Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Nuove prospettive dell’azione revocatoria nella crisi d‘impresa*


Edgardo Ricciardiello

Data pubblicazione
01 agosto 2024

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Sommario: 1. Premessa; 2. Il sistema delle azioni revocatorie nella legge fallimentare del ’42. 3. La crisi finanziaria del 2008 ed il mutamento di approccio dei legislatori 4. La proposta di Direttiva Insolvency 2 del Dicembre 2022. 5. Le nuove fattispecie previste 5.1 Preferences; 5.2 Legal acts against no or manifeslty inadequate consideration. 5.3. Gli atti intenzionalmente dannosi per i creditori: l’eco del Bankruptcy Code statunitense. 6. Considerazioni conclusive sulla tenuta delle teorie tradizionali in tema di revocatoria.


1.       Premessa

La legge fallimentare del 1942 ed il codice civile, come è noto, denotavano una visione binaria del diritto concorsuale ove, in presenza della perdita della continuità aziendale, in applicazione della regola “ricapitalizza o liquida”, non vi era alcuno spazio per forme di preservazione dell’impresa insolvente e l’unico valore tutelato era quello del miglior soddisfacimento dei creditori attraverso la liquidazione del patrimonio del debitore in ossequio al principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c. Non esistevano forme di conservazione dell’impresa in continuità in presenza del “fallimento del soggetto imprenditore”.

Sotto tale profilo sino ad oggi vi è stata una perfetta assonanza tra il sistema codicistico, che imponeva lo scioglimento della società ex art. 2486 c.c. in caso di perdita del capitale sociale, pena la responsabilità degli amministratori per il compimento di “nuove operazioni sociali”; e la legge fallimentare che, come noto, sanzionava con le fattispecie di reato di bancarotta il ritardato accesso alla procedura fallimentare (art. 217 l.f.).

Le azioni revocatorie, unitamente alle azioni di responsabilità verso gli organi sociali, costituivano uno strumento di reintegrazione del patrimonio sociale che consentiva di rendere effettivo il principio della par condicio creditorum quale criterio di soddisfacimento dei creditori secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione. La revocatoria doveva altresì assolvere alla funzione di minimizzare i rischi correlati alle asimmetrie informative tra le diverse categorie di creditori evitando condotte opportunistiche da parte di quanti fossero stati spinti ad ottenere l’integrale soddisfacimento delle proprie pretese nella consapevolezza dell’approssimarsi dell’insolvenza del debitore[1].

Non a caso le azioni di inefficacia previste dalla legge fallimentare sono concepite come azioni di massa la cui legittimazione viene riservata in via esclusiva al curatore fallimentare.

In tale contesto, le azioni revocatorie erano funzionali all’attuazione del programma di liquidazione per il miglior soddisfacimento di creditori secondo una visione “redistributiva” degli effetti del fallimento rispetto agli atti compiuti dall’imprenditore insolvente durante il periodo sospetto. 

Nel sistema della legge fallimentare sia la revocatoria ordinaria (fallimentare) che la revocatoria fallimentare presupponevano l’apertura della procedura fallimentare la quale diviene condizione dell’azione (o rimozione del limite all’esperimento della azione medesima).

Il sistema delle revocatorie, avendo quale presupposto quello dell’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) e la finalità di ristabilire la par condicio creditorum, ha posto il dilemma della conciliabilità tra atti solutori (o estintivi di debiti scaduti), del tutto legittimi ed esigibili nel sistema civilistico, rispetto alla loro successiva declaratoria di inefficacia per effetto dell’apertura del concorso dei creditori[2]. 

 

2. Il sistema delle azioni revocatorie nella legge fallimentare del ’42

Il tentativo di ricondurre la revocatoria fallimentare al sistema codicistico, imperniato sull’azione pauliana, ha posto in evidenza l’intrinseca inconciliabilità tra l’azione revocatoria ordinaria e quella fallimentare[3]. L’azione pauliana è, infatti, incentrata sul presupposto oggettivo del pregiudizio patrimoniale arrecato al (singolo) creditore per effetto della diminuzione della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni del debitore, il quale ne disponga a favore di terzi[4]. L’impossibilità di traslare il concetto di pregiudizio individuale dei creditori nell’ambito del fallimento ha infatti indotto il legislatore, nel contesto della legge fallimentare, a prescindere dall’enunciazione dell’elemento del danno nonché a “scolorire” il presupposto soggettivo dell’azione intenzionale verso i creditori ma anche da parte del debitore.

Non a caso la struttura della revocatoria ordinaria si fonda, oltre che sull’eventus damni (pregiudizio patrimoniale arrecato alle ragioni dei creditori), sul consilium fraudis (la predeterminazione del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori) e la scientia damni (la consapevolezza del carattere lesivo dell’atto dispositivo).

Il rimedio codicistico, peraltro, giova alle ragioni individuali del creditore che lo aziona per recuperare il bene oggetto dell’atto dispositivo non andando, invece, a vantaggio della massa dei creditori che non se ne possono giovare. Questa caratteristica rende, dunque, incompatibile questa azione con il principio della par condicio creditorum.

La legge fallimentare tenta di adattare l’azione pauliana ad un sistema profondamente diverso ove al singolo creditore, le cui ragioni sono sterilizzate dall’apertura del concorso, si sostituisce un meccanismo differente, finalizzato a far ricadere le conseguenze del fallimento su tutti i creditori in modo che l’apertura del concorso, attraverso l’accertamento del passivo fallimentare, possa giovare secondo le cause legittime di prelazione a tutti i creditori ai fini della distribuzione dell’attivo.

La revocatoria, in questo contesto, rappresenta un’azione di massa improntata alla declaratoria di inefficacia relativa dell’atto compiuto dal debitore nel periodo sospetto secondo la finalità sopra menzionata di redistribuzione degli effetti del fallimento su tutti i creditori.

Tale azione, tuttavia, non presuppone un pregiudizio patrimoniale che con formula semplicistica viene di sovente identificato con la lesione della par condicio creditorum in quanto il fallimento del debitore non rappresenta un evento prevedibile (se non conosciuto dal terzo) ed il disvalore giuridico degli atti revocabili viene fatto conseguire ad un evento futuro rispetto al momento in cui l’atto viene compiuto.

La sterilizzazione dell’atto o, meglio, dei suoi effetti attraverso la revocatoria fallimentare tende, in tal modo, ad assumere una connotazione sanzionatoria che è incompatibile col sistema civilistico che, viceversa, è imperniato come è noto sulla responsabilità contrattuale del debitore.

Nel contempo, si pone anche in contrasto con l’azione revocatoria ordinaria la quale, viceversa, è incentrata sull’evento dannoso scientemente arrecato dal debitore e dal terzo compiacente attraverso la sottrazione del bene alla garanzia dei creditori. Differenza strutturale che conduce ad evocare la natura unitaria delle revocatorie, ordinaria e fallimentare, e a richiedere anche ai fini della revocatoria ordinaria l’insorgenza dello stato di insolvenza del debitore sia causalmente riconducibile alla condotta del terzo[5].

Il tentativo di individuare una eadem ratio nelle revocatorie è sostanzialmente fallito per l’impossibilità di rinvenire nel sistema concorsuale un pregiudizio alla massa dei creditori derivante dal compimento di atti perfettamente legittimi, se non anche doverosi sul piano giuridico[6].

Ove è ben possibile che, a differenza di quanto previsto dall’art. 2901 c.c., cadano sotto il regime della revocatoria fallimentare anche atti che non hanno causato alcun pregiudizio al patrimonio del fallito, come nel caso dei pagamenti assistiti da garanzia (v. infra). Allo stesso modo le esenzioni da revocatoria si ispirano a rationes o politiche del diritto dissimili.

La giurisprudenza e la dottrina hanno in vario modo tentato di ricondurre a sistema le azioni revocatorie fallimentari con risultati non del tutto univoci: dapprima, attraverso la teorizzazione della teoria indennitaria che, con maggiore aderenza al sistema civilistico dell’azione pauliana, presuppone la dimostrazione in concreto del danno arrecato per effetto del compimento dell’atto compiuto[7].  Secondo tale impostazione il danno diviene elemento strutturale di una fattispecie imperniata sugli stessi elementi della revocatoria ordinaria disciplinata dall’art. 2901 c.c.- eventus damni, scientia fraudis e consilium fraudis- seppure con alcuni adattamenti all’ipotesi di concorso dei creditori per effetto dell’apertura del concorso fallimentare.

L’elaborazione della teoria indennitaria fa perno essenzialmente sull’indagine relativa alla sorte dei crediti garantiti ove si sostiene che il pagamento effettuato in escussione di un pegno consolidato non sarebbe revocabile, "atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con la revocatoria fallimentare"[8] .

Seguendo questa impostazione, ai fini della revocatoria, l’apertura della procedura fallimentare rappresenterebbe condizione di procedibilità o proseguibilità dell’azione[9]. Ma la mancata individuazione di tale pregiudizio costituisce il principale vulnus dell’istituto[10] a cui la giurisprudenza sopperisce, talvolta, ritenendo che il danno consista nella semplice modificazione qualitativa del patrimonio (che renderebbe più gravoso il soddisfacimento dei creditori)[11] ovvero nel solo compimento dell’atto[12] ovvero nella lesione della par condicio che, tuttavia, sarebbe da verificare caso per caso, ovvero ancora nel semplice stato di insolvenza (a prescindere dall’apertura della procedura fallimentare) quale condizione soggettiva del debitore[13]. Anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo il ricorso alle presunzioni cela le difficoltà di rinvenire l’agire intenzionale del debitore quale elemento di ammissibilità della domanda così che la dottrina.

