Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Assetti organizzativi di gruppo e prevenzione delle crisi *


Fabrizio Guerrera

Data pubblicazione
03 settembre 2024

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Sommario: 1. Principi e regole. – 2. Organizzazione e strutture aziendali. – 3. Rapporti infragruppo, esternalizzazione e accentramento di funzioni. – 4. Prevenzione e gestione delle crisi. – 5. Le responsabilità da inadeguatezza organizzativa.


1. Principi e regole

La dimensione “auto-regolamentare” e “organizzativa” del gruppo deve considerarsi espressione del profilo normativo-programmatico dell’attività di direzione e coordinamento della capogruppo. Essa caratterizza la disciplina dei gruppi di società sin dalla riforma del 2003 – ed anche precedentemente nei settori regolati –, ma ha preso corpo con lo sviluppo dei codici di corporate governance delle società quotate e della normativa speciale sui gruppi in materia bancaria, finanziaria e assicurativa [1].

La creazione di una “struttura di gruppo” attraverso l’esercizio effettivo dell’in­fluenza dominante sulle società controllate è una scelta imprenditoriale libera e insindacabile del soggetto controllante. Non così la determinazione delle regole, modalità e contenuti del rapporto di gruppo, cioè del funzionamento di quella struttura, che soggiace a una valutazione di doverosità e di conformità alla legge e, tramite questa, ai principi della organizzazione aziendale. Specialmente nei gruppi a struttura accentrata (e anche prescindendo dalle discipline settoriali) l’eterodi­rezione assume carattere sistematico e quindi doveroso, poiché la gestione dell’im­presa attraverso le controllate (art. 2428 c.c.) rientra fra i compiti degli amministratori della controllante [2].

Nelle società quotate, l’organo di amministrazione della controllante, oltre a stabilire le strategie della società e del gruppo ad essa facente capo e a monitorarne l’attuazione, “definisce il sistema di governo societario della società e la struttura del gruppo ad essa facente capo e valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e delle controllate aventi rilevanza strategica, con particolare riferimento al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi” (art. 1 Codice di corporate governance).

Autoregolamentazione, organizzazione e gestione del gruppo d’imprese sono facce di una stessa medaglia: la società capogruppo non potrebbe, infatti – o comunque non efficacemente e neanche legittimamente –, perseguire il proprio “disegno imprenditoriale unitario” tramite l’attività di direzione e coordinamento, là dove non approntasse un “assetto organizzativo adeguato” a livello di gruppo (artt. 2086, 2381, 2403 e 2497 c.c.), che coinvolga sia la controllante, sia le controllate [3]. L’autoregolamentazione e l’organizzazione costituiscono, in altri termini, espressione del “progetto di governo societario” che la società a vertice del gruppo deve adottare – al di là della disciplina speciale, che condiziona con questo strumento l’esplicazione dell’autonomia statutaria nei settori regolati [4] – allo scopo di razionalizzare e di rendere più trasparente ed efficiente l’esercizio del potere di direzione unitaria nel perseguimento dei suoi obiettivi e dell’interesse di gruppo, che può considerarsi, a sua volta, la proiezione dell’interesse sociale della capogruppo in quanto tale [5].

Spetta agli organi di governo della controllante definire, con i loro atti decisionali, negoziali e programmatici, l’indirizzo imprenditoriale cui gli amministratori e i dirigenti delle società controllate ed eterodirette dovranno uniformarsi e in vista del quale le funzioni aziendali e societarie dovranno svolgersi (aspetto gerarchico-gestorio). Ma agli stessi incombe anche la responsabilità di assicurare che quel disegno imprenditoriale unitario si realizzi ed esplichi con modalità efficienti, efficaci e rispettose degli interessi coinvolti, cioè tramite una organizzazione appropriata, in relazione alla strategia adottata a livello aziendale e di mercato (aspetto organizzativo-procedurale) [6].

La società capogruppo, in quanto soggetto controllante esercente l’attività di direzione e coordinamento, è tenuta quindi a osservare il principio dettato dall’art. 2086 c.c. in materia di gestione dell’impresa, attuando il “dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale [7]. D’altra parte – per così dire, complementarmente – lo stesso dovere incombe alle società controllate, che sono più o meno intensamente eterodirette dalla (quando non integrate sul piano aziendale con la) società controllante, in relazione alla posizione e al ruolo peculiare da esse ricoperti all’interno del gruppo (o dell’impresa di gruppo).

