Articolo

I doveri degli amministratori per prevenire e gestire la crisi o l'insolvenza*


Marco Arato
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I doveri degli amministratori per prevenire e gestire la crisi o l'insolvenza*


Marco Arato

Data pubblicazione
23 luglio 2024

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Da circa venti anni l’art. 2381 c.c. impone al consiglio di amministrazione di valutare “sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società” (c. 3) realizzato dagli organi delegati secondo “la natura e le dimensioni dell'impresa” (c. 5). Tale norma, dovuta alla penna di Franco Bonelli[1], era stata opportunamente inserita nella riforma societaria del 2003 e andava strettamente letta con il successivo art. 2392 c.c. relativo alla responsabilità degli amministratori che al c. 2 ribadisce la responsabilità solidale degli amministratori, “fermo quanto disposto dal terzo comma dell'art. 2381 c.c.”. Il combinato disposto delle due norme chiarisce che ogni amministratore ha propri doveri a seconda del ruolo ricoperto in società (esecutivo o non esecutivo) e propria responsabilità. E la solidarietà nella responsabilità, fermo restando i doveri di ciascun amministratore la cui violazione genera una responsabilità individuale, si verifica quando gli amministratori “essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose”. Detto in altre parole, sono gli organi delegati i soggetti che devono plasmare l'organizzazione della società e che devono informare il consiglio del lavoro svolto (nella costruzione degli assetti, ma non solo). Il consiglio, sulla base delle informazioni ricevute, valuta l’adeguatezza del lavoro degli organi delegati. L’eventuale reticenza, inadeguatezza o falsità dell’informazione da parte degli organi delegati esonera da responsabilità gli amministratori deleganti (e non esecutivi) i quali però sono comunque “tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” (art. 2381 c. 6 c.c.). Si è quindi passati da una (anacronistica e spesso ingiusta) culpa in vigilando a una culpa per fatto proprio. L’amministratore delegante risponde in via solidale con i delegati se non ha svolto con la diligenza professionale i propri compiti. Tutto ciò rileva anche ai fini del riparto interno di responsabilità ed è confermato dall'art. 2392 c. 1 che afferma che gli amministratori sono “solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite a uno o più amministratori”.

Sotto il profilo dell’adeguatezza degli assetti da realizzarsi dagli organi delegati e da valutarsi dai deleganti, ritengo che il rischio di piena responsabilità solidale da parte dei deleganti sia molto alto in quanto l’inadeguatezza organizzativa non può non balzare agli occhi di un amministratore diligente. Quand’anche i delegati fornissero al consiglio informazioni dolosamente artefatte che magari illustrano una struttura fattualmente inesistente e solo costruita a tavolino, i delegati avrebbero agevolmente modo di verificarne l’inadeguatezza e di chiedere spiegazioni (art. 2381 c. 6).

Questa premessa è necessaria per confermare che il “nuovo” art. 2086 c. 2 c.c.[2] costituisce una importante innovazione per l'imprenditore individuale e per la società di persone, per le quali mai si era parlato di  adeguatezza degli assetti, mentre per le s.p.a. (ma può dirsi anche per le s.r.l.) si limita a chiarire che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile la cui istituzione era già prevista da tempo nel codice civile, è adeguato (e quindi esenta gli amministratori da responsabilità) quando consente anche “la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità a:ziendale”.

La rilevazione tempestiva della crisi non è però fine a se stessa in quanto ai sensi dell’art. 2086 c. 2 c.c. impone agli amministratori “di attivarsi senza indugio per l’adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale”. Anche questo obbligo, seppur non così chiaramente descritto, era immanente al sistema da tempo: si pensi al famoso OIC 11 del 22.3.2018 relativo alle valutazioni di bilancio in prospettiva di continuità aziendale (e v. art. 2423 bis c. 1 c.c.) ma si pensi anche agli artt. 2447, 2484 c. 4 e 2486 c.c. che vietano agli amministratori di continuare ad operare in continuità quando il capitale è perso).

