, 16 gennaio 2024, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Il “catalogo” degli strumenti; 2. La composizione negoziata; 3. Il
concordato semplificato; 4. Il procedimento unitario
1. Il “catalogo” degli strumenti
Ebbene, a distanza di pressappoco 18 mesi è impossibile pretendere di trarre
un bilancio dell’attuazione della nuova disciplina, sicché, a prescindere dalle
criticità che costellano alcuni istituti (a cominciare dal piano di ristrutturazione
soggetto a omologazione, che pure sta iniziando a “prendere piede” a scapito del
concordato preventivo), sembra preferibile non sopprimerne nessuno, né tanto meno
risulta opportuno, specularmente, introdurne di nuovi.
Occorre insomma un congruo periodo
di “decantazione” prima di mettere eventualmente mano al “catalogo” degli strumenti
contemplati dal codice.
2. La composizione negoziata
Passando ai singoli istituti sulla cui disciplina il
legislatore potrebbe decidere di intervenire e iniziando dalla composizione negoziata,
va detto in primo luogo che le disposizioni in materia appaiono già alquanto dettagliate,
per cui ci si dovrebbe limitare – ad avviso di chi scrive – a quelle precisazioni
che dalle prime esperienze applicative sono emerse come utili, a cominciare dal
chiarimento – da inserire all’art. 12 – secondo il quale anche l’imprenditore già
insolvente può accedere a questo tipo di percorso (sebbene la prevalente dottrina
lo abbia chiarito subito dopo il decreto legge n. 118/2021, in ciò seguita dalla
giurisprudenza maggioritaria).
Al riguardo, ci si potrebbe domandare
se l’imprenditore insolvente debba conservare l’anzidetta possibilità quand’anche
sia già pendente un’istanza di liquidazione giudiziale a suo carico. Da un lato,
escludere tale possibilità avrebbe verosimilmente l’effetto di provocare un’emersione
più tempestiva della crisi e dell’insolvenza; dall’altro, un tale rigoroso approccio
ridurrebbe giocoforza l’ambito di operatività dell’istituto (a favore degli altri
strumenti) e ciò anche nelle situazioni in cui, a dispetto della pendenza di detta
istanza, risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.
Quanto ai crediti erariali e
previdenziali, sarebbe improvvido (ma il tema non pare “all’ordine del giorno” del
decreto correttivo, stante il “binario parallelo” della legislazione fiscale) estendere
alla composizione negoziata lo stesso meccanismo previsto per strumenti diversi
(quali il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione). Ed invero, la
necessità di ricorrere tempestivamente alla composizione negoziata si scontra con
una sostenibilità del risanamento che passi per la necessaria falcidia dei suddetti
crediti. Detto altrimenti, è difficile considerare tempestiva l’iniziativa del debitore
che si trovi nell’impossibilità di far fronte alle proprie pendenze erariali e previdenziali
attraverso i meccanismi oggi esistenti a tal fine: pena il concreto rischio di abuso
di questo rimedio, chiaramente pensato per intervenire sulla crisi (o sull’insolvenza
reversibile) in un momento in cui essa non si sia ancora così deteriorata.
Con riferimento alla durata della
composizione negoziata, l’art. 17, c. 7 richiede oggi, per la prosecuzione dell’incarico
dell’esperto, il consenso di “tutte le parti”, mentre sarebbe preferibile limitarsi
solo a quello delle parti con le quali siano in corso trattative. Si potrebbe inoltre
esplicitare che la proroga dipende dalla valutazione dell’esperto e non da una decisione
del tribunale o della commissione istituita presso la camera di commercio.
Quanto all’istanza di proroga
delle misure protettive ex art. 19, c. 5 (la cui formulazione attuale
recita “su istanza delle parti”), sarebbe opportuno chiarire che essa può venire
formulata anche soltanto dal debitore.
Per quanto concerne, infine, la disciplina degli sbocchi della composizione negoziata, potrebbe prevedersi la possibilità che, all’esito della composizione negoziata, il contratto ex art. 23, comma 1, lett. a) o l’accordo ex art. 23, comma 1, lett. c) siano sottoscritti non necessariamente con i creditori (previsione, questa, potenzialmente limitativa), ma anche solo con le parti interessate all’operazione di risanamento (come potrebbe accadere nel caso del terzo cui fosse riservato l’aumento di capitale della società debitrice o che intendesse acquistare il compendio aziendale o singoli beni di esso).