Il dovere degli organi sociali di istituire, valutare e controllare il funzionamento degli assetti organizzativi adeguati (artt. 2381 e 2403 c.c.) si connota, quindi, di particolari contenuti e declinazioni in funzione dell’appartenenza di ciascuna società al gruppo. Se, per un verso, il dovere della società dominante di curare il monitoraggio e la rendicontazione dell’andamento economico e del risultato della gestione operata anche tramite le imprese controllate (artt. 2381 e 2428 c.c.) esige l’implementazione dei flussi informativi e dei controlli sull’attuazione dei programmi, dei piani e delle direttive di gruppo; per altro verso, l’accentramento alla capogruppo o a una società del gruppo di alcune funzioni aziendali (per es., compliance, antiriciclaggio, tax and legal, data protection, ecc.) esime le società controllate dai relativi doveri organizzativi che altrimenti incontrerebbero.

In quest’ottica, si comprende il senso in cui la clausola generale di “adeguatezza” degli assetti organizzativi societari deve intendersi e applicarsi alla struttura di gruppo: guardando cioè, contemporaneamente, al coordinamento e all’interazione fra diverse entità, figure organiche e funzioni aziendali, e pertanto sostituendo a una visione unipolare dell’attività d’impresa – per l’efficienza e la sicurezza della quale gli “assetti” sono istituiti – una visione multipolare, articolata e flessibile e, soprattutto, complessa.

L’autoregolamentazione e l’organizzazione “di gruppo” sono funzionali alla definizione e attuazione delle politiche d’impresa e delle direttive gestionali, nonché alla circolazione delle informazioni fra gli organi delle società del gruppo e i responsabili delle funzioni accentrate, alla pianificazione industriale ed economico-finanziaria, alla costruzione del sistema dei controlli interni, alla designazione dei dirigenti chiave, all’approvazione delle operazioni negoziali e riorganizzative di maggior rilievo, alle verifiche sull’attuazione di programmi e piani, sull’andamento economico e sull’equilibrio finanziario delle società controllate e ai relativi interventi di correzione: cioè, a quelle attività di indirizzo strategico, nonché di controllo, rimedio o risoluzione,in cui, nel gruppo gerarchico o accentrato, deve correttamente esplicarsi il potere di direzione e coordinamento.

Da ciò deriva l’espansione delle competenze – in una prospettiva di gruppo – degli organi, strutture ed uffici della controllante rispetto alle controllate [8], con quel che ne consegue in punto di ampliamento dei doveri di direzione, monitoraggio, valutazione e intervento e, se del caso, di responsabilità da concorso qualificato nell’illecito degli organi delle seconde per eterodirezione illegittima (infra, § 7); al contempo, l’esigenza di illustrare e comunicare,nell’ambito dell’organismo imprenditoriale, le ragioni e gli obiettivi della politica di gruppo: in assenza di che, l’organo amministrativo delle controllate non potrebbe correttamente motivare o resocontare (artt. 2497-ter e 2428 c.c.) le decisioni condizionate dalle scelte della controllante, né tantomeno concorrere proficuamente alla gestione unitaria della(e) impresa(e) di gruppo e al perseguimento dell’interesse di gruppo [9].

I “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società controllate imposti dalla legge alla capogruppo (art. 2497 c.c.) non costituiscono, dunque, soltanto un contrappeso al potere di direzione e coordinamento, ispirato al precetto della correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e finalizzato ad arginare e reprimere gli abusi della direzione unitaria in danno dei centri d’interesse “esterni” al soggetto controllante. Essi conformano e regolano fisiologicamente l’esercizio di quel potere, nel senso che traducono a livello di gruppo – e in particolare di relazioni organizzative infragruppo – il rispettodi queiprincipi di “corretta amministrazione” [10], che si richiede agli amministratori di attuare diligentemente e al collegio sindacale di verificare (artt. 2392 e 2403 c.c.).