La previsione generale è stata poi dall’art. 2086 c. 2 declinata nelle s.p.a. e nelle s.r.l. in modo diverso e ha visto in due anni (tra il 2019 e il 2020) ripetute modifiche agli artt. 2380 bis e 2475 c.c. In particolare, per le s.p.a., l’art. 2380 bis c.c. , dopo aver ribadito che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e deve svolgersi nel rispetto dell’art. 2086 c. 2, chiarisce ulteriormente che l’istituzione degli assetti ex art. 2086 c. 2 c.c. spetta esclusivamente agli amministratori con una accentuazione sull’avverbio “esclusivamente” che è ripetuto ben due volte a distanza di poche righe (a questo riguardo si segnala che una delle edizioni più diffuse del codice civile, De Nova, ed. Zanichelli, nelle edizioni 2020 e del 2021 riportava un testo sbagliato della norma, finalmente corretto nell’edizione successiva). Nelle s.r.l. il testo dell’art. 2475 c.c. nella versione originaria del Codice della Crisi era analogo a quello delle s.p.a., nel senso che affidava in esclusiva la gestione agli amministratori. Dopo una serie di critiche relative allo stravolgimento del tipo s.r.l. (nel quale il confine tra competenze dei soci e quelle degli amministratori è lasciato allo statuto, v. art. 2479 c. 1), con il decreto correttivo 26.10.2020, n. 147 si è chiarito che solo l’istituzione degli assetti ex art. 2086 c. 2 c.c. spetta esclusivamente agli amministratori, mentre la ripartizione delle competenze soci/amministratori per ogni altra materia resta demandata allo statuto con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 2476 c.c. “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori … anche i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”. Come avevo scritto al momento dell’emanazione della versione originaria del codice della crisi, ero favorevole alla modifica della governance nella s.r.l. secondo il modello delle s.p.a. (con l’eliminazione della responsabilità dei soci che evidentemente non avrebbero più potuto autorizzare atti gestori). A mio giudizio, l’assimilazione della governance della s.r.l.  alla s.p.a. sarebbe stata quanto mai opportuna tenuto conto della disciplina delle s.r.l. PMI (DL 179/2012 modificato dal DL 90/2017), che riguarda le s.r.l. fino a 250 dipendenti con un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di Euro). Tali s.r.l., che rappresentano il 98% di tutte le s.r.l., possono infatti dotarsi di una struttura finanziaria del tutto simile alle s.p.a. e possono accedere al mercato dei capitali in modo del tutto simile alle s.p.a. (si pensi che la maggior parte delle operazioni di crowd funding si riferiscono a s.r.l.). Non si comprende, quindi perché le s.r.l. possano avere una governance diversa dalle s.p.a. Detto questo, pensare che nelle s.r.l. la sola istituzione (e mantenimento) degli assetti sia materia di esclusiva competenza degli amministratori, mentre l’aspetto complessivo della governance possa prevedere anche il coinvolgimento dei soci, mi è sempre sembrato distonico e ancora più ora mi sembra distonico dopo che l’art. 120 bis CCI affida in via esclusiva agli amministratori non solo la decisione circa l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, ma anche il contenuto della proposta e le condizioni del piano. Piano che può prevedere qualsiasi modifica dello statuto della società che incida anche sui diritti di partecipazione dei soci nonchè fusioni, scissioni e trasformazioni.