La teoria indennitaria muove, dunque, dal presupposto della prova dell’eventus damni che viene ricondotto nella lesione della par condicio creditorum che però si verificherebbe in caso di pagamento di credito garantito. Ne consegue che il soggetto che riceve il pagamento avrebbe diritto anche in sede fallimentare di riparto a conseguire l’intera somma dovuta per effetto del privilegio, ragione per cui non sarebbe rinvenibile in simile ipotesi alcun pregiudizio per i creditori.

La teoria antindennitaria, viceversa, largamente favorita dalla giurisprudenza della Suprema Corte[14], rinviene il disvalore giuridico nell’atto o nel pagamento compiuto nel periodo sospetto, con la conseguenza che il requisito del danno non avrebbe nemmeno rilievo (a differenza di quanto accade nell’azione pauliana); la declaratoria di inefficacia sussisterebbe a prescindere dalla dimostrazione del danno in quanto l’apertura del concorso determinerebbe una sorta di “cordone sanitario” attorno all’imprenditore per impedirgli pagamenti anche a favore di creditori privilegiati[15].

Il danno, non rientrando tra gli elementi strutturali della fattispecie, non rileverebbe in quanto non menzionato dall’art. 67 l.f., con la conseguenza che il curatore fallimentare sarebbe sempre legittimato ad agire visto che la lesione della par condicio potrebbe verificarsi anche con riferimento ai creditori non ancora insinuatisi al passivo[16].

La revocatoria assolverebbe così ad una funzione meramente redistributiva degli effetti conseguenti all’apertura del concorso ove l’eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione[17].

In risposta ai sostenitori della teoria indennitaria si afferma che non rileverebbe il fatto che il pagamento afferisca ad un credito privilegiato in quanto solo dopo il riparto fallimentare si potrebbe stabilire se il pagamento seppure afferente ad un credito privilegiato abbia arrecato pregiudizio con conseguente legittimazione del curatore ad agire in revocatoria.

Ma come si tenterà di dimostrare, il sistema delle revocatorie, per effetto della prevalenza delle esenzioni previste dall’ordinamento, non sembra più rappresentare strumento di redistribuzione degli effetti dell’insolvenza sui creditori; e neppure esso rappresenta uno strumento di deterrenza affinché l’imprenditore insolvente si astenga dal compimento di atti nel periodo sospetto.  

A tale conclusione si perviene considerando la predominanza delle esenzioni rispetto alle fattispecie punibili unitamente alla sterilizzazione delle ipotesi di postergazione dei finanziamenti erogati all’imprenditore insolvente.

 

3.     La crisi finanziaria del 2008 ed il mutamento di approccio dei legislatori

Si deve al d.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80 il mutato assetto del regime dell’azione revocatoria fallimentare attraverso l’inserimento al comma 3 dell’art. 67 l.f. di una serie di ipotesi di esenzione senza precedenti che, invero, si aggiungevano a quelle già previste nel diritto speciale (v., per es., l’esenzione da revocatoria dei pagamenti effettuati con riferimento agli immobili da costruire di cui all’art. 10 d. lgs. 20 giugno 2005, n. 122; nel diritto bancario art. 99 comma 5 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 per gli atti compiuti infra gruppo nella liquidazione coatta bancaria a cui si aggiungono quelle dell’art. 69-sepiesdecies TUB come modificato a seguito dei D.lgs. n. 180 e n.181, 2015 in attuazione della Direttiva UE/59/2014 (“BRRD”) e quelle introdotte dal CCII a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs 118/2021 sulla composizione negoziata della crisi)[18].

Come è noto all’interno dell’art. 67 l.f. vengono esentati, seguendo l’impostazione del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense, i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso.

Formano altresì oggetto di esenzione le rimesse effettuate su un conto corrente bancario purché abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; le vendite e i contratti preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma 3 di tale articolo, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti e affini entro il terzo grado ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente; gli atti e le garanzie concesse sui beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo, dell’amministrazione controllata  e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Ma il percorso verso le esenzioni non si è arrestato con la riforma del 2005. Infatti, già con il d.l. n. 118/2021 all’interno della composizione negoziata della crisi si assiste all’introduzione di una serie di esenzioni che non toccano solo i finanziamenti prededucibili e/o dei soci o infragruppo ma anche atti di disposizione “in qualsiasi forma” effettuati (oggi art. 22 CCII) di aziende o di rami di esse previamente autorizzati dal tribunale.

Per effetto del combinato disposto degli artt. 22 e 24 CCII in caso di liquidazione giudiziale (il correttivo tra l’altro pare che estenda gli effetti non solo al caso di sbocco nella liquidazione ma anche di sbocco in altri strumenti concorsuali) tali atti di disposizione della azienda o di suoi rami, seppure compiuti durante la composizione negoziata della crisi ovvero in un momento in cui il debitore non ha ancora raggiunto un accordo con i creditori, conservano efficacia preservando stabilità ove all’autorizzazione del tribunale consegua un effetto chiaramente ultrattivo.

Già nel diritto bancario riformato per effetto del recepimento della Direttiva BRRD ad opera dei suddetti D.Lgs. n. 180 e n.181 2015 si assisteva ad una forte esenzione da revocatoria (unitamente alla scriminate dai reati di bancarotta) degli accordi di sostegno finanziario infragruppo nonché degli atti esecutivi di tali accordi, affermandosi un interesse pubblicistico di stabilità degli intermediari bancari e finanziari mediante l’utilizzo di risorse interne al gruppo di imprese[19].

Ebbene, tale disciplina ha avuto un evidente impatto sul CCII in quanto anche con riferimento alle imprese di gruppo non bancarie sono stati estesi i benefici derivanti dalla esenzione da revocatoria nel contesto sia della composizione negoziata della crisi che del concordato preventivo e degli ADR di gruppo.

L’art. 25, comma 8, CCII consente, infatti, nella composizione negoziata di gruppo, l’erogazione di finanziamenti in favore di società controllate o sottoposte a comune controllo che vengono esentati dalla revocatoria in caso di mancata iscrizione nel registro delle imprese del dissenso dell’esperto (art. 24, commi 2 e 3, CCII). Viene confermata anche nel CCII l’esenzione dai reati di bancarotta fraudolenta e semplice (artt. 322 e 323 CCII).

Anche i finanziamenti infragruppo, funzionali al concordato di gruppo e agli accordi di ristrutturazione, nel contesto dei gruppi di imprese ai sensi dell’art. 285 CCII, sono esentati da revocatoria in forza dell’art. 167, comma 3, lett. d).

A conferma di una tendenza a privilegiare la continuità aziendale anche sacrificando alcuni principi cardine dell’ordinamento concorsuale.

Sempre con riferimento ai gruppi di imprese, nel CCII l’architettura della revocatoria degli atti infra gruppo (c.d. revocatoria aggravata) appare ridimensionata rispetto alla portata della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi in quanto l’ammissibilità della revocatoria degli atti infra gruppo, ai sensi dell’art. 290 CCII, dipende dalla valutazione in merito all’assenza di vantaggi compensativi ex art. 2497, comma 1°, c.c.

Sulla scia dell’art. 90 Legge Prodi bis, seppure con diversa e imprecisa tecnica normativa, viene attribuita al curatore, in forza dell’art. 290 CCII, sia in caso di apertura della procedura unitaria di liquidazione prevista dall’art. 287 CCII, che in caso di pluralità di procedure, la legittimazione a promuovere l’azione finalizzata alla declaratoria di inefficacia degli atti e contratti posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito della domanda di liquidazione giudiziale che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’altra impresa di gruppo con pregiudizio ai creditori fatto salvo il disposto di cui all’art. 2497, comma 1°, c.c.

Rispetto all’art. 90 Legge Prodi bis che in qualche maniera “oggettivizza” gli atti revocabili rispetto al periodo sospetto “aggravato” sia con riferimento agli atti di cui all’art. 67, comma 1° che all’art. 67, comma 2, l.f. ; il CCII connota la fattispecie dell’art. 290, comma 1°, CCII di un elemento di pregiudizio ulteriore in qualche modo “atipico” rispetto alla revocatoria fallimentare.

Ebbene, l’art. 290 CCII perimetra l’azione non solo agli atti compiuti (senza specificazione di quali atti si tratti e se a titolo oneroso o gratuito) “che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’altra impresa del gruppo”, ma  anche quelli che abbiano arrecato un pregiudizio ai creditori, fatto salvo il disposto di cui all’art. 2497, comma 1°, c.c.

In questo senso, l’elemento del pregiudizio viene enfatizzato dal legislatore a voler affermare in realtà la necessità di una verifica in concreto delle relazioni esistenti tra le imprese del gruppo.