 

2. Organizzazione e strutture aziendali

La corretta osservanza delle regole tecniche dell’amministrazione societaria e aziendale si esplica, quindi, nel dovere degli organi della controllante, di elaborare e realizzare un’idonea “architettura organizzativa di gruppo”, di adottare sistemi informativi, gestionali e contabili appropriati, di controllarne l’effettivo funzionamento e di agevolare l’attivazione del potere direttivo per correggere, all’occor­renza, le deviazioni e rimediare le criticità (economiche, finanziarie e non solo) che la gestione di gruppo può presentare. Questo intervento potrà poi, secondo i casi, rivestire carattere episodico o rappresentare l’attuazione di un programma fissato in un apposito atto autonormativo – tipicamente il “regolamento di gruppo” [11] – volto ad assicurare la stabilità, l’efficienza e la conformità della struttura di gruppo al disegno organizzativo, rispondendo quindi a criteri e linee d’azione predeterminati.

In questo quadro, la scelta degli strumenti e delle procedure adeguati alla natura, alle caratteristiche e alla dimensione dell’impresa, pur appartenendo alla competenza gestionale dell’organo amministrativo della capogruppo, rientra nell’area della discrezionalità tecnica, e non dovrebbe ritenersi perciò “coperta” dalla Business Judgement Rule, per lo meno non alla stregua di una qualsiasi altra decisione di affari [12]. Per quest’aspetto, la decisione organizzativa degli amministratori sembra soggetta, cioè, a una valutazione di “diligenza professionale” e non di semplice “ragionevolezza”, tanto più in relazione all’obiettivo di perseguire il “successo sostenibile”.

Le scelte in tema di “assetti organizzativi di gruppo” non possono che essere conseguenti al disegno strategico della capogruppo, cioè coerenti e proporzionali rispetto ai piani e agli obiettivi aziendali e di mercato che, tramite l’attività di direzione e coordinamento, essa decide liberamente di perseguire [13]. Le decisioni d’impresa rappresentano, cioè, il prius logico e fattuale in relazione a cui valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo concretamente stabilito dagli amministratori della controllante e poi realizzato nella capogruppo e nelle controllate; e questo vale anche nell’ottica della loro eventuale responsabilità per inosservanza dei compiti organizzativi coessenziali all’istituzione e al funzionamento del gruppo.

Il razionale disegno e l’efficiente funzionamento dell’assetto organizzativo di gruppo implicano la circolazione delle informazioni in tutte le direzioni e l’ado­zione di strumenti appropriati di pianificazione e rilevazione contabile e di sistemi di prevenzione dei rischi (industriali, commerciali, legali, finanziari ecc.) tipici dell’attività esercitata. Essi assumono, perciò, importanza cruciale per la valutazione sull’adeguatezza degli assetti prescelti e, se del caso, sull’osservanza del principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllante.

I moderni principi di organizzazione aziendale valorizzano – anche in virtù dell’evoluzione tecnologica dei sistemi informativi – in una prospettiva forward looking [14] la pianificazione dell’attività, la previsione sull’andamento economico-finanziario, il monitoraggio degli obiettivi e la previsione di scenari futuri e del­l’impatto delle avversità di mercato e dei contesti socio-politici ed economici sulla stabilità e redditività dell’impresa. Potrebbe considerarsi, quindi, non correttamente organizzata un’attività di direzione e coordinamento che prescindesse dal­l’utilizzo – da valutare secondo un criterio di coerenza e proporzionalità – degli strumenti di previsione, informazione, controllo e prevenzione dei rischi (non soltanto finanziari) incombenti sul gruppo o sulle articolazioni di esso, che le scienze aziendali e la tecnologia mettono oggi a disposizione dell’impresa.

La gestione profittevole e responsabile, della società e del gruppo rappresenta un criterio ispiratore della direzione imprenditoriale logicamente prioritario rispetto alla prevenzione e tempestiva risoluzione delle situazioni di crisi, che la nuova legislazione proclama ed enfatizza. È evidente, infatti, che la redditività della gestione e l’incremento tendenziale dell’enterprise value della società nel lungo periodo, in un quadro di compatibilità con gli interessi di tutti gli stakeholders, implicano il suo equilibrio economico-finanziario e rappresentano, di per sé, la migliore garanzia di solvibilità per i creditori.