Occorre a questo punto riempire di contenuto tecnico la nozione di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile” e soprattutto occorre ex ante (e cioè prima del “disaster scenario” della crisi o dell’insolvenza) verificare quando è adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. A tal fine, fermo restando che la scelta e l’articolazione dell’assetto rientra nella business judgement rule degli amministratori, i giuristi ritengono che la responsabilità degli amministratori nella predisposizione degli assetti trovano spazio laddove “siano violati gli elementari paradigmi che le scienze aziendali, le prassi consolidate, i principi essenziali comunemente adottati nel tempo hanno elaborato([3]) sollecitando un dialogo con gli aziendalisti più avvezzi dei giuristi all’approfondimento dell’organizzazione dell’impresa. Si consideri però che nelle società quotate il TUF (art. 113 s.), il regolamento emittenti e i codici di comportamento sul governo societario hanno in qualche modo spianato la strada alla costruzione in concreto del modello organizzativo. Dal 2019 in avanti, ma con rinnovato slancio dopo l’introduzione nel 2021 della composizione negoziata e dopo l’entrata in vigore nel 2022 del codice della crisi sono stati numerosi gli interventi dal contenuto in tutto o in parte aziendalistico: Assonime (Circolare n. 27 del 21.11.2022 sui doveri degli organi sociali per la prevenzione e gestione della crisi nel nuovo codice della crisi), Fondazione Nazionale dei Commercialisti (organo di studio del CNDCEC, Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: i principi civilistici e aziendalistici, 7.7.2023) SIDREA, Le parole della crisi. La lettura degli aziendalisti italiani del marzo 2021 e, infine, il recentissimo aggiornamento (di ben 200 pagine) del 20.12.2023 delle Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate a cura del CNDCEC, in vigore dall’1.1.2024, nel quale le norme 3.5, 3.6 e 3.7 riguardano la vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo (3.5) sull’adeguatezza e sul funzionamento del sistema di controllo interno (3.6) e sull’adeguatezza del sistema amministrativo-contabile (3.7) e forniscono una serie di elementi fattuali precisi per poter definire adeguato un sistema organizzativo. E le norme 11.1 e 11.2 si riferiscono rispettivamente alla rilevazione tempestiva della perdita della continuità e alla rilevazione tempestiva della crisi.

E’ estremamente rilevante notare come tutti i documenti sopra citati aiutano a riempire di contenuto il concetto generale e astratto di adeguatezza degli assetti espresso dall’art. 2086 c. 2 c.c. e, come nel caso, del documento di fonte CNDCFC del 20.12.2023, denominato “Norme di comportamento …” che entrano in vigore il 1.1.2024, assistiamo proprio a regole obbligatorie per gli iscritti all’ordine dei commercialisti che rappresentano una fonte di produzione normativa privatistica integratrice delle norme di legge. E’ ben vero che il testo si riferisce ai doveri del collegio sindacale; tuttavia dovendo i sindaci vigilare sulla legalità della gestione degli amministratori, le loro regole comportamentali indirettamente vanno anche a definire i doveri degli amministratori.

E’ quindi inevitabile che queste norme di produzione privatistica (molto diffuse da sempre nel diritto commerciale, dai medievali statuti delle corporazioni mercantili ai codici di autodisciplina delle società quotate) vengano (e verranno sempre più) utilizzate dalla giurisprudenza per valutare il comportamento degli organi sociali.

A questo riguardo, esiste già una copiosa giurisprudenza in materia di adeguatezza degli assetti provocata da denunce al tribunale che affermavano che la mancanza di una adeguata organizzazione([4]) rappresenta una grave irregolarità degli amministratori ex art. 2409 c.c. E questa giurisprudenza è in qualche modo anticipatoria di decisioni di merito proprio sulla responsabilità da mancanza di assetto. Si tratta infatti della violazione di uno specifico dovere di legge. Ciò avverrà per lo più in occasione di liquidazioni giudiziali o di concordati liquidatori nei quali la legittimazione all’azione spetta in via esclusiva (liquidazione giudiziale) o concorrente (concordato liquidatorio) agli organi delle procedure concorsuali. Tuttavia, il problema sarà quello di quantificare il danno derivante dalla mancanza di assetti, quantificazione non semplice in quanto non è agevole individuare una causalità diretta tra mancanza di assetti e danno. E’ più ragionevole pensare che la mancanza di adeguati assetti sia un presupposto per il compimento da parte degli amministratori di atti dannosi per la società di più agevole quantificazione.