3. Il concordato semplificato
In tema di concordato semplificato per la liquidazione
del patrimonio è affermazione diffusa (e fondata) che la relativa disciplina sia
piuttosto scarna in rapporto alla rilevanza dell’istituto.
Sarebbe allora certamente opportuno
far luogo ad alcuni chiarimenti, a partire dall’espressa possibilità di chiedere
misure protettive e cautelari anche in tale ambito: la prevalente giurisprudenza,
alle prese con il silenzio della legge sul punto, risulta non a caso essersi orientata
in tal senso.
Sarebbe importante, poi, modificare
l’incipit dell’art. 25-sexies, c. 1, nel senso di precisare che la
dichiarazione dell’esperto circa lo svolgimento delle trattative secondo correttezza
e buona fede e circa l’impraticabilità delle soluzioni menzionate dalla norma non
è di per sé ostativa rispetto alla possibilità di proporre il concordato semplificato,
giacché questa dovrebbe pur sempre dipendere da una decisione del tribunale ove
la dichiarazione dell’esperto sia contestata (com’è già più volte avvenuto nella
pratica). E ciò anche in base alla regola generale sussunta nel broccardo iudex
peritus peritorum.
Inoltre, nell’elenco ex art. 25-sexies, u.c., delle disposizioni sul concordato preventivo dichiarate applicabili al concordato semplificato andrebbero inseriti l’art. 98 sulla prededuzione (pur espressione di un principio generale), nonché, probabilmente, l’art. 99, c. 1, limitatamente all’ipotesi di finanziamento funzionale alla (miglior) liquidazione.
4. Il procedimento unitario
In materia di procedimento unitario l’aspetto più delicato
riguarda l’eccessiva brevità del termine (fra 30 e 60 giorni) dell’art. 44, c. 1,
lett. a). L’esperienza ha infatti dimostrato che questo lasso di tempo risulta insufficiente,
specie nelle situazioni più complesse: e proprio (e quanto meno) al cospetto di
casi del genere dovrebbe essere consentita la concessione di un termine più ampio.
Andrebbe poi riconsiderato l’automatismo
in base al quale in presenza di un’istanza di liquidazione giudiziale è sempre preclusa
la proroga di detto termine, a prescindere dalle peculiarità del caso concreto che
il giudice dovrebbe invece poter considerare, bilanciando i contrapposti interessi.
Altro problema rilevante messo
in luce nella pratica attiene alla quantità di oneri posta dall’art. 44 a carico
del debitore ai fini della presentazione del ricorso. Si è invero constatato che
tale mole di attività ha l’effetto di ritardare la formale emersione della crisi,
il che si pone in controtendenza rispetto a uno degli obiettivi fondamentali della
riforma. Si dovrebbe pertanto valutare di espungere almeno una delle due disclosures
previstedall’odierna disciplina: quella degli atti di straordinaria
amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore (art. 39, c. 2) e quella degli
atti di frode (art. 44, c. 1, lett. b), che ben potrebbero aver luogo all’atto del
deposito del ricorso per l’apertura del concordato preventivo o per l’omologazione
dell’accordo di ristrutturazione.
A maggior ragione, ci si dovrebbe
prudentemente astenere dallo stabilire che la domanda di accesso “con riserva” sia
accompagnata da un progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza, come invece
previsto nel contesto - appunto diverso,
anche sotto il profilo della lunghezza dei termini - della composizione negoziata.
Dovrebbe invero evitarsi quell’eterogenesi dei fini che si verificherebbe se si
appesantissero ulteriormente gli adempimenti del debitore, rispetto all’obiettivo
di far emergere precocemente la crisi.
Quanto al procedimento di apertura
del concordato preventivo ex art. 47, il codice della crisi ha tralaticiamente
(a dispetto delle criticità già in passato segnalate in dottrina) riprodotto, al
c. 4, la previsione secondo la quale il tribunale può concedere al debitore un termine
non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.
