Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Apertura di credito per smobilizzo crediti (cosiddetti “autoliquidanti”): analisi e criticità emerse nella giurisprudenza


Federica Grasselli

Data pubblicazione
13 gennaio 2024

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Sommario: 1.  Premessa. – 2. I “rischi autoliquidanti” quali “aperture di credito”: la normativa di riferimento – 3. Il concetto di “fido bancario” e l’analisi delle principali tipologie di “rischi autoliquidanti”. – 4. I “conti anticipi” e il c.d. “conto unico”. - 5. Il concetto di “pagamento” di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010. – 6. Conclusioni.


1.       Premessa.

Il contenzioso giudiziale più recente ha evidenziato che in sede di Consulenza tecnica d’ufficio, sussiste talvolta la tendenza ad escludere dalla verifica e dal ricalcolo del corretto dare e avere tra le parti, gli affidamenti concessi ai clienti per quanto concerne i cc.dd. “rischi autoliquidanti” (ovvero i fidi concessi tramite anticipo fatture, anticipo su crediti, salvo buon fine ecc.).

La ragione di tale esclusione è forse riconducibile all’erronea convinzione che i c.d. “rischi autoliquidanti” (ofidi per smobilizzo crediti”) non siano “aperture di credito” come quelli per elasticità di cassa[1].

Come noto, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (Cass. 24418/2010), ha stabilito che le rimesse solutorie si verificano solo in caso di conto “scoperto” o “non affidato”, mutuando tale distinzione dalla disciplina enunciata in tema di revocatoria fallimentare[2].

Coloro che tendono ad escludere gli “autoliquidanti” dalla suddetta verifica, evidenziano che nel valutare la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse in conto corrente, la Cassazione nella citata pronuncia, avrebbe fatto riferimento all’” apertura di credito”, senza indicare espressamente ulteriori tipologie di affidamenti.

Il richiamo al concetto di “apertura di credito” effettuato dalla Corte di legittimità potrebbe aver indotto, seppur in modo erroneo per le ragioni che verranno di seguito esposte, alcuni operatori e interpreti a ritenere di dover escludere dal ricalcolo linee di credito diverse dall’“apertura di credito in senso classico” (c.d. “elasticità di cassa”).

Il tema è certamente molto rilevante in quanto i c.d. “rischi autoliquidanti” rappresentano le linee di credito maggiormente utilizzate dalle Piccole e Medie Imprese italiane (PMI), in quanto le stesse banche sono tendenzialmente più favorevoli a concedere tali tipologie di affidamenti, poiché l’erogazione del credito è “garantita” dai crediti vantati a sua volta dalla società finanziata verso soggetti terzi.

Trattasi infatti di finanziamenti su crediti commerciali che permettono di utilizzare, prima dell’effettiva disponibilità e scadenza, crediti vantati dal cliente nei confronti dei propri debitori, in Italia o all’estero.

Escludere i c.d. “rischi autoliquidanti” dall’analisi contabile che si svolge in sede di contenzioso giudiziale non pare trovare giustificazioni sul piano tecnico, come verrà di seguito esposto, in quanto i rapporti sono a tutti gli effetti “affidati”.

Si procederà analizzando in primis la natura e il funzionamento dei c.d. “rischi autoliquidanti”, al fine di comprendere le ragioni per cui sono a tutti gli effetti “aperture di credito” e devono quindi essere considerati al pari di altre forme di finanziamento.

Ciò al fine di addivenire ad una corretta ricostruzione del corretto dare e avere tra cliente e banca in sede di consulenza tecnica d’ufficio nei relativi contenziosi bancari.

Come verrà di seguito esposto, sono le stesse Istruzioni di Vigilanza emesse dalla Banca d’Italia a elencare i rischi autoliquidanti tra i “crediti per cassa”, così come la delibera CICR n. 343 del 2016.

Verrà anche brevemente richiamato il concetto di “fido” e di “apertura di credito”, al fine di evidenziare l’evoluzione che tali istituti hanno subito nel tempo e di calare tali concetti nella realtà operativa della tecnica bancaria concretamente applicata.

Infine, verrà richiamato il concetto di “pagamento”, così come definito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2010, al fine di comprendere le ragioni per cui in presenza di linee di credito autoliquidanti non possa integrarsi alcuna forma di “pagamento” come delineato dalla Corte di legittimità.

 

2.       I “rischi autoliquidanti” quali “aperture di credito”: la normativa di riferimento.

In primo luogo, la natura di “apertura di credito” dei “rischi autoliquidanti” è confermata dalla Delibera CICR n. 343 del 2016, in quanto all’art. 4, lettera a) si legge «Il presente articolo si applica: a) alle aperture di credito regolate in conto corrente […] e a quelle regolate in conto di pagamento anche quando la disponibilità sul conto, nella forma di cui all’art. 1842 del codice civile, sia generata da operazioni di anticipo su crediti e documenti»[3]. Pertanto, la suddetta Delibera CICR definisce i “rischi autoliquidanti” come “aperture di credito” di cui all’art. 1842 c.c., attraverso le quali si realizza una disponibilità sul conto.

Inoltre, la Centrale Rischi della Banca d’Italia definisce i “rischi autoliquidanti” come «finanziamenti che il cliente ha ricevuto poiché ha ceduto all’intermediario prima della scadenza i crediti da lui vantati verso terzi soggetti. Tali finanziamenti sono rimborsati attraverso la riscossione da parte dell’intermediario di tali crediti (ad es. operazioni di anticipo su fatture, sbf, operazioni di factoring, cessione del quinto dello stipendio)»[4].

Si richiama inoltre quanto indicato nelle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia che nel capitolo II, sezione II[5], indicano espressamente i “rischi autoliquidanti” tra i “crediti per cassa” come di seguito esposto:«Confluiscono nella categoria di censimento rischi autoliquidanti le operazioni caratterizzate da una fonte di rimborso predeterminata. Si tratta di finanziamenti concessi per consentire alla clientela – diversa da intermediari – l'immediata disponibilità di crediti non ancora scaduti vantati nei confronti di terzi e per i quali l'intermediario segnalante ha il controllo sui flussi di cassa[6]. Il rapporto coinvolge, oltre all'intermediario e al cliente, anche un terzo soggetto debitore di quest'ultimo. In particolare, devono essere segnalate le operazioni di: - anticipo per operazioni di factoring[7]; - anticipo s.b.f.; - anticipo su fatture; - altri anticipi su effetti e documenti rappresentativi di crediti commerciali; - sconto di portafoglio commerciale e finanziario indiretto; - anticipo all'esportazione; - finanziamento a fronte di cessioni di credito effettuate ai sensi dell'art. 1260 c.c.; - prestiti contro cessione di stipendio o pensione; - operazioni di acquisto di crediti a titolo definitivo».

Nella Sezione VI delle Istruzioni di Vigilanza predette[8] si legge in modo specifico: «3. S.b.f., anticipi su fatture, effetti e altri documenti commerciali - Gli anticipi concessi dall'intermediario a fronte di crediti acquisiti con operazioni s.b.f. e gli anticipi su fatture, effetti e altri documenti commerciali vanno segnalati, a nome del soggetto cedente, nella categoria di censimento rischi autoliquidanti, purché l'intermediario segnalante abbia un mandato irrevocabile all'incasso o i crediti siano domiciliati per il pagamento presso i propri sportelli».

Come si può notare, le stesse Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia qualificano come “finanziamenti” (quindi “fidi”) anche “l’anticipo s.b.f.”, “l’anticipo su fatture”, “anticipo all’esportazione”.

Non si può quindi effettuare una corretta ricostruzione delle condizioni economiche applicate alle linee di credito concesse alla clientela, senza l’analisi dei fidi per smobilizzo crediti.  La stessa Banca d’Italia le qualifica come tali, anche nella tabella dei fidi, suddivisi per forma tecnica, utilizzata per la determinazione del TEGM e del Tasso Soglia Usuraio (T.S.U).

I “fidi” per smobilizzo crediti sono quindi “linee di credito” a tutti gli effetti (quindi sono “fidi”) che vengono utilizzate mediante la presentazione di documenti dimostrativi (anche se non rappresentativi) di crediti.

Gli accrediti che intervengono nel tempo, a fronte dell’incasso di tali crediti anticipati, “ripristinano la provvista”, consentendo la presentazione di nuovi crediti da anticipare.

Infatti le banche segnalano nella Centrale Rischi della Banca d’Italia i fidi per smobilizzo crediti esattamente come quelli “per cassa” in senso stretto.