Esaminando nel merito le decisioni assunte da sette tribunali italiani in materia di mancanza di adeguati assetti possono trarsi le seguenti considerazioni:

(a)    in ben cinque casi (Catanzaro, Catania, Venezia, Cagliari e Roma) il tribunale è pervenuto alla nomina di un ispettore/amministratore giudiziario;

(b)   in un caso (Milano) la controversia riguardava atti di mala gestio anche conseguenti ad una inadeguatezza degli assetti che però il tribunale non ha fattualmente individuato;

(c)    in un caso (Bologna), tribunale e corte d’appello hanno respinto la richiesta di ispezione in quanto la società non manifestava alcun segnale di crisi.

Se esaminiamo le fattispecie che hanno portato alla nomina di ispettori/amministratori giudiziari emerge che nel caso deciso dal Tribunale di Catania la società versava in uno stato di crisi e veniva imputata agli amministratori la mancata approvazione di un aggiornato piano industriale e l’aggravamento immotivato della situazione debitoria e finanziaria della società. In sostanza, la mancata adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile assurgeva a grave irregolarità gestionale. Analogamente alla decisione catanese, i giudici veneziani hanno considerato inadeguato un assetto organizzativo che ha consentito di falsare le risultanze dell’impresa tramite l’occultamento del valore del magazzino a danno dei soci di minoranza (si trattava di una fattispecie in cui l’irregolarità gestionale prescindeva da uno stato di crisi). Particolarmente interessante è la fattispecie decisa dal Tribunale di Roma. La denuncia ex art. 2409 era stata presentata dal collegio sindacale che addebitava al consiglio non solo l’omesso accertamento della perdita della continuità aziendale confermata da plurime azioni esecutive da parte di creditori, ma anche dal compimento da parte degli amministratori di atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale con il rischio di ulteriore depauperamento (nella fattispecie si trattava del conferimento da parte di una società che operava nel settore dell’editoria cartacea e digitale di un ramo aziendale costituito dalla raccolta pubblicitaria in una società terza dalla quale, per effetto del conferimento, la conferente riceveva il 30% del capitale). Tale operazione appariva come un tentativo di svuotare la società di qualsivoglia contenuto patrimoniale, rendendola una mera scatola vuota. Il consiglio di amministrazione si era difeso sostenendo che di fronte a un indebitamento a breve imponente,  si era mosso in due direzioni: (a) consolidamento a medio-lungo termine dell’indebitamento attraverso l’emissione di un bond, (b) una prospettata quotazione all’AIM e (c) la dismissione di un ramo aziendale con la finalità di abbattimento dei costi. Sia l’emissione del bond sia la quotazione non era state poi realizzate. E’ interessante notare che nel procedimento ex art. 2409 la società si è costituita con un curatore speciale che ha aderito alla domanda di ispezione giudiziale in quanto “dalle relazioni del Collegio Sindacale sembrava emergere un vero e proprio stato di crisi della società”. L’articolata decisione del tribunale è partita dalla constatazione che il costante monitoraggio della continuità aziendale spetta al consiglio ai sensi dell’art. 2086 c. 2 e 2381 c. 3 e 5 c.c. in vigore dal 2019.

Secondo il Tribunale, è ben vero che le scelte organizzative dell’impresa rientrano nella business judgment rule per effetto della quale non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali “anche se presentano profili di alea economica superiori alla norma”. Tuttavia, la novella del 2019 ha anticipato i doveri degli organi di gestione in una fase di pre-crisi, e ha indotto il tribunale ad affermare da un lato che “la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporta di per sé una responsabilità dell’organo gestorio” e dall’altro lato che “è possibile assoggettare a sindacato gestionale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e ragionevolezza”. Passando all’esame della situazione concreta, il sospetto di irregolarità consiste non tanto nel piano industriale basato essenzialmente sulla quotazione in borsa e sull’ampliamento dell’emissione obbligazionaria ma sulla circostanza che “nessuna delle parti ha chiarito per quale motivo tale piano non sia stato più realizzato e sia stato accantonato”.

