Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Qualche riflessione intorno al redigendo decreto correttivo: appunti in ordine sparso


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
16 gennaio 2024

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Sommario: 1. Il “catalogo” degli strumenti; 2. La composizione negoziata; 3. Il concordato semplificato; 4. Il procedimento unitario; 5. Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione; 6. La liquidazione giudiziale; 7. Cenno a profili di diritto societario della crisi.


1. Il “catalogo” degli strumenti

Una prima considerazione, di carattere generale, attiene al novero degli strumenti normativi con cui vengono regolate la crisi e l’insolvenza. All’indomani del varo del codice della crisi numerosi autori, fra cui chi scrive, hanno segnalato il rischio di un’eccessiva proliferazione di istituti. Nondimeno, oggi il problema sembra consistere, piuttosto, nella verifica circa l’effettivo ricorso ai rimedi messi a disposizione degli operatori dal codice e circa la loro concreta utilità.

Ebbene, a distanza di pressappoco 18 mesi è impossibile pretendere di trarre un bilancio dell’attuazione della nuova disciplina, sicché, a prescindere dalle criticità che costellano alcuni istituti (a cominciare dal piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che pure sta iniziando a “prendere piede” a scapito del concordato preventivo), sembra preferibile non sopprimerne nessuno, né tanto meno risulta opportuno, specularmente, introdurne di nuovi.

Occorre insomma un congruo periodo di “decantazione” prima di mettere eventualmente mano al “catalogo” degli strumenti contemplati dal codice.

 

2. La composizione negoziata

Passando ai singoli istituti sulla cui disciplina il legislatore potrebbe decidere di intervenire e iniziando dalla composizione negoziata, va detto in primo luogo che le disposizioni in materia appaiono già alquanto dettagliate, per cui ci si dovrebbe limitare – ad avviso di chi scrive – a quelle precisazioni che dalle prime esperienze applicative sono emerse come utili, a cominciare dal chiarimento – da inserire all’art. 12 – secondo il quale anche l’imprenditore già insolvente può accedere a questo tipo di percorso (sebbene la prevalente dottrina lo abbia chiarito subito dopo il decreto legge n. 118/2021, in ciò seguita dalla giurisprudenza maggioritaria).

Al riguardo, ci si potrebbe domandare se l’imprenditore insolvente debba conservare l’anzidetta possibilità quand’anche sia già pendente un’istanza di liquidazione giudiziale a suo carico. Da un lato, escludere tale possibilità avrebbe verosimilmente l’effetto di provocare un’emersione più tempestiva della crisi e dell’insolvenza; dall’altro, un tale rigoroso approccio ridurrebbe giocoforza l’ambito di operatività dell’istituto (a favore degli altri strumenti) e ciò anche nelle situazioni in cui, a dispetto della pendenza di detta istanza, risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

Quanto ai crediti erariali e previdenziali, sarebbe improvvido (ma il tema non pare “all’ordine del giorno” del decreto correttivo, stante il “binario parallelo” della legislazione fiscale) estendere alla composizione negoziata lo stesso meccanismo previsto per strumenti diversi (quali il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione). Ed invero, la necessità di ricorrere tempestivamente alla composizione negoziata si scontra con una sostenibilità del risanamento che passi per la necessaria falcidia dei suddetti crediti. Detto altrimenti, è difficile considerare tempestiva l’iniziativa del debitore che si trovi nell’impossibilità di far fronte alle proprie pendenze erariali e previdenziali attraverso i meccanismi oggi esistenti a tal fine: pena il concreto rischio di abuso di questo rimedio, chiaramente pensato per intervenire sulla crisi (o sull’insolvenza reversibile) in un momento in cui essa non si sia ancora così deteriorata.

Con riferimento alla durata della composizione negoziata, l’art. 17, c. 7 richiede oggi, per la prosecuzione dell’incarico dell’esperto, il consenso di “tutte le parti”, mentre sarebbe preferibile limitarsi solo a quello delle parti con le quali siano in corso trattative. Si potrebbe inoltre esplicitare che la proroga dipende dalla valutazione dell’esperto e non da una decisione del tribunale o della commissione istituita presso la camera di commercio.

