostazione sembra aver trovato definitiva conferma nella formulazione dell’art. 84, 4° comma, c.c.i.i., il quale prescrive che il soddisfacimento dei chirografari deve intervenire in misura non inferiore al venti per cento “del loro ammontare complessivo”.
[78] Cfr. A. Farolfi, Concordato preventivo: le novità di agosto, cit., pp. 9-10; G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, cit., pp. 97 e 105; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., p. 122; contra L. Galanti, “Misure urgenti” in tema di concordato preventivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 979; D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., pp. 272-273.
[79] Cfr. Trib. Vicenza, 30 aprile 2019, in Fallimento, 2020, p. 139, il quale ha “ritenuto […] che la proposta concorrente debba reputarsi ammissibile, dato che l’originaria proposta […] (dep. 14.12.2018) prevedeva il soddisfacimento dei creditori per il 26,5% e che la percentuale è stata innalzata al 30,06% solo in data 29.3.2019 (dopo tre mesi e mezzo), al chiaro scopo di precludere l’ingresso della proposta concorrente (dep. 2.4.2019), di cui evidentemente la [debitrice] aveva avuto notizia, visto che [il terzo] stava acquistando i crediti necessari per acquisire la legittimazione a proporsi come concorrente nel concordato e non essendo giusto poter far valere la barriera all’ingresso dei terzi, costituita dal 30% offerto ai creditori (peraltro qui assai risicato e, dunque, di incerta realizzazione), solo ove occorra ed in funzione del comportamento di coloro che aspirano a diventare concorrenti, i quali impegnano notevoli mezzi finanziari ed altre risorse in questa attività, dovendo poter confidare sulla stabilità delle condizioni iniziali per poter partecipare alla competizione; insomma: le condizioni di partenza del gioco non possono cambiarsi in corso d’opera a scapito dei creditori, che pure hanno il diritto di votare su proposte concorrenti migliorative, tenuto conto che a loro è destinato in fin dei conti il patrimonio della società insolvente e che la legge consente ai soci di conservare il controllo sulla società solo a condizione di essere trasparenti e leali nei confronti del ceto creditorio, trasparenza e lealtà che verrebbero meno se si consentisse di sbarrare la strada alle proposte concorrenti ad libitum, e nella sola misura ritenuta utile ai soci (nella specie: elevando la percentuale al mero minimo impeditivo di legge)”.
[80] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 259.
[81] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 290.
[82] La legge non richiede che il terzo proponente assuma su di sé specifici obblighi funzionali alla regolazione dell’insolvenza o, comunque, all’esecuzione della proposta concorrente. Nulla vieta, naturalmente, che tale situazione si verifichi, come accade quando il terzo si determini a mettere a disposizione del concordato risorse esterne (se del caso in misura superiore a quella eventualmente indicata dal debitore) o si candidi in prima persona quale esecutore del (nuovo) piano. La concreta adozione di una prospettiva siffatta resta, tuttavia, assoggettata alla discrezionale valutazione del terzo, che, ove lo preferisse, ben potrebbe limitarsi a intervenire sull’impostazione adottata all’imprenditore: la potrebbe modificare allo scopo di renderla maggiormente confacente alle istanze dei creditori o dei soci (dal momento che egli ricade, invariabilmente, in una di queste due categorie), ma – ed è questa la peculiarità che va sottolineata – continuando a fare gravare esclusivamente sul debitore l’obbligo di dare attuazione al piano e di onorare la proposta. Ciò ancorché né il primo né la seconda gli “appartengano” veramente, perché entrambi rimodulati in forza del combinato disposto, da un lato, dell’incontro delle volontà del terzo proponente e della maggioranza dei creditori e, dall’altro, del decreto di omologazione.
[83] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 6; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1168.
[84] Cfr. S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della “miniriforma” del 2015, cit., p. 375; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1168; A. Nigro-D. Vattermoli, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 97; P. Beltrami, Le recenti (ulteriori) modifiche al concordato preventivo dell’estate 2015, in IlCaso.it, 2016, p. 29; P.F. Censoni, Il concordato preventivo, cit., p. 197; M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., pp. 25-26; G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, cit., pp. 148 ss.; P. Piscitello, Il concordato preventivo tra modelli competitivi e ritorno al passato, cit., p. 304; G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 259; A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 291. Contra E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., pp. 25-26, la quale nega che “il concorrente possa spingersi fino a proporre la sostituzione di un piano liquidatorio con un piano che preveda la continuità aziendale, ovvero il passaggio inverso, da un concordato con continuità ad un concordato liquidatorio”, in quanto tale ipotesi “costituirebbe una clamorosa violazione del principio costituzionale, che tutela la libertà di iniziativa economica, in quanto il debitore verrebbe costretto a scelte imprenditoriali né volute, né concordate con lui, delle quali continuerebbe ad essere responsabile sul piano economico, fino ad andare incontro ad una dichiarazione di fallimento, se la situazione dell’impresa precipita, mentre egli ne è ancora il titolare”. Sennonché la disciplina delle proposte concorrenti mira precisamente a consentire la prevalenza della soluzione offerta dal mercato sulla libera iniziativa economica del debitore, senza che tuttavia ciò collida con il dettato costituzionale, in quanto l’istituto trova attuazione esclusivamente nel caso in cui l’imprenditore si sia liberamente determinato ad accedere al concordato preventivo e abbia sottoposto ai creditori una proposta che contempli un significativo stralcio, denotando una situazione di vera e propria insolvenza, la quale legittima la sostanziale traslazione della titolarità dell’impresa in capo ai creditori (cfr., sul punto, M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 43 ss.).
[85] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 121.
[86] L’art. 84, 2° comma, c.c.i.i., stabilisce che la continuità aziendale, oltre a tutelare l’interesse dei creditori, preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. In materia cfr. S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo: “finalità”, “presupposti” e controllo sulla fattibilità del piano (con qualche considerazione di carattere generale), in IlCaso.it, 2019, pp. 1 ss.; G.B. Nardecchia, Concordato preventivo e mantenimento dei posti di lavoro, in Aa.Vv., La riforma del fallimento, Milano, 2019, pp. 186-187.
[87] Cfr. S. Ambrosini, Concordato preventivo e soggetti protetti nel codice della crisi dopo la Direttiva Insolvency: i creditori e i lavoratori, in RistrutturazioniAziendali, 2022.
[88] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 290.
[89] In sede di approvazione del concordato i creditori possono indirizzare la propria adesione verso la prospettazione che ritengano più confacente alla tutela dei propri interessi, tenendo conto di tutte le specificità di ciascuna proposta e senza che sia necessariamente destinata a prevalere quella che rechi la previsione di un soddisfacimento più elevato. Ancorché il fattore puramente economico sia certamente destinato a ricoprire un ruolo primario nell’ambito della selezione, sarebbe infatti semplicistico pensare che esso sia il solo parametro idoneo a condizionare l’esito della votazione. Il processo decisionale dei creditori ben può avere riguardo anche ad altri elementi, quali le modalità di soddisfacimento (in denaro o in altre utilità) e l’eventuale presenza di garanzie, nonché l’affidabilità e le capacità imprenditoriali dei proponenti, particolarmente rilevanti quando ci si trovi al cospetto di piani con continuità aziendale. Più in generale, è ragionevole ritenere che l’attenzione dei creditori si focalizzi, oltre che sul quantum, sul quomodo e sul quando prospettati, oltre che sull’alea sottesa a ciascuna soluzione; non potendo ad esempio escludersi che essi si risolvano a optare per uno scenario liquidatorio connotato da un risultato economico più modesto, ma sostanzialmente certo, piuttosto che per un piano con continuità aziendale che incorpori la possibilità di ristori sulla carta più significativi, ma a fronte di un rischio di esatta esecuzione del concordato parimenti elevato.
[90] Cfr. E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., p. 23; M. Arato, La domanda di concordato preventivo, cit., p. 3369.
[91] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 260; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., p. 79; A. Audino, sub art. 90, cit. p. 658.
[92] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, cit.
[93] Cfr. A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 326.
[94] La nuova certificazione dell’esperto indipendente è circoscritta agli elementi che non siano già stati positivamente scrutinati dal commissario giudiziale; non – si badi – dall’attestatore prescelto dal debitore. Da ciò discende che, ogniqualvolta la proposta concorrente sia presentata prima della relazione commissariale, l’attestazione sulla fattibilità deve essere completa, mentre solo nell’ipotesi di formulazione successiva è possibile omettere l’analisi dei profili che siano stati vagliati dal commissario.
[95] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 261.
[96] Cfr. S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, cit., p. 101.
[97] Cfr. M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., p. 10; A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 291-292.
[98] Mentre l’imprenditore è di norma in condizione di coordinare il momento del deposito della domanda con il lasso di tempo che gli necessita per la predisposizione del piano e della proposta di concordato (se del caso sfruttando la protezione che gli viene garantita dalla c.d. fase “in bianco” di cui all’art. 44 c.c.i.i., idonea a guadagnare mesi preziosi anche al cospetto di istanze di liquidazione giudiziale), il terzo non ha alcuna possibilità di influire direttamente sul calendario della procedura; il che si traduce in un manifesto svantaggio competitivo, probabilmente assai più rilevante del plus derivante dal (peraltro meramente condizionale e, di norma, parziale) esonero dall’onere di attestazione.
[99] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 292-293, secondo cui “è originale quella proposta che, per il reperimento della provvista concordataria, si affida ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore, anche […] con un esito del concordato del tutto difforme da quello contemplato e previsto dall’imprenditore che si è affidato alla procedura di concordato preventivo per affrontare e risolvere la stato di crisi”. Costituisce invece una “proposta derivata [quella] che tragga spunto sia dalla proposta (e, soprattutto, dal piano) del debitore, sia dalle verifiche svolte dal commissario giudiziale nella propria relazione. In tal caso, è difficile immaginare un cambio di impostazione della proposta concorrente, che sposerà quella (liquidatoria, in continuità oggettiva o in continuità soggettiva) già adottata dalla proposta del debitore per differenziarsene solo marginalmente”. Infine, “la proposta concorrente potrà essere parassitaria, allorché adotti sic et simpliciter il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario, ammettendosi dunque che uno stesso programma di acquisizione della provvista concordataria possa supportare diverse proposte di concordato”.
[100] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 296.
[101] Mentre con la liquidazione l’intero attivo patrimoniale del debitore va destinato al ristoro dei creditori, la prosecuzione dell’attività consente che la quota dei flussi attivi eccedente il valore di liquidazione giudiziale sia almeno in parte trattenuta dall’imprenditore. Di qui la creazione di un surplus, contendibile attraverso un doppio binario: alle ipotesi di continuità indiretta si attaglia la disciplina delle offerte concorrenti; negli scenari di continuità diretta, invece, vengono in considerazione le proposte concorrenti, le quali, ove opportunamente congegnate, permettono al terzo di acquisire il controllo dell’impresa.