La natura di “finanziamenti” dei medesimi, si evince anche da ulteriori documenti provenienti dalla Banca d’Italia, ovvero, a titolo esemplificativo, la comunicazione relativa ai tassi effettivi globali medi, ai sensi della legge n. 108/1996 in cui sono indicati i TEGM per le varie categorie di operazioni. Tra queste, è espressamente indicata la voce “Finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e sconto di portafoglio commerciale; finanziamenti all’importazione e anticipo fornitori”, con indicazione del tasso medio per importi “fino a 50.000 euro, da 50.000 a 200.000 euro e oltre i 200.000 euro”[9].

Se non fossero finanziamenti a pieno titolo non sarebbe indicato un tasso effettivo globale medio anche per tale classe di operazioni.  

Ora, se tali finanziamenti sono presi in considerazione dal MEF tra le classi di operazioni omogenee rilevanti per la determinazione trimestrale del TEGM, ci si chiede per quale ragione non dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti forme di finanziamento per il ricalcolo del corretto dare/avere fra banca e cliente nei contenziosi giudiziali e nelle relative CTU.

Invero, non v’è dubbio che il correntista paghi interessi alla banca a fronte della concessione e dell’utilizzo di tali linee di credito, che dovrebbero peraltro essere pattuiti nei contratti di fido ex art. 117 TUB.

Un’interpretazione diversa, tesa ad escludere i fidi per smobilizzo crediti, creerebbe di fatto un’area di legittimità dell’anatocismo e/o degli interessi ultralegali, priva di ogni base normativa e contraria ai principi cristallizzati anche nella nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010 che, come verrà esposto, nel menzionare il concetto di “apertura di credito” nel proprio percorso motivazionale, ha tuttavia espresso un principio generale  e più ampio.

I fidi per smobilizzo crediti devono quindi essere considerati aperture di credito come tutte le altre, che vengono utilizzate mediante la presentazione di crediti che la banca anticipa nelle note forme tecniche (s.b.f., anticipi fatture, anticipi contratti, anticipi all’export o all’import, ecc.)[10]. Fidi ai quali sono spesso collegati i cc.dd. conti anticipi (v. infra).

Del resto, nella stessa contrattualistica bancaria si possono trovare conferme di quanto esposto, ovvero che i fidi per smobilizzo crediti (cc.dd. autoliquidanti) sono aperture di credito come tutte le altre, utilizzabili più volte in via rotativa, i cui utilizzi sono rappresentati dalla presentazione di “foglio” (crediti) da anticipare  e la cui provvista viene ripristinata dagli incassi dei crediti anticipati[11].


3.       Il concetto di “fido bancario” e l’analisi delle principali tipologie di “rischi autoliquidanti”.

Si è provveduto a citare la normativa che definisce i “rischi autoliquidanti” come “aperture di credito” a tutti gli effetti. Tali definizioni, fornite dalla stessa Banca d’Italia, già di per sé dovrebbero chiarire quale sia la corretta qualificazione di tali linee di credito.

Appare comunque opportuna una disamina del significato di “fido bancario” e dell’evoluzione che tale concetto ha subito nel tempo, anche a fronte dell’evolversi dei mercati e della tecnica bancaria, al fine di comprendere che i concetti di “linea di credito” e di “affidamento, non possono limitarsi alla classica “apertura di credito” in conto corrente. 

Per “fido bancario” si intende infatti un nuovo e più ampio, nonché flessibile, significato che risulta essere coerente con il ruolo che progressivamente hanno assunto le banche, non più circoscritto alla tipica attività di erogazione del credito intesa in senso tradizionale[12], bensì ad una molto più articolata pluralità di attività eterogenee. Attività che prescindono dalla concessione di credito in senso stretto ma che sono accomunate dall’assunzione di un “rischio” da parte della banca[13].

Il tema è certamente molto ampio e non è possibile in questa sede approfondirlo pienamente. Tuttavia, appare indicativo ricordare che secondo la normativa di settore e la pratica bancaria, l'espressione "fido", o “affidamento”, ha comunemente quantomeno due significati[14], indicando sia le operazioni di credito nelle varie forme giuridiche[15], sia l'ammontare globale del credito concesso dalla banca al singolo cliente[16].

Non sembra oggi dubitabile che alla luce del significato ricavabile dalle disciplina richiamata, il termine "fido" sia soprattutto utilizzato per indicare genericamente ed indistintamente le varie operazioni di concessione di credito che le banche effettuano a favore della propria clientela, tra cui rientra certamente anche l’apertura di credito in conto corrente[17], ai sensi del citato art. 1842 c.c.[18], ma non può ridursi ad essa.

Dopo questa breve disamina sul più moderno concetto di “fido”, appare opportuno procedere con una sintetica ricostruzione delle principali forme tecniche di “autoliquidanti” che riguardano il portafoglio commerciale dell’azienda, quindi il “Salvo Buon Fine” (s.b.f.) e l’anticipo fatture.

Attraverso gli anticipi su portafoglio “Salvo Buon Fine”,la Banca mette a disposizione del cliente, un affidamento destinato adanticipare, prima dell’effettiva scadenza, crediti rappresentati generalmente da Ri.Ba., Rid, Mav e ADUE, messiall’incasso presso la stessa Banca. Il rientro del finanziamento avviene con l’incasso dei crediti alla scadenza. Se il terzo,debitore ceduto, è insolvente la Banca provvede all’addebito del credito insoluto e delle conseguenti spese ecommissioni al cliente.

L’” anticipo su fatture” è un’apertura di credito che consente ai clienti di cedere alla Banca con le modalità previste incontratto (con o senza cessione del credito), i crediti, con scadenza futura, vantati verso aziende e comprovati daopportuna documentazione (ad esempio: fatture, stato avanzamento lavori) ottenendone in anticipo l’importo salvobuon fine.

L’anticipazione viene concessa a fronte della presentazione alla Banca delle fatture emesse a carico di clientela, per le quali il cliente intende chiederne l’anticipo.

Si ricorda, preliminarmente, che occorre distinguere le aperture di credito per smobilizzo crediti, oggetto del presente elaborato, dalle singole operazioni di sconto di cambiali, che sono contratti tipici, previsti dal codice civile (art.1858 c.c.).[19] Lo sconto di cambiali è infatti comunemente ritenuto un contratto reale, che si perfeziona con la consegna della somma da parte della banca, e ad effetti reali. L'esistenza dello sconto (che si concretizza nella deduzione degli interessi) è elemento fondamentale della fattispecie. In caso di mancanza dello sconto non si configura il predetto contratto (tipico) di cui all’art. 1858 c.c., ma un contratto atipico di natura diversa[20].

Tornando invece alle forme di smobilizzo di altri documenti dimostrativi di crediti (fatture, RI.BA, ecc.), che rappresentano l’effettiva operatività delle linee di credito autoliquidanti, possono essere concesse secondo diverse modalità che comportano peraltro per l’utilizzatore costi differenti.

Esse si suddividono in s.b.f. “con disponibilità immediata” e s.b.f. “a valuta maturata”.

La prima (“con disponibilità immediata”) comporta per l’utilizzatore una forma di anticipazione del credito indicato nei documenti presentati alla banca (ad esempio fatture o RI.BA.), poiché la banca provvederà fin da subito a mettere a disposizione del richiedente l’importo delle medesime, accreditando l’intero ammontare sul conto corrente ordinario (anche se normalmente le banche anticipano solo l’80% del crediti in via prudenziale). L’onere per l’utilizzatore di tale linea di credito è rappresentato dagli interessi maturati dalla data di anticipazione a quella in cui gli effetti risultano pagati più le spese accessorie.

La banca provvederà all’apertura di un conto c.d. di “transito” (c.d. “conto anticipi” o “accessorio” o “tecnico”, v. infra), al quale si darà debito per l’importo anticipato e per il tempo previsto per l’anticipazione (con relativo conteggio degli interessi) e contestualmente si provvederà ad accreditare il conto corrente ordinario (nella percentuale concordata, normalmente dell’80%).

La seconda forma (“a valuta maturata”) comporta pur sempre la concessione al cliente diun affidamento per smobilizzo di crediti commerciali con uno specifico limite di importo, che può essere utilizzato solo mediante la presentazione di documenti dimostrativi di crediti, normalmente ceduti pro-solvendo, come di prassi, alla banca.

Anche per questa linea di credito l’utilizzo si espande sino all’ammontare del portafoglio presentato ed accettato dalla banca e si riduce progressivamente, mano a mano che questo portafoglio giunge a maturazione. Si espande nuovamente, quando l’imprenditore presenta nuovo portafoglio, in sostituzione di quello scaduto.

In questa forma tecnica la banca accredita subito le somme anticipate al cliente sul conto ordinario, però con una valuta postergata sino alla data della scadenza dei singoli crediti anticipati, aumentata di ulteriori giorni definiti “giorni banca”, che rappresentano una vera e propria condizione economica del rapporto bancario (fido autoliquidante) che va espressamente pattuita per iscritto ex art. 117 TUB, analogamente al tasso d’interesse, commissioni e spese.