Il dovere degli organi sociali di istituire, valutare e controllare il funzionamento degli “assetti organizzativi adeguati” sussiste formalmente in relazione a ognuna delle società del gruppo, ma dipende poi, in concreto, dal disegno programmatico della capogruppo e, in particolare, dal grado e dalle modalità di accentramento o di coordinamento delle attività, dalle concrete esplicazioni del potere di direzione unitaria, nonché dall’ordine gerarchico e dal sistema funzionale effettivamente istituiti, che caratterizzano l’organismo imprenditoriale.

Nel gruppo di società – come nella grande impresa – per una razionale organizzazione, si rende necessario coordinare, formalizzare e procedimentalizzare molteplici decisioni e attività, che si svolgono a più livelli e in più ambiti, coinvolgendo diversi ordini di competenze e funzioni e sottraendosi, d’altra parte, alla possibilità di un controllo diretto e continuo degli organi sociali [15]. Ciò impone, appunto, l’adozione di una struttura managerializzata, con idonei organigrammi, funzionigrammi e sistemi informativi, e l’istituzione di processi organizzativi atti a renderla operativa (profilo statico), come pure l’attivazione di meccanismi di vigilanza, controllo e intervento sull’attuazione dell’assetto organizzativo prescelto (profilo dinamico).

Dipende poi dal disegno strategico della capogruppo quale grado di autonomia lasciare alle singole controllate, quali strutture e funzioni attivare coerentemente all’interno di esse e quale elasticità assegnare ai rapporti organizzativi di gruppo, essendo possibile optare per diversi livelli e ambiti di accentramento funzionale, e quindi per conseguenti assetti organizzativi, non tutti, pertanto, egualmente razionali, economici ed efficienti: in una parola “adeguati”.

In questa prospettiva, si possono trascurare – in quanto, per definizione, espressivi di un assetto inadeguato – i casi di accentramento completo di tutte le attività alla capogruppo, che decampano nell’abuso della struttura di gruppo e dell’au­tonomia soggettiva delle controllate, oltre che nella totale esautorazione dei loro organi o nella confusione dei patrimoni (donde la configurabilità di fattispecie patologiche come l’amministrazione di fatto, la holding tirannica o la supersocietà di fatto). Nondimeno, la morfologia della struttura organizzativa creata per la “gestione di gruppo” resta molto variegata e complessa, sicché l’applicazione della clausola generale di correttezza non può che rapportarsi alle scelte di volta in volta operate dagli organi sociali, in termini di coerenza, ragionevolezza e rispondenza alle regole tecniche.

Se l’accentramento alla capogruppo investe soltanto talune funzioni strategiche o di coordinamento (per es., finanza, pianificazione, marketing, ricerca e sviluppo, affari legali, ecc.), l’integrazione operativa fra le società risulterà limitata e l’assetto organizzativo di ognuna dovrà provvedere autonomamente – per le aree e funzioni non “coperte” dalle attività della capogruppo – sotto la responsabilità dei rispettivi organi di amministrazione e controllo; mentre i rapporti inter-societari saranno improntati allo schema tradizionale dell’esercizio limitato o episodico del potere di direzione unitaria attraverso direttive, autorizzazioni, raccomandazioni, istruzioni, circolari ecc. Se, invece, si tratta di un gruppo fortemente integrato – perché ciò è imposto dalle regole di settore oppure deriva dalle scelte organizzative della controllante –, si registrerà l’istituzione di vere e proprie funzioni aziendali “di gruppo” (per es., compliance, internal auditing, risk management, antiriclaggio, approvvigionamenti, logistica, ecc.), connotate da una “operatività estesa” a tutte le società, le quali pertanto non avranno bisogno di provvedervi singolarmente.

Siffatte funzioni, tuttavia, incidono sulla distribuzione dei poteri e modificano la stessa configurazione dei rapporti gerarchici all’interno dell’impresa organizzata in forma societaria, e in particolare, di gruppo, istituendo nuove e diverse linee di riporto, comando e interazione. Pertanto, i compiti e le responsabilità dell’organo amministrativo e del management della capogruppo, come pure quelli delle società controllate, non potranno che essere coerenti con questo assetto, che abbisognerà di una organica (auto)regolamentazione su iniziativa della società esercente la direzione unitaria, onde evitare possibili incongruenze, disfunzionalità e conflitti derivanti dalla sovrapposizione di ruoli o dalla contemporanea dipendenza dei responsabili da più centri di potere, con ripercussioni sui regimi di responsabilità individuale (v. infra, §§ 7-8).