Il richiamo all’art. 2497 c.c. appare delineare in tal modo un sistema che considera del tutto fisiologica l’interconnessione finanziaria tra le imprese appartenenti al gruppo ove la trasposizione a livello normativo della teoria dei vantaggi compensativi appare richiamare la clausola di corretta gestione imprenditoriale e societaria prevista dall’art. 2497 c.c. che non preclude affatto il sostegno finanziario infragruppo tra imprese in crisi o insolventi ma che ne funzionalizza l’impiego alla stabilizzazione della situazione patrimoniale e finanziaria sia della beneficiaria che della società o ente che lo presta.

Alcune esenzioni rispondono all’esigenza di protezione degli immobili adibiti ad abitazione principale o della sede aziendale ma la rimozione dell’ipotesi di revocatoria delle rimesse bancarie subordinando l’ammissibilità alla riduzione consistente dell’esposizione debitoria indubbiamente rispondeva all’esigenza di tenuta del sistema bancario

Importante elemento di novità della riforma è l’espressa previsione all’interno dell’art. 166, comma 3, della lett. d), CCII, dell’esenzione da revocatoria degli atti, dei pagamenti effettuati e delle garanzie concesse sui beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestati di cui all’art. 56 o del piano concordatario di gruppo o dei piani interferenti di gruppo previsti dall’art. 284 CCII. Per la prima volta, il legislatore contempla l’ipotesi di compimento di atti infra gruppo tra imprese in crisi o insolventi appartenenti al medesimo gruppo di imprese al fine di favorire così il processo di ristrutturazione unitario del gruppo.

 

4.       La proposta di Direttiva Insolvency 2 del Dicembre 2022

Il CCII, in assonanza con la Direttiva UE/2019/1012, pone al centro delle scelte adottate a livello normativo, la sua funzione di anticipazione (o prevenzione) della crisi esprimendo un deciso favor verso la continuità aziendale a costo di sacrificare, talvolta, anche principi sedimentati quali la par condicio creditorum e l’ordine delle cause legittime di prelazione.

Sono molteplici gli esempi in tal senso rinvenibili nel nuovo tessuto normativo del CCII (vedasi la nuova disciplina del concordato in continuità aziendale e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ove viene previsto persino il classamento dei soci e la derogabilità sostanziale dell’art. 2740 e art. 2741 c.c. mediante la relative priority rule nel cross class cramdown).

Tuttavia, la corsa verso la continuità aziendale a qualsiasi costo, anche snaturando lo stesso concetto di continuità mediante la fictio della continuità indiretta, deve tener conto di un diritto concorsuale sostenibile in cui la liquidazione giudiziale, che pur possiamo definire “un rimedio estremo”, rappresenta certamente lo strumento di garanzia di soddisfacimento dei creditori allorché non via siano più prospettive di recupero dell’attività di impresa anche indiretta.

In tale contesto il depotenziamento degli strumenti classici di realizzazione dell’attivo distribuibile (azioni di responsabilità e revocatorie) non appare costituire una soluzione idonea per il perseguimento delle esigenze di tutela dei creditori.

Il percorso intrapreso sembra pertanto orientato ad un rafforzamento dei presidi di tutela del patrimonio contro le preferences del debitore anche se in un contesto giuridico profondamente modificato.

Il legislatore unionale, se da una parte, dopo la crisi del 2008, aveva spinto verso un sistema favorevole alla preservazione della continuità aziendale  attraverso misure di preparazione della crisi e pre concorsuali che avrebbero reso la liquidazione giudiziale estremo rimedio (residuale ed eccezionale); ha preso atto tuttavia della disomogeneità dei sistemi concorsuali del 27 Stati Membri  e della necessità di porre regole comuni per armonizzare la disciplina e favorire il mercato comune europeo e gli investimenti transfrontalieri[20].

La nuova proposta di Direttiva pone al centro del sistema la liquidazione e la necessità di recupero di valore per i creditori attraverso le revocatorie e la ricerca o rintracciamento dei beni appartenenti al debitore anche per mezzo di banche dati pubbliche.

L’art. 16 del Regolamento comunitario UE 848/2015 sulle insolvenze transfrontaliere (che prevede un’eccezione all’esperibilità della revocatoria secondo la lex concursus dello Stato in cui si è aperta la procedura transfrontaliera se l’atto oggetto di revocatoria è regolato dalla legge di uno Stato membro diverso da quello in cui si è aperta la procedura e la legge di tale Stato non consente di impugnare l’atto con alcun mezzo) si presta ad abusi sia per quanto riguarda la selezione in via negoziale della legge sostanziale applicabile; che del luogo di apertura del procedimento mediante trasferimenti o incorporazioni in Paesi con regimi più flessibili.

Tale principio, affermato dal Regolamento comunitario, costituisce ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle merci in quanto rende opachi gli scenari in cui gli operatori economici dovrebbero muoversi con rischi di trattamenti differenziati dei creditori in base alle regole concorsuali adottate dai singoli Stati membri[21].

La mancanza di attrazione nella legge di apertura del procedimento della legge che regola sotto il profilo sostanziale le azioni revocatorie pone problemi di abusi e di forum shopping[22].

Il tema delle azioni di inefficacia o revocatorie diviene centrale e viene trattato con elementi di forte novità in quanto si passa da un sistema secolarizzato di inefficacia degli avoidances o preferences ad uno che vede in tali atti o negozi persino profili di invalidità (voidness) o inopponibilità assoluta (unforceability)[23].

Vale la pena evidenziare che la proposta di Direttiva, nel preambolo, introduce i concetti di nullità di atti dannosi per i creditori: In order to protect the value of the insolvency estate for creditors, national insolvency laws should include effective rules that enable the annulment of legal acts that are detrimental to creditors and have been perfected prior to the opening of insolvency proceedings (avoidance actions). Given that avoidance actions aim at reversing the detrimental effects for the estate of the legal act, it is appropriate to refer to the completion of the cause for this detriment as the relevant point in time, namely to the perfection of the legal act rather than to the execution of the performance.

La proposta prevede inoltre l’estensione del regime revocatorio agli atti omissivi: The scope of the legal acts that could be challenged under the avoidance actions rules should be drawn broadly, in order to cover any human behaviour with legal effects. The principle of equal treatment of creditors implies that legal acts should also include omissions, as it makes no significant difference if creditors suffer a detriment as a consequence of an action or of the passivity of the party concerned, ovveri delle controparti o di terze parti: For the same reason, avoidance rules should not be restricted to legal acts performed by the debtor, but should also include legal acts performed by the counterparty or by a third party. On the other hand, only legal acts should be subject to avoidance rules which are detrimental to the general body of creditors.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo la sua rilevanza viene diversificata a seconda delle ipotesi di revocatoria previste: To protect the legitimate expectations of the debtor’s counterparty, any interference with the validity or enforceability of a legal act should be proportionate to the circumstances under which that act is perfected. Such circumstances should include the debtor’s intent, the knowledge of the counterparty or the time-span between the perfection of the legal act and the commencement of the insolvency proceedings. Therefore, it is necessary to distinguish between a variety of specific avoidance grounds that are based on common and typical fact patterns and that should complement the general prerequisites for avoidance actions. Any interference should also respect the fundamental rights enshrined in the Charter of Fundamental Rights of the European Union.

In the context of avoidance actions, a distinction should be made between legal acts where the claim of the counterparty was due and enforceable and has been satisfied in the owed manner (congruent coverages) and those where performance was not entirely in accordance with the creditor’s claim (incongruent coverage). Incongruent coverages include, in particular, premature payments, the satisfaction with unusual means of payments, the subsequent collateralisation of a so far unsecured claim which was not already agreed upon in the original debt agreement, granting an extraordinary termination right or other amendments not provided for in the underlying contract In the case of congruent coverages, the avoidance ground of preferences can only be invoked if the creditor of the legal act that can be declared void knew, or should have known, at the time of the transaction that the debtor was insolvent.

 

5.       Le nuove fattispecie previste

La proposta di Direttiva dedica alle azioni revocatorie ampia attenzione sia nei considerando che nel titolo II che a sua volta è suddiviso in tre capitoli: il primo (artt. 4 – 5) dedicato alle disposizioni generali; il secondo (artt. 6 – 8) alle condizioni particolari; il terzo (artt. 9 – 12) agli effetti delle azioni revocatorie.

Un primo elemento di novità che si rinviene già a livello di disposizioni generali è rappresentato dall’art. 4 (general prerequisites for avoidance actions) il quale stabilisce che “Gli Stati membri provvedono affinché gli atti giuridici perfezionati prima dell'apertura della procedura di insolvenza in pregiudizio della massa dei creditori possano essere dichiarati nulli alle condizioni di cui al capo 2 del presente titolo”

Appare peculiare il riferimento generale nella proposta di Direttiva, quale presupposto oggettivo, alla “procedura di insolvenza” a voler denotare l’intenzione del legislatore unionale di non relegare l’applicabilità dello strumento revocatorio agli atti compiuti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale ma, piuttosto, a tutte le procedure di insolvenza anche a contenuto non liquidatorio e che perseguono il fine della continuità aziendale.

In tale maniera si aprirebbe la strada all’esperibilità delle azioni revocatorie anche nel contesto degli strumenti di regolazione della crisi dell’impresa e dell’insolvenza diversi dalla liquidazione[24].

Appare certamente rilevante l’utilizzo senza precedenti nell’ambito delle discipline previste dagli Stati membri della categoria della nullità degli atti perfezionatisi prima dell’apertura della procedura di insolvenza[25].