Se il cliente non effettuerà prelevamenti dal conto ordinario prima dello spirare dei termini suindicati non si creerà per lo stesso alcun addebito per interessi debitori. Se il cliente dovesse invece prelevare le somme accreditate a fronte degli anticipi prima dello spirare dei predetti termini si creerà il c.d. scoperto di valuta (cioè l’utilizzo di somme non ancora disponibili) con il conseguente addebito di interessi debitori al tasso contrattualmente pattuito. Va ricordato per completezza espositiva che la valuta è il momento dal quale le somme accreditate divengono effettivamente disponibili sul piano contabile.

Detta forma tecnica viene di regola utilizzata principalmente dai clienti che non hanno problemi di liquidità, in quanto utilizzano il fido bancario solo in caso di effettiva necessità.

E’ infatti la forma tecnica meno utilizzata nella pratica, in quanto la maggior parte della clientela ha necessità di ricorrere al credito bancario con effetti immediati[21].

 

4.       I “conti anticipi” e il c.d. “conto unico”.

Nell’operatività bancaria i rischi autoliquidanti spesso si appoggiano ai c.d. “conti accessori” (o “conti anticipi”, o “s.b.f.”), i quali rappresentano un’esigenza tecnico/contabile della banca e hanno in comune la caratteristica e la funzione di tenere separate dal punto di vista contabile specifiche operazioni connesse a linee di credito concesse nelle varie forme tecniche, al fine di rendere più agevole per la banca la verifica dei crediti “smobilizzati” e l’incasso dei medesimi. In tal modo, per la banca risulta più semplice verificare l'andamento e i risultati delle operazioni in questione. I c.d. “conti anticipi” sono quindi mere “evidenze contabili”, create dalle banche per esigenze organizzative delle stesse.

Da un punto di vista contabile, poi, il meccanismo prevede spesso che, al momento dell'anticipazione della banca a favore del cliente, si realizzi l'addebito della somma sul “conto anticipi”, in contropartita dell'accredito effettuato sul conto corrente bancario ordinario. Successivamente, al momento della scadenza e della riscossione dei crediti anticipati dalla banca, si procede ad accreditare il “conto anticipi” dello stesso importo precedentemente addebitato.  Gli interessi debitori per il cliente, maturati in favore della banca a fronte della predetta operazione, vengono sempre (ed esclusivamente) contabilizzati sul conto ordinario.

Dal punto di vista operativo infatti, tutti gli ulteriori addebiti effettuati dalla banca nel tempo a qualsivoglia titolo e/o causa vengano contabilizzati esclusivamente sul conto ordinario. A titolo esemplificativo: interessi, spese, commissioni di qualsivoglia natura (ivi comprese: commissioni di massimo scoperto - CMS -, commissioni disponibilità fondi – CDF - altre commissioni comunque denominate), oneri in genere a fronte dei fidi concessi nel tempo dalla banca nelle varie forme tecniche (quali aperture di credito in conto corrente e aperture di credito per smobilizzo crediti).

Si noti che l'unico conto su cui il correntista può operare è il conto corrente ordinario, mentre i “conti anticipi” - detti anche “conti indisponibili” o ad “operatività limitata” - sono semplici conti “di appoggio” o “di evidenza”, che possono anche non sussistere, come detto, nel caso in cui la banca preferisca effettuare tutte le operazioni sul solo conto corrente principale, che consente all’utilizzatore di gestire contemporaneamente, attraverso un unico conto, sia l’operatività del conto ordinario di corrispondenza, sia quella del conto anticipi (c.d. “conto unico”, v. infra).

Pertanto, tali conti accessori svolgono solo una funzione di evidenza meramente contabile. Tutti gli interessi, oneri, spese maturati sui conti “accessori” vengono comunque girati sui conti correnti ordinari ed è solo sui conti ordinari medesimi   che si possono determinare tutti i conseguenti effetti, ivi compresi quelli anatocistici.

Logica conseguenza di quanto precede è che non si può parlare di prescrizione relativamente a conti “accessori”, in forza della natura di mera evidenza contabile dei medesimi. Allo stesso modo, le richieste restitutorie devono fare riferimento al solo conto corrente ordinario, unico peraltro movimentabile d’iniziativa da parte dei clienti delle banche. In altre parole appare corretto sostenere che i conti accessori seguano le “sorti” del conto ordinario, relativamente all’eventuale prescrizione dei diritti restitutori e/o di ricalcolo in favore della clientela, sia con riferimento all’eventuale nullità di clausole anatocistiche, che alla nullità di altre condizioni economiche applicate alla clientela stessa.

Una puntuale e autorevole conferma di quanto affermato si ritrova anche in sede di legittimità, ove è stato più volte chiarito che l'unico conto operativo è quello “ordinario”, non assumendo alcuna rilevanza che il conto anticipi presenti un saldo attivo o passivo. Tale conto, infatti, costituisce una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente, annotandosi in esso in "dare" le anticipazioni erogate al correntista ed in "avere" l'esito positivo della riscossione del credito, sottostante agli effetti commerciali presentati dal cliente[22].

E’ poi del tutto evidente che, proprio per la loro conformazione tecnica, i cc.dd. conti anticipi o accessori o tecnici, non possono registrare sconfinamenti in corso di rapporto[23].

L’alternativa all’utilizzo dei “conti anticipi”, come sopra descritto, è quello che in gergo bancario viene definito “conto unico”. Ovvero si utilizza il medesimo conto, sia per l’operatività del conto ordinario, sia per lo smobilizzo crediti, quindi ogni addebito / accredito, anche delle linee di credito in essere, viene girato su tale conto. A differenza di quanto descritto in precedenza per i conti “anticipi”, l’operatività contabile avviene sul medesimo conto corrente, aspetto che ha determinato vari vantaggi operativi sia per le banche che per i clienti.

Anche la fattispecie del c.d. “conto unico” configura quindi un’apertura di credito in conto corrente, utilizzabile sul medesimo conto corrente ordinario d’appoggio di altre eventuali aperture di credito “classiche”[24]. Gli utilizzi però sono condizionati alla presentazione di portafoglio (crediti dei clienti che la banca dovrà di fatto anticipare) parallelamente ai predetti utilizzi. Le presentazioni di portafoglio e i conseguenti utilizzi devono sempre avvenire entro i limiti del fido concesso. Non si verifica quindi un’anticipazione dal conto anticipi (o accessorio) al conto ordinario ma la banca consentirà al cliente di utilizzare un fido in conto corrente solo a fronte della presentazione di crediti da smobilizzare. Gli utilizzi del fido si concretizzeranno in normali prelievi o addebiti di varia natura sul conto corrente ordinario, ma sempre nei limiti dell’importo complessivo del portafoglio presentato alla banca e accettato dalla stessa, nonché nei limiti del massimale del fido (smobilizzo tramite “conto unico”) deliberato e autorizzato dalla banca medesima.

Facendo un esempio concreto che si verifica spesso nella pratica, ovvero la coesistenza di apertura di credito “classica “in conto corrente e di linea di credito autoliquidante tramite “conto unico”:

-         fido per cassa (apertura di credito utilizzabile in conto corrente): euro 10.000,00. L’utilizzo è ovviamente libero purché nei limiti del fido;

-         linea di credito autoliquidante tramite “conto unico”: fido di euro 20.000,00, utilizzabile normalmente in conto corrente come il predetto fido per cassa, con utilizzi però condizionati alla presentazione del “foglio”. Se il cliente presenta “foglio” per euro 15.000,00 potrà utilizzare questa seconda linea di credito solo fino a euro 15.000,00 e non fino al massimale di euro 20.000,00.

La situazione complessiva dei fidi e degli utilizzi sarebbe quindi la seguente nel predetto esempio:

-         aperture di credito utilizzabili per cassa per totali euro 30.000,00 (ovvero 10.000,00 euro di fido per cassa e 20.000,00 euro di linea di credito “autoliquidante tramite conto unico”);

-         utilizzo effettivo solo per euro 25.000,00 in quanto la presentazione di  crediti da anticipare (“foglio” o portafoglio) è stata di soli euro 15.000,00, oltre all’ipotizzato utilizzo per intero del il fido per cassa di euro 10.000,00.

-         L’accordato concesso dalla banca è però pari a 30.000,00.

Il cliente quindi, da un lato, può contare su una certa elasticità di cassa, pronta all’uso (l’apertura di credito ordinaria) e dall’altro, per poter incrementare questa elasticità di cassa, deve presentare alla banca crediti commerciali da smobilizzare.