Di qui, appunto, la necessità di adottare un regolamento o codice di governance “di gruppo”, idoneo a disciplinare formalmente l’esercizio del (e la soggezione al) potere di direzione unitaria e lo svolgimento delle relazioni infragruppo, individuando precisamente i centri di potere e di responsabilità, istituendo un sistema informativo condiviso e delineando le procedure decisionali, operative e di controllo, oltre che di intervento e rimedio. In tale contesto, le direttive adottate dalla capogruppo al fine di risolvere deviazioni o criticità di qualsiasi natura nella gestione delle controllate [16], andranno scrutinate, dunque, non soltanto in relazione alle disposizioni di legge e alla clausola generale di correttezza, ma anche al tenore delle previsioni autoregolamentari e alla loro conforme applicazione, nell’eventuale giudizio di responsabilità.

 

3. Rapporti infragruppo, esternalizzazione e accentramento di funzioni

Oggetto di autoregolamentazione organizzativa della capogruppo saranno anche le procedure decisionali in tema di rapporti infragruppo e di accentramento di servizi, funzioni e segmenti della(e) impresa(e) di gruppo, rappresentando aspetti fortemente interconnessi della direzione unitaria, assolutamente cruciali nel moderno sistema di governo del gruppo di società.

Sul piano generale, deve osservarsi che le operazioni e i trasferimenti di risorse infragruppo, di cui si occupano, in diversa prospettiva, il diritto societario e contabile, la normativa sulle operazioni con parti correlate, il diritto tributario e la disciplina della crisi, sono fenomeni fisiologici dell’attività di direzione e coordinamento, che si realizza anche instaurando relazioni contrattuali (a condizioni non sempre “di mercato”)e determinando attribuzioni patrimoniali (prive di diretta contropartita) tra le società del gruppo o attuandone il riassetto organizzativo (a condizioni anche diverse da quelle negoziate fra società “indipendenti”) [17].

Operazioni e trasferimenti di risorse infragrupposono, infatti, oggetto o risultato degli atti di indirizzo e di pianificazione della controllante, cioè della “politica di gruppo” in materia di allocazione delle risorse e di risk management, che danno vita all’internal capital market tipico dei gruppi di imprese [18]. Da esso deriva la possibilità, per un verso, di fenomeni di tunneling a danno dei soci “esterni” (operazioni in conflitto d’interesse o fenomeni di distrazione delle risorse e delle opportunità di affari); per altro verso, di divergenze in ordine alle direttive emanate o alle condizioni proposte dalla capogruppo, deliberando gli organi delle controllate (i quali aspirano a ottimizzare il loro trattamento nel contesto di gruppo) sotto la propria responsabilità, seppure – com’è stato da tempo chiarito – non in autonomia [19].

Orbene, soprattutto nella regolazione dei rapporti infragruppo, l’esercizio dei poteri della controllante deve conformarsi al principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale – da intendersi qui come principio di correttezza sia sostanziale, sia procedurale – che esige, appunto, un assetto organizzativo appropriato rispetto alla natura e all’entità dei rischi assunti. Ciò è indispensabile per assicurare il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario e dell’integrità patrimoniale, oltre che dell’autonoma profittabilità, almeno potenziale, delle società dipendenti, conservando ognuna la propria finalità lucrativa [20].

Al contempo, la corretta gestione di gruppo deve fare i conti con le esigenze di snellezza e semplificazione e con la discrezionalità spettante a chi esercita la direzione unitaria “nell’interesse imprenditoriale proprio” (art. 2497 c.c.): l’organiz­zazione di gruppo è, infatti, un sistema complesso, che, come tale, implica dei “costi” da pagare. Nondimeno, obiettivo irrinunciabile [21] resta quello di scongiurare abusi e atti illeciti che comportino ingiustificati spostamenti di ricchezza fra la controllante e le controllate (o tra queste “trasversalmente”), con danno riflesso per i rispettivi soci di minoranza e creditori, ovvero ripercussioni lesive esterne, frutto di una direzione unitaria che pregiudichi gli altri stakeholders delle società operative, portatori di interessi giuridicamente protetti (individuali, di categoria o diffusi), esponendo conseguentemente le controllate a misure interdittive, sanzioni amministrative, azioni risarcitorie, ecc.