[102] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 302.
[103] Cfr. A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., p. 3.
[104] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1171; E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., p. 23.
[105] A questo proposito non sembrerebbe davvero persuasivo il rilievo che una forzata coabitazione tra vecchi e nuovi soci sarebbe comunque inevitabile, in quanto necessaria conseguenza delle regole di cui all’art. 89 c.c.i.i., che prescrive la temporanea disapplicazione degli artt. 2446, 2° e 3° comma, 2447, 2482-bis, 4°, 5° e 6° comma, e 2482-ter c.c., nonché la parimenti transitoria sterilizzazione della causa di scioglimento derivante dalla riduzione o perdita del capitale di cui agli artt. 2484, 1° comma, n. 4, e 2545-duodecies c.c. (cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 305). Queste disposizioni, infatti, si limitano a stabilire il congelamento degli obblighi di ricapitalizzazione fino all’omologazione; il che non autorizza a predicare che esse implichino altresì la fittizia conservazione del capitale.
[106] Cfr., tra gli altri, F. Fimmanò, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. soc., 2010, pp. 57 ss.; P. Oliviero, “Conversione” del credito delle banche in capitale di rischio nel contesto della crisi di impresa, in F. Bonelli (a cura di), Crisi di imprese: casi e materiali, Milano, 2011, pp. 91 ss.; E. Bertacchini, La conversione dei crediti in azioni negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani attestati di risanamento nel quadro della legge fallimentare riformata, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, pp. 181 ss.; G. Di Cecco, La conversione concordataria dei debiti in capitale di rischio: tra riflessioni (ed altrettante proposte) sulla peculiarità della disciplina applicabile alle operazioni di debt to equity swap, in IlCaso.it, 2018.
[107] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 303.
[108] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 123-124.
[109] La sostanziale traslazione al terzo della concreta disponibilità degli assets non deve quindi necessariamente passare per il trasferimento dell’azienda (né per la correlata obbligatoria applicazione della disciplina delle offerte concorrenti), il che consente di ovviare alle criticità che possano presentarsi nelle situazioni in cui il c.d. “asset deal” si riveli, in concreto, scarsamente appetibile (o addirittura concretamente inattuabile), ad esempio perché sia problematico procurare al cessionario eventuali requisiti soggettivi o autorizzazioni amministrative indispensabili per la prosecuzione del business.
[110] Per una disamina della questione cfr. M.L. Vitali, Aumento di capitale e diritto di opzione nelle società in crisi, Torino, 2018, pp. 43 ss.
[111] Cfr. M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 96 ss.
[112] Con riguardo al regime dell’esclusione del diritto di opzione nella società azionaria cfr., tra gli altri, S.A. Cerrato, sub art. 2441, in G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, 2, Bologna, 2004, pp. 1500 ss.; G. Giannelli, L’aumento di capitale a pagamento, in P. Abbadessa-G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Cambopasso, 3, Torino, 2007, pp. 274 ss.; A.A. Awwad, Il diritto di opzione nelle società quotate, Milano, 2013, pp. 85 ss.; A. Postiglione, sub art. 2441, in N. Abriani (a cura di), Codice delle società, Torino, 2016, pp. 1655 ss.
[113] In materia cfr. O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, 1, Padova, 2007, pp. 332 ss.; S.A. Cerrato, Aumenti di capitale e diritti del socio di s.r.l., in M. Sarale (diretto da), Le nuove s.r.l., Bologna, 2008, pp. 852 ss.; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, II, in P. Schlesinger (fondato da)-F.D. Busnelli (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, 2010, pp. 1527 ss.
[114] Così A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 303-304.
[115] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 304, il quale pone “il dubbio se l’interesse sociale “esigente” ex art. 2441, co. 5°, c.c. possa corrispondere, in una logica neoistituzionale, alla sopravvivenza in sé della società esdebitata, anche se difforme dall’interesse di tutti i vecchi soci della stessa”, osservando che “comunque non sarebbe l’esclusione del diritto di opzione a salvare, se del caso, la società debitrice, ma la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, in grado di consegnare a questa le risorse previste come necessarie all’adempimento delle obbligazioni concordatarie. Non è punto comprensibile, dunque, se non in termini di incentivo abnorme alla formulazione di una proposta concorrente ostile, un sacrificio imposto a quei soci che potrebbero ancora manifestare interesse all’operazione di aumento di capitale sociale racchiusa nella proposta concorrente del creditore: l’interesse della massa dei creditori sarebbe comunque soddisfatto a seguito della sottoscrizione del nuovo capitale, a prescindere dall’identità dei sottoscrittori”.
[116] Così A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 304-305.
[117] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 121, nota 9, il quale rileva che “la ratio e la lettera della norma depongono chiaramente nel senso di consentire al creditore-proponente interventi sul capitale sociale anche contro la volontà dei soci della società debitrice; possibilità di intervento che, all’evidenza, sarebbe impedito o reso più difficile laddove l’esclusione o limitazione del diritto di opzione fosse subordinato al ricorrere delle condizioni previste dagli artt. 2441 e 2481 bis c.c.”.
[118] Cfr. M. Aiello, Interazioni tra diritto societario e concorsuale: nomina dell’amministratore giudiziario e aumento del capitale nelle proposte concorrenti di concordato preventivo alla luce del c.c.i.i., in M. Callegari-S.A. Cerrato-E. Desana (a cura di), Studi in onore di Paolo Montalenti, III, Torino, 2022, p. 1832.
[119] In materia cfr. L. Panzani, La disciplina delle crisi di gruppo tra proposte di riforma e modelli internazionali, in Fallimento, 2016, pp. 1153 ss.; Id., Il concordato di gruppo, ivi, 2020, pp. 1342 ss.; R. Santagata, Il concordato di gruppo nel Progetto di riforma Rordorf: prime impressioni, in Riv. dir. impr., 2016, pp. 681 ss.; C. Pasquariello, La crisi del gruppo: consolidation o autonomia?, in L. Calvosa (a cura di), Crisi di impresa e insolvenza. Prospettive di riforma, Pisa, 2017, pp. 299 ss.; G. Scognamiglio, La disciplina del gruppo societario in crisi o insolvente. Prime riflessioni a valle del recente disegno di legge delega per la riforma organica della legge fallimentare, in M. Arato-G. Domenichini (a cura di), Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, cit., pp. 21 ss.; Id., I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, pp. 413 ss.; G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, pp. 277 ss.; F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Questione giustizia, 2019, 2, pp. 169 ss.; M. Spiotta, La disciplina dei gruppi, in Giur. it., 2019, pp. 1943 ss.; M. Miola, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Aa.Vv., La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, pp. 440 ss.; A. Nigro, I gruppi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: notazioni generali, in IlCaso.it, 2020.
[120] Cfr. G. Savioli, Concorrenza nel mercato e per il mercato delle crisi d’impresa. Le innovazioni del D.L. 83/2015 per la procedura di concordato preventivo, in IlCaso.it., 2015, pp. 4 ss.; M. Arrigo, Il vulnus della competitività nel concordato preventivo: l’asimmetria informativa, in IlCaso.it, 2018, 1 ss.
[121] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 301, nota 32.
[122] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 6.
[123] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 7.
[124] Cfr. P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, cit., 16.
[125] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1171.
[126] Cfr. Trib. Milano, 3 dicembre 2021, Di Meo c. Commissari giudiziali del Concordato Moby s.p.a., deleg. V. Agnese, ined.
[127] Cfr. N. Rocco di Torrepadula, I nuovi compiti del commissario giudiziale, in M. Sandulli-G. D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, cit., p. 191.
[128] Cfr. P. Beltrami, Le recenti (ulteriori) modifiche al concordato preventivo dell’estate 2015, cit., p. 31.
[129] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 301.
[130] Cfr. M. Vitiello, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, in IlFallimentarista.it, 2015, pp. 3-4; G.B. Nardecchia, Il terzo nel concordato, in Fallimento, 2017, pp. 1079-1080.
[131] Al fine di addivenire a una più diretta tutela dell’istanza del terzo all’accesso alle informazioni rilevanti si è ipotizzato che, “qualora sia pendente un’istruttoria prefallimentare, riunita o meno al procedimento concordatario, sarà astrattamente possibile che i legittimati propongano al Tribunale richieste cautelari ai sensi dell’art. 15, comma 8, l.fall. […]. Sarà allora possibile che il Tribunale fallimentare, secondo una prassi già collaudata in altre situazioni non troppo dissimili, revochi gli amministratori in carica della società, i quali si stiano sottraendo ai propri specifici doveri nati nell’ambito del concordato, e nomini un amministratore giudiziario; e ciò a tutela non già del concordato, bensì dell’eventuale futuro esito fallimentare che dovesse scaturirne, e dunque a tutela “del patrimonio o dell’impresa” del debitore. In alternativa il Tribunale potrà sospendere i poteri degli organi amministrativi di nomina assembleare, ed attribuirli, per quanto interessa, ad un organo dallo stesso nominato, che potrebbe anche coincidere colCommissario giudiziale” (così D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 10).
[132] Cfr. S. Sanzo-D. Burroni, Proposte concorrenti nel concordato: inquadramento normativo e primo caso pratico, in IlFallimentarista.it, 2018, p. 5.
[133] Cfr. P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, cit., p. 27; A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 321; contra D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., p. 270.
[134] Cfr. Trib. Bergamo, 28 gennaio 2016, in IlCaso.it, 2016. La soluzione del differimento dell’adunanza sembra comunque doversi circoscrivere a casi di assoluta necessità, in quanto, com’è stato osservato, “la concessione (indiscriminata) di rinvii della data dell’adunanza altererebbe le regole del gioco a gioco già iniziato e finirebbe per pregiudicare gli interessi del debitore o di altri eventuali proponenti concorrenti” (così M. Vitiello, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, cit., p. 4).
[135] Cfr. G.N. Nardo, Le relazioni del commissario giudiziale, in F. Santangeli (a cura di), La nuova legge fallimentare dopo la l. n. 132/2015, cit., p. 232.
[136] Pertanto, salvi eventuali differimenti, l’ufficio commissariale dispone di quindici giorni per esaminate la proposta concorrente e rassegnare le proprie osservazioni su di essa.
[137] Cfr. A. Ferretti, La relazione del commissario giudiziale nel novellato art. 172 legge fallimentare, in S. Ambrosini, Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, cit., pp. 523 ss.
[138] Cfr. M. Spadaro, sub art. 175. Discussione della proposta di concordato, in Aa.Vv., La nuova riforma del diritto concorsuale. Commento operativo al d.l. n. 132/2015 conv. in l. n. 132/2015, cit., p. 245.