Quanto all’istanza di proroga delle misure protettive ex art. 19, c. 5 (la cui formulazione attuale recita “su istanza delle parti”), sarebbe opportuno chiarire che essa può venire formulata anche soltanto dal debitore.

Per quanto concerne, infine, la disciplina degli sbocchi della composizione negoziata, potrebbe prevedersi la possibilità che, all’esito della composizione negoziata, il contratto ex art. 23, comma 1, lett. a) o l’accordo ex art. 23, comma 1, lett. c) siano sottoscritti non necessariamente con i creditori (previsione, questa, potenzialmente limitativa), ma anche solo con le parti interessate all’operazione di risanamento (come potrebbe accadere nel caso del terzo cui fosse riservato l’aumento di capitale della società debitrice o che intendesse acquistare il compendio aziendale o singoli beni di esso).  

 

3. Il concordato semplificato

In tema di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è affermazione diffusa (e fondata) che la relativa disciplina sia piuttosto scarna in rapporto alla rilevanza dell’istituto.

Sarebbe allora certamente opportuno far luogo ad alcuni chiarimenti, a partire dall’espressa possibilità di chiedere misure protettive e cautelari anche in tale ambito: la prevalente giurisprudenza, alle prese con il silenzio della legge sul punto, risulta non a caso essersi orientata in tal senso.

Sarebbe importante, poi, modificare l’incipit dell’art. 25-sexies, c. 1, nel senso di precisare che la dichiarazione dell’esperto circa lo svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede e circa l’impraticabilità delle soluzioni menzionate dalla norma non è di per sé ostativa rispetto alla possibilità di proporre il concordato semplificato, giacché questa dovrebbe pur sempre dipendere da una decisione del tribunale ove la dichiarazione dell’esperto sia contestata (com’è già più volte avvenuto nella pratica). E ciò anche in base alla regola generale sussunta nel broccardo iudex peritus peritorum.

Inoltre, nell’elenco ex art. 25-sexies, u.c., delle disposizioni sul concordato preventivo dichiarate applicabili al concordato semplificato andrebbero inseriti l’art. 98 sulla prededuzione (pur espressione di un principio generale), nonché, probabilmente, l’art. 99, c. 1, limitatamente all’ipotesi di finanziamento funzionale alla (miglior) liquidazione. 

 

4. Il procedimento unitario

In materia di procedimento unitario l’aspetto più delicato riguarda l’eccessiva brevità del termine (fra 30 e 60 giorni) dell’art. 44, c. 1, lett. a). L’esperienza ha infatti dimostrato che questo lasso di tempo risulta insufficiente, specie nelle situazioni più complesse: e proprio (e quanto meno) al cospetto di casi del genere dovrebbe essere consentita la concessione di un termine più ampio.

Andrebbe poi riconsiderato l’automatismo in base al quale in presenza di un’istanza di liquidazione giudiziale è sempre preclusa la proroga di detto termine, a prescindere dalle peculiarità del caso concreto che il giudice dovrebbe invece poter considerare, bilanciando i contrapposti interessi.

Altro problema rilevante messo in luce nella pratica attiene alla quantità di oneri posta dall’art. 44 a carico del debitore ai fini della presentazione del ricorso. Si è invero constatato che tale mole di attività ha l’effetto di ritardare la formale emersione della crisi, il che si pone in controtendenza rispetto a uno degli obiettivi fondamentali della riforma. Si dovrebbe pertanto valutare di espungere almeno una delle due disclosures previstedall’odierna disciplina: quella degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore (art. 39, c. 2) e quella degli atti di frode (art. 44, c. 1, lett. b), che ben potrebbero aver luogo all’atto del deposito del ricorso per l’apertura del concordato preventivo o per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione.

A maggior ragione, ci si dovrebbe prudentemente astenere dallo stabilire che la domanda di accesso “con riserva” sia accompagnata da un progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza, come invece previsto nel contesto  - appunto diverso, anche sotto il profilo della lunghezza dei termini - della composizione negoziata. Dovrebbe invero evitarsi quell’eterogenesi dei fini che si verificherebbe se si appesantissero ulteriormente gli adempimenti del debitore, rispetto all’obiettivo di far emergere precocemente la crisi.