Restando al tema dei rapporti intercompany, giova sottolineare che le società eterodirette non devono essere gravate di costi impropri – tanto più se non “inerenti” fiscalmente – o comunque iniqui e irragionevoli,mediante direttive e atti negoziali idonei a sottrarre ricchezza o liquidità a talune controllate o a instaurare relazioni e compiere operazioni non convenienti o contrarie all’interesse sociale delle stesse, in senso patrimoniale, reddituale o finanziario, tanto più in assenza della ragionevole previsione a loro favore di adeguati “vantaggi compensativi”.

Questo principio vale – com’è ovvio – anche per l’organizzazione, la regolamentazione e la prestazione di attività e servizi infragruppo, che comportano l’im­piego di risorse umane, tecniche e finanziarie, meritevoli di essere correttamente remunerate o comunque compensate (profilo gestorio); e che determinano – specialmente quando riguardano segmenti funzionali importanti o essenziali dell’im­presa – una peculiare conformazione dell’assetto organizzativo, la cui adeguatezza ed efficienza devono essere dapprima valutate e poi mantenute e assicurate a tutela dei diversi interessi coinvolti (profilo organizzativo).

L’operatività infragruppo è sicuramente la principale “chiave” dell’efficienza e delle sinergie dell’organismo imprenditoriale di gruppo. Entrambi i profili segnalati, tuttavia, richiedono per le società del gruppo – chiamate a prenderne atto e recepirla – un’appropriata autodisciplina, che riguarda, in particolare: (i) le procedure decisionali concernenti l’instaurazione del rapporto o il compimento dell’ope­razione, riguardante “parti correlate”; (ii) le condizioni economiche dello “scambio infragruppo”, che potrebbe comportare trasferimenti di risorse occulti o ingiustificati; (iii) le condizioni normative, idonee a prevenire gli effetti negativi delle vicende patologiche del rapporto; (iv) le ricadute organizzative di queste decisioni sull’assetto del gruppo. L’accentramento delle funzioni inerenti alla struttura di gruppo può realizzarsi, infatti, sia tramite atti unilaterali di regolamentazione della capogruppo, sia tramite contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi e attività [22].

L’esternalizzazione infragrupponon è, peraltro, un vero e proprio outsourcing – fattispecie considerata, in campo bancario e finanziario, soprattutto nell’ottica del presidio del rischio di affidamento a terzi, della capacità di controllo e della continuità operativa [23] –, ma costituisce (o aspira a essere) un sistema di allocazionerazionale ed efficiente delle funzioni aziendali nell’ambito del gruppo. Essa dipende dal “progetto di governo societario” della controllante, la quale sceglierà di realizzare l’accentramento funzionale nella misura e con la modalità reputata congrua a ottimizzare la gestione coordinata del gruppo.

È chiaro dunque che, se pure convenzionalmente regolato, l’accentramento di funzioni aziendali e di segmenti dell’impresa di gruppo tramite outsourcing è oggetto non soltanto di un contratto intercompany, ma – innanzitutto – di una decisione “organizzativa”. La quale esige un procedimento articolato di valutazione, approvazione, gestione e controllo dell’attività esternalizzata, rispondente a un assetto organizzativo complessivamente “adeguato”, oltre che l’applicazione di un equo e ragionevole trattamento economico alle entità destinatarie del servizio fornito e, per ciò, sgravate dalla relativa funzione.

In questa prospettiva, la valutazione delle ragioni e della convenienza del rapporto o dell’operazione infragruppo (cfr. art. 2497-ter c.c. e art. 14 Reg. OPC) dovrà effettuarsi, sulla base delle informazioni e relazioni rese disponibili dalla capogruppo alle società eterodirette, con riguardo sia agli aspetti economici (congruità dei compensi richiesti o dei costi ribaltati, entità dei risparmi realizzati e degli eventuali vantaggi compensativi), sia a quelli propriamente organizzativi (efficienza dell’accentramento di funzioni, indisponibilità di mezzi e risorse per lo svolgimento dell’attività delegata, conformazione a prescrizioni settoriali ecc.). Ai fini dell’applicazione della disciplina delle operazioni con parti correlate alle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio bisogna considerare, poi, l’ambito delle esenzioni riservate dalla singola procedura adottata alle operazioni, secondo l’art. 14 Reg. OPC, che prevede per questi rapporti infragruppo una speciale disciplina volta a semplificare e agevolare la gestione coordinata; tenendo conto, peraltro, del fatto che le previsioni in materia differiscono sensibilmente di società in società [24].