[139] Anche alle modifiche apportate alle proposte concorrenti si applica l’onere del supplemento di attestazione richiesto dall’art. 87, 3° comma, seconda parte, c.c.i.i. (cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 99), salvo che esse non postulino questioni di fattibilità diverse da quelle già positivamente scrutinate dal commissario, nel qual caso opera la peculiare esenzione di cui all’art. 90, 4° comma, c.c.i.i.
[140] Cfr. P.F. Censoni, Il concordato preventivo, cit., p. 197.
[141] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1172.
[142] In passato si era posto il problema se occorresse la preventiva adozione e iscrizione nel registro delle imprese della delibera di cui all’art. 152 l. fall. (richiamato dall’art. 161, 4° comma, l. fall.). Ancorché se ne fosse predicata la necessità sul presupposto del sostanziale parallelismo tra la proposta del debitore e quella del terzo (cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 263-264), pareva preferibile ritenere che tale adempimento potesse essere omesso, atteso che – com’era stato persuasivamente osservato – “i requisiti formali richiesti dall’art. 152 l.fall. si giustificano in ragione dei rilevanti effetti che l’apertura della procedura di concordato produce nei confronti della società proponente che sia anche la debitrice-ricorrente (spossessamento attenuato, divieto dei pagamenti di crediti anteriori, ecc.); tali effetti, evidentemente, non si producono in capo al creditore-proponente, che non subisce direttamente gli effetti della presentazione della proposta di concordato” (così G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1172); dal che, per l’appunto, la superfluità dell’incombente.
[143] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1172; E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., pp. 26-27; contra, con specifico riferimento alla comunicazione al pubblico ministero, G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 261.
[144] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1172; D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 12; M. Vitiello, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, cit., p. 4; A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 324; contra, ma in termini dubitativi e con toni sostanzialmente critici, E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. n. 83/2015, cit., pp. 27-28; N. Sotgiu, Il nuovo concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2015, pp. 1520-1521; M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., p. 29.
[145] Cfr., sia pure con prospettazione dubitativa, M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, cit., p. 29.
[146] Cfr. D. Griffini, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., p. 272.
[147] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 13.
[148] Cfr. M. Vitiello, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, cit., p. 4.
[149] Indiretta conferma della necessità di un vaglio a tutto tondo dell’ammissibilità della proposta concorrente può trarsi da Trib. Napoli, 2 febbraio 2018, Giuseppe Bottiglieri Shipping Company s.p.a., est. F. Maffei, ined., che ha dichiarato inammissibile l’iniziativa del terzo sulla base di una pluralità di ragioni, solo alcune delle quali relative ai profili di corretta formazione delle classi. Merita precisare che la decisione è stata confermata in appello (cfr. App. Napoli, 4 luglio 2018, Lighthouse Limited c. Giuseppe Bottiglieri Shipping Company s.p.a., pres. M.R. Cultrera, est. A. Tabarro, ined.), con una motivazione che ha reputato assorbente il rilievo della carenza di legittimazione in capo al terzo, così avallando la tesi nella necessità di estendere il sindacato giurisdizionale oltre il ristretto perimetro oggi espressamente enucleato dall’art. 90, 7° comma, c.c.i.i.
[150] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1172.
[151] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1173.
[152] La corte d’appello investita dell’impugnazione del provvedimento che abbia dichiarato inammissibile la proposta concorrente non sembra dotata del potere di sospendere, in via cautelare, le operazioni di voto. Cfr., in proposito, App. Napoli, 26 febbraio 2018, cit., la quale, muovendo dal dato letterale dell’art. 26 l. fall. secondo cui il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento (riproposto senza variazioni nell’art. 124, 4° comma, c.c.i.i.), ha affermato che la norma, “nell’ottica di una previsione di sistema che privilegia sempre e comunque la celerità della scansione e della conseguente definizione del relativo procedimento per le esigenze di rapidità che connotano la procedura concorsuale, esclude […] l’effetto sospensivo del reclamo e in stretta correlazione il potere del giudice adito di provvedere sulla relativa istanza del reclamante. Se ne trare riscontro […] nella espressa previsione dei casi in cui la legge fallimentare ha previsto e ammesso misure di natura cautelare che ineriscono strettamente alla scansione della procedura, senza comunque imprimerne l’arresto. È chiaro il riferimento al disposto dell’art. 15 comma 8 che consente al tribunale fallimentare in sede di istruttoria prefallimentare di adottare misure cautelari e conservative del patrimonio dell’impresa, il cui inquadramento sistematico è connotato da specialità rispetto ai provvedimenti cautelari previsti dal codice di rito ed è dunque definibile “extravagante” e perciò non compatibile con le disposizioni processuali generali, neppure in forza della clausola generale di chiusura dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. Le misure ivi contemplate, laddove eventualmente vengano adottate, […] non interferiscono con l’ordinario svolgimento della fase procedimentale nella quale si innestano e possono essere confermate o modificate con la sentenza di fallimento ovvero revocate con il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento. Si inquadrano pertanto in uno schema difforme dal paradigma dell’art. 669 octies c.p.c. Ancora in via cautelare, l’art. 19 legge fall. attribuisce alla corte di appello, in sede di reclamo proposto a mente dell’art. 18 avverso la sentenza di fallimento, il potere di sospendere, su istanza della parte o del curatore e in presenza di gravi motivi, la liquidazione dell’attivo ma non anche le altre attività conseguenziali all’apertura della procedura fallimentare. La misura […] si innesta ancora nella fase che inerisce alla dichiarazione di fallimento. Nessun altro intervento di natura cautelare è previsto nel corpus della legge fallimentare, tanto meno in relazione alla procedura di concordato preventivo […]. Né tanto meno è consentito, in via estensiva, ravvisarne la sussistenza in forza di un generale e residuale potere discrezionale dell’organo adito in sede di reclamo ai sensi dell’art. 26 legge fall. che renderebbe ammissibile l’istanza di sospensione del provvedimento reclamato. L’affermazione della sussistenza nella materia concorsuale di una tutela cautelare atipica e generale si scontra con l’impossibilità di adattare il procedimento di reclamo all’archetipo sancito dagli artt. 669 e ss. c.p.c., in quanto esso è connotato da nesso di strumentalità rispetto ad un processo a cognizione piena di merito, ovvero alla generale previsione di cui all’art. 351 c.p.c. che delinea un potere cautelare di sospensiva di carattere generale in capo al giudice adito con gravame, ma in relazione ai capi della sentenza impugnata che pronunciano condanna della parte soccombente, indi appellante, provvisoriamente esecutive ex art. 283 c.p.c.”. L’unica possibilità per il terzo proponente di provocare il differimento delle operazioni di voto sembrerebbe quindi affidata alla formulazione di una apposita istanza al giudice delegato (il cui provvedimento sarebbe eventualmente reclamabile dinanzi al collegio ai sensi degli artt. 26 l.fall. e 124 c.c.i.i.); contra, tuttavia, Trib. Napoli, 6 febbraio 2018, cit., il quale ha dichiarato irricevibili le istanze con le quali era stato chiesto il differimento dell’adunanza, sul presupposto che esse “non sono sussumibili in alcuna disposizione normativa non potendosi riconoscere al Tribunale l’invocato potere di differimento dell’adunanza”. Il che sembra tuttavia collidere con il pacifico potere dell’autorità giudiziaria di “governare” l’iter concordatario, che non pare possa essere seriamente contestato laddove si esplichi nel mero differimento di termini ordinatori (ferma, naturalmente, la necessità di fornire idonea motivazione della decisione).
[153] Cfr. App. Napoli, 4 luglio 2018, cit., la quale, con riguardo al provvedimento del tribunale che aveva dichiarato inammissibile la proposta concorrente, ne ha affermato la “reclamabilità ex art. 26 l.f. [oggi art. 124 c.c.i.i.: n.d.r.], stante la generale impugnabilità nelle forme del provvedimento camerale, strutturato, all’esito degli interventi correttivi da parte della Suprema Corte ed il processo di costituzionalizzazione ad opera della Corte Costituzionale al fine di assicurare la pienezza della tutela giurisdizionale degli interessati, dei decreti del giudice delegato e dei decreti adottati dal Tribunale”.
[154] Le criticità che si presentano, sotto il profilo del voto, nelle fattispecie di concordato preventivo con proposte concorrenti sono almeno in parte comuni a quelle che emergono nelle ipotesi di concordato fallimentare in cui i creditori siano chiamati a pronunciarsi su una pluralità di proposte; sul punto cfr., tra gli altri, F. d’Alessandro, Il “nuovo” concordato fallimentare, in Giur. comm. 2008, I, p. 358.
[155] Cfr. M. Fabiani, Il concordato fallimentare, in Aa.Vv., Il processo di fallimento, in F. Vassalli-F.P. Luiso-E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014, pp. 981 ss.
[156] La regola del silenzio-assenso, che era stata introdotta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 87, convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134, è stata superata dalla “miniriforma”, la cui impostazione ha trovato conferma nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (art. 109 c.c.i.i.).
[157] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 271.
[158] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1175.
[159] Cfr. P. Manganelli, Discussione e approvazione della proposta concordataria e delle eventuali proposte concorrenti, in DirittoBancario.it, 2016.
[160] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 13.
[161] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., pp. 1175-1176.
[162] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 13.
[163] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 272, il quale osserva che “la preferenza data alla proposta del debitore in caso di parità ben si spiega con l’opportunità di privilegiare l’offerta del titolare dell’impresa quando i creditori non hanno effettuato una scelta sicura”.
[164] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1176.
[165] L’art. 109, 4° comma, c.c.i.i. stabilisce che i creditori muniti di prelazione di cui la proposta preveda la soddisfazione non integrale sono equiparati ai chirografari “per la parte residua del credito”, vale a dire per la quota di pretesa per la quale il pagamento integrale è escluso, in quanto eccedente il valore di liquidaione del bene (o dell’insieme di beni) sui cui insiste il privilegio, in conformità alle prescrizioni dell’art. 84, 5° comma, c.c.i.i.
[166] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1176.
[167] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., p. 1175, nota 35; contra M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 13, il quale ritiene che, “in presenza di proposte diverse, talune con suddivisione dei creditori in classi ed altre senza tale suddivisione, la prevalenza nella “fase eliminatoria” vada assicurata a quella che ha raggiunto la maggioranza totale più elevata, ma a condizione che vi sia la maggioranza delle classi (così, se il quoziente percentuale più elevato lo raggiunge la proposta A, ma in questa proposta vi sono più classi dissenzienti che assenzienti, [dovrebbe] escluder[s]i che la proposta A possa passare alla fase ulteriore)”. In questo modo, tuttavia, si finirebbe per considerare prevalente la proposta che abbia raggiunto una più elevata maggioranza (relativa) a livello di classi, senza tuttavia riscuotere la più alta percentuale di crediti assenzienti; il che pare contravvenire al tenore letterale degli dell’art. 109, 2° comma, c.c.i.i., il quali – ai fini della individuazione della proposta destinata a essere preferita alle altre – fa esclusivo riferimento al criterio della “maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”, senza menzionare la maggioranza delle classi.