La norma continua a caratterizzarsi per un’eccessiva discrezionalità e per una perniciosa
ambiguità interpretativa, motivo per cui andrebbe (i) stabilito che il termine di
15 giorni (non inferiore, altrimenti la sua concessione risulta, di regola, inutile:
a meno che, ovviamente, sia il debitore a chiedere un termine più breve) viene concesso
a meno che sussistano gravi motivi in senso contrario e (ii) che le integrazioni
(ma sarebbe probabilmente opportuno parlare anche di “modifiche”) attengono pure
all’attestazione e non solo al piano.
Con riguardo, infine, alle misure
cautelari e protettive exart. 54, potrebbe valutarsi di introdurre una più
nitida distinzione tra le misure cautelari del comma 1 e l misure protettive “atipiche”
del comma 2.
5. Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione
La lacuna più vistosa nella vigente disciplina sul concordato
preventivo deriva dal fatto che il legislatore del 2022 non ha affrontato il nodo,
pur rilevante (anche) dal punto di vista applicativo, delle eventuali modifiche
(della proposta e) del piano di concordato in continuità nell’ipotesi in cui si
renda necessario farvi luogo successivamente all’omologazione.
Questa possibilità, coerente
con l’intento di evitare, per quanto possibile, conversioni in liquidazioni giudiziali
inutili (ove non dannose) per i creditori, dovrebbe invece essere contemplata dal
prossimo decreto correttivo, attraverso la previsione di un’apposita istanza al
tribunale corredata da una nuova attestazione. Il procedimento dovrebbe svolgersi
nelle stesse forme di cui all’art. 48, con conseguente possibilità di opposizione
da parte dei creditori, che non verrebbero quindi nuovamente chiamati al voto (vista
oltretutto la “fase” esecutiva in cui si trova la procedura).
La disposizione più travagliata
fra quelle sul concordato è notoriamente l’art. 84, la cui odierna formulazione
risente ancora, in parte, degli effetti negativi del suo accidentato percorso.
Il riferimento è anzitutto alla
c.d. clausola di funzionalità nel concordato in continuità indiretta (art. 84, c.
2), che risulta in palese eccesso di delega, oltre a non essere imposta dalla Direttiva
Insolvency e a comportare un’irrazionale limitazione del ricorso all’istituto,
in controtendenza con il favor normativo per la continuità anche indiretta. Senza
dire dei problemi operativi e interpretativi sollevati da questa condizione, improvvidamente
inserita in un correttivo antecedente al varo del codice e improntato a una “filosofia”
diversa da quella che ha ispirato quest’ultimo. Pertanto, le parole “purché in funzione
della presentazione del ricorso” andrebbero espunte dall’art. 84, c. 2.
Proseguendo nella disamina dell’art.
84, nel c. 4 viene utilizzata un’espressione – “attivo disponibile” – piuttosto
ambigua, che difatti ha già dato vita a letture divergenti. Essa andrebbe dunque
sostituita con una formulazione più precisa, quale potrebbe forse essere “valore
dei beni”; salvo mantenere quella attuale, ma spiegando allora cosa si intenda per
“disponibile”.
Analoga considerazione, mutatis
mutandis, vale per l’espressione “valore di liquidazione” dell’art. 84, ripresa
e integrata dall’art. 87, c. 1, lett. c). In proposito, si potrebbe considerare
di menzionare espressamente il maggior valore economico in ipotesi ricavabile dalla
cessione dell’azienda in esercizio, nonché le ragionevoli prospettive di realizzo
delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, eventualmente al netto delle
spese da sostenere.
Passando alla disciplina dell’omologazione,
si potrebbe prevedere esplicitamente che, in caso di ristrutturazione trasversale
ex art. 112, il tribunale possa omologare il concordato in continuità anche
con il voto favorevole di quella sola classe (c.d. maltrattata) di creditori i cui
componenti siano destinati a ricevere un pregiudizio rispetto alla soddisfazione
che otterrebbero rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione
anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Nell’ottica, infine, di rivitalizzare
il “mercato”, tuttora asfittico, delle proposte concorrenti, potrebbe prendersi
in esame l’eventualità di ridurre (ad esempio al 5%) la percentuale dei crediti
per la legittimazione alla presentazione della proposta, fissata oggi al 10% dall’art.
90, c. 1. Laddove non ci sono verosimilmente le “condizioni politiche” per introdurre
la legittimazione del terzo a proporre la domanda di concordato, pur con tutti i
limiti e le precisazioni del caso: sebbene sia innegabile che ciò rappresenterebbe
un forte incentivo all’emersione tempestiva della crisi.