Un ragionamento analogo vale anche per le convenzioni e i rapporti di “tesoreria accentrata” (cash pooling) attraverso cui la capogruppo ottimizza la gestione dei flussi finanziari e della liquidità delle società del gruppo, tanto più alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia, che fissa le condizioni di liceità – di natura penale (artt. 2634 c.c. e 322 CCII), ma basate su presupposti civilistici – dei trasferimenti di risorse operati a questo titolo da una controllata a favore della controllante o di altra entità eterodiretta. La Corte di Cassazione, mutando il precedente indirizzo rigidamente negativo, ammette la legittimità dell’accentramento funzionale della “tesoreria di gruppo”, ma a condizione che il rapporto finanziario infragruppo sia regolarmente deliberato dall’organo amministrativo delle società partecipanti, organicamente disciplinato da un contratto tra le medesime, che ne precisi termini e condizioni, e correttamente eseguito, anche sul piano dell’organizzazione amministrativa e contabile del gruppo[25]

 

4. Prevenzione e gestione delle crisi

Il dovere della capogruppo di provvedere all’istituzione di assetti organizzativi adeguati alla struttura di gruppo e, all’occorrenza, di attivarli nel corretto esercizio dell’attività di direzione e coordinamento riguarda anche la prevenzione e la gestione delle situazioni di crisi [26], che possono investire – più o meno diffusamente – le società del gruppo e causare un pregiudizio ai loro stakeholders (creditori, collaboratori, subfornitori ecc.). L’art. 3 CCII, nel ribadire la necessità di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative” (comma 2), si cura di individuare con precisione gli obiettivi minimi idonei allo scopo [27].

Nell’ottica della prevenzione delle crisi, la legge pone, dunque, criteri precisi e stringenti ai quali parametrare – per lo svolgimento dei compiti deliberativi e di controllo, ma poi anche per la configurazione di eventuali violazioni e responsabilità [28] (infra, § 7) – la valutazione di “adeguatezza” degli assetti organizzativi. Non c’è dubbio che queste regole debbano applicarsi alla società capogruppo e alle società eterodirette, innanzitutto, con riguardo alla informazione economica, contabile e finanziaria e alla pianificazione dei flussi di cassa, così da istituire un efficace sistema di monitoraggio e prevenzione delle crisi a livello consolidato; in mancanza del quale il soggetto esercente la direzione unitaria non potrebbe, appunto, “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 2086, comma 2, c.c.).

Questo problema è da tempo avvertito nella disciplina bancaria, che esige l’istituzione di un Early Warning System, volto a vigilare sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della banca e imperniato su indicatori di natura quali-quantitativa, selezionati per monitorarne il profilo di rischio in diversi ambiti (patrimonio, liquidità, governance, controlli interni, redditività, rischio creditizio ecc.) [29] e fornire gli elementi necessari agli interventi e alle misure sanzionatorie o di intervento e sostegno da parte della capogruppo. Ma l’impiego dei sistemi di “allerta precoce” – da realizzarsi con i dovuti adattamenti e nel rispetto dei principi di coerenza e proporzionalità – ha caratterizzato dall’inizio il Codice della crisi d’impresa [30], anche prima della novella del 2022 con cui si è data attuazione alla direttiva UE 2019/1023, che ha previsto gli early warning tools essenzialmente in chiave di segnalazione al debitore (art. 3, par. 2).