[168] Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza sembra aver quindi recepito l’insegnamento di Cass., Ss.Uu., 28 giugno 2018, n. 17186, in Fallimento, 2018, p. 960, con nota di G. D’Attorre, Le Sezioni Unite riconoscono (finalmente) il conflitto d’interessi nei concordati, la quale ha superato il più risalente orientamento di Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, in Fallimento, 2011, p. 403, con nota di M. Fabiani, La ricerca di una tutela per i creditori di minoranza nel concordato fallimentare e preventivo.
[169] Il creditore che sia al contempo autore della proposta concorrente diviene portatore, oltre che dell’interesse alla massimizzazione del soddisfacimento dei propri crediti, di istanze ulteriori e potenzialmente confliggenti con quelle comuni a tutti i componenti della massa. A questo riguardo viene in considerazione, oltre all’interesse a veder prevalere la propria impostazione su quella del debitore e sulle altre eventualmente in competizione, soprattutto quello, tipico delle proposte concorrenti acquisitive (nelle quali, cioè, il terzo miri a sostituirsi al debitore nell’assunzione dell’impegno ad attuare il piano e a onorare la proposta), a contenere l’esborso in favore della massa, al fine di trattenere esclusivamente per sé una frazione rilevante del surplus concordatario. Ebbene, ancorché versi in una situazione di (quantomeno potenziale) conflitto di interessi (suscettibile di assumere gradazioni diverse, in dipendenza della struttura e del contenuto della proposta concorrente), il creditore-terzo proponente non è escluso tout court dal voto, ma concorre a pieno titolo alla formazione delle maggioranze, a condizione che sia inserito, ai fini del voto, in una apposita classe.
[170] Cfr. A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti, cit., p. 327.
[171] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 12; P. Beltrami, Le recenti (ulteriori) modifiche al concordato preventivo dell’estate 2015, cit., p. 33.
[172] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 139 ss.; P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, cit., pp. 24-25.
[173] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 277.
[174] Operazioni quali le cessioni di beni, lo scioglimento di contratti pendenti, la contrazione di finanziamenti prededucibili e, più in generale, la stipulazione di nuovi negozi possono seriamente ostacolare la concreta adozione di un piano diverso da quello dell’imprenditore (rispetto al quale risultano, invece funzionali), quand’anche – beninteso – realizzati in assenza di ipotetici intenti abusivi a danno del terzo. Di qui la condivisibile osservazione che “il rapporto debitore/terzo proponente sia il punto debole dell’istituto, da cui derivano gravi criticità anche in caso di rapporto fisiologico quando cioè […] il debitore agisca legittimamente” (così G.B. Nardecchia, Il terzo nel concordato, cit., p. 1079); fermo restando che “criticità naturalmente ben maggiori si riscontrano nella patologia del rapporto, qualora il debitore, cioè, si renda protagonista di colpevoli omissioni o di atti apertamente ostili nei confronti della proposta del terzo” (così G.B. Nardecchia, Il terzo nel concordato, cit., p. 1079).
[175] Tale bilanciamento di interessi nella deliberazione sull’autorizzazione postula che, al momento della decisione, la proposta concorrente sia già stata formulata; il che è però tutt’altro che scontato. Anzi, come si è visto, è addirittura precluso nella fase del concordato “in bianco”. Né tale inconveniente sembra superabile ipotizzando che anche il terzo sia legittimato a formulare una proposta concorrente prima del deposito del piano del debitore, al solo scopo di poter instaurare da subito il contraddittorio circa gli atti di straordinaria amministrazione. Una soluzione siffatta non solo si rivela contraria alla lettera della legge (che consente al terzo di presentare una proposta, non una mera prenotazione della stessa), ma appare altresì oggettivamente incongrua, perché equivale ad attribuire al terzo un potere d’interferenza nella procedura prim’ancora di avere acclarato l’ammissibilità della sua iniziativa, verificabile soltanto dopo che l’imprenditore abbia formulato la propria proposta.
[176] Cfr. M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, p. 492, secondo cui “la gestione dell’impresa nella fase interinale che va dalla presentazione della proposta concorrente alla fase dell’omologazione dovrebbe avvenire in modo che tutte le proposte – se approvate – possano essere omologate; non dovrebbe essere consentito che una proposta concorrente rischi di non poter essere attuata perché vengano compiuti determinati atti gestori se questi debbono essere sottoposti al vaglio autorizzatorio del giudice”.
[177] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 287.
[178] Questa conclusione è coerente con l’esclusione della legittimazione del terzo alla proposizione della vera e propria domanda di concordato, essendosi semplicemente previsto l’innesto della sua proposta sull’iniziativa del debitore, dalla quale la proposta concorrente quindi dipende; sicché tutti gli elementi di patologia dell’impostazione del debitore o della sua condotta che determinino l’arresto della procedura si risolvono fatalmente anche a danno del terzo.
[179] In materia cfr. S. Ambrosini-M. Aiello, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo, in IlCaso.it, 2014, pp. 5 ss.; R. Bellè, La modifica e il ritiro della domanda di concordato, in Fallimento, 2015, pp. 650 ss.
[180] Cfr. S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, cit., p. 97; ritengono invece che la rinuncia sia possibile fino al momento dell’approvazione della proposta concorrente M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., pp. 13-14; D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 134-135.
[181] Cfr. M. Vitiello, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, cit., pp. 4-5, secondo cui sarebbe possibile la “prosecuzione della procedura con riguardo alla sola proposta concorrente, ovviamente se quest’ultima dovesse superare il necessario vaglio di fattibilità giuridica, non potendosi ritenere ammissibile che il debitore possa frustrare gli interessi all’approvazione della proposta del terzo con una rinuncia agli atti del concordato, eventualmente accompagnata da una domanda di fallimento in proprio, né che il concorrente possa risentire di profili diinammissibilità ex art. 173 l. fall. di cui egli non ha responsabilità alcuna e di cui, pertanto, non può certo essere chiamato a rispondere, neppure in via indiretta”. Secondo questa lettura, “la rinuncia del debitore è ininfluente sulle altre proposte, dato che la presenza di una proposta del debitore è condizione per la presentazione di altre alternative da parte dei creditori e non anche per la permanenza delle stesse perché queste, una volta che siano state legittimamente presentate, acquistano una loro autonomia e non possono essere sottratte alla valutazione dei creditori” (così G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 266, il quale “assimil[a] questa situazione a quella dei creditori che intervengono nel processo esecutivo muniti di titolo esecutivo, che consente loro di procedere anche nel caso che il primo pignorante receda”). Di qui si è tratta la conclusione che l’abdicazione dell’imprenditore sarebbe efficace solo se accettata dai terzi proponenti, onde fornire adeguata protezione al loro interesse alla prosecuzione del procedimento concordatario (cfr. V. Confortini, Il concordato preventivo fra legge del concorso e legge del contratto. Concordati espropriativi e prospettive de lege ferenda, in Riv. dir. civ., 2018, pp. 1562 ss.).
[182] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., pp. 13-14; S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica. Disciplina, problemi, materiali, cit., p. 97, G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 133 ss.; A. Didone, Proposte e offerte concorrenti, cit., p. 17.
[183] La circostanza che la fase introduttiva del giudizio di omologazione sia caratterizzata dall’impulso d’ufficio (cfr. F.G.G. Pirisi, L’omologazione del concordato preventivo, cit., p. 3689) esclude che il terzo sia onerato di chiedere la fissazione dell’udienza per sopperire all’ipotetica inerzia del debitore.
[184] In materia cfr. M. Fabiani-I. Pagni, I giudizi di omologazione nel Codice delle Crisi, in DirittodellaCrisi.it, 2022.
[185] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 280.
[186] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 281.
[187] Cfr. A. Usai, Esecuzione, risoluzione e annullamento del concordato preventivo, in O. Cagnasso-L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, III, cit., p. 3768; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 151 ss.
[188] Cfr. M. Aiello, Interazioni tra diritto societario e concorsuale: nomina dell’amministratore giudiziario e aumento del capitale nelle proposte concorrenti di concordato preventivo alla luce del c.c.i.i., cit., pp. 1823 ss.
[189] Cfr. M. Henzel, sub art. 118, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, cit., pp. 855 ss.
[190] Cfr. N. Usai, Le operazioni sul capitale della società nel codice della crisi, in IlCaso.it, 2019, 7. Già con riferimento alla disciplina di cui alla legge fallimentare l’Orientamento n. 58/2015 del Consiglio Notarile di Firenze si era espresso per un’interpretazione estensiva dei poteri attribuibili all’amministratore giudiziario. Nello stesso senso, in dottrina, G. Ferri Jr., Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, 541 ss.; contra G. Meo, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giur. comm., 2016, 286 ss.
[191] Potrebbero peraltro sorgere criticità nell’applicazione dello strumento quando un socio di maggioranza non sia agevolmente individuabile (cfr. D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, 858 ss.; N. Usai, Le operazioni sul capitale della società nel codice della crisi, cit., 6).
[192] Per effetto della disciplina speciale dettata per la regolazione della crisi e dell’insolvenza dei debitori costituiti in forma societaria, da un lato, il provvedimento di omologazione determina la riduzione e l’aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano, demandando agli amministratori l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione e autorizzandoli a porre in essere le ulteriori modificazioni statutarie programmate dal piano medesimo; dall’altro, in difetto di esecuzione di tali adempimenti, il tribunale, su richiesta di qualsiasi interessato e sentiti gli amministratori, più disporre la loro revoca per giusta causa e nominare un amministratore giudiziario (art. 120-quinquies, 1° comma, c.c.i.i.).
[193] Cfr. G. Impagnatiello, Le proposte concorrenti, cit., p. 162; M. Vanzetti, L’esecuzione del concordato preventivo, in Giur. it., 2017, p. 549.
[194] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 144-145.
[195] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 145.
[196] In materia cfr., tra gli altri, S. Sanzo, sub art. 138, in A. Jorio (diretto da)-M. Fabiani (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, II, Bologna, 2007, pp. 2088 ss.
[197] Così L. D’Orazio, L’annullamento del concordato, in O. Cagnasso-L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, cit., p. 2591.