In forza dell’art. 5 (relationship to national provisions) è stabilito che la Direttiva non preclude agli Stati membri il potere di adottare o mantenere previsioni relative alla nullità, annullabilità o inopponibilità degli atti compiuti dal debitore a danno della massa dei creditori allorché dette previsioni prevedano una maggiore tutela per i creditori.

I concetti di voidness, voidability e unenforceability appaiono di particolare importanza in quanto l’impostazione del legislatore unionale nella proposta di revisione della Direttiva, presenta elementi certamente innovativi che andrebbero ad incidere maggiormente non tanto sugli effetti (i.e. inefficacia) degli atti compiuti nel periodo sospetto quanto piuttosto sulla stessa validità degli atti stessi[26].

Si tratta di un’impostazione peculiare che presuppone la necessità di verifica di un disvalore giuridico dell’atto in sé al fine di poter ricondurre a sistema generale il regime delle azioni revocatorie nell’accezione che verrebbe proposta.

 

5.1 Preferences

La prima categoria di atti annullabili in forza dell’art. 6 (anche apre il Titolo II Capitolo 2 dedicato alle “specific conditions for avoidance actions” è quello delle “preferences” Il riferimento è ad atti preferenziali che possono consistere nel compimento di “legal acts” che abbiano quale conseguenza quella di beneficiare un creditore o un gruppo di creditori del soddisfacimento del credito ovvero la dazione di garanzie in qualsiasi forma in pregiudizio della massa dei creditori.

 Si tratta della forma più tipica di revocatoria che incide sul compimento di atti che tradizionalmente non presentano problemi di invalidità in quanto del tutto legittimi ma che incidono sulla parità di trattamento dei creditori che sarebbe lesa appunto da trattamenti preferenziali posti in essere dal debitore.

Tale azione presuppone la ricorrenza di condizioni soggettive e oggettive.

Il periodo sospetto ai fini dell’azione è di tre mesi che decorrono non più dall’apertura della “insolvency proceedings” ma dal deposito della domanda così che il termine di prescrizione (ma sembrerebbe piuttosto un termine decadenziale simile a quello previsto dall’art. 2377 c.c. in materia di impugnazione delle deliberazioni assembleari di spa invalide) pone come dies a quo il primo atto processuale di richiesta formale dell’apertura della procedura concorsuale.

Sembrerebbe in tal modo che, nonostante la brevità del termine, il legislatore esprima un favor per le verifica degli atti preferenziali subordinandone la stessa (verifica) di sussistenza all’attivazione effettiva della procedura concorsuale. Col che il legislatore ha voluto chiarire che la revocatoria, seppure collocabile nel contesto di procedure concorsuali più ampie rispetto alla liquidazione, non ritiene che la medesima azione possa essere attivata in assenza dell’apertura di una qualsiasi procedura concorsuale.

Ulteriore condizione oggettiva che deve essere verificata è che il debitore nel periodo sospetto non fosse in grado di adempiere al pagamento dei debiti maturati, senza specificazione che si tratti di situazione di crisi o di insolvenza.

Il regime delle preferences colpisce anche gli atti compiuti a seguito dell’apertura della procedura di insolvenza.

In forza del comma 2 dell’art. 2 viene previsto che la declaratoria di invalidità presuppone da parte del tribunale l’accertamento che sussistano le condizioni di cui al comma 1 e, sul piano soggettivo, che sia dimostrato che il creditore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il debitore non era un grado di pagare i debiti scaduti o che al momento del pagamento era già stata depositata la domanda di apertura di una procedura concorsuale. Ove, in caso di operazioni con parti correlate sussiste la presunzione di conoscenza dell’incapacità del debitore di fare fronte alle proprie obbligazioni.

Al comma 3 dell’art. 2 viene previsto che gli Stati Membri devono prevedere la possibilità di esentare le ipotesi di revocatoria previste con riferimento agli atti compiuti che prevedano un giusto corrispettivo, ovvero il pagamento di crediti cartolari come assegni o cambiali allorché la legge che disciplina tali titolo di credito precluda ai soggetti che possono avanzare pretese derivanti da detti titoli di agire contro altri soggetti quali avallanti o giranti e giratari in casi di inadempimento. Ulteriore esenzione è quella relativa ai sistemi di pagamenti nelle transazioni finanziarie previste dalla Direttiva 98/26/EC e 2004/47/EC.

 

5.2    Atti compiuti a fronte di mancanza di corrispettivo o di corrispettivo manifestamente inadeguato

All’art. 7 della proposta di Direttiva viene introdotta l’ipotesi di invalidità di atti compiuti da debitore a condizioni inique ovvero in mancanza di corrispettivo.

Tale azione prevede quale termine di prescrizione ovvero quale periodo sospetto un anno dalla domanda di apertura della procedura concorsuale ovvero a seguito della presentazione della domanda di apertura della procedura.

La proposta esenta da revocatoria le donazioni di modico valore e non richiede la prova di alcun elemento soggettivo (scientia decotionis) che non viene nemmeno presunto.

 

5.3 Gli atti intenzionalmente dannosi per i creditori: l’eco degli avoiding powers del Bankruptcy Code statunitense

L’art. 8 (legal acts intentionally detrimental to creditors) si occupa degli atti intenzionalmente lesivi compiuti dal debitore in danno della massa dei creditori.

Anche in questa ipotesi la sanzione prevista nella proposta di Direttiva è quella della nullità dell’atto allorché ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: i) l’atto si collochi nel periodo sospetto di quattro anni prima del deposito della domanda di apertura della procedura concorsuale; ii) venga fornita la prova della scientia fraudis ovvero della volontà del debitore di causare un pregiudizio alla massa dei creditori. Anche in questa ipotesi la conoscenza dell’elemento soggettivo può essere presunta in presenza di atti compiuti con parti correlate.

Appare evidente come l’impostazione adottata dal legislatore unionale nella proposta di Direttiva (o Direttiva Insolvency 2) sia fortemente ispirata al sistema del Bankruptcy Code statunitense e, più in generale, al sistema degli avoiding power o claw back transactions anglosassoni.

Come noto, l’obiettivo del sistema concorsuale statunitense attraverso gli avoiding powers è quello di creare ex post (rispetto all’emersione dell’insolvenza) una forma di allineamento o contemperamento di interessi tra debitore e creditori sul presupposto che con l’emersione dell’insolvenza la gestione dell’impresa permanendo in capo all’imprenditore insolvente determini sperequazioni dovute all’assenza di controllo sugli assets del debitore da parte dei creditori[27].

D’altro canto la previsione degli avoiding power dovrebbe al contempo rappresentare uno strumento ex ante di mitigazione dell’opportunismo dei creditori propensi a ricevere la soddisfazione delle proprie ragioni di credito anche in spregio a quelle degli altri creditori.

Inoltre la previsione delle revocatorie dovrebbe attenuare l’impatto negativo delle condotte del debitore volte a disperdere valore dell’azienda attraverso atti dispositivi del patrimonio (asset dilution, asset substitution e debt dilution). Dal che si verificherebbe un effetto di valorizzazione ex ante dell’azienda in funzione del soddisfacimento dei creditori.

La previsione del sistema delle revocatorie dovrebbe altresì rappresentare un incentivo ad un’azione maggiormente efficiente degli amministratori nell’approssimarsi alla twiligh zone o zona di crepuscolo dell’impresa.

Nel diritto anglosassone con l’espressione avoiding powers o claw back actions oppure avoidance provisions si intendono tutti i rimedi finalizzati a rendere inefficaci in chiave retrospettiva rispetto all’emersione dell’insolvenza gli atti compiuti da debitore[28]

Un sistema concorsuale efficiente dovrebbe saper contemperare l’esigenza di massimizzazione del valore dell’impresa (ex post rispetto all’emersione dell’insolvenza) per il miglior soddisfacimento dei creditori ed al contempo quella di non ledere il principio di affidamento sulla stabilità dei rapporti giuridici che sarebbe messo a repentaglio dal rischio per i terzi di subire effetti avversi dall’insorgere dell’insolvenza successivamente al compimento di un atto a loro favore da parte del debitore.

La Section 547 del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense sotto la rubrica “Preferences” attribuisce la legittimazione al trustee di richiedere la revocatoria di qualsivoglia atto dispositivo (transfer) del patrimonio del debitore effettuato a favore del creditore dal debitore insolvente con riferimento a debiti anteriori ovvero nei 90 giorni antecedenti la data di proposizione della domanda di accesso alla procedura ovvero nel periodo ricompreso tra 90 giorni e un anno prima della data di deposito della domanda di accesso alla procedura concorsuale. 

Inoltre la stessa Section 547 stabilisce che il curatore possa agire in revocatoria con riferimento agli atti economicamente sproporzionati quando sia aperta la procedura di liquidazione (Chapter 7) ovvero in caso di atto a titolo gratuito.

Sono invece esentati i pagamenti di debiti c.d. contestuali rispetto alla prestazione ricevuta ovvero i pagamenti effettuati nel corso ordinario del business o secondo condizioni d’uso tra le parti (v. commento all’art. 166)

La Section 548 del Chapter 11 del Bankruptcy Code è invece dedicata ai Fraudulent transfers and obligations. Si attribuisce al curatore la possibilità di chiedere la revocatoria degli atti compiuti dal debitore nei due anni antecedenti il deposito della domanda di apertura della procedura allorchè il debitore, volontariamente o involontariamente, abbia compiuto l’atto con lo scopo di nascondere  ritardare o frodare qualsiasi soggetto verso il quale il debitore è indebitato ovvero qualora nell’atto compiuto egli abbia ricevuto meno del valore che ragionevolmente avrebbe dovuto percepire in forza della transazione compiuta[29]. Egli alla data del compimento dell’atto ovvero a causa di tale atto deve essere insolvente.