Quanto infine alla disciplina
sugli accordi di ristrutturazione, essa appare invero articolata e analitica, oltre
che sufficientemente perspicua. Si potrebbe nondimeno riconsiderare una delle scelte
di fondo compiute a suo tempo, vale a dire l’esclusione dell’imprenditore minore
dall’ambito di applicabilità dell’istituto, espungendo in tal caso le parole “e
diverso dall’imprenditore minore” dall’art. 57, c. 1.
6. La liquidazione giudiziale
In linea generale, e alla luce dei contenuti del nuovo
progetto di Direttiva UE, sarebbe probabilmente opportuno inserire previsioni dirette
a velocizzare ulteriormente il realizzo dei beni del debitore, nonché ad agevolare
il recupero di quelli illegittimamente usciti dal suo patrimonio.
Quanto ad aspetti più specifici,
si potrebbe porre attenzione alla disciplina del concordato nella liquidazione giudiziale,
sancendo espressamente il potere del giudice delegato di ordinare la cancellazione
delle formalità pregiudizievoli sui beni trasferiti in esecuzione del concordato.
E si potrebbe fors’anche valutare, in ottica “propulsiva” dell’istituto, l’esplicita
applicabilità del c.d. cram down fiscale a questo concordato.
7. Cenno a profili di diritto societario della crisi
Il tema, com’è ben noto, meriterebbe una trattazione
ad un tempo assai analitica e debitamente ponderata: ciò che non è consentito -
com’è ovvio - dal “taglio” del presente contributo. È comunque dubbio che vi sia
spazio, nel decreto correttivo, per un ripensamento delle scelte di fondo compiute
nel 2022 con l’introduzione degli artt. 120-bis e seguenti.
Ciò non significa che la “radicalità”
di alcune di quelle scelte sia del tutto compatibe con i principi dell’ordinamento
costituzionale e unionale. Basti pensare alle implicazioni latamente “espropriative”
dell’art. 120-bis in dipendenza della facoltà per il piano di prevedere “qualsiasi
modificazione dello statuto della società debitrice” (formulazione la cui latitudine
è stata da alcuni giudicata in contrasto anche con il principio di ragionevolezza
ex art. 3 Cost.); oppure ai possibili profili di “frizione” dell’art. 120-ter
con la Direttiva Insolvency, la quale consente la classificazione dei soli
soci che risultino “interessati” dal piano. Senza dire dell’incoerenza tra la logica
ispiratrice del ridetto art. 120-bis (come pure dell’art. 120-quinquies)
e quella sottostante all’art. 120-quater in tema di omologazione del concordato
con attribuzioni ai soci.
Occorrerebbe inoltre verificare
la piena coerenza delle disposizioni del codice della crisi sulle operazioni straordinarie
con il d.lgs. n. 19 del 2 marzo 2023, attuativo della Direttiva del 2019 in questa
materia, nonché tener presente il necessario, puntuale, raccordo con la stessa disciplina
del codice civile. Relativamente a tali operazioni, d’altronde, occorre piena consapevolezza
delle implicazioni di norme che sono bensì dedicate al trasferimento di azienda,
ma che possono trovare applicazione anche quando il medesimo risultato sia realizzabile
attraverso operazioni straordinarie ogniqualvolta la legge – come all’art. 22, c.
1, lett. d) – impiega la locuzione “in qualunque forma”.
Quanto poi all’adeguatezza degli
assetti aziendali delle imprese collettive, si deve prendere atto che il principio,
pur in vigore dal 2019, è purtroppo rimasto diffusamente inattuato. Si potrebbe
allora prendere in considerazione l’ipotesi (ove ritenuta non eccessivamente “invasiva”)
di onerare il collegio sindacale (e in caso di composizione negoziata l’esperto)
di segnalare l’inadeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili,
subordinando la prosecuzione dei vari percorsi alla “regolarizzazione” di questo
profilo.
Ed infine, con riguardo alla responsabilità dei membri del collegio sindacale, il legislatore potrebbe valutare di recepire la proposta di legge di recente presentata in Parlamento, che prevede fra l’altro – in modo a ben vedere ragionevole – la limitazione di detta responsabilità a un multiplo del compenso.