[198] Per i primi commenti alla disciplina delle offerte concorrenti v., tra gli altri, S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, cit., pp. 35 ss.; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., pp. 75 ss.; M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., pp. 14 ss.; F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte III: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, cit.; G.M. Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo: offerte competitive e cessioni, cit.; Id., Offerte e proposte concorrenti alla luce della l. n. 132/2015, di conversione del d.l. Giustizia, ivi, 2015; M. Ratti, sub art. 163-bis. Offerte concorrenti, in Aa.Vv., La nuova riforma del diritto concorsuale. Commento operativo al d.l. n. 132/2015 conv. in l. n. 132/2015, cit., pp. 156 ss.; L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare, cit., pp. 1 ss.; P.G. Cecchini, Concordato preventivo: le offerte concorrenti al microscopio, in Dir. fall., 2016, I, pp. 1179 ss.; G. Di Cecco, Le offerte concorrenti e le cessioni, in M. Sandulli-G. D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Torino, 2016, pp. 153 ss.; F. Santangeli, Le offerte concorrenti, in F. Santangeli (a cura di), La nuova legge fallimentare dopo la l. n. 132/2015, cit., pp. 166 ss.; A. La Malfa, Le offerte concorrenti, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., pp. 345 ss.; C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, ivi, pp. 374 ss.
[199] La disciplina delle offerte concorrenti, introdotta dalla “miniriforma” del 2015, può considerarsi il recepimento dell’elaborazione giurisprudenziale che si è sviluppata a partire dalle note pronunce relative ai casi della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor (cfr. Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Fallimento, 2012, p. 78, con nota di G.B. Nardecchia, Cessione dei beni e liquidazione: la ricerca di un difficile equilibrio tra autonomia privata e controllo giurisdizionale) e de La Perla s.r.l. in liquidazione (cfr. Trib. Bologna, 18 luglio 2013, La Perla s.r.l. in liquidazione, pres. ed est. P. Liccardo, ined.), le quali hanno ritenuto di poter prescindere, in presenza di offerte largamente migliorative, dagli accordi preliminari di cessione stipulati dall’imprenditore in crisi prima dell’accesso al concordato.
[200] Cfr. M. Arato, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, in O. Cagnasso-L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, III, Torino, 2016, p. 3464.
[201] Cfr. G. Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, p. 767).
[202] Si è osservato che “l’esperienza degli anni precedenti alla riforma ha mostrato come la previsione delle modalità di trasferimento a terzi degli assets aziendali rappresentasse spesso uno dei profili di maggiore opacità delle procedure di concordato, sicché tale disciplina costituisce una reazione nei confronti dei piani c.d. prepackaged, che prevedono la cessione dell’azienda o di uno o più beni di rilevante valore a terzi già individuati. Ed invero, nella maggior parte dei casi, le proposte rispondevano ad uno schema imperniato sulla predisposizione di un affitto di azienda ad una società, spesso costituita ad hoc (c.d. newco), in cui era inserita una promessa irrevocabile di acquisto della stessa, condizionata all’omologazione. Siffatta articolazione del piano impediva che, per tali trasferimenti, si potesse fare ricorso a procedure competitive, escludendo a priori che i creditori concordatari potessero beneficiare dell’eventuale maggior somma offerta da altri interessati all’acquisizione dei complessi aziendali” (così C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., p. 376; nel medesimo senso, tra gli altri, G.P. Macagno, Il concordato preventivo riformato nel segno della continuità aziendale, in Fallimento, 2016, p. 1076; P. Piscitello, Il concordato preventivo tra modelli competitivi e ritorno al passato, in Corr. giur., 2016, p. 301).
[203] L’imprenditore in crisi non è davvero libero di scegliere il soggetto al quale cedere la propria realtà aziendale, né gli altri beni ricompresi nell’attivo. Egli, naturalmente, ben può individuare un interessato; anzi, appartiene al comune dato esperienziale che tale facoltà di regola costituisce un vero e proprio onere, essendo ormai molti i tribunali orientati a ritenere inammissibili per difetto di fattibilità i piani e le proposte di concordato che prospettino la cessione dei complessi aziendali in assenza dell’emersione di una concreta e circostanziata disponibilità all’acquisto da parte di un terzo, quando non di un vero e proprio impegno vincolante al riguardo. Ciò nondimeno il prescelto non ha alcuna certezza di poter davvero risultare acquirente (cfr. F. Bortolotti-L. Mandrioli, Le offerte concorrenti nel concordato preventivo: la disciplina dell’art. 163 bis l.fall. (Parte I), in Fallimento, 2018, p. 1331). L’offerente è invero tenuto a concorrere con gli altri potenziali interessati nell’ambito della gara preposta all’emersione della migliore offerta, con l’ovvia precisazione che la selezione non è operata dall’imprenditore in crisi, ma avviene in conformità ai criteri enucleati dal tribunale, che si presuppone siano idonei a privilegiare la massimizzazione dell’incasso e, di conseguenza, il miglior soddisfacimento dei creditori, dinanzi al quale la discrezionalità dell’imprenditore in crisi è destinata a soccombere (cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 15).
[204] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 349.
[205] La disposizione di cui all’art. 114, 4° comma, c.c.i.i. va coordinata con l’art. 94, 5° comma, c.c.i.i., in forza del quale l’alienazione e l’affitto di azienda, di rami di azienda o di specifici beni autorizzati in costanza di concordato è effettuata tramite procedure competitive, previa stima e adeguata pubblicità.
[206] Cfr. Trib. Roma, 17 maggio 2017, in IlCaso.it, 2017, il quale, nell’ambito di una fattispecie nella quale “la società proponente, con riferimento ai beni dei quali [aveva] previsto la dismissione – in specie il ramo d’azienda “Agenzia Zucchetti” e l’apparato RIOS, per i quali [aveva] indicato l’esistenza di proposte d’acquisto provenienti quanto al ramo d’azienda dall’attuale affittuaria e quanto all’ulteriore cespite dalla società A-Key s.r.l. – [non aveva] ritenuto di accedere in via immediata a tali proposte [volendo] comunque percorrere l’alternativa strada della procedura competitiva”, ha “esclu[so] […], nella fase di ammissione, l’applicazione della disciplina speciale delle c.d. “offerte concorrenti” […], che deve ritenersi applicabile, nel rispetto della relativa previsione testuale, solo nel caso in cui il piano preveda, quale specifica sua modalità attuativa, il trasferimento, anche non immediato, in favore di soggetto offerente già individuato, del relativo cespite attivo”.
[207] Per un verso, sono regolate dall’art. 91 c.c.i.i. non solo le offerte in senso proprio, ma anche i veri e propri contratti relativi al trasferimento di componenti dell’attivo (cfr. T. Iannaccone, Le offerte concorrenti, in Giur. it., 2017, p. 509), purché l’effetto traslativo non sia ancora intervenuto al momento del deposito della domanda; come del resto di regola accade, atteso che, una volta individuato e “blindato” l’acquirente, le parti hanno interesse a differire l’esecuzione dell’operazione a data successiva all’apertura della procedura, onde beneficiare dei connessi effetti protettivi. Per l’altro, il termine “offerta” fa riferimento, allo stesso tempo, a un fenomeno più ampio rispetto alla fattispecie di cui all’art. 91 c.c.i.i. Non tutte le offerte dei terzi sono infatti davvero idonee a determinare l’assoggettamento della cessione al regime in esame, venendo in considerazione soltanto quelle che, ancorché non ancora accettate dall’imprenditore in crisi (il che darebbe luogo alla formazione di un contratto), siano comunque state dallo stesso recepite e trasfuse nella propria prospettazione (cfr. M.N. Legnaioli, La disciplina delle vendite: l’art. 182 e l’art. 163 bis l.f., in Osservatorio-Oci.org, 2017, p. 10).
[208] Cfr. M.N. Legnaioli, La disciplina delle vendite: l’art. 182 e l’art. 163 bis l.f., cit., p. 9.
[209] Cfr. Trib. Forlì, 3 febbraio 2016, in Fallimento, 2017, p. 449, con nota di G.B. Nardecchia, La cessione competitiva dell’azienda, secondo cui “la disciplina delle offerte concorrenti si applica a qualsiasi trasferimento di beni in ambito concordatario e quindi non soltanto nelle procedure di natura liquidatoria, ma anche nelle procedure con continuità mista e con continuità funzionale alla cessione dell’azienda”. Nel medesimo senso Trib. Monza, 17 maggio 2016, in IlFallimentarista, 2016.
[210] Cfr. M. Fabiani, Aumento di capitale e offerte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 1374.
[211] La tesi dell’incompatibilità tra la disciplina delle offerte concorrenti e la fase “pre-concordataria”, pur contraria alla lettera della legge, sembrerebbe è stata fatta propria da una isolata pronuncia, la quale ne trae argomento per predicare – anche in questo caso in senso contrario all’opinione prevalente – l’impossibilità di dare luogo all’affitto o alla cessione dell’azienda prima del deposito del piano (cfr. Trib. Firenze, 23 novembre 2016, in IlCaso.it, 2017.
[212] Cfr. F. Bortolotti, Appunti sulle offerte concorrenti: il possibile coordinamento tra le novellate discipline degli artt. 163 bis e 182 l.fall., in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, cit., p. 420.
[213] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 371.
[214] In giurisprudenza è stato ritenuto necessario esperire la procedura competitiva in esame, durante la fase di concordato “in bianco”, con riguardo a una pluralità di fattispecie: dall’affitto dell’azienda (cfr. Trib. Trento, 6 luglio 2017, in IlCaso.it, 2017) alla sua cessione a titolo definitivo (Cfr. Trib. Forlì, 3 febbraio 2016, cit.; Trib. Bolzano, 9 maggio 2018, in IlCaso.it, 2018; Trib. Alessandria, 11 luglio 2018, in IlFallimentarista.it, 2018); dalla stipulazione di un contratto di opzione per l’acquisto di uno stabilimento industriale (Cfr. Trib. Rimini, 9 novembre 2017, in IlCaso.it, 2018) alla dismissione di un magazzino di merci a elevata obsolescenza (Cfr. Trib. Palermo, 4 maggio 2016, in IlCaso.it, 2016). In questo quadro, non sono mancate pronunce che, dinanzi a istanze di autorizzazione a dismettere cespiti senza che il cessionario fosse già stato individuato, hanno – del tutto correttamente – ritenuto di poter prescindere dall’esperimento della procedura competitiva di cui all’art. 91 c.c.i.i., non ravvisandone il presupposto applicativo (Cfr. Trib. Treviso, 28 giugno 2017, in IlCaso.it, 2017). Queste fattispecie sono infatti sottoposte alla regola generale dettata dall’art. 114, 4° comma, c.c.i.i.; il che conferma, ancora una volta, la piena corrispondenza tra l’istituto delle offerte concorrenti e il fenomeno delle dismissioni preconfezionate.