Anche sul conferimento del ramo d’azienda relativo alla raccolta pubblicitaria nessuno ha chiarito “per quale motivo il cda anziché optare per la cessione del ramo d’azienda al fine di ottenere la liquidità necessaria per far fronte quanto meno a una parte dell’ingente debito sociale, ha invece preferito conferire il suddetto asset in altra società di capitale a fronte non di un corrispettivo in denaro, bensì di una partecipazione societaria”. Per queste ragioni il tribunale ha disposto l’ispezione della società al fine di “valutare l’esistenza di tutte le irregolarità denunziate dai ricorrenti, con particolare riferimento alla ragionevolezza e non manifesta irrazionalità delle scelte effettuate dal cda al fine di intervenire per risolvere lo stato di crisi in atto, all’assenza di imprudenze e alla sussistenza delle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”.

Infine, l’esame delle due decisioni bolognesi relative alla medesima fattispecie, segnala un orientamento opposto a quello rigoroso appena esaminato. In sostanza i giudici bolognesi (in primo e in secondo grado) hanno affermato che la richiesta di revoca ex art. 2409 dell’A.U. va rigettata sulla scorta di “non confutati dati di bilancio ed economico-finanziari forniti dai resistenti ed attestanti una equilibrata e proficua operatività dell’impresa in assenza di alcun segnale di crisi né presente né prossimo futuro e/o di perdita della continuità aziendale ragionevolmente suscettibile di rilevazione”. La fattispecie era stata originata da una richiesta di un socio di s.r.l. all’A.U. di ricevere documentazione contabile ex art. 2476 c. 2 c.c.

L’amministratore rispondeva per iscritto che in società non erano disponibili né i budget né i manuali e le procedure operative relativi ad adeguati assetti e piani aziendali (strategici/operativi/finanziari) e neppure l’organigramma aziendale e qualsivoglia dossier inerente gli adeguati assetti societari ex art. 2086 c.c.

Sulla base di tale dichiarazione di natura confessoria di assenza di qualunque assetto organizzativo e di qualunque elemento previsionale di natura gestoria, il socio di minoranza chiedeva al tribunale la nomina di un amministratore giudiziario. Il tribunale, avendo ritenuto “tranquillizzanti gli assetti” anche tenuto conto che la società “medio tempore si era dotata di un revisore” ha respinto la richiesta anche sulla scorta dell’assenza di segnali di crisi e/o di perdita della continuità aziendale.

Il caso bolognese è paradigmatico: l’AU confessa al socio di minoranza di aver violato l’art. 2086 c. 2 c.c. e di non avere nessuno programma di adeguamento dell’organizzazione aziendale anche al fine di prevenire la crisi. Il tribunale (ma anche la corte d’appello), tenuto conto che la società ha nominato un revisore e non vi sono elementi di crisi, ha respinto l’ispezione. Appare evidente che la soluzione bolognese è inappagante perché l’istituzione degli adeguati assetti prescinde da situazioni di crisi ed è parte integrante della corretta gestione societaria. Anzi, proprio la mancanza di adeguati assetti impedisce la tempestiva rilevazione della crisi. E’ ben vero che si trattava di una piccola società (fatturato di 4 milioni e 10 dipendenti) la cui contabilità era seguita dall’ufficio amministrativo e da un contabile esterno, per cui l’assetto organizzativo avrebbe dovuto essere necessariamente semplice, tenuto conto che l’assetto deve essere adeguato “alla natura e alle dimensioni dell’impresa”. Tuttavia, nonostante la dichiarazione confessoria della mancanza di assetti organizzativi da parte dell’AU, il tribunale ha assunto un provvedimento criticabile per il suo contenuto in quanto ha collegato la necessità degli assetti alla crisi e ha considerato assolti gli assetti con la nomina di un revisore. Magari nel caso concreto la decisione poteva anche essere giusta, è tuttavia la motivazione che è certamente sbagliata.