Come si può notare le assonanze con la proposta di Direttiva europea sono molteplici seppure il diritto nordamericano sanzioni con l’inefficacia gli atti compiuti nel periodo sospetto senza invocare categorie giuridiche invalidanti l’atto quali la nullità.

Un sistema che si preoccupa della distribuzione degli effetti dell’insolvenza tra i creditori (alla stregua della legge fallimentare) piuttosto che individuare un disvalore giuridico nell’atto compiuto.

Maggiori peculiarità presenta la proposta di Direttiva con riferimento agli effetti dell’azione.

L’art. 9 (consequences of avoidance actions) stabilisce innanzitutto che i diritti, le  pretese o le obbligazioni che discendono dagli atti dichiarati invalidi non possano essere invocati nei confronti della massa fallimentare. Tale assunto costituirebbe già una prima macroscopica deviazione rispetto agli effetti invalidanti dell’atto non potendosi ravvisare una caducazione tout court degli effetti dell’atto revocato.

E già l’incipit della norma pone riflessioni sulla portata in un certo senso selettiva della nullità dell’atto di cui non potrebbero giovarsi le controparti del debitore insolvente.

Ma ancor più significativo è il tenore dell’art. 9, comma 2, in forza del quale è stabilito che gli Stati membri devono assicurare che la parte che ha tratto beneficio dall’atto invalido sia tenuta a risarcire interamente la massa fallimentare per il pregiudizio causato ai creditori.

Tale previsione sarebbe perfettamente compatibile col sistema delle invalidità in quanto sembrerebbe porre un obbligo ripristinatorio della situazione quo ante senza eccezioni. Ma l’art. 9, comma 2, secondo periodo invece introduce una safe harbor rule prevedendo che qualora l’arricchimento dovuto all’atto invalido non fosse più nella disponibilità dei beni del beneficiario egli potrebbe invocare tale lapse of enrichment (perdita del beneficio) adducendo di non aver saputo o potuto sapere delle circostanze sulla base delle quali l’azione revocatoria viene proposta.

Tale regola impone una riflessione circa la natura dello strumento proposto in quanto l’effetto invalidante potrebbe essere neutralizzato dalla prova della non conoscenza dei presupposti su cui si fonda l’azione prevedendosi un elemento soggettivo che di per sé estraneo alla categoria della nullità.

Ove non è chiaro se la prova dell’elemento soggettivo della inscientia decotionis debba riguardare lo stato di insolvenza o altri aspetti dell’atto o negozio invalidato ove la sanzione della nullità persisterebbe ma verrebbero neutralizzati solamente in modo inedito gli effetti restitutori o ripristinatori della situazione quo ante. Dal che è facile presumere che la proposta di Direttiva, qualora ricevesse attuazione, richiederebbe una non semplice opera di adattamento da parte degli Stati membri ove il rischio di collisione con principi generali dell’ordinamento sarebbero elevati.

Un altro elemento di peculiarità risiede nella limitazione a tre anni dalla domanda di apertura della procedura concorsuale del periodo entro il quale l’azione di nullità può essere proposta. Si tratta, come per il regime di nullità delle deliberazioni assembleari di s.p.a. previsto dall’art. 2379 c.c., di una forma di decadenza dall’azione piuttosto che di un limite prescrizionale, in quanto lo spirare del termine estingue ex abrupto il diritto di agire in giudizio.

Poiché il sistema delle revocatorie conserva comunque la finalità recuperatoria o reintegrativa del patrimonio del debitore in funzione del soddisfacimento dei creditori, è previsto che il diritto al risarcimento del danno possa formare oggetto di assegnazione ad un creditore o ad un terzo. Di contro, l’art. 9, comma 5, prevede il divieto di compensazione tra il debito risarcitorio del terzo e il suo credito verso la massa, a voler affermare la natura extracontrattuale dell’obbligazione risarcitoria.

Tale previsione appare poco chiara dal momento che il successivo art. 10 (consequences for the party which benefitted from the legal act that has been declared void) prevede espressamente la riviviscenza del diritto del terzo che abbia provveduto al risarcimento conseguente all’esperimento dell’azione revocatoria alludendo alla sua possibilità di insinuare il diritto di credito al passivo della procedura.

L’effetto ripristinatorio della situazione patrimoniale del terzo è, tuttavia, messa in discussione dal tenore dell’art. 10, comma 2, che,  con formula ambigua, prevede che gli Stati membri debbano assicurare che il terzo che ha beneficiato dell’atto dichiarato invalido sia rimborsato dalla massa fallimentare nella misura in cui la sua controprestazione sia ancora disponibile (nella massa fallimentare) in modo che essa sia distinguibile dal resto dei beni della massa o che la massa sia arricchita ancora del suo valore (della prestazione). Ove anche in questo caso gli effetti rispristinatori della nullità sarebbero vanificati dall’eccezione di incapienza patrimoniale ovvero di indisponibilità del valore della prestazione nell’attivo della procedura. Con evidente preferenza dei diritti spettanti alla massa dei creditori più che al soggetto terzo.

L’art. 10 peraltro, in chiusura, riconosce in ogni caso il diritto del terzo ad agire per la sua controprestazione con la precisazione che il suo credito è considerato sorto anteriormente all’apertura della procedura di insolvenza e quindi non beneficiato della prededuzione.

I diritti risarcitori in forza dell’art. 11 sono eseguibili anche verso gli eredi della parte che ha beneficiato dell’atto dichiarato nullo ovvero dei successori a titolo universale o particolare con la precisazione che in caso di successione nel rapporto a titolo particolare l’ammissibilità dell’azione è subordinata alla duplice condizione, oggettiva che il successore abbia acquistato gli asset a condizioni manifestamente inique ovvero che il successore sapesse o avrebbe dovuto sapere conoscere le circostanze relative all’atto revocato.

 

6.       Considerazioni conclusive sulla tenuta delle teorie tradizionali in tema di revocatoria

Si rendono, a questo punto, necessarie alcune ulteriori riflessioni sull’impatto che la Direttiva sarebbe destinata ad avere non solo rispetto al diritto della crisi di impresa e dell’insolvenza appena riformato dal CCII; ma anche sull’intero ordinamento giuridico.

Il condivisibile obiettivo di rafforzamento della tutela dei creditori attraverso il recupero degli strumenti classici offerti dalla tradizione giuridica (azioni risarcitorie, revocatorie e surrogatorie) pone, in primo luogo, il dilemma relativo all’impiego dell’istituto anche al di fuori della liquidazione giudiziale, come sembrerebbe potersi evincere dal tenore letterale della proposta di Direttiva.

Se allora la revocatoria “fallimentare” divenisse strumento destinato alle procedure di insolvenza tout court (i.e. agli strumenti di regolazione della crisi d’impresa e dell’insolvenza) dovremmo ripensare i presupposti oggettivi che caratterizzano la revocatoria fallimentare.

In primo luogo, infatti, la condizione di procedibilità non dipenderebbe più dall’apertura della liquidazione giudiziale ma dal (solo) deposito della domanda di apertura di una qualsiasi procedura di regolazione della crisi di impresa e dell’insolvenza.

In tale contesto sarebbe difficile poter sostenere che il disvalore giuridico dell’atto risiederebbe nella lesione della par condicio creditorum dal momento che gli strumenti di regolazione della crisi che prevedono la continuità aziendale ammettono pacificamente il compimento di atti da parte dell’imprenditore insolvente anche in deroga all’ordine delle cause legittime di prelazione. Col che si evidenzia ancor di più la frattura rispetto alla tradizione giuridica italiana in materia di revocatoria ove l’inefficacia sopravvenuta dell’atto risiederebbe nella lesione dei diritti di ordinata distribuzione spettanti alla massa dei creditori.

Inoltre, la possibilità di distribuzione del patrimonio, in deroga ai principi sanciti dagli artt. 2740 e 2741 c.c. previsti in alcuni strumenti di regolazione della crisi (PRO, concordato in continuità qualora sia adottata la ristrutturazione trasversale), consente di ritenere che la revocatoria debba fondarsi su altri presupposti che renderebbero tale fattispecie più affine alla revocatoria ordinaria.

Del resto, come noto, ai compilatori del codice di commercio di fine Ottocento la nullità presuppone un’offensività intrinseca dell’atto che prescinde dall’esito o sorte del debitore che lo compie e dal suo sopraggiunto fallimento.

Tale strumento diverrebbe elemento di pressione dei creditori anteriori affinché nel contesto di strumenti di regolazione della crisi che perseguano la continuità aziendale vengano (ri)discussi i loro diritti o aspettative di soddisfacimento. Non di minore rilevanza la posizione del terzo a seguito degli effetti invalidanti dell’atto e della reductio in pristinum,

Peraltro, se la sanzione della nullità consegue all’atto compiuto dal debitore nel periodo sospetto con effetti ripristinatori della situazione quo ante non correlata alla inefficacia relativa dell’atto ma alla sua invalidità non sarebbe più possibile parlare di lesione della garanzia patrimoniale per i creditori ma di obbligazione risarcitoria che consegue ad un atto illecito.