[215] Com’è stato osservato, “in assenza di informazioni e della documentazione che corredano la proposta di concordato ordinario, è certamente necessario che il panorama informativo sia offerto nella stessa domanda di autorizzazione e sia adeguato, tanto da consentire al tribunale ponderata valutazione sull’autorizzazione e sulle modalità della competizione. Il tribunale potrà chiedere chiarimenti e documentazione. […] Se nel frattempo sopravviene la proposta di concordato pieno, andrà valutata la compatibilità dell’atto col piano di concordato” (così A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 371). Oggi, peraltro, l’art. 46, 2° comma, c.c.i.i. precisa che, anche nella fase “in bianco”, la domanda di autorizzazione contiene idonee informazioni sul contenuto del piano.
[216] Cfr. C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., p. 382.
[217] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 353.
[218] Il carattere dell’irrevocabilità, introdotto dal codice della crisi e dell’insolvenza, appare coerente con la ratio della disposizione e con la necessità di applicarla esclusivamente alle fattispecie di concordato chiuso. Soltanto le offerte che restino ferme per un congruo lasso di tempo possono infatti costituire un valido sostrato su cui far poggiare il piano di concordato, che assai difficilmente potrebbe essere reputato davvero fattibile se soggetto all’alea derivante dal potere discrezionale del terzo di ritirare in qualsiasi momento la propria offerta. Ove il piano resti pienamente attuabile nonostante questo rischio, deve probabilmente concludersi che l’offerta – pur allegata al ricorso – sia insuscettibile di essere ritenuta l’opzione maestra da seguire (non essendo neppure possibile affermare con certezza se essa sarà ancora valida quando verrà il momento di formalizzare l’accettazione), ma funga unicamente da elemento di supporto (anche sotto il profilo della ragionevolezza) alla prospettazione di una cessione da eseguirsi in costanza di concordato (o nel corso della sua fase esecutiva), osservando le regole di cui all’art. 114, 4° comma, c.c.i.i.
[219] Cfr. V. Gunnella, Offerte concorrenti ex art. 163 bis l.fall. ed esecuzione del contratto preliminare, in Notariato, 2016, pp. 350 ss.
[220] Cfr. Trib. Udine, 15 ottobre 2015, in IlCaso.it, 2015; Trib. Vicenza, 3 maggio 2016, pres. G. Borella, est. S. Pitinari, ined.
[221] Anche in considerazione della ratio dell’istituto, deve ritenersi che esso si applichi ai trasferimenti di qualsiasi elemento dell’attivo, tanto se considerato singolarmente quanto se inserito in un insieme più ampio, incluso, per l’appunto, il peculiare raggruppamento di beni e rapporti giuridici che costituisce l’azienda. Contra, sia pure dubitativamente, A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 353.
[222] Cfr. M. Fabiani, Aumento di capitale e offerte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 1374; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., pp. 84-85.
[223] Cfr. Trib. Livorno, 11 maggio 2016, in IlFallimentarista, 2016, secondo cui “appare […] maggiormente aderente alla ratio della norma (evitare abusi dello strumento concordatario perpetrati attraverso la vendita – a prezzi inferiori a quelli di mercato – dell’azienda medesima o di parte di essa a soggetti predeterminati, magari in qualche modo collegati all’imprenditore in concordato), senza snaturare i caposaldi dell’istituto del concordato preventivo (assenza dello spossessamento del debitore, mantenimento delle sue prerogative in tema di gestione ordinaria dell’impresa e conseguente necessità di tutelare l’affidamento maturato da terzi che abbiano intrattenuto rapporti con l’imprenditore in linea con l’attività corrente svolta da quest’ultimo) ritenere che non rientrino nell’ambito applicativo delle offerte concorrenti i contratti (preliminari) stipulati prima del concordato di cessione di singoli beni ricollegabili alla normale attività di gestione dell’impresa. […] In questi casi, pertanto, non può essere ritenuta applicabile la disciplina di cui all’art. 163-bis l.fall., sempreché, ovviamente, gli “impegni preconfezionati” di vendita di beni assunti dal debitore siano effettivamente coerenti con la normale attività di gestione (sotto il profilo qualitativo e quantitativo) e, dunque, non celino l’intenzione di cedere i beni aziendali”.
[224] A questo riguardo nella relazione illustrativa del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza si legge che, “poiché spesso l’offerta di acquisto di beni, dell’azienda o di suoi rami è contenuta in un contratto preliminare, la disciplina è stata estesa, in modo innovativo rispetto al regime previgente, anche ai contratti che comportino il trasferimento non immediato dell’azienda, di suoi rami o di specifici beni. In tal caso, però, i beni sono solo quelli facenti parte del perimetro aziendale, essendosi voluto evitare il rischio che debbano essere rimessi in discussione anche contratti preliminari aventi ad oggetto i beni prodotti dall’impresa che il debitore potrebbe aver stipulato anche molto tempo prima del manifestarsi della situazione di crisi; si pensi, in particolare, a contratti preliminari aventi ad oggetto beni immobili costruiti da società operanti nel settore immobiliare”.
[225] La ratio della disposizione (individuata nell’esigenza di favorire l’emersione di eventuali possibilità di valorizzazione degli attivi idonee a generare incassi maggiori di quelli prospettati dal debitore) non autorizza che si giunga a imporre al ricorrente operazioni gestorie o, più in generale, soluzioni alla crisi radicalmente diverse da quelle su cui si fondano il piano e la proposta, i quali potrebbero risultare oggettivamente stravolti laddove si onerasse il debitore di sottoporre a gara la stipulazione di qualsiasi intesa con terzi.
[226] Di regola l’affitto va concepito non come operazione fine a sé stessa, bensì quale mero ponte verso la successiva compravendita, che esso contribuisce in maniera determinante a rendere possibile ogniqualvolta l’imprenditore in crisi, a causa della serietà delle proprie condizioni di difficoltà, non disponga delle energie indispensabili per assicurare al compendio la necessaria vitalità; cosicché il temporaneo intervento di un terzo, dotato di adeguati strumenti patrimoniali e finanziari, spesso rappresenta l’unica concreta chance per impedire il blocco dell’attività, scongiurando le negative conseguenze che pressoché invariabilmente ne derivano in termini di dispersione dell’avviamento e, più in generale, di disgregazione del valore.
[227] In astrratto, potrebbe ipotizzarsi l’assoggettabilità a procedura competitiva soltanto degli affitti puri, vale a dire di quei negozi che – non essendo finalizzati alla successiva alienazione a titolo definitivo – rivestono essi stessi una pregnante rilevanza economica nel concordato, con conseguente necessità di darvi luogo solo dopo aver interpellato il mercato per verificare la possibilità di lucrare un canone più elevato. Al contrario, la figura dell’affitto ponte, andrebbe esclusa dal perimetro applicativo delle offerte concorrenti, in quanto non vi sarebbe la necessità di individuare il miglior offerente e, cessante ratione legis, cessat et ipsa lex. La competizione, del resto, non sarebbe eliminata, ma verrebbe semplicemente rinviata al successivo momento della cessione a titolo definitivo. Tale lettura, tuttavia, appare oggettivamente incompatibile con l’attuale dato positivo.
[228] D’altro canto, non vi è alcuna garanzia che chi si aggiudichi l’affitto sia anche il soggetto disponibile a corrispondere, nella successiva fase della vendita, il prezzo più elevato, sicché la scelta di accordare tale vantaggio alla parte disposta a versare il canone più elevato (ma senza assicurazioni di sorta sull’ammontare del corrispettivo della futura compravendita) non appare comunque del tutto convincente, in quanto potrebbe rivelarsi subottimale nella prospettiva della futura alienazione a titolo definitivo.
[229] Cfr. C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., pp. 385-386.
[230] Cfr. Trib. Udine, 15 ottobre 2015, cit.; Trib. Vicenza, 3 maggio 2016, cit.
[231] L’imprenditore in crisi, come è libero di sottrarsi alla competitività dismettendo un cespite prima dell’accesso al concordato, può conseguire il medesimo risultato affittando l’azienda in epoca antecedente al deposito del ricorso. In tale eventualità, infatti, la pattuizione resta immune alla disciplina delle offerte concorrenti, sicché si rivela preclusa al tribunale la sostituzione dell’affittuario già selezionato con un soggetto diverso. D’altro canto, della stipulazione dell’affitto (come di qualsiasi altra operazione posta in essere anteriormente alla formulazione della domanda) si deve naturalmente tenere conto nella complessiva valutazione della pregressa condotta del debitore, la quale – ancorché il requisito della meritevolezza sia da tempo tramontato – non è comunque del tutto irrilevante: l’emersione di ipotetici profili di frode sarebbe invero idonea a determinare l’adozione degli afflittivi provvedimenti di cui all’art. 106 c.c.i.i.
[232] Cfr. Trib. Alessandria, 14 dicembre 2017, Borsalino Giuseppe e Fratello s.p.a., pres. e rel. C. Santinello, ined.; Trib. Brescia, 21 giugno 2018, in Fallimento, 2019, p. 74, con nota di M.M. Aiello, Il controverso perimetro applicativo dell’art. 163 bis l. fall.: l’aumento di capitale; Trib. Padova, 18 luglio 2018, Omnia s.r.l., pres. M.A. Maiolino, ined.; Trib. Roma, 5 agosto 2019, in Fallimento, 2019, p. 1560.
[233] Il soggetto che intendesse acquisire i complessi aziendali dell’impresa in crisi potrebbe dare corso a due distinte operazioni, le quali divergerebbero per la forma, ma non nella sostanza. Egli potrebbe seguire la strada maestra, formulando una proposta di acquisto del compendio. In alternativa, potrebbe acquisire il controllo della società in crisi attraverso un aumento del capitale riservato, reso possibile dall’abdicazione dei soci al diritto di opzione.
[234] Sui rischi di elusione della disciplina delle offerte concorrenti cfr. D. Galletti, Tre esercizi sulle offerte concorrenti nel nuovo concordato preventivo, in IlFallimentarista.it, 2016; Id., Ancora sulle elusioni dell’art. 163-bis l.fall., ivi, 2018.
[235] Cfr. Trib. Alessandria, 14 dicembre 2017, cit., secondo cui “la predisposizione di un piano concordatario che realizzi ed abbia per effetto il trasferimento “sostanziale” dell’azienda ad un terzo già individuato attraverso forme negoziali per c.d. “anomale”, spesso coincidenti con operazioni societarie che difficilmente possono consentire al Tribunale la predisposizione di una procedura competitiva – tenuto conto, tra l’altro, che il Tribunale nello stabilire la comparabilità delle offerte non può spingersi al punto di modificare il piano e la proposta concordataria – deve ritenersi inammissibile per incompatibilità con la norma imperativa ed inderogabile dell’art. 163 bis l.f. [oggi sostituito dall’art. 91 c.c.i.i.: n.d.r.] in quanto elusiva del disposto normativo e da qualificarsi quindi in frode alla legge con conseguente illiceità della causa “concreta” del concordato”.