Quanto al procedimento di apertura del concordato preventivo ex art. 47, il codice della crisi ha tralaticiamente (a dispetto delle criticità già in passato segnalate in dottrina) riprodotto, al c. 4, la previsione secondo la quale il tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti. La norma continua a caratterizzarsi per un’eccessiva discrezionalità e per una perniciosa ambiguità interpretativa, motivo per cui andrebbe (i) stabilito che il termine di 15 giorni (non inferiore, altrimenti la sua concessione risulta, di regola, inutile: a meno che, ovviamente, sia il debitore a chiedere un termine più breve) viene concesso a meno che sussistano gravi motivi in senso contrario e (ii) che le integrazioni (ma sarebbe probabilmente opportuno parlare anche di “modifiche”) attengono pure all’attestazione e non solo al piano.

Con riguardo, infine, alle misure cautelari e protettive exart. 54, potrebbe valutarsi di introdurre una più nitida distinzione tra le misure cautelari del comma 1 e l misure protettive “atipiche” del comma 2.

 

5. Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione

La lacuna più vistosa nella vigente disciplina sul concordato preventivo deriva dal fatto che il legislatore del 2022 non ha affrontato il nodo, pur rilevante (anche) dal punto di vista applicativo, delle eventuali modifiche (della proposta e) del piano di concordato in continuità nell’ipotesi in cui si renda necessario farvi luogo successivamente all’omologazione.

Questa possibilità, coerente con l’intento di evitare, per quanto possibile, conversioni in liquidazioni giudiziali inutili (ove non dannose) per i creditori, dovrebbe invece essere contemplata dal prossimo decreto correttivo, attraverso la previsione di un’apposita istanza al tribunale corredata da una nuova attestazione. Il procedimento dovrebbe svolgersi nelle stesse forme di cui all’art. 48, con conseguente possibilità di opposizione da parte dei creditori, che non verrebbero quindi nuovamente chiamati al voto (vista oltretutto la “fase” esecutiva in cui si trova la procedura).

La disposizione più travagliata fra quelle sul concordato è notoriamente l’art. 84, la cui odierna formulazione risente ancora, in parte, degli effetti negativi del suo accidentato percorso.

Il riferimento è anzitutto alla c.d. clausola di funzionalità nel concordato in continuità indiretta (art. 84, c. 2), che risulta in palese eccesso di delega, oltre a non essere imposta dalla Direttiva Insolvency e a comportare un’irrazionale limitazione del ricorso all’istituto, in controtendenza con il favor normativo per la continuità anche indiretta. Senza dire dei problemi operativi e interpretativi sollevati da questa condizione, improvvidamente inserita in un correttivo antecedente al varo del codice e improntato a una “filosofia” diversa da quella che ha ispirato quest’ultimo. Pertanto, le parole “purché in funzione della presentazione del ricorso” andrebbero espunte dall’art. 84, c. 2.

Proseguendo nella disamina dell’art. 84, nel c. 4 viene utilizzata un’espressione – “attivo disponibile” – piuttosto ambigua, che difatti ha già dato vita a letture divergenti. Essa andrebbe dunque sostituita con una formulazione più precisa, quale potrebbe forse essere “valore dei beni”; salvo mantenere quella attuale, ma spiegando allora cosa si intenda per “disponibile”.

Analoga considerazione, mutatis mutandis, vale per l’espressione “valore di liquidazione” dell’art. 84, ripresa e integrata dall’art. 87, c. 1, lett. c). In proposito, si potrebbe considerare di menzionare espressamente il maggior valore economico in ipotesi ricavabile dalla cessione dell’azienda in esercizio, nonché le ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, eventualmente al netto delle spese da sostenere.

Passando alla disciplina dell’omologazione, si potrebbe prevedere esplicitamente che, in caso di ristrutturazione trasversale ex art. 112, il tribunale possa omologare il concordato in continuità anche con il voto favorevole di quella sola classe (c.d. maltrattata) di creditori i cui componenti siano destinati a ricevere un pregiudizio rispetto alla soddisfazione che otterrebbero rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Nell’ottica, infine, di rivitalizzare il “mercato”, tuttora asfittico, delle proposte concorrenti, potrebbe prendersi in esame l’eventualità di ridurre (ad esempio al 5%) la percentuale dei crediti per la legittimazione alla presentazione della proposta, fissata oggi al 10% dall’art. 90, c. 1. Laddove non ci sono verosimilmente le “condizioni politiche” per introdurre la legittimazione del terzo a proporre la domanda di concordato, pur con tutti i limiti e le precisazioni del caso: sebbene sia innegabile che ciò rappresenterebbe un forte incentivo all’emersione tempestiva della crisi.