Per tentare di ricondurre a sistema la revocatoria secondo questa accezione dovremmo allora individuare il bene giuridico che il legislatore ritiene leso a livello di ordine pubblico economico-commerciale tale da giustificare la scelta di caducazione con effetti ex tunc dell’atto stesso.

Le ambiguità derivanti da tale impostazione non sarebbero di poco conto sol se si pensi al fatto che nella proposta di direttiva, a fronte dell’obbligazione risarcitoria, corrisponde un diritto del terzo ad insinuare il credito conseguente all’adempimento del debito risarcitorio verso la massa, al passivo del fallimento subordinatamente alla prova della mancanza di conoscenza effettiva delle circostanze che determinano l’invalidità dell’atto. Il che non sarebbe compatibile con la nullità quale categoria generale caducante tutti gli effetti giuridici riconducibili all’atto, sia tra le parti che verso i terzi. Inoltre deve considerarsi che nella proposta di direttiva gli effetti rispristinatori della situazione quo ante non sono automatici come dovrebbe essere in presenza della sanzione della nullità in quanto il riequilibrio sinallagmatico può essere ripristinato solamente in assenza di pregiudizio alla massa dei creditori (art. 10 comma 2).

Sotto il profilo strettamente processualistico l’azione non sarebbe più costituiva ma dichiarativa della nullità ove l’effetto recuperatorio-risarcitorio conseguirebbe alla nullità stessa come si diceva poc’anzi.

In tal modo l’azione come configurata verrebbe ad avere maggiore attinenza con la tesi indennitaria ove viene valorizzato il disvalore della condotta assunta non solo dal debitore insolvente ma dal terzo che (co)partecipando al disegno distrattivo dell’attivo in danno della massa dei creditori concorre nel compimento di una azione di natura frodatoria. 

La sanzione dell’invalidità dell’atto avrebbe altresì significativo impatto sulla funzione “general preventiva” volta ad attenzionare i profili di disvalore delle transazioni tra i terzi creditori e il debitore nel periodo sospetto; un’impostazione, tuttavia, assai pericolosa in funzione di tenuta del sistema economico a fronte dell’incertezza dei traffici giuridici che ne conseguirebbe.

Appare in tal modo recuperarsi una maggiore attinenza con l’istituto per come era concepito nella tradizione romanistica repubblicana (ripresa dai giuristi della fine dell’800 e inizi ‘900) che, in effetti, rinveniva nell’atto del debitore con la complicità del creditore un’azione di tipo illecito animata da intenzione frodatoria o distrattiva.  

Le fonti di diritto classico, come è noto, collocano le origini dell’azione revocatoria nell’ambito degli editti pretori connessi alla bonorum venditio del debitore inadempiente che sottraeva fraudolentemente i propri beni alla garanzia di adempimento delle obbligazioni assunte verso la massa dei creditori[30].

La bonorum venditio rappresentava una forma di esecuzione forzata promuovibile, ad iniziativa dei creditori, sul patrimonio del debitore insolvente.

La procedura si svolgeva in varie fasi: dapprima, i creditori chiedevano al pretore di immettersi nel possesso del patrimonio del debitore (c.d. missio in bona ); a seguito di tale richiesta, il pretore, ricorrendone i presupposti (irrimediabile insolvenza del debitore), immetteva nel possesso dei beni del debitore tutti i creditori collettivamente (non solo quelli istanti, ma anche quelli successivamente intervenuti), nominando tra essi un curatore (c.d. curàtor bonòrum) cui veniva affidata temporaneamente la custodia e l’amministrazione dei beni; trascorsi 30 giorni dalla missio in bona, i creditori procedevano all’elezione (tra essi) di un magìster bonorum, il quale, dopo aver redatto l’inventario dei beni, emetteva il bando di vendita (c.d. lex venditiònis) contenente l’elenco dei beni messi in vendita, i nomi dei creditori (con gli importi dovuti a ciascuno e l’indicazione dei crediti eventualmente assistiti da garanzie), i termini entro i quali il bonorum èmptor, cioè l’acquirente dei beni, doveva soddisfare i creditori, e l’indicazione delle garanzie che il bonorum emptor doveva prestare per l’adempimento delle obbligazioni da lui assunte con l’acquisto;
— trascorsi 10 o 15 giorni dall’emanazione della lex venditionis, il magister bonorum provvedeva alla vendita in blocco dei beni del “fallito” [bonorum distràctio] a quello tra i creditori che offriva il pagamento della più alta percentuale dei debiti.
I creditori, per la parte dei loro crediti rimasta insoddisfatta, conservavano i propri diritti nei confronti del debitore fallito ma dovevano attendere la creazione di un nuovo attivo patrimoniale.

Tale azione o rimedio non era codificato in alcuna legge ma derivava dalla prassi giurisprudenziale pretorile (ordo iudiciorum)Ius praetorium est, quod praetores introduxerunt adiuvandi vel supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia propter utilitatem publicam. Quod et honorarium dicitur ad honorem praetorum sic nominatum” (Papiniano, Digesto 1.1.7.1) la quale conosceva in realtà molteplici istituti contro gli atti in frode ai creditori che potevano sfociare in sanzioni invalidanti, di inefficacia o restitutori.

Tali rimedi avevano quale eadem ratio la restitutio in integrum della situazione patrimoniale quo ante del debitore anche se i confini di tali azioni nel diritto classico rimangono ancora oggi misteriosi. Si tramanda l’esistenza della in integrum restitutio, una interdictum fraudatorium ed una denegatio actionis ob fraudem[31]; tutti rimedi riconducibili ad altrettanti editti pretori.

In particolare nella in integrum restitutio il curator bonorum poteva apprendere i beni ceduti fraudolentemente dal debitore; la restitutio poteva essere richiesta entro un anno dalla missio in bona fino a quando non fosse avvenuta la bonorum venditio da parte del curatore (bonorum emptor) il quale acquistava a titolo universale le azioni spettanti al fallito.

Fu per effetto dell’opera di codificazione attribuibile ai compilatori giustinianei che i rimedi revocatori vennero ricondotti ad unità così che oggi si conosce una sola azione revocatoria. Il termine “azione pauliana” [32] non è nemmeno possibile stabilire cn certezza se abbia o meno origini classiche oppure se si debba all’opera di risistemazione di Giustiniano ovvero abbia persino origini postclassiche. 

Tale azione aveva quale finalità caducante degli effetti del trasferimento fraudolento ed aveva ad oggetto il bene alienato che si faceva rientrare nel patrimonio del debitore per metterlo a disposizione dei creditori. Si emancipa poi nel periodo del tardo impero la concezione classica di un’azione “poenalis” restando pur sempre fermo il presupposto della illiceità della condotta. La finalità prevalente dell’azione non è più quella riparatoria secondo una accezione di disvalore morale della condotta a favore di una finalità restitutoria.

Presupposti della azione sono l’eventus damni il consilium fraudis e la scientia fraudis: quanto al primo – nel diritto classico – ricorreva allorchè per effetto dell’atto dispositivo il patrimonio del debitore avesse subito una diminuzione aggravando o provocando il dissesto del debitore attraverso erogazione di prestazioni sproporzionate dal punto di vista del loro valore ed equilibrio sinallagmatico; nel diritto classico, tuttavia, anche in presenza di prestazioni tra loro equipollenti si poteva ravvisare un pregiudizio ai creditori nella misura in cui la controprestazione non fosse stata fruibile per la “massa” dei creditori, giocando un ruolo essenziale il consilium fraudis e la connotazione distrattiva dell’atto.

Lo strumento classico di riequilibrio patrimoniale consisteva nella restitutio ad integrum che veniva azionata dal curator bonorum dopo la missio in bona.

Viceversa, se la disposizione frodatoria dei diritti dei creditori veniva scoperta successivamente alla bonorum venditio, era preclusa qualsivoglia azione contro il bonorum emptor potendo i singoli creditori agire individualmente per far valere i propri diritti di credito lesi. Si escludeva comunque nel diritto classico la in integrum restitutio verso i terzi che presupponeva la compartecipazione all’atto frodatorio.

Dal punto di vista oggettivo l’eventus damni era ravvisabile solo ove vi fosse stata sproporzione tra le prestazioni a svantaggio del fraudator a meno che il fraudator non avesse agito scientemente al fine di occultare il bene a garanzia dei creditori; in caso contrario non vi sarebbe stata la revocabilità dell’atto.

Gli elementi soggettivi nel diritto classico sono identificati nel consilium fraudis dell’alienante e nella scientia fraudis dell’acquirente. Già nel diritto romano il disvalore giuridico dell’atto consisteva nella preordinazione a danno dei creditori attuali non di quelli potenziali o futurianche se il rimedio veniva di sovente applicato soprattutto in presenza di una molteplicità di creditori garantendosi in tal modo la tutela concorsuale anche dei creditori non direttamente frodati o aventi ragione di credito sottoposte a termine o a condizione.

La scientia fraudis consiste invece nella consapevolezza del consilium fraudis da parte del fraudator.