[236] Cfr. M. Fabiani, Aumento di capitale e offerte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 1378; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 207 ss., cui adde, in giurisprudenza, Trib. Napoli, 4 luglio 2018, in Fallimento, 2019, p. 75, con nota di M. Aiello, Il controverso perimetro applicativo dell’art. 163 bis l. fall.: l’aumento di capitale.
[237] Cfr. S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in RistrutturazioniAziendali, 2022, pp. 21-22, il quale osserva che “con l’utilizzo dell’avverbio “esclusivamente” (assente nel vecchio art. 163 della legge fallimentare) il legislatore mira a superare l’annosa querelle circa l’ampiezza del perimetro applicativo della norma. Da quest’ultimo, pertanto, risultano oggi escluse ipotesi diverse da quella contemplate dalla norma, come è a dirsi dell’aumento di capitale sociale riservato a un terzo o del trasferimento della maggioranza delle partecipazioni sociali a soggetti diversi dai soci: casi nei quali è adesso chiaro che non debba trovare applicazione l’obbligo di procedura competitiva”.
[238] Per vero non sono mancate pronunce che hanno ritenuto applicabile la disciplina delle offerte concorrenti anche alle operazioni straordinarie di fusione e di scissione. In particolare Trib. Catania, 14 luglio 2017, in IlCaso.it, 2017, ha dichiarato inammissibile la domanda basata su un piano il quale prevedeva che, “entro tre mesi dall’omologazione del concordato […] si sarebbe dovuta deliberare la scissione per incorporazione della Simei in una newco, la Simei Group s.r.l., costituita con la medesima compagine sociale. Conseguenza della scissione sarebbe stata l’assegnazione, alla società incorporante, dell’attivo costituito dai beni aziendali mobili […] oltre ad alcuni crediti, la forza lavoro e le certificazioni, attestazioni e qualifiche necessarie per la continuazione dell’impresa. Sarebbe transitato pure il passivo, limitatamente al t.f.r. maturato dai dipendenti […]. Di contro, la nuova compagnia si impegnava a versare l’importo di 500 mila euro in 8 rate semestrali in favore del ceto creditorio di Simei”. Va tuttavia rilevata l’oggettiva anomalia della fattispecie: la circostanza che la beneficiaria della scissione per incorporazione si fosse impegnata a versare alla ricorrente scissa (a beneficio della massa dei suoi creditori) un determinato importo a fronte dell’acquisizione del compendio aziendale, difficilmente distinguibile da un prezzo, ha probabilmente indotto a riqualificare l’operazione come una vera e propria cessione di azienda, posta in essere nella (apparente) forma della scissione per incorporazione al solo scopo di eludere il regime delle offerte concorrenti.
[239] Cfr. S. Ambrosini, Concordato preventivo con continuità aziendale: problemi aperti in tema di perimetro applicativo e di miglior soddisfacimento dei creditori, in IlCaso.it, 2018, pp. 8-9.
[240] Cfr. Trib. Alessandria, 14 dicembre 2017, cit.; Trib. Torino, 19 giugno 2018, in IlFallimentarista.it, 2019, con nota di M. Terenghi, Nuovi contributi giurisprudenziali in materia di rapporti tra concordato con assunzione ed offerte concorrenti.
[241] Cfr. Trib., Milano 15 giugno 2017, Italtrading s.p.a. in liquidazione, pres. e rel. A. Paluchowski, ined., secondo cui il concordato con assunzione “non comporta la sottoposizione della acquisizione del patrimonio [del debitore] a procedure competitive di cui al 163-bis e/o al 182 l.f. ispirate alla logica di cui agli artt. 107 ss. l.f., poiché si reputa che tale effetto di legge sia escluso concettualmente dalla figura dell’assuntore che non si limita ad acquistare il patrimonio ad un determinato corrispettivo, ma diviene il successore e sostituto del debitore liberato, assumendone, quindi, non solo la posizione attiva ma anche quella passiva (condizione che non è equiparabile a quella di nessun acquirente di beni all’interno della legge fallimentare)”. Nello stesso senso Id., 21 dicembre 2017, Faeco s.r.l., pres. A. Paluchowski, est. G. Macripò, ined.; Id., 28 dicembre 2017, Waste Italia s.p.a., pres. A. Paluchowski, est. F. Rolfi, ined.; Id., 13 dicembre 2018, Sei Energia s.p.a., pres. A. Paluchowski, est. F. Pipicelli, ined.
[242] Cfr. F. Bortolotti-L. Mandrioli, Le offerte concorrenti nel concordato preventivo: la disciplina dell’art. 163 bis l.fall. (Parte I), cit., p. 1335.
[243] Laddove davvero si consentisse a qualsiasi interessato di formulare quella che, di fatto, si rivelerebbe una vera e propria proposta concorrente, si rischierebbe di contravvenire alla regole poste dall’art. 90 c.c.i.i. in materia di legittimazione; senza dire delle criticità che inevitabilmente sorgerebbero con riguardo al meccanismo di esenzione legato al raggiungimento delle soglie di soddisfacimento dei creditori di cui all’art. 90, 5° comma, c.c.i.i., il quale verrebbe sostanzialmente eluso.
[244] Sarebbe ad esempio alquanto disagevole (per non dire impossibile) confrontare, nell’ambito di un’asta, una promessa di pagamento in denaro con – in ipotesi – una datio in solutum. Allo stesso modo sarebbe assai problematico comparare uno scenario che non preveda la divisione dei creditori in classi con quello alternativo nel quale, invece, l’ipotetico nuovo assuntore intendesse avvalersi di tale facoltà.
[245] Non è un caso che in materia di proposte concorrenti (quali di fatto sarebbero – lo si ripete – gli eventuali impegni di assunzione alternativi a quello già depositato) il legislatore abbia previsto che la selezione non avvenga attraverso una semplice gara, ma spetti ai creditori mediante l’esercizio del voto.
[246] Cfr. App. Venezia, 14 settembre 2018, Retail Park Megliadino s.r.l., pres. C. Balletti, est. G. Santoro, ined., la quale ha affermato che “la disciplina introdotta appare formulata in termini inderogabili, in quanto non risulta riconosciuto alcun margine di discrezionalità in capo al tribunale, al quale, in presenza dei presupposti indicati dalla norma, è imposto di dar corso alla procedura competitiva”.
[247] Cfr. Trib. Bergamo, 23 dicembre 2015, in IlCaso.it, 2016; Trib. Roma, 3 agosto 2017, in Fallimento, 2018, con nota di G.B. Nardecchia, Offerte concorrenti: la ricerca di un difficile equilibrio tra le ragioni del diritto e quelle dell’economia; Trib. Milano, 31 maggio 2018, in IlFallimentarista.it, 2018, con nota di V. Palladino, La cessione di azienda nel concordato preventivo “in bianco”; Trib. Torino, 25 luglio 2018, Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali s.r.l., est. Miglietta, ined. Dalla ricognizione della giurisprudenza di merito sembra emergere un approccio improntato a uno spiccato pragmatismo, che mirava a contemperare il rispetto del principio della competitività con l’interesse a evitare di vanificare le opportunità di valorizzazione dell’attivo a brevissima scadenza. Si era pertanto tentato di temperare l’apparente rigidità della norma (art. 163-bis l. fall.), anche attraverso l’elaborazione di soluzioni di compromesso, quale l’esperimento di procedure semplificate e accelerate. Senza peraltro escludere – almeno in astratto – la possibilità di prescindere totalmente dal presidio del ricorso al mercato, beninteso limitatamente a quei casi, per vero non particolarmente frequenti, in cui l’attivazione di qualsiasi forma di competizione, quand’anche atipica, impedisse con assoluta certezza la positiva conclusione dell’affare, concretamente attuabile solo mediante l’accettazione dell’offerta già individuata; il che potrebbe verificarsi, ad esempio, con riguardo a beni altamente deperibili (e destinati quindi a corrompersi nel volgere di giorni o addirittura di ore).
[248] In proposito la relazione illustrativa del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, dopo aver ribadito “la regola secondo la quale l’alienazione e l’affitto di azienda, di rami di azienda e di specifici beni (sempre che, ovviamente, non debba essere adottata la disciplina prevista per le offerte concorrenti) devono essere in ogni caso effettuati tramite procedure competitive, previa stima ed adeguata pubblicità, a garanzia della trasparenza della procedura ed allo scopo di assicurare il miglior risultato possibile per i creditori”, chiarisce che, “poiché l’interesse dei creditori è l’obiettivo primario che la procedura deve realizzare, è comunque previsto che, in caso di urgenza il tribunale possa autorizzare l’alienazione o l’affitto di azienda, di suoi rami o di specifici beni senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive, se il tempo a ciò necessario potrebbe compromettere il realizzo del miglior soddisfacimento dei creditori. In tal caso, tuttavia, occorre dare ampia pubblicità al provvedimento di autorizzazione ed all’atto, in modo da consentire agli interessati di contestare la decisione del tribunale”.
[249] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 85.
[250] Cfr. M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit., p. 14; A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., pp. 345-346; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 84; M.N. Legnaioli, La disciplina delle vendite: l’art. 182 e l’art. 163 bis l.f., cit., p. 8.
[251]Sul punto la relazione illustrativa del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza chiarisce che “la prima fase del procedimento [è] volta ad accertare l’eventuale interesse di terzi. In particolare, si prevede che quando il piano si avvale di un’offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato dal debitore avente ad oggetto l’affitto dell’azienda o il trasferimento a titolo oneroso di beni aziendali, dell’azienda stessa o di suoi rami anche prima dell’omologazione il tribunale o il giudice dallo stesso delegato dispone che dell’offerta sia data idonea pubblicità. […] In particolare, si dispone che, al fine di valutare l’opportunità di procedere alla gara, il commissario giudiziale deve pubblicizzare l’offerta, con modalità indicate con decreto dal tribunale o dal giudice da esso delegato, invitando i potenziali interessati a manifestare l’interesse alla partecipazione. Se nel termine assegnato dal tribunale pervengono manifestazioni di interesse è disposta l’apertura del procedimento competitivo”.
[252]Anche nell’attuale regime l’offerente originario soffre l’alea della competizione. Tuttavia egli può contare su tempi più celeri per appurare se vi sia davvero il rischio di perdere l’affare: già all’esito del primo sondaggio di mercato sarà possibile avere contezza della sussistenza di un interesse da parte di terzi o se, invece, si possa prescindere dalla gara, con significativa accelerazione del processo.
[253]Il tribunale interviene nella fase “in bianco”, atteso che le autorizzazioni di cui all’art. 46 c.c.i.i. sono rimesse al collegio, nonché quando si deve disporre la competizione unitamente all’ammissione dell’impresa al concordato ex art. 47 c.c.i.i. Al contrario, ogniqualvolta si debba indire la gara con provvedimento successivo e separato dal decreto di ammissione (ad esempio perché venga in considerazione un’offerta sopravvenuta, se del caso ricompresa in una modifica del piano), il provvedimento è adottato dal giudice monocratico.