L’organizzazione del gruppo non riguarda, quindi, solo la trasmissione e il recepimento delle direttive gestionali, ma si estende ai flussi informativi (ascendenti e discendenti), ai compiti “ampliati” degli organi amministrativi e di controllo della capogruppo e al monitoraggio della situazione patrimoniale e finanziaria di tutte le società del gruppo. Essendo l’organismo imprenditoriale di gruppo caratterizzato da intensi rapporti intercompany (commerciali, finanziari, di garanzia) e spesso anche dall’istituzione di un sistema di “tesoreria accentrata” – da ritenersi, come si è detto, legittimo e penalmente lecito[31], in quanto correttamente deliberato, disciplinato, organizzato ed eseguito – l’integrazione funzionale e operativa delle attività d’impresa e delle risorse liquide accentua il rischio di una propagazione della crisi e dell’insolvenza.

Occorre, pertanto, che nelle società del gruppo e, in primo luogo nella capogruppo, siano istituite procedure idonee a consentire e agevolare la precisa individuazione di funzioni, compiti e responsabilità, l’assunzione delle decisioni da parte dei dirigenti preposti, la circolazione completa, tempestiva e attendibile delle informazioni, la diffusione delle direttive e delle procedure aziendali, la valutazione e gestione dei principali rischi, il coordinamento del sistema di controllo, la redazione di report periodici, la previsione dei fabbisogni di liquidità, ecc. [32]. In modo tale da assicurare che ogni società si doti di procedure uniformi e generi flussi informativi omogenei, idonei a monitorarne la situazione per le singole imprese e per il gruppo nel suo complesso, e che la capogruppo sia in grado di adottare o indirizzare gli interventi correttivi o risolutivi appropriati, fermo restando il dovere degli organi della controllata di agire in autonomia, nel caso di sua inerzia.

Il dovere della controllante, in quanto impresa capogruppo, di attivarsi per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale non comprende o implica, beninteso, un incondizionato dovere di intervento, in forma di salvataggio o rifinanziamento o ricapitalizzazione delle imprese in stato di crisi o insolvenza [33].

Deve essere, tuttavia, adeguatamente valutato e fronteggiato il rischio sistemico cui il gruppo può restare esposto in caso di “abbandono” della controllata. Ricorre di norma, infatti, un interesse di gruppo a evitare il “contagio” o anche soltanto le perdite economiche determinate (per la holding e le altre società del gruppo) dalla maggior difficoltà di recupero dei crediti, dall’escussione delle garanzie concesse, dalla svalutazione degli asset e delle partecipazioni, ecc., nonché a intervenire per ristorare le controllate danneggiate da atti di direzione e coordinamento, onde evitare successive azioni risarcitorie da abuso della direzione unitaria [34].

Ciò comporta che, in caso di crisi di una società controllata, la capogruppo deve ponderare tutte le circostanze rilevanti e, promuoverne, ove possibile, il risanamento o, in caso contrario, disporne e attuarne comunque una “liquidazione ordinata”. Essa non potrebbe, viceversa, disinteressarsene, confidando semplicemente nella autonomia soggettiva e patrimoniale delle imprese sottoposte alla sua eterodirezione. In tal senso, depone anche l’evoluzione giurisprudenziale circa il modo di intendere, in questa materia, il principio di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società controllate (art. 2497 c.c.) [35], la quale dovrebbe propiziare, peraltro, il superamento di una considerazione – finora essenzialmente “atomistica” – dello squilibrio patrimoniale e finanziario della società “dipendente” ai fini dell’accertamento del suo stato d’insolvenza [36].

Vista in positivo, d’altra parte, l’attività di direzione e coordinamento della controllante implica l’espletamento di un ruolo decisionale strategico nella gestione “unitaria e coordinata” della crisi del gruppo (o di alcune delle società del gruppo) e nella pianificazione complessiva della sua soluzione, al fine di realizzare, direttamente o indirettamente, sinergie e utilità per alcune o tutte le imprese del gruppo.

V’è, infatti, la possibilità che le soluzioni negoziali regolatorie della crisi di gruppo generino un plusvalore o limitino le perdite, anche nel senso della riduzione delle minusvalenze sui cespiti da liquidare, e producano economie di spese di procedura, assistenza e consulenza; il che risponde senz’altro all’interesse della capogruppo “in quanto tale”, cioè all’interesse di gruppo e, di riflesso, a quello dei creditori delle società in crisi. L’art. 284, comma 5, CCII conforta questa prospettiva, poiché esige – per tutti gli strumenti di regolazione negoziale – l’attestazione delle ragioni di maggior