In particolare, lo smobilizzo dei crediti commerciali crea una disponibilità sul conto corrente, che il cliente può sfruttare secondo le proprie esigenze, in aggiunta a quella riferibile al saldo contabile e all’eventuale apertura di credito in essere sul conto corrente.

Pertanto, il “conto unico salvo buon fine” ottimizza, la gestione della liquidità del cliente, in quanto questi utilizza solo quanto necessario.

L’utilizzo entro il fido reso disponibile dal portafoglio presentato alla banca sarà regolato da un tasso differenziato e più favorevole rispetto a quello dello scoperto di conto corrente ordinario (in bianco), in quanto supportato sempre nella prassi dalla cessione pro-solvendo dei crediti anticipati.

Va anche rilevato per completezza che alla scadenza i crediti anticipati potrebbero risultare non pagati (insoluti) ed è per tale motivo che il portafoglio presentato per lo smobilizzo alla banca si intende sempre accettato al “salvo buon fine”.

Ciò vale ovviamente per tutte le forme tecniche di smobilizzo crediti (c.d. autoliquidanti), nessuna esclusa.

Le banche più attente, di regola non addebitano mai gli insoluti sul conto corrente per evitare che si verifichi una novazione oggettiva (sostituzione di un debito con un altro ex artt. 1230 e 1232 c.c.) ma contabilizzano gli insoluti in un conto provvisorio proprio per non pregiudicare l’efficacia della cessione di credito in loro favore che accompagna sempre le anticipazioni predette.

 

5.       Il concetto di “pagamento” di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010.

Nel corso della presente trattazione, si è quindi cercato di fornire una panoramica della normativa di settore che definisce i rischi autoliquidanti quali forme di “aperture di credito”. Da ciò ne consegue che i suddetti rischi autoliquidanti dovrebbero certamente essere analizzati in sede di Consulenza tecnica d’ufficio, tenendo conto dell’accordato concesso a monte da parte della banca, nella verifica delle rimesse solutorie.

In relazione alla corretta individuazione delle rimesse solutorie, come ulteriore spunto di analisi, pare opportuno esaminare  il concetto di “pagamento”, definito dalla nota sentenza delle Sezioni Unite del 2010, la quale ha affermato che può aversi “pagamento” nei seguenti casi: ove vi sia un conto affidato, ossia il correntista goda di un’apertura di credito in suo favore ed egli abbia superato i limiti del fido concessogli (cosiddetto “sconfinamento del fido”), in quanto i versamenti effettuati avranno lo scopo di adempiere all’obbligazione, immeditatamente esigibile, di rientrare nel fido concesso, determinando uno spostamento patrimoniale effettivo in favore della banca. Parimenti, potrà aversi “pagamento” nel caso in cui il conto corrente non sia affidato ma sia “scoperto”, ossia “in rosso” e il cliente provveda ad effettuare dei versamenti per rimborsare l’esposizione verso la banca.

Diversamente, non potrà aversi “pagamento” nel caso in cui il conto affidato sia rimasto nel limiti dell’accreditamento, ossia, non vi sia stato sconfinamento del fido, poiché in tal caso gli eventuali versamenti ad opera del correntista non integreranno ipotesi di “pagamento”, bensì avranno la mera funzione di ampliare o ripristinare la misura dell’affidamento utilizzabile dal correntista (c.d. “rimesse ripristinatorie”).

Allo stesso modo, ogni versamento effettuato su un conto non affidato e non scoperto (in pratica, con “saldo creditore”), non potrà considerarsi “pagamento”, in quanto non realizzerà alcuno spostamento patrimoniale che abbia la funzione o lo scopo di soddisfare le pretese della banca che aspiri a vedersi restituire le somme prestate in favore del cliente. In tal caso, la prescrizione non potrà che decorrere dalla chiusura contabile (effettiva) del rapporto bancario, momento in cui si cristallizzeranno le posizioni creditorie-debitorie tra banca e cliente.

Lo stesso principio vale anche nel caso in cui il cliente non abbia effettuato alcun versamento, bensì si sia limitato ad attuare solo dei prelevamenti in quanto, a maggior ragione, non sussisterebbero rimesse in conto corrente di cui valutare la natura solutoria o meno.

Ulteriormente, la Suprema Corte, ha sancito l’irrilevanza della mera annotazione in conto al fine del decorso della prescrizione[25]. La Corte ha infatti espressamente stabilito che, ai fini del decorso della prescrizione per l’esercizio dell’azione di ripetizione, è necessario che vi sia un effettivo “pagamento” e che quest’ultimo sia “reale”, ossia vi sia uno spostamento patrimoniale effettivo in favore della banca.

Si può quindi affermare che per i conti stabilmente entro il fido le rimesse avranno sempre natura ripristinatoria, mentre per i conti non affidati (e in rosso), a fronte di interessi addebitati, i successivi versamenti avranno sempre natura solutoria. Di contro, come si è poc’anzi descritto, il ricalcolo e la relativa determinazione del legittimo saldo (legale) finale, risultano molto più complessi ove vi siano alternativamente saldi a debito entro il fido ed oltre il fido.

Nella determinazione delle rimesse solutorie occorre inoltre sgombrare il campo da un equivoco in realtà molto diffuso. Infatti il concetto di “sconfinamento” rispetto al limite del fido concesso, viene spesso utilizzato in termini non corretti in quanto nella tecnica bancaria lo “sconfinamento” rappresenta in realtà una categoria “residuale”, che si verifica solo nei casi in cui banca “subisce” un addebito senza poter intervenire preventivamente. Ovvero, ad esempio, nell’utilizzo di una carta di credito, dove (di regola) non vi è la necessità di effettuare una preventiva autorizzazione.

Negli altri casi in realtà non sussistono “sconfinamenti” sulla linea di credito concessa che non siano preventivamente autorizzati.  Per sconfinamenti “autorizzati”[26] si intendono “fidi temporanei” che la banca concede ai clienti nel momento in cui l’esigenza di liquidità supera il fido concesso all’origine. Ciò in quanto nella tecnica bancaria non esistono “sconfinamenti” (se così si possono chiamare) del fido concesso che non siano “autorizzati” dalla banca.

Non è infatti materialmente possibile che il cliente possa utilizzare una liquidità che non sia frutto di specifica autorizzazione della banca[27].

Il cliente, inoltre, per espressa previsione del contratto di conto corrente, non ha la materiale disponibilità delle somme depositate sul proprio conto.  Ha solo la facoltà di richiedere di prelevare somme, di effettuare un bonifico, un giroconto ecc. Tutte “disposizioni” che devono essere autorizzate. Questo vale anche per il pagamento di un assegno o di un insoluto, ecc.

Come anticipato in apertura, la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2010, ha espressamente fatto riferimento all’” apertura di credito”, affermando tuttavia un principio generale, che non si limita all’elasticità di cassa in senso stretto (intesa come l’apertura di credito utilizzabile in conto corrente), bensì si estende alle varie forme di apertura di credito.

Infatti, in diversi punti della sentenza, le Sezioni Unite del 2010 fanno riferimento al concetto di “limite dell’affidamento” per la verifica delle rimesse solutorie, affermando un principio generale che certamente non riguarda solo le aperture di credito in senso “classico”, bensì consente un’interpretazione estensiva di quanto sancito dalle Sezioni Unite.

Come sopra esposto, infatti, il meccanismo della messa a disposizione di somme da parte della banca, che il cliente più utilizzare a più riprese, non si realizza solo attraverso l’apertura di credito in conto corrente, ovvero per elasticità di cassa in senso stretto (s.v. Delibera CICR n. 346 del 2016 poc’anzi ricordata).

Del resto la sentenza non avrebbe potuto elencare tutte le forme tecniche delle linee di credito che si possono realizzare, anche in considerazione del fatto che i contratti bancari potrebbero subire un’evoluzione nel tempo.

Le varie modalità di erogazione del credito seguono infatti l’evoluzione dei mercati e le necessità della clientela e non sono quindi passibili di un’elencazione tassativa, che potrebbe risultare addirittura restrittiva rispetto alla realtà economica di un dato momento storico.

Il fatto che la sentenza delle Sezioni Unite non potesse limitare il proprio principio di diritto alla mera presenza di un’apertura di credito in senso stretto, è dimostrata anche dall’approccio che la giurisprudenza successiva ha dimostrato rispetto al c.d. “fido di fatto”.

Per “fido di fatto” si intende quella prassi bancaria, particolarmente diffusa prima dell’entrata in vigore della normativa in tema di trasparenza[28], con cui si tolleravano gli sconfinamenti ancorché non formalmente pattuiti. Trattasi di prassi spesso dovuta a ragioni di urgenza in particolari settori economici, non sempre conciliabili con i tempi delle procedure di delibera dei fidi all’interno delle banche[29].