Alla luce delle considerazioni svolte è possibile ritenere che la proposta di Direttiva presenti una forte attinenza con la struttura della revocatoria per come era conosciuta nel diritto classico ove si attribuiva all’atto di disposizione del debitore nel periodo sospetto non solo un pregiudizio alla massa dei creditori ma una attitudine alla lesione di un bene giuridico ancor più elevato, equiparabile a ciò che definiremmo oggi come ordine pubblico economico.

In questo modo la sanzione della nullità tende ad eliminare in modo radicale gli effetti di atti che sono ritenuti riprovevoli dall’ordinamento ponendo a carico dell’accipiens una obbligazione risarcitoria che presuppone l’illiceità della sua condotta.


(*) Il presente articolo è stato sottoposto a referaggio anonimo e verrà proposto, con le opportune modifiche e integrazioni, alla rivista Diritto fallimentare e delle società commerciali.



[1] Cfr. C.G. PAULUS, The Wonderful World of Privileges, in ECFR, 4/2014, 537. L’Autore identifica nella par condicio creditorum l’essenza del diritto concorsuale avente la funzione di agevolare la corretta distribuzione tra i creditori dell’attivo senza che le asimmetrie informative sulla condizione del debitore possano agevolare condotte opportunistiche da parte dei creditori privilegiati. Sulla necessità di un diritto concorsuale per la crescita economica v. Legislative Guide on Insolvency Law, 2005. Per una analisi del sistema delle azioni revocatorie nell’ordinamento tedesco v. W. MAROTZKE, Vertrauensschutz Kontra Gesamtgläubigerinteresse – Gedanken zu Auslegung und Reform des Insolvenzanfechtungsrechts, ZInsO 2014, 417

[2] Il dibattito sul tema della ratio della revocatoria è ampio. Ex plurimis v. BIGLIAZZI GERI, Della tutela dei diritti, in Commentario, Torino, 1980, 137; NICOLO’, Azione revocatoria, tutela dei diritti, Bologna, 1953 188.

[3] Cfr. F. CORSI, La revocatoria ordinaria nel fallimento, Napoli, 1965.

[4] V. ex plurimis G. Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1993, 52 ss.; F. FERRARA Jr., Azione revocatoria fallimentare, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 901 ss.; M. SANDULLI, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, Napoli, 1976; S. BONFATTI, La disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Jorio e Sassani, Milano, 2014, 119 ss.; S. RONCO, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, Milano, 2016, I, 1159 ss. 

[5] V. F. CORSI, op. cit., 119 ss.

[6] Cfr. S. AMBROSINI, La revocatoria fallimentare delle garanzie, Milano, 2000, 15 ss. ove l’Autore pone in evidenza come nel sistema della legge fallimentare, a differenza che in quello codicistico, l’elemento del pregiudizio è del tutto assente sottolineando le criticità della tesi antindennitaria.  Nella prospettiva della riforma del CCII ID, Qualche riflessione intorno a redigendo decreto correttivo: appunti in ordine sparso, 2024, in ristrutturazioniaziendaliilcaso.it, 16 gennaio 2024.

[7] V. Cass. Civ. Sez, I, 12 settembre 1998, n.9082, in Fall., 1999, 1067 secondo cui “I principi predetti, elaborati da giurisprudenza e dottrina, in relazione all'azione revocatoria ordinaria esperita dai singoli creditori, trovano applicazione pure quando parte attrice sia la curatela fallimentare ex art. 66legge fallimentare. La revocatoria ordinaria, esperita dal curatore, si caratterizza infatti rispetto a quella contemplata dall'art. 2901 codice civile, solo per il fatto che è rivolta a tutelare tutti i creditori del fallito, nei cui confronti - in caso di accoglimento della domanda - l'atto revocato sarà privo di efficacia (mentre nella fattispecie di cui all'art. 2901 codice civile, gli effetti positivi della sentenza riguarderanno solo il creditore che abbia assunto l'iniziativa in sede giudiziale) 4. Entrambe le azioni peraltro possono investire non solo gli atti posteriori, ma pure quelli anteriori al sorgere del credito, ove sia data prova della dolosa preordinazione degli stessi a pregiudicare il soddisfacimento del futuro credito. La giurisprudenza aveva pertanto avuto a ribadire che è onere del curatore fornire la prova dell'eventus damni, consistente nell'incidenza dell'atto, oggetto di revocatoria, sull'insorgere o il successivo evolversi dello stato di insolvenza”.

[8] Cfr. Cass. Civ. Sez. I, 10 novembre 2008, n. 26898; Cass. Civ. Sez. I. 14 settembre 2004, n. 18439.

[9] Cass. civ. sez. I 6 agosto 2014, n. 17709

[10] Cfr.; Trib. Milano, sez. II 30 maggio 2017; Cass. Civ.  Sez. Un., 28 marzo 2006, 7028.

[11] Cass. Civ.  Sez. III, 9 febbraio 2012, n. 1896.

[12] Cass.       Civ. Sez. III, 25 luglio 2013, n. 18034.

[13] Cfr. F. CORSI, op. cit. 129.

[14] Cfr. ex multis Cass. civ. sez. I, 12 dicembre 2014, n. 26216; Cass., Sez. I, 19 dicembre 2012, n. 23430; Cass., Sez. 1, 26 febbraio 2010, n. 4785 Cass., Sez. I, 8 marzo 2010, n. 5505; Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7028; Cass., Sez. I, 10 novembre 2006, n. 24046; in senso conforme anche la giurisprudenza di merito, Trib. Milano 1° marzo 2011, Trib. Milano, 28 gennaio 2011 secondo cui, negando l’ammissione della prova contraria della assenza di danno, “…è solo nella fase finale di riparto dell'attivo, e non anche quindi già anticipatamente nella fase dell'esercizio delle revocatorie, che è possibile verificare se esistano o meno altri creditori privilegiati, di grado poziore o pari rispetto a quello beneficiario del pagamento vietato, e se, in caso affermativo, sia possibile l'integrale soddisfazione di tutti". Ancora “la lesione della par condicio " conseguente al soddisfacimento di un creditore privilegiato non ` fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che anche successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi".

[15] V. MAFFEI ALBERTI, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970.

[16] Contra Trib. Milano 30 maggio 2017 la quale con convincente motivazione pone in evidenza come nel sistema delle domande c.d. supertardive ex art. 101 comma 4 l.f. a fronte delle quali sarebbe preclusa l’ammissione del credito l’assunto delle SSUU debba essere corretto e tener conto dell’effettivo interesse ad agire del curatore in assenza di creditori insinuati o insinuabili al passivo che possano lamentare una qualsivoglia lesione delle proprie ragioni di credito.

[17] Cass. Civ., SU, Ord. 16 febbraio 2022, n. 5049; Cass. Civ. Sez. I, 28 ottobre 2019, n. 27443. Ma si veda Cass. Civ. sez. II Civile, ordinanza 14 maggio 2024, n. 13227 in cui il requisito dell’eventus damni si ritiene debba essere espressamente comprovato compatibile anche con una variazione qualitativa del patrimonio del debitore. 

[18] In dottrina v. M. SANDULLI, La nuova disciplina dell’azione revocatoria, in Fall. 2006, 611 ss; G. TERRANOVA, La nuova disciplina della revocatoria fallimentare, Padova, 2006; F. COMMISSO, Le esenzioni da revocatoria, in Fall. 2018, 1467 ss.; M. FABIANI, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, Fall., 2005, 576 ss. ; M. ARATO, La revocatoria delle rimesse bancarie nel “nuovo” art. 67 l. fall., in Fall., 2006, 853

[19] Cfr. sul punto E. Ricciardiello, Gli accordi di sostegno finanziario infragruppo, in Dir. Soc. merc. Fin., 2016, 683 ss.; ID, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, 2020; cfr. M. MIOLA, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, in Riv. Soc., 2019, 306 ss.; v. I. Mevorach, Transaction Avoidancein Bankruptcy of Corporate Groups, in ECFR, 2011, 235 ss. R. Mangano, The Role of Fraudulent TransferRules in Corporate Insolvency, in ECFR, 2008, 201 ss.; C.A. Witting, Liability of Corporate Groups and Networks, Cambridge, 2018, 191 ss.; cfr. A. Keay, The Harmonization of the Avoidance Rules in European Union Insolvencies, in Int. Comp. Law Quart., 2017, 79 ss.; G. McCormack - A. Keay - S. Brown, European Insolvency Law: Reform and Harmonization, Cheltenham, 2017, 130 ss.

[20] Cfr. A. BASSI, Brevi note sulla Proposta di Direttiva UE 7.12.2022 che armonizza «taluni aspetti del diritto in materia di insolvenza», in Giur. Comm., 2024, I, 244 ss.

[21] v. Harmonization of Insolvency Law at EU level: avoidance actions and rules of contracts, 2011.

[22] Cfr. J. Alexander, Avoid the Choice or Choose to Avoid?The European Framework for Choice of Avoidance Law and the Quest to Make it Sensible, 2009, articolo reperibile su www.ssrn.com.

[23] Per una prospettiva comparatistica v. T. JACKSON, The  Logic And Limits of  Banktuptcy  Law 136 (BeardBooks 1986). In UK si parla di “transactions at undervalue” and “transactions defrauding creditors”, in Francia di“actes en fraud des droits des créditeurs” e in Germania di Vorsätzliche Benachteiligung der Gläubiger” In Germania “Insolvenzanfechtung”;in Francia “nullité” o “inopposabilité”.