Il Tribunale di Catanzaro ha deciso in senso diametralmente opposto rispetto alle corti bolognesi e ha addirittura affermato che “la violazione dell’obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in stato di crisi anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative”. E la nomina dell’ispettore era finalizzata alla verifica dell’esistenza di adeguati assetti, tenuto conto che alcuni movimenti finanziari tra la società e alcuni soci (o alcuni soggetti vicini ai soci) – rimborsi utenze personali, spese voluttuarie, rimborsi viaggi, rimborsi rate di mutuo personali, prelievi in denaro, acquisto articoli sanitari e generi alimentari a favore di terzi – erano indice proprio dell’assenza di adeguati assetti, tanto più grave se si pensa che il limitato utile (14.000 Euro) derivava dalla sospensione delle quote di ammortamento con un minore onere di circa 140.000 Euro. Come si vede, anche in questo caso, la prospettiva di un rischio di crisi a fronte di una gestione disinvolta a favore di alcuni soci ha inciso nella decisione del tribunale.

Addirittura il Tribunale di Cagliari, in un caso di mancanza di assetti, a seguito delle carenze rilevate nella denuncia del collegio sindacale (gestione dissennata negli anticipi ai soci e gestione “ambigua” dei crediti verso terzi), ha ritenuto non adeguati gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili di una cooperativa agricola in ragione dei seguenti rilievi dell’ispettore: inadeguatezza dell’assetto organizzativo: • organigramma non aggiornato e difetta dei suoi elementi essenziali; • assenza di un mansionario; • inadeguata progettazione della struttura organizzativa e polarizzazione in capo a una o poche risorse umane di informazioni vitali per l’ordinaria gestione dell’impresa (ufficio amministrativo) • assenza di un sistema di gestione e monitoraggio dei principali rischi aziendali. Inadeguatezza dell'assetto amministrativo: • mancata redazione di un budget di tesoreria, • mancata redazione di strumenti di natura previsionale; • mancata redazione di una situazione finanziaria giornaliera; • assenza di strumenti di reporting; • mancata redazione di un piano industriale. Inadeguatezza dell’assetto contabile: • la contabilità generate non consente di rispettare i termini per la formazione del progetto di bilancio e per garantire l'informativa ai sindaci; • assenza di una procedura formalizzata di gestione e monitoraggio dei crediti da incassare; • analisi di bilancio unicamente finalizzata alla redazione della relazione sulla gestione; • mancata redazione del rendiconto finanziario.

A questo punto il tribunale ha ordinato all’organo amministrativo di adottare entro 150 giorni gli assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati e ha nominato un amministratore giudiziario con il compito di vigilare l’attività dell’organo amministrativo.

Quali conclusioni possono trarsi da questi primi orientamenti giurisprudenziali:

(a)    normalmente le denunce al tribunale derivano dal collegio sindacale che finalmente assolve a una vera e propria funzione di controllo indotta, non solo dai nuovi compiti ma anche dall’obiettivo di allontanare da sé rischi di responsabilità;

(b)   il controllo dell’adeguatezza degli assetti prescinde da situazioni di crisi o di pre-crisi. Anzi, si potrebbe dire che quando la denuncia è collegata a una crisi in atto è probabilmente tardiva (anche ai fini di esonero da responsabilità per i sindaci).