E’ infatti noto che nell’operatività bancaria, in caso di urgenza e a fronte di clientela solvibile, vengano abitualmente deliberati fidi (per esempio, da un responsabile di filiale o di un gruppo di filiali), che vengono poi ratificati con specifiche delibere dell’Organo superiore, competente per la concessione. Si richiama sul punto anche quanto sopra esposto relativamente ai possibili sconfinamenti.

A fronte di quanto appena enunciato, ci si è chiesti se i versamenti effettuati nelle more di un fido di fatto avessero o meno natura di “pagamento”, oppure, se fosse invece necessario verificare a monte l’effettiva previsione di un esplicito obbligo della banca di effettuare operazioni di credito bancario passive, aspetto che potrebbe emergere dallo stesso contegno tenuto dalla banca nella gestione complessiva del conto[30]. Si pensi all’ipotesi di sconfinamenti frequenti e tollerati, tali da divenire quasi abituali, idonei ad evidenziare la volontà della banca di concedere un’apertura di credito a fronte del comportamento concludente tenuto della stessa.[31]

Ad oggi la giurisprudenza più attenta, sia di merito sia di legittimità, riconosce l’istituto del fido di fatto e ammette che la prova dell’esistenza del medesimo possa avvenire per facta concludentia[32].

La giurisprudenza ormai pacifica, ammette inoltre che l’assenza di documentazione contrattuale dalla quale far derivare l’esistenza di un’apertura di credito possa essere superata dall’esame complessivo delle dinamiche del rapporto di conto corrente, nonché dall’avere la banca consentito al cliente di usufruire di fatto di uno scoperto di conto corrente, stabilmente e costantemente per lungo tempo (spesso anni)[33].

In numerosi contenziosi bancari infatti, si ravvisa nella formulazione dei quesiti ai Consulenti tecnici d’ufficio, la necessità di verificare la presenza del c.d. “fido di fatto”, al fine di determinare la natura solutoria o meno delle rimesse in conto corrente[34].

Oltre al c.d. “fido di fatto”, nella prassi bancaria è frequente fare ricorso al cosiddetto “fido mobile” o “promiscuo”, costituito dalla somma tra un “fido di cassa” e un “fido salvo buon fine”, in cui sussiste una parte sempre disponibile (fido di cassa) e una parte utilizzabile solo nel limite dei crediti/titoli accettati all’incasso. Tale tipologia di affidamento viene definito “mobile” in quanto varia di giorno in giorno, in funzione degli effetti presentati all’incasso e quelli nel frattempo scaduti. La determinazione delle rimesse solutorie non potrà quindi prescindere da una puntuale ricognizione del fido attivo in essere al momento della rimessa, derivante dai movimenti degli effetti giacenti presso la banca e non ancora scaduti[35].

A tal fine, risulta determinante l’analisi della modulistica bancaria con la quale è stato contrattualizzato il fido c.d. “mobile” o “promiscuo”[36].

Le Sezioni Unite della Cassazione non avevano menzionato nel proprio percorso argomentativo né il “fido di fatto”, né il “fido mobile” o “promiscuo”[37], né “il castelletto di sconto”. Tuttavia ciò non ha impedito (correttamente) agli interpreti di identificare nelle medesime fattispecie forme di affidamento in linea con l’enunciato della Cassazione a Sezioni Unite, tali da escludere la natura solutoria delle rimesse, purché, ovviamente, a fronte di utilizzi entro i limiti del fido concesso.

Non si vede quindi perché non possano essere considerate allo stesso modo altre forme di finanziamento che, di fatto, realizzano lo stesso risultato, ovvero la messa a disposizione di una somma da parte della banca, che il correntista possa utilizzare in diversi momenti e ripristinarne la provvista tempo per tempo.

Tutte le considerazioni esposte paiono giustificare un’interpretazione estensiva di quanto statuito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 24418/2010, adattando il principio di diritto ivi enunciato alla tecnica bancaria e all’evoluzione dei mercati, ricordando chei prodotti bancari (anche i fidi) sono prodotti immateriali. Pertanto, è solo il contratto che stabilisce le modalità di esecuzione dello stesso prodotto.

Si evidenzia inoltre, che la maggior parte dei contratti di “fido” configurano la fattispecie del “contratto atipico”, che è regolato appunto solo dal contratto concretamente sottoscritto dal cliente, al quale ci si dovrebbe puntualmente attenere anche in sede di contenzioso bancario. In caso di mancata produzione del suddetto contratto in corso di causa, si potrebbe poi ricorrere all’analisi tecnica delle operazioni per la qualificazione del rapporto e alle risultanze della Centrale Rischi per la determinazione delle rimesse solutorie e/o ripristinatorie.

Infine, una corretta applicazione dell’art. 117 TUB, richiederebbe che a fronte della mancata produzione del contratto, tutte le condizioni economiche applicate dalla banca al cliente fossero dichiarate nulle e quindi oggetto di obblighi restitutori e di ricalcolo a fronte della loro mancata corretta pattuizione (v. art. 117 TUB).

 

6.       Conclusioni.

Giunti al termine del presente elaborato, si possono svolgere alcune considerazioni finali.

In primo luogo, per tutte le ragioni suesposte, anche alla luce delle plurime conferme che derivano dalla normativa di settore citata, i c.d. “rischi autoliquidanti” devono essere considerati “aperture di credito” a tutti gli effetti, utilizzabili più volte in via rotativa, i cui utilizzi sono rappresentati dalle presentazione di “foglio” (crediti) da anticipare e la cui provvista viene ripristinata dagli incassi dei crediti anticipati. Pertanto, i fidi per smobilizzo crediti devono essere pattuiti per iscritto all’interno di un contratto di fido ex art. 117 TUB e in corso di causa deve essere provata la corretta pattuizione delle relative condizioni economiche. In caso contrario, in sede di CTU contabile, andrebbero espunti dal ricalcolo gli addebito avvenuti nel tempo sul conto ordinario per interessi, commissioni e spese rivenienti da fidi per smobilizzo privi del contratto e della corretta pattuizione delle condizioni economiche (tra cui si ricordano gli interessi, i giorni banca, valute, commissioni e spese).

Come sopra esposto, nell’operatività che si potrebbe definire “classica”, ovvero della gestione dei fidi c.d. autoliquidanti tramite i citati “anticipi” o conti “accessori”, non si riscontrano sconfinamenti in quanto sul conto anticipi si verifica solo l’addebito delle fatture anticipate (e l’accredito sul conto ordinario), ma non si tratta di “pagamento” come indicato dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010, poiché sussiste a monte l’accordato deliberato dalla banca in favore del cliente.

Nel caso del “conto unico”, l’operatività avviene sul medesimo rapporto di conto corrente ordinario e qualsiasi accredito a fronte dell’incasso dei crediti anticipati può essere solo ripristinatorio.

Pertanto, in entrambi i casi si dovrebbe escludere la presenza di sconfinamenti.

La Corte di legittimità, con la nota sentenza 24418/2010, ha quindi espresso un principio generale, ovvero, che la rimessa è solutoria solo se sussiste un pagamento “reale” in favore della banca (cioè uno spostamento patrimoniale effettivo). Appare logico affermare che tale principio deve poi essere contestualizzato nel tempo e rispetto all’evoluzione che il mercato e le forme di finanziamento possono subire.

Pertanto, nel caso dei c.d. “rischi autoliquidanti”, si può correttamente affermare che le somme percepite dalla banca a fronte dell’incasso dei crediti anticipati determinino un effettivo “pagamento”? A parere di chi scrive la risposta è negativa in quanto si tratta semplicemente di rimesse ripristinatorie della provvista, così come le presentazioni di portafoglio da anticipare rappresentano l’unico modo possibile per utilizzare in via rotativa il fido concesso, sia sul conto unico, sia sul conto anticipi.

Inoltre, alla base della concessione di linee autoliquidanti la banca effettua una verifica del merito creditizio del cliente, procede ad un’istruttoria di fido e percepisce interessi per la concessione di credito effettuata, al pari di ogni altra forma di finanziamento. Ora, se tali finanziamenti sono presi in considerazione dal MEF tra le classi di operazioni omogenee rilevanti per la determinazione trimestrale del TEGM, perché non dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti forme di finanziamento per il ricalcolo del corretto dare/avere fra banca e cliente nei contenziosi giudiziali e nelle relative CTU?

Le modalità operative dei “rischi autoliquidanti” possono non coincidere con quelle dei fidi per elasticità di cassa (aperture di credito in conto corrente), tranne che nel caso del c.d. conto unico. Ciò non toglie che si tratti di aperture di credito come quelle per cassa, caratterizzate da modalità di utilizzo e di ripristino della provvista determinate dalla particolare operatività delle stesse.