[254] Cfr. F. Bortolotti-L. Mandrioli, Le offerte concorrenti nel concordato preventivo: questioni controverse (Parte II), in Fallimento, 2019, p. 114, cui adde, in giurisprudenza, cfr. App. Venezia, 14 settembre 2018, cit.
[255] Mentre l’art. 163-bis l. fall. sembrava precludere procedure competitive deformalizzate, che cioè non prevedano l’udienza dinanzi al giudice (cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 355), la relazione illustrativa del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza espone che la nuova disposizione “opportunamente chiarisce, rispetto al passato, che la vendita può, ma non deve obbligatoriamente avvenire dinanzi al giudice delegato, che, verosimilmente, valuterà discrezionalmente di intervenire solo quando la gara abbia ad oggetto beni di valore particolarmente elevato o quando la sua presenza sia resa opportuna da specifiche circostanze del caso concreto”.
[256] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 94.
[257]Al di là della chiarezza del dato normativo, il momento informativo è suscettibile di presentare, in concreto, non trascurabili criticità. Vi è il rischio che esso diventi terreno di conflitto tra l’imprenditore in crisi, il quale comprensibilmente mira a difendere la segretezza dei propri dati aziendali, e i terzi, il cui scopo è anzitutto quello di poter essere resi pienamente edotti di tutte le caratteristiche del bene oggetto della competizione (cfr. A. Azzarà, Le offerte concorrenti nel concordato preventivo: analisi dell’articolo 163-bis della legge fallimentare, in DirittoBancario.it, 2016). Ferme le esigenze di opportuno bilanciamento tra queste opposte istanze (peraltro di regola soddisfatte dalle prescrizioni in tema di riservatezza e dall’opportuna selezione degli elementi da rendere oggetto della disclosure, la quale va circoscritta a ciò che davvero sia funzionale alla predisposizione dell’offerta concorrente), il contrasto dev’essere probabilmente risolto a favore dei potenziali offerenti, quantomeno tutte le volte in cui il loro interesse si riveli davvero serio e genuino; fermo restando che vanno respinte le istanze di accesso che si rivelino puramente strumentali, in quanto finalizzate alla mera acquisizione di informazioni, in assenza di alcuna reale volontà di addivenire al perfezionamento dell’affare (cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 363).
[258] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 363.
[259] Cfr. C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., p. 394.
[260] Cfr. M.N. Legnaioli, La disciplina delle vendite: l’art. 182 e l’art. 163 bis l.f., cit., p. 13.
[261] Così G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 96.
[262] Così C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., p. 396.
[263]Dinanzi al rischio che si manifesti un reale interesse di operatori indipendenti per l’oggetto della competizione, con conseguente vanificazione dell’aspettativa di dare corso alla soluzione preconfezionata, sono proprio i soggetti più vicini all’imprenditore quelli che potrebbero valutare di esporsi maggiormente sotto il profilo dell’esborso economico, pur di non vedersi sottratto il controllo della gestione della crisi. Né ciò deve destare allarme o provocare la reazione dell’ordinamento. I concordati chiusi non sono inammissibili; al contrario, essi sono semplicemente assoggettati alla disciplina della competitività, in forza della quale la prospettazione originaria è destinata a cedere il passo a offerte migliori sotto il profilo dell’incasso (cfr. M.N. Legnaioli, La disciplina delle vendite: l’art. 182 e l’art. 163 bis l.f., cit., p. 5). Ove tuttavia, nell’ambito della gara, l’impostazione più gradita al ricorrente (sia essa quella iniziale o quella che sopravvenga da parte di altro soggetto in qualsiasi modo collegato all’imprenditore in crisi) venga adeguata al rialzo fino a rivelarsi la più conveniente per la massa, nulla osta a ritenerla preferibile alle altre e a darvi attuazione.
[264]Alla luce di queste considerazioni, escludere a priori dalla competizione chi presenti un qualche legame con il ricorrente equivarrebbe a eliminare “a tavolino” i concorrenti che potrebbero essere indotti a incrementare il prezzo anche oltre il valore intrinseco del cespite, proprio perché mossi anche da interessi ulteriori rispetto a quello di concludere l’acquisto. La selezione dei partecipanti sulla scorta del criterio dell’indipendenza, quindi, non solo non trova alcuno specifico appiglio nella legge, ma si rivela altresì oggettivamente contraria alle sue finalità, atteso che limiterebbe arbitrariamente la partecipazione alla gara, con obiettivo nocumento per le aspettative di soddisfacimento dei creditori.
[265] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 93.
[266] Cfr. C. Trapuzzano, Le offerte concorrenti: inquadramento dell’istituto e profili applicativi, cit., p. 393.
[267] In materia cfr. A. Crivelli, Il portale delle vendite pubbliche e le vendite forzate telematiche nelle procedure concorsuali, in Fallimento, 2018, pp. 401 ss.
[268] Cfr. M. Aiello, La competizione nel concordato preventivo, cit., pp. 241 ss., ove si metteva peraltro in luce la necessità di orientare l’azione del tribunale esclusivamente alla piena comparabilità delle offerte e all’effettività della competizione, senza possibilità di dare corso a discrezionali modifiche dell’oggetto dell’operazione e quindi – sia pur indirettamente – del piano e della proposta del debitore.
[269] Nel nuovo assetto normativo non è stato riproposto il precetto di cui all’art. 163-bis, 3° comma, l. fall., il quale prevedeva che anche l’originario offerente dovesse conformarsi alle prescrizioni del decreto che disponeva la procedura competitiva, il che poteva consentire al tribunale (sia pure nei limiti di quanto necessario per rendere pienamente comparabili le offerte e, comunque, nell’interesse dei creditori) di influire sullo scenario di base.
[270] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 357, il quale osserva che “il potere del giudice è legato e delimitato dal divieto di modificare l’impianto fondamentale del piano e deve essere indirizzato, “nel quadro del medesimo piano”, a massimizzare il valore del bene. Questa precisazione è coerente con lo scopo della nuova figura, di ampliare la contendibilità dei beni del concordato e di consentire di massimizzare il ricavato della liquidazione”.
[271] Con riguardo a una vendita da effettuarsi nella fase esecutiva del concordato, ma enunciando un principio applicabile anche in materia di offerte concorrenti, Trib. Milano, 12 giugno 2014, in IlCaso.it, 2014, ha affermato, con riferimento a un contratto di affitto di azienda che attribuiva all’affittuario la facoltà, laddove egli si rendesse acquirente dell’azienda, di imputare i canoni a pagamento del prezzo, che “la clausola, così congegnata, è incompatibile con la regola della necessaria competitività delle vendite attuate ai sensi dell’art. 182 L.F., giacché pone i possibili partecipanti alla gara in una situazione di diseguaglianza”.
[272]Né sembra potersi validamente obiettare che spesso l’affittuario è chiamato a un ruolo di supporto dell’impresa in crisi e che l’affitto rappresenta, al di là della forma, una sorta di contributo a fondo perduto a sostegno della continuità aziendale. Alla luce dell’attuale assetto normativo, infatti, chi accetta di sottoscrivere un contratto di affitto ponte non può non essere consapevole dell’assenza di garanzie circa la possibilità di rendersi cessionario del compendio a titolo definitivo, con la conseguenza che egli deve negoziare il canone tenendo conto che esso costituisce nulla più che il corrispettivo per la precaria disponibilità dell’azienda, senza poterne incorporare la valorizzazione da esprimersi nella successiva compravendita.
[273] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 97.
[274] Cfr. G.M. Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo: offerte competitive e cessioni, cit.
[275] Cfr. M. Vitiello, Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell’era delle proposte di concordato chiuse, in IlFallimentarista.it, 2015, p. 4.
[276] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 368, secondo cui “il debitore rimane sempre nella titolarità piena dei propri beni e le offerte di acquisto o di affitto contenute nelle proposte sono sottoposte alla condizione implicita (a volte, anche esplicita) della successiva omologazione della proposta”, sicché “il sistema delineato dalla […] norma […] impone sempre l’adozione della procedura competitiva che conduce all’aggiudicazione del bene o dell’azienda ma non comporta normalmente il trasferimento del bene, che si verifica, avveratasi la condizione, solo dopo l’omologazione”.
[277] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 368.
[278] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 358.
[279] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., p. 100; G.M. Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo: offerte competitive e cessioni, cit., cui adde M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, cit., p. 12.
[280] La tesi dell’applicazione analogica dei presidi a tutela della corretta esecuzione del concordato è stata proposta da M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, cit., p. 12
[281] Cfr. G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., pp. 100-102.
[282] Cfr. M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, cit., p. 13.
[283] Cfr. Trib. Bolzano, 17 maggio 2016, in Fallimento, 2017, p. 443, con nota di G.B. Nardecchia, La cessione competitiva dell’azienda. In senso contrario, più di recente, si era invece sostenuto che, nell’ipotesi in cui nessuno avesse partecipato alla gara, il trasferimento non potesse in alcun modo intervenire, neppure in favore dell’originario offerente (ancorché egli avesse mantenuto ferma la propria offerta); con necessità di trarre le logiche conseguenze anche a livello di sopravvenuta non fallibilità del piano (cfr. Trib. Torino, 29 giugno 2018, Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali s.r.l., est. S. Miglietta, ined.) e senza peraltro escludere la possibilità dell’esperimento ex novo della competizione laddove la replica dell’incombente fosse la conseguenza della modifica del piano e della proposta di concordato (cfr. Trib. Torino, 31 agosto 2018, Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali s.r.l., pres. M. Tamagnone, est. S. Miglietta, ined.). Tale impostazione presentava oggettive incongruenze. Al di là della mancanza di qualsiasi elemento testuale che imponesse di considerare definitivamente caducata l’offerta originaria (cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 359), non si vedeva perché, al cospetto di un impegno di acquisto ancora valido ed efficace, si dovesse concludere per la sopravvenuta non fattibilità del piano, tenuto conto – per di più – che si trattava della medesima prospettazione che, in quanto parte integrante sin dall’inizio del piano e della proposta, aveva necessariamente contribuito a determinare l’ammissione del debitore al concordato. Né pareva giustificabile, alla luce della ratio della massimizzazione del soddisfacimento dei creditori, perdere l’opportunità di cogliere la soluzione già predisposta dal ricorrente proprio nella situazione in cui l’esito negativo della procedura competitiva avesse certificato la convenienza dell’offerta originaria.
[284] Cfr. A. La Malfa, Le offerte concorrenti, cit., p. 362.
[285] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., pp. 10-11; A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., pp. 329 ss.
[286]Contra A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 330.
[287] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, cit., p. 11.
[288] Cfr. A. Pezzano-M. Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, cit., p. 329.