In concreto, come correttamente rilevato dal documento 7.7.2023 del CNDCEC, un assetto organizzativo può definirsi adeguato quando, in relazione alle dimensioni e alla complessità della società, alla natura e alle modalità di perseguimento dell'oggetto sociale esso:

   dia evidenza dell'organizzazione gerarchica;

   presenti un organigramma aziendale con chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità;

   dia evidenza dell'attività decisionale e direttiva della società da parte dell'amministratore delegato nonché dei soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;

   includa procedure che assicurano l'efficienza e l'efficacia della gestione dei rischi e del sistema di controllo, nonché la completezza, la tempestività, l'attendibilità e l'efficacia dei flussi informativi anche con riferimento alle società controllate;

   comprenda procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata professionalità e competenza a svolgere le funzioni assegnate e che garantiscano un ordinato e regolare andamento della gestione;

   preveda chiare direttive e procedure aziendali, loro aggiornamento ed effettiva diffusione.

L'obiettivo è quello di assicurare l’istituzione e, conseguentemente, accertare l’esistenza di procedure interne all’organizzazione che risultino adeguate rispetto alle esigenze di business e di governance in termini sia di professionalità che di capacità di raggiungere gli obiettivi strategici e operativi, nonché di istituire e regolamentare i flussi informativi tra organi e funzioni aziendali.

Per quel che concerne all’assetto amministrativo-contabile si declina il principio per cui esso risulta adeguato se permette:

   la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione;

   la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale;

   la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d'esercizio.

Si tratta di una elencazione sintetica, quasi una fonte di produzione normativa secondaria che dovrebbe essere scrupolosamente seguita dai “buoni amministratori”.

 

(*) Il presente saggio è destinato a un volume collettaneo diretto da Stefania Pacchi e Stefano Ambrosini, di prossima pubblicazione per i tipi di Pacini Giuridica.

[1] Di cui si veda il sempre attuale: Gli amministratori di s.p.a., Utet, Torino, 2013.

[2] Sul tema, tra i contributi apparsi su questa Rivista, R. Rordorf, Crisi, continuità aziendale, adeguati assetti organizzativi, composizione negoziata: le parole chiave del nuovo codice (una prefazione), 30 novembre 2022; S. Fortunato, Crisi d’impresa e assetti adeguati nella riforma Cartabia (partendo dal percorso culturale di Alberto Jorio), 23 maggio 2022; S. Ambrosini, Adeguatezza degli assetti, sostenibilità della gestione, crisi d’impresa e responsabilità della banca: alla ricerca di un fil rouge (un’introduzione), 19 maggio 2023; A. Quagli, Una riflessione da aziendalista sull’emersione anticipata della crisi: quadro attuale e sviluppi futuri, 21 febbraio 2024. Con più diretto riferimento alle questioni qui affrontate v., tra gli altri, S. Ambrosini, Adeguatezza degli assetti aziendali, doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in M. Callegari, S. A. Cerrato e E. R. Desana (a cura di), Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, Giappichelli, Torino, 2022, III, 1703 ss.; F. Bordiga, Gli obblighi degli amministratori nel contesto del “codice della crisi e dell’insolvenza”, in S. Ambrosini (a cura di), Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pacini giuridica, Pisa, 2023, 267 ss.

([3])    Così per tutti, seppur non più recentissimo, Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta dalla Proposta Rordorf al Codice della Crisi, in AA.VV., La nuova disciplina delle procedure concorsuali in ricordo di Michele Sandulli, Giappichelli, Torino, 2019, 486. Faccio riferimento anche a due miei scritti, Adeguati assetti societari per la prevenzione della crisi, Il Sole 24Ore, 2022, 54 e La governance delle società provate dopo il D.Lgs. 14/2019, in Le nuove regole societarie dopo il CCI, Giappichelli, Torino, 2020, 1 ss.).

([4])    Trib. Catanzaro, 31.1/6.2.2024, in www.ilcaso.it; Trib. Catania, 8.2.2023, in Fallimento, 2023, 817 con nota di Benasso; App. Venezia, 29.11.2022, in Diritto della crisi; Trib. Bologna, 19.5.2022 e App. Bologna, 18.11.2022, in Ristrutturazioni aziendali; Trib. Cagliari, 19.1.2022, in Diritto della crisi; Trib. Roma, 15.9.2022, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 3.12.2029, in www.ilcaso.it.