Del resto, si ribadisce, sono le stesse Istruzioni di Vigilanza per le Banche a collocare i “rischi autoliquidanti” tra i “crediti per cassa”, aspetto che dovrebbe chiarire alla radice qualsiasi dubbio in merito alla corretta qualificazione dei medesimi (s.v. anche Delibera CICR n. 343 del 2016, cit.).

Un’interpretazione diversa, tesa ad escludere i fidi per smobilizzo crediti, non integra una corretta rappresentazione della realtà operativa e della tecnica bancaria concretamente applicata e creerebbe di fatto un’area di legittimità dell’anatocismo e/o degli interessi ultra legali non correttamente pattuiti, priva di ogni base normativa e contraria ai principi cristallizzati anche nella nota sentenza della Corte di Cassazione a S.U. n. 24418/2010, per le ragione suesposte.

Il fatto poi che un’azienda abbia numerose linee autoliquidanti è in realtà sintomo di “salute dell’impresa” stessa, in quanto significa che l’attività produttiva prosegue regolarmente e che l’azienda possiede numerosi crediti da smobilizzare. Si tratta quindi di aziende che dovrebbero essere più facilmente finanziabili per le banche, anche grazie al fatto che il credito concesso dall’intermediario è garantito dai crediti vantati dall’impresa stessa verso terzi.

Oltre al fatto che tale impostazione non rispecchia l’attuale concetto di “fido” che, come sopra descritto ha certamente una portata più ampia della classica apertura di credito in conto corrente, creando una presunta realtà processuale che non rispecchia in alcun modo la realtà fattuale dell’operatività bancaria e aziendale di numerose imprese italiane, che frequentemente ricorrono alle linee di credito autoliquidanti per le ragioni ricordate.

Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni esposte non pare vi siano giustificazioni apprezzabili, né sotto il profilo giuridico né sotto il profilo della ricostruzione contabile dei rapporti, rispetto all’esclusione delle cc.dd. linee autoliquidanti dai quesiti posti in sede giudiziale al CTU.  

Quello che però è certo è che l’effetto di una tale scelta operativa in corso di causa determina una ricostruzione solo fittizia di quello che dovrebbe essere il presunto dare/avere fra le parti, ingiustificatamente penalizzante per il cliente della banca. Il risultato concreto, infatti, si traduce nell’escludere dal ricalcolo una parte rilevante dei possibili obblighi di ricalcolo e restitutori gravanti sulla banca, a fronte dell’eventuale dichiarazione di nullità delle pattuizioni relative alle condizioni economiche applicate ai fidi autoliquidanti. 



[1] Con riferimento all’apertura di credito per elasticità di cassa, s.v. artt. 1842 e 1843 c.c., oltre a quanto indicato nel Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 30 giugno 2012, n. 644 – Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell'articolo 117-bis del Testo unico bancario, in www.bancaditalia.it, che all’art. 2, lettera a) definisce «aperture di credito regolate in conto corrente, in base alle quali il cliente ha la facoltà di utilizzare e di ripristinare la disponibilità dell’affidamento».

[2] Si ricorda per completezza quanto affermato testualmente le Sezioni Unite: «come agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli. (…) Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere», così Cass. sez. Un. Civ., 2 dicembre 2010, n. 24418, in (tra le varie fonti) Giust. civ. mass. 2010, 12, 1553; Banca borsa tit. cred. 2011, II, 257; in Giust. civ. 2011, 9, I, 2066; in Resp. civ. e prev. 2011, 4, 804, nota di F. Greco.

[3] Decreto d'urgenza del Ministro dell'economia e delle finanze, Presidente del CICR, del 3 agosto 2016, n. 343,  Modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, in www.bancaditalia.it.

[4] S.v. la sezione “Legenda -  categorie” del report Centrale dei rischi richiesto alla Banca d’Italia. S.v. inoltre Centrale dei rischi - Istruzioni per gli intermediari creditizi, Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991 - 19° Aggiornamento di febbraio 2020, Capitolo II,  sezione III “Variabili di classificazione della rilevazione mensile – punto 7 “Tipo di attività”: “nella categoria di censimento rischi autoliquidanti, le cessioni di credito e lo sconto di portafoglio commerciale e finanziario indiretto pro soluto e pro solvendo (“cessione”), gli anticipi su crediti ceduti per attività di factoring (“factoring”), gli anticipi s.b.f. su fatture e altri anticipi su effetti e documenti (“anticipi”), le operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione, altri rischi autoliquidanti”.

[5] S.v. Centrale dei rischi - Istruzioni per gli intermediari creditizi, Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991 - 19° Aggiornamento di febbraio 2020. Sezione II, “Categorie di censimento della rilevazione mensile” – “1. Crediti per cassa -  1.1 Rischi autoliquidanti”.

[6] Tale forma di controllo si realizza quando l'intermediario si rende cessionario del credito, ha un mandato irrevocabile all'incasso o i crediti sono domiciliati per il pagamento presso i propri sportelli.

[7] Ad esclusione degli anticipi per operazioni di factoring su crediti futuri.

[8]Sezione 6 - Regole riguardanti specifiche tipologie di operazioni” - Centrale dei rischi - Istruzioni per gli intermediari creditizi, Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991, cit.

[9] S.v. “Comunicato stampa della Banca d’Italia”, del 28.12.2020, in www.bancaditalia.it.

[10] Sulla natura giuridica dell’“accredito salvo buon fine”, sono state svolte varie riflessioni anche in tempi remoti, e la dottrina era giunta alla conclusione che configurare il s.b.f. come un’apertura di credito (ex art. 1842 c.c.) fosse l’interpretazione preferibile, nonché «quella prevalente nella pratica poiché consente grande elasticità di utilizzo da parte del cliente fino al lime di fido accordatogli dalla banca. A quest’ultima non è consentito, salvo diversa pattuizione, di condizionare gli utilizzi da parte del cliente ad un sindacato di merito della banca stessa, sulla qualità, natura dei crediti corrispondenti ai titoli e documenti via via presentati all’incasso trattandosi, ogni volta, di utilizzo di una apertura di credito, cioè di un diritto vero e proprio del cliente». Secondo questa (condivisibile) chiave di lettura che considera i s.b.f. come aperture di credito a tutti gli effetti in cui gli atti di utilizzo sono quindi «i prelievi via via degli importi corrispondenti agli anticipi ottenuti sui documenti  e/o titoli consegnati alla banca in un rapporto di durata, in cui il credito, utilizzabile più volte rotativamente, viene a ripristinarsi man mano che i titoli ed i documenti anticipati vengono pagati ed il cliente ne presenta altri alla banca», così testualmente F. Battini, Appunti sulla banca e sui contratti bancari -  Appendici di aggiornamento, Modena, p. 17-18, 1985.

[11] Nella contrattualistica bancaria si riscontrano infatti clausole del tenore delle seguenti: «Le operazioni di sconto, accredito a valuta media maturata, anticipo al s.b.f., ed in generale ogni operazione creditizia comportante la concessione al Cliente di una disponibilità finanziaria in correlazione alla presentazione da parte dello stesso alla Banca di propri crediti verso terzi, sono sempre effettuate a valere su contratti di affidamento da intendersi regolati dalle norme sull’apertura di credito ( art. 1843 Cod. Civ.), con la sola eccezione delle eventuali operazioni espressamente qualificate dalle parti come “occasionali”. In conseguenza di quanto sopra, al Cliente è riconosciuto il diritto di utilizzare anche in più volte il credito messogli a disposizione sotto forma di sconto; di accreditamento a valuta media maturata; di anticipazione al s.b.f.; eccetera, senza che la Banca possa rifiutarsi di consentirgli di disporre in modo ripetuto dell’affidamento, con la sola eccezione dell’eventuale difformità delle modalità di utilizzo richieste dal Cliente per singole operazioni rispetto a quelle eventualmente concordate all’atto della concessione dell’affidamento. Il diritto del Cliente di utilizzare in più volte gli affidamenti sopradescritti sarà commisurato alla disponibilità che si sarà via via formata sugli affidamenti stessi, in dipendenza dell’ammontare per il quale essi furono concessi in origine o successivamente modificati, e dell’esaurimento degli effetti delle operazioni di utilizzo eventualmente effettuate dal Cliente in precedenza».Quindi è la stessa banca, nella propria modulistica, che equipara i “rischi autoliquidanti” alle aperture di credito in conto corrente. Viene poi descritto con chiarezza il meccanismo di concessione dell’affidamento, che prevede la cessione a favore della banca dei crediti commerciali della società, con erogazione di una linea di credito di pari importo. Si tratta di una fido per cassa (supportato da smobilizzo crediti) a tutti gli effetti, che corrisponde alla ricostruzione effettuata sul piano tecnico nel presente elaborato, confermando che le presentazioni di “foglio” (es. fatture, crediti verso terzi, ri.ba, ecc.) rappresentano le modalità con le quali il cliente della banca può utilizzare il fido, così come gli accrediti ricevuti a fronte dei crediti anticipati ripristinano la provvista, creando spazio per ulteriori presentazioni di foglio.