Quanto infine alla disciplina sugli accordi di ristrutturazione, essa appare invero articolata e analitica, oltre che sufficientemente perspicua. Si potrebbe nondimeno riconsiderare una delle scelte di fondo compiute a suo tempo, vale a dire l’esclusione dell’imprenditore minore dall’ambito di applicabilità dell’istituto, espungendo in tal caso le parole “e diverso dall’imprenditore minore” dall’art. 57, c. 1.

 

6. La liquidazione giudiziale

In linea generale, e alla luce dei contenuti del nuovo progetto di Direttiva UE, sarebbe probabilmente opportuno inserire previsioni dirette a velocizzare ulteriormente il realizzo dei beni del debitore, nonché ad agevolare il recupero di quelli illegittimamente usciti dal suo patrimonio.

Quanto ad aspetti più specifici, si potrebbe porre attenzione alla disciplina del concordato nella liquidazione giudiziale, sancendo espressamente il potere del giudice delegato di ordinare la cancellazione delle formalità pregiudizievoli sui beni trasferiti in esecuzione del concordato. E si potrebbe fors’anche valutare, in ottica “propulsiva” dell’istituto, l’esplicita applicabilità del c.d. cram down fiscale a questo concordato.

 

7. Cenno a profili di diritto societario della crisi

Il tema, com’è ben noto, meriterebbe una trattazione ad un tempo assai analitica e debitamente ponderata: ciò che non è consentito - com’è ovvio - dal “taglio” del presente contributo. È comunque dubbio che vi sia spazio, nel decreto correttivo, per un ripensamento delle scelte di fondo compiute nel 2022 con l’introduzione degli artt. 120-bis e seguenti.

Ciò non significa che la “radicalità” di alcune di quelle scelte sia del tutto compatibe con i principi dell’ordinamento costituzionale e unionale. Basti pensare alle implicazioni latamente “espropriative” dell’art. 120-bis in dipendenza della facoltà per il piano di prevedere “qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice” (formulazione la cui latitudine è stata da alcuni giudicata in contrasto anche con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.); oppure ai possibili profili di “frizione” dell’art. 120-ter con la Direttiva Insolvency, la quale consente la classificazione dei soli soci che risultino “interessati” dal piano. Senza dire dell’incoerenza tra la logica ispiratrice del ridetto art. 120-bis (come pure dell’art. 120-quinquies) e quella sottostante all’art. 120-quater in tema di omologazione del concordato con attribuzioni ai soci.

Occorrerebbe inoltre verificare la piena coerenza delle disposizioni del codice della crisi sulle operazioni straordinarie con il d.lgs. n. 19 del 2 marzo 2023, attuativo della Direttiva del 2019 in questa materia, nonché tener presente il necessario, puntuale, raccordo con la stessa disciplina del codice civile. Relativamente a tali operazioni, d’altronde, occorre piena consapevolezza delle implicazioni di norme che sono bensì dedicate al trasferimento di azienda, ma che possono trovare applicazione anche quando il medesimo risultato sia realizzabile attraverso operazioni straordinarie ogniqualvolta la legge – come all’art. 22, c. 1, lett. d) – impiega la locuzione “in qualunque forma”.

Quanto poi all’adeguatezza degli assetti aziendali delle imprese collettive, si deve prendere atto che il principio, pur in vigore dal 2019, è purtroppo rimasto diffusamente inattuato. Si potrebbe allora prendere in considerazione l’ipotesi (ove ritenuta non eccessivamente “invasiva”) di onerare il collegio sindacale (e in caso di composizione negoziata l’esperto) di segnalare l’inadeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, subordinando la prosecuzione dei vari percorsi alla “regolarizzazione” di questo profilo.

Ed infine, con riguardo alla responsabilità dei membri del collegio sindacale, il legislatore potrebbe valutare di recepire la proposta di legge di recente presentata in Parlamento, che prevede fra l’altro – in modo a ben vedere ragionevole – la limitazione di detta responsabilità a un multiplo del compenso.