[24] v. G. CORNO, Prime riflessioni sulla proposta della Commissione europea di armonizzazione di alcuni profili della disciplina delle azioni revocatorie nelle procedure di insolvenza e sul possibile impatto sulla normativa italiana, in dirittodellacrisi.it, 30 gennaio 2023.

[25] Per esempio il sistema tedesco dell’Insolvenzordnung (InsO) §§129 ss sebbene anticipi le scelte del legislatore unionale sotto il profilo della previsione delle ipotesi di revocatoria non fa riferimento alla categoria della nullità limitandosi a prevedere il concetto di contestazione degli atti.

[26] Il dibattito sul tema in realtà non è nuovo. Per i sostenitori della categoria della nullità v. RAGUSA MAGGIORE, Contributo alla teoria unitaria della revocatoria fallimentare, Milano, 1960, 41 ss.; BONELLI, Del fallimento, 3 ed., con note di Andrioli, vol. I, Milano, 1938, 804 ss.; ROCCO, voce Fallimento, in Dir. Prat. Dir. Priv. Diretto da Scialoja, De Ruggero e Bonfante, vol. III, I, 35; CONFORTI, voce Azione revocatoria, in Nuovo digesto italiano, vol. II, Torino, 1937; PACCHIONI, Dir. Civ. it., Delle obbligazioni in generale, Padova, 1935, 117 ss. Per la tesi della nullità relativa v. MANDRIOLI, Effetti dell’annullamento del contratto presunto in frode, in Foro Lomb. 1931, I, 577. Riconducono alla categoria della responsabilità senza debito CARNELUTTI, Dir. e proc. Nella teoria delle obbligazioni, in Studi di diritto processuale in onore di Chiovenda, Padova, 1927, 221. Si deve ai processualisti l’evoluzione della concezione dell’azione revocatoria come azione di accertamento della inopponibilità dell’atto fraudolento ai creditori. Cfr. DE MARTINI, Limiti di efficacia della revocazione per frode ai creditori, in Giur. Compl. Cass. civ., 1945 II, 119; PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, 4 ed., I, Milano, 1962, 776.

[27] A. GURREA-MARTINEZ, The avoidance of pre-bankruptcy transactions: an economic and comparative approach, 93 Chi.-Kent L. Rev. 711 (2018).

[28] Senza pretesa di esaustività T.H JACKSON, Avoiding powers in bankrpuptcy, 36 Stan. L. Rev. 725(1984); v. anche J. ARMOUR-H. BENNETT, Vulnerable transactions in corporate insolvency, 2003; R. PARRY, Transaction avoidance in insolvencies, 2011; A. KEAY, Avoidance provisions in insolvency law, 1997.

[29] (1) The trustee may avoid any transfer (including any transfer to or for the benefit of an insider under an employment contract) of an interest of the debtor in property, or any obligation (including any obligation to or for the benefit of an insider under an employment contract) incurred by the debtor, that was made or incurred on or within 2 years before the date of the filing of the petition, if the debtor voluntarily or involuntarily—(A) made such transfer or incurred such obligation with actual intent to hinder, delay, or defraud any entity to which the debtor was or became, on or after the date that such transfer was made or such obligation was incurred, indebted; or (B) (i) received less than a reasonably equivalent value in exchange for such transfer or obligation; and (ii) (I) was insolvent on the date that such transfer was made or such obligation was incurred, or became insolvent as a result of such transfer or obligation; (II) was engaged in business or a transaction, or was about to engage in business or a transaction, for which any property remaining with the debtor was an unreasonably small capital; (III) intended to incur, or believed that the debtor would incur, debts that would be beyond the debtor’s ability to pay as such debts matured; or (IV) made such transfer to or for the benefit of an insider, or incurred such obligation to or for the benefit of an insider, under an employment contract and not in the ordinary course of business.

(2) A transfer of a charitable contribution to a qualified religious or charitable entity or organization shall not be considered to be a transfer covered under paragraph (1)(B) in any case in which—

(A) the amount of that contribution does not exceed 15 percent of the gross annual income of the debtor for the year in which the transfer of the contribution is made; or

(B) the contribution made by a debtor exceeded the percentage amount of gross annual income specified in subparagraph (A), if the transfer was consistent with the practices of the debtor in making charitable contributions.

(b) The trustee of a partnership debtor may avoid any transfer of an interest of the debtor in property, or any obligation incurred by the debtor, that was made or incurred on or within 2 years before the date of the filing of the petition, to a general partner in the debtor, if the debtor was insolvent on the date such transfer was made or such obligation was incurred, or became insolvent as a result of such transfer or obligation.

(c) Except to the extent that a transfer or obligation voidable under this section is voidable under section 544, 545, or 547 of this title, a transferee or obligee of such a transfer or obligation that takes for value and in good faith has a lien on or may retain any interest transferred or may enforce any obligation incurred, as the case may be, to the extent that such transferee or obligee gave value to the debtor in exchange for such transfer or obligation.

(d)

(1) For the purposes of this section, a transfer is made when such transfer is so perfected that a bona fide purchaser from the debtor against whom applicable law permits such transfer to be perfected cannot acquire an interest in the property transferred that is superior to the interest in such property of the transferee, but if such transfer is not so perfected before the commencement of the case, such transfer is made immediately before the date of the filing of the petition.

(2) In this section—

(A) “value” means property, or satisfaction or securing of a present or antecedent debt of the debtor, but does not include an unperformed promise to furnish support to the debtor or to a relative of the debtor;

(B) a commodity broker, forward contract merchant, stockbroker, financial institution, financial participant, or securities clearing agency that receives a margin payment, as defined in section 101, 741, or 761 of this title, or settlement payment, as defined in section 101 or 741 of this title, takes for value to the extent of such payment;

(C) a repo participant or financial participant that receives a margin payment, as defined in section 741 or 761 of this title, or settlement payment, as defined in section 741 of this title, in connection with a repurchase agreement, takes for value to the extent of such payment;

(D) a swap participant or financial participant that receives a transfer in connection with a swap agreement takes for value to the extent of such transfer; and

(E) a master netting agreement participant that receives a transfer in connection with a master netting agreement or any individual contract covered thereby takes for value to the extent of such transfer, except that, with respect to a transfer under any individual contract covered thereby, to the extent that such master netting agreement participant otherwise did not take (or is otherwise not deemed to have taken) such transfer for value.

(3) In this section, the term “charitable contribution” means a charitable contribution, as that term is defined in section 170(c) of the Internal Revenue Code of 1986, if that contribution—

(A) is made by a natural person; and

(B) consists of—

(i) a financial instrument (as that term is defined in section 731(c)(2)(C) of the Internal Revenue Code of 1986); or

(ii) cash.

(4) In this section, the term “qualified religious or charitable entity or organization” means—

(A) an entity described in section 170(c)(1) of the Internal Revenue Code of 1986; or

(B) an entity or organization described in section 170(c)(2) of the Internal Revenue Code of 1986.

(e)

(1) In addition to any transfer that the trustee may otherwise avoid, the trustee may avoid any transfer of an interest of the debtor in property that was made on or within 10 years before the date of the filing of the petition, if—

(A) such transfer was made to a self-settled trust or similar device;

(B) such transfer was by the debtor;

(C) the debtor is a beneficiary of such trust or similar device; and

(D) the debtor made such transfer with actual intent to hinder, delay, or defraud any entity to which the debtor was or became, on or after the date that such transfer was made, indebted.

(2) For the purposes of this subsection, a transfer includes a transfer made in anticipation of any money judgment, settlement, civil penalty, equitable order, or criminal fine incurred by, or which the debtor believed would be incurred by—

(A) any violation of the securities laws (as defined in section 3(a)(47) of the Securities Exchange Act of 1934 (15 U.S.C. 78c(a)(47))), any State securities laws, or any regulation or order issued under Federal securities laws or State securities laws; or

(B) fraud, deceit, or manipulation in a fiduciary capacity or in connection with the purchase or sale of any security registered under section 12 or 15(d) of the Securities Exchange Act of 1934 (15 U.S.C. 78I and 78o (d)) or under section 6 of the Securities Act of 1933 (15 U.S.C. 77f). 

[30] V. Di stasio, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, diretta da Walter Bigiavi, Torino, 1973, 148; Talamanca, Azione revocatoria, Diritto romano, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 883 ss.; Impallomeni, Azione revocatoria, Diritto romano, in Noviss. Dig. It., II, Milano, 1958, 147 ss.

[31] V. Ulp., 1.64 ad ed., Dig. 42, 5, 25. Tale editto prevedeva una denegatio actionis contro il bonorum emptor per i debiti assunti fraudolentemente dal debitore fallito. Si ipostatizzava l’acquisto dei beni senza che l’acquirente potesse subire azioni sui beni acquistati dal fallito.

[32] Paulus, 1.6 ad Plautium, Dig., 22, 1, 38, 4. Per ampi riferimenti v. Impallomeni, Studi sui mezzi di revoca degli atti fraudolenti nel diritto romano classico, Padova, 1958, I, 1 ss.; SolazzI, La revoca degli atti fraudolenti in diritto romano, Napoli, 1945, vol. I e II, 84 ss.