Si legge ancora «le condizioni normative applicate all’apertura di conto corrente si applicano ad ogni altro credito o sovvenzione», pertanto, la disciplina di cui all’apertura di credito è estesa ad ogni altro credito, quindi anche il s.b.f. (ovvero i rischi autoliquidanti). Ancora,«il correntistapuò utilizzare in una o più volte la somma messagli a disposizione e può, con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità», quindi la banca attesta che la natura delle rimesse è ripristinatoria della provvista.

[12] Art. 10, co. 3, Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in www.bancaditalia.it: «Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge».

[13] U. Morera , Il fido bancario – Profili giuridici, Milano, 1998, ove si evidenzia come in tali attività  “di rischio”, rientrino, a titolo esemplificativo: “crediti di firma e accettazioni bancarie, aperture di credito non utilizzate, aperture di credito documentario irrevocabili, lettere di credito stand by irrevocabili, operazioni collegate ai tassi di interesse e di cambio (swaps e future) produttive di un mero impegno per la banca (senza assunzione di una posizione creditoria) nonché le azioni, le obbligazioni e i prestiti subordinati”. In tale ottica si è affermato che l’area del credito, “tradizionale”, contrariamente al passato, rappresenta ora solo una parte limitata dell’area del fido, proprio perché l’attività di rischio che fa capo alla banca non è più limitata solo all’erogazione del credito (Cfr. U. Morera, op. cit., 21).

[14] Cfr. sul punto M. Porzio, Il conto corrente bancario, il deposito e la concessione di credito, in Trattato Rescigno, Torino, 1985, v. 12, 918; M. Porzio, L'apertura di credito: profili generali, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, Milano, 1978, II, 508 ss., ove sottolinea che l'apertura di credito in conto corrente nella pratica viene anche chiamata "fido in conto corrente"

[15] E a tal proposito depongono l'art. 137 t.u. bancario, l'art. 49 della Direttiva 2000/12/CE, l'art. 13 d.l. 269/2003, gli artt. 32, comma 1°, lett. h), e 37, comma 2°, della legge bancaria, e le disposizioni delle Istruzioni di Vigilanza per le banche emanate dalla Banca d'Italia, Tit. II, cap. 3, sez. II, § 1; Tit. IV, cap. 5, All. A; Tit. IV, cap. 5, sez. V, § 1; Tit. IV, cap. 11, sez. V, § 1, 1.1 e 1.4; Tit. IV, cap. 9, sez. IV, § 2; Tit. VI, cap. 5, sez. II; Tit. VII, cap. 1, sez. IV.

[16] E per questo secondo significato, v. l'art. 35, comma 2°, lett. b), legge bancaria, l'art. 48 della Direttiva 2000/12/CE, e le disposizioni delle Istruzioni di Vigilanza per le banche emanate dalla Banca d'Italia, Tit. II, cap. 3, sez. VI, § 1; Tit. IV, cap. 5, All. A, richiamati in precedenza.

[17] G. Fauceglia, I contratti bancari, Trattato di diritto commerciale, diretto da Vincenzo Buonocore, Tomo II, Torino, 2005, 331 e ss.

[18] Con l’apertura di credito in conto corrente, la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un periodo determinato, o senza limiti di tempo, in cui oggetto del contratto è proprio la possibilità di godere della somma messa a disposizione. Attraverso l’accredito delle somme il soggetto finanziato acquisisce un diritto potestativo di utilizzare o meno le somme, nei tempi in cui egli riterrà opportuno. Fino a che le somme accreditate non vengono materialmente utilizzate restano nella proprietà della banca. Gli utilizzi e i rientri avvengono tramite operazioni di addebito e accredito sul conto corrente. L’apertura di credito non è altro se non una riserva di liquidità costituita dalla differenza positiva tra il fido ottenuto e lo scoperto effettivamente utilizzato. Cfr. altresì l’art. 1844 c.c.

[19] Art. 1858 c.c.: «Lo sconto è il contratto col quale la banca, previa deduzione dell'interesse, anticipa al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso». S.v. anche Fine moduloCass. civ., 11 agosto 2000, n. 10689, secondo il disposto normativo di cui all'art. 1858 c.c., (che definisce lo sconto come il contratto con il quale la banca, previa deduzione dell'interesse, anticipi al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto mediante la cessione, «salvo buon fine», del credito stesso), elementi essenziali del contratto di sconto, sul piano strutturale, devono ritenersi la prededuzione dell'interesse da parte dell'istituto di credito - a differenza di altre figure negoziali quali l'anticipazione o l'apertura di credito (c.d. «contratti di liquidità»), anch'essi funzionali, in concreto, alla medesima esigenza di acquisizione di immediata disponibilità pecuniaria -, e l'inserzione, in via strumentale alla realizzazione della sua funzione tipica, della convenzione di cessione del credito pro solvendo, che, a sua volta, non può considerarsi vicenda meramente accidentale della fattispecie, in quanto lo sconto trova connotazione qualificante, ancora, nel (necessario) collegamento funzionale tra prestito e cessione nella forma predetta (con il conseguente verificarsi dell'effetto liberatorio esclusivamente all'esito della riscossione del credito da parte della banca), così che, in mancanza di pagamento del debitore ceduto, diviene attuale l'obbligazione dello scontatario alla restituzione dell'anticipazione conseguita, attesa la sua qualità di obbligato principale, quantunque in via condizionata (subordinatamente, cioè, al mancato adempimento da parte del terzo), nei confronti della banca. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la Suprema Corte ha, così, cassato la sentenza del giudice di merito che, nell'affermare, nella specie, l'esistenza di un contratto di sconto, non aveva, in sede motivazionale, sufficientemente esaminata ed accertata l'esistenza dell'indefettibile elemento della prededuzione dell'interesse da parte dell'istituto di credito).

[20] Va evidenziato che le singole operazioni di sconto nel tempo sono sostanzialmente scomparse dall’operatività bancaria, sia per il minor utilizzo delle cambiali negli scambi commerciali, sia per il fatto che sono state sostituite dai cc.dd. castelletti di sconto che sono a loro volta aperture di credito, utilizzabili normalmente in via rotativa. I castelletti di sconto predetti sono infatti aperture di credito i cui utilizzi sono rappresentati dalle singole presentazioni di cambiali per lo sconto e gli incassi dei crediti anticipati dalla banca costituiscono i versamenti ripristinatori della provvista che creano spazio per nuove presentazioni di cambiali per lo sconto. Come tutte le altre aperture di credito i castelletti di sconto sono caratterizzati da un limite massimo di importo entro cui la banca è tenuta a ricevere i crediti (cambiali) da anticipare. E sono soggette agli obblighi di forma scritta di cui all’art 117 TUB.

[21] Si precisa per completezza che non va poi confuso lo smobilizzo crediti con il c.d. “dopo incasso” che non consiste in una effettiva concessione di credito, in quanto l’importo degli effetti viene messo a disposizione del cliente solo alla scadenza (scadenza della ricevuta più i giorni banca previsti), senza possibilità per il medesimo di effettuare prelevamenti di somme prima di tale data. In quest’ultimo caso appare evidente che la necessità per il cliente è rappresentata non dallo smobilizzo dei crediti e quindi dalla necessità di ottenere liquidità ma dalla gestione materiale dell’incasso che viene effettuata dalla banca con costi dell’operazione per l’utilizzatore sicuramente minimi. Si tratta quindi solamente di un servizio che la banca offre al cliente a fronte del pagamento delle commissioni (di incasso) concordate e non di una concessione di credito.

 

[22] Cass. Civ., Sez. I, 20 giugno 2011, n. 13449. Si legge altresì in sentenza «2.1) Come già osservato dalla Corte di merito, la questione attinente al saldo dei c.d. conti anticipi è priva di rilievo ai fini della revocabilità dei pagamenti solutori eseguiti dal correntista poi fallito in favore di un istituto di credito. I conti in questione, infatti, non sono normalmente operativi, ma rappresentano una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente. Su di essi, in sostanza, l’istituto annota in "dare" al correntista l’importo di dette anticipazioni, di volta in volta erogate in occasione della presentazione di effetti o della c.d. carta commerciale, e glielo riannota in "avere" una volta che abbia provveduto a riscuotere il credito sottostante (in virtù del mandato all’incasso usualmente conferitogli): attraverso l’annotazione del rientro delle somme anticipate, il cliente può dunque tornare ad usufruire di nuove anticipazioni, sino al limite dell’affidamento concessogli». S.v. anche  Cass. 15 giugno 2020, n. 11524eCass. 5 maggio 2022, n.14321. In dottrina cfr. anche E. Staunovo Polacco, Giroconto e revocatoria fallimentare, in Fallimento, 2006, 1316.

[23] S.v. di recente Cass. Civ. sez. I, 13 gennaio 2022, n. 926 ove si legge «le rimesse annotate sui conti anticipi non hanno natura solutoria e non sono revocabili, costituendo tali conti una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente, ove vengono annotati in “dare” le anticipazioni erogate al correntista ed in “avere” l’esito positivo della riscossione, sottostante agli effetti commerciali presentati dal cliente. Il rapporto tra banca e cliente viene rappresentato esclusivamente dal saldo del conto corrente ordinario, ove affluiscono tutte le somme portate dai titoli, dalle ricevute bancarie o dalle carte commerciali presentate per l’incasso».

[24] Con lo smobilizzo di portafoglio al salvo buon fine (s.b.f.) su Conto Unico la Banca consente al Cliente, entro il limite dell’affidamento concesso, di effettuare utilizzi sul conto corrente di importo pari a quello del portafoglio presentato al salvo buon fine (s.b.f.). Via via che la Banca accredita le singole partite di portafoglio presentate, aumenta di pari importo la somma che il Cliente può utilizzare, fermo restando che l’insieme degli utilizzi non può superare l’ammontare complessivo delle presentazioni di portafoglio accreditate dalla Banca.

[25] L’annotazione in conto corrente non integra altro che l’incremento del debito del correntista, o la riduzione del credito di cui lo stesso dispone, ma non può essere equiparato ad un pagamento, in quanto non corrisponde ad alcuna attività solutoria a vantaggio della banca creditrice. Infatti, dal momento dell’annotazione, il correntista sarà legittimato ad agire in giudizio per ottenere l’accertamento della nullità del titolo su cui l’addebito si basa e la conseguente rettifica dell’illegittima annotazione. Cfr. Cass. S.U. Civ., 2 dicembre 2010, n. 24418, cit.

[26] Talvolta il concetto di “sconfinamento autorizzato” è espressamente indicato nella stessa modulistica bancaria, aspetto che dovrebbe chiarire senza possibilità di equivoci, il fatto che sono le stesse banche a certificare nei propri contratti il fatto che lo sconfinamento oltre il limite del fido è sempre preventivamente autorizzato, attraverso il ricorso ad un fido temporaneo per ampliare la disponibilità del cliente.  Si leggono, ad esempio, nei contratti bancari clausole del seguente tenore: «L’eventuale scoperto consentito oltre il limite dell’apertura di credito non comporta l’aumento di tale limite».Nella modulistica bancaria si fa spesso riferimento alla “concessione/autorizzazione allo sconfinamento”, che pertanto viene autorizzato. La stessa modulistica della banca attesta quindi che non può esistere sconfinamento in quanto si verifica solo un “fido temporaneo”.

[27] Ipotizzando un fido originario di 100.000 euro, se l’esigenza del cliente diventa di 150.000 euro nel corso del tempo, l’aumento di 50.000 euro è frutto solo ed esclusivamente di una delibera di autorizzazione preventiva, altrimenti il cliente non potrebbe mai beneficiare di un aumento. Non esiste uno “sconfinamento” di 50.000 euro, esiste un “fido temporaneo” di ulteriori 50.000 euro.

[28] L. n. 154 del 17 febbraio 1992 e d. lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (t.u.b.) in www.bancaditalia.it.

[29] A. Stilo, Prescrizione e anatocismo nei rapporti bancari: principi giurisprudenziali e riforme legislative, in I Contratti, 6/2011,632.

[30] Cass. Civ., 23 aprile 1996, n. 3842, in Giust. civ., 1996, 626.

[31] Cfr. M. Porzio, L’apertura di credito: profili generali, in Le operazioni bancarie, II, Milano, 1978, 516. Cfr. altresì G. Ragusa Maggiore, Rimesse in conto corrente scoperto e revocatoria fallimentare, nota a Cass. 3 luglio 1987, n. 5819, in Dir. fall., 1988, II, 263, a parere del quale la scopertura del conto, quando c’è, è un extra fido di fatto, che ripetendosi nel tempo conduce ad un nuovo parametro di fido, giacché gli accordi in materia non richiedono forma scritta.

[32] Cfr. Cass. Civ., I sez., 17 febbraio 2011, n. 3903 in www.iusexplorer.it; e Trib. Rimini, 24 aprile 2012, in Rivista dei Dottori Commercialisti 2012, 4, 894, con nota di P. S. Goretti, Si segnala anche Trib. di Torino, 11 marzo 2015, Dott. E. Astuni, in www.dirittobancario.it. secondo cui l’apertura di credito, e il relativo obbligo della banca di mantenere una disponibilità di cassa, può essere dimostrato «anche per il tramite di prove indirette (quali e/c, riassunti scalari, report di Centrale dei rischi ecc.) che implicano, in modo univoco, riconoscimento da parte della banca dell’avvenuta concessione del fido». Ancora, Ord. Trib. di Torino, 25 giugno 2014. Corte d’Appello di Torino, sent. del 3 maggio 2013 n. 902.Nello stesso sensoTribunale di Torino. ord. Del 4 gennaio 2016, Rel. Astuni.

[33] Tra gli indici da cui è possibile desumere l’esistenza di un fido di fatto, si ricorda: l’applicazione, indicata negli estratti conto, di una commissione di massimo scoperto; la mancata richiesta da parte della banca, per tutta la durata del rapporto, di un rientro del cliente dallo scoperto di c/c; l’indicazione da parte della banca nello scalare trimestrale di scaglioni di tasso; l’indicazione da parte della banca nella Centrale Rischi della soglia di affidamento. A conferma di quanto sopra si ricorda, a titolo meramente esemplificativo, quanto affermato dal Tribunale di Padova, ovvero che «Laddove l’istituto di credito abbia costantemente consentito lo sforamento a negativo del saldo o lo sforamento del fido concesso, deve individuarsi la concessione di un fido di fatto, a prescindere dalla produzione di un contratto scritto, e questo anche al fine del rigetto della eccepita prescrizione delle rimesse solutorie sollevata dall’istituto di credito su cui grava l’onere della relativa prova». Tribunale Padova, 9 Novembre 2018, Est. Bertola, in www.ilcaso.it. Ancora, Trib. di Firenze del 10.12.2018 che ha affermato che «una volta accertato che il conto corrente bancario è affidato (anche di fatto) compete alla banca dimostrare il limite del fido nel caso in cui eccepisca la prescrizione di determinate poste, diversamente le rimesse devono considerarsi tutte di natura ripristinatoria».

[34] S.v., a titolo esemplificativo, lo stralcio di un quesito al CTU disposto presso il Tribunale di Reggio Emilia, R.G. 2767/2019: «Ove dovesse ravvisare il CTU la presenza di un fido di fatto, specifichi sulla base di quali elementi desume tale affidamento e provveda all’elaborazione della seguente parte del quesito seguendo due distinte ipotesi: da un lato a seconda che si ritenga sussistente il fido di fatto e dall’altro a seconda che non si ritenga sussistente tale ipotesi». Ancora, Trib. di Reggio Emilia, R.G. 4824/2020: «La concessione di un fido può risultare sia direttamente da un contratto stipulato inter partes; sia indirettamente  dalla documentazione agli atti quali estratti conto, riassunti scalari e comunicazioni della centrale rischi, laddove sia possibile evincere con ragionevolmente certezza l’esistenza del fido nei suoi elementi essenziali quali durata, importo e costo».

[35] R. Marcelli, Prescrizione e anatocismo negli affidamenti bancari – I principi giuridici stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti, in www.ilcaso.it, II, 235/2011, p. 33 e ss.

[36] Giova ricordare che in assenza di contratto con determinazione specifica delle condizioni, si applicherà il tasso legale. Si ricorda inoltre che prima dell’emanazione della citata legge trasparenza n. 154 del 1992, la presenza di un’apertura di credito poteva essere provata anche per “facta concludentia” e, successivamente, per presunzione, ricorrendo alle indicazioni presenti nell’atto di fideiussione e/o dell’estratto conto stesso, in cui una reiterata o continua posizione in extra fido, senza che vi sia stata richiesta di rientro, può fungere da mero indizio. Allo stesso tempo può assumere un ruolo rilevante lo storico della Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, che permette di conoscere l’esatto importo del fido accordato in ciascun mese, rimanendo a carico della banca la prova dei tassi e delle condizioni concordati.

[37] Sul “fido mobile” di s.v. anche Cass. Civ., sez. I, 13 gennaio 2022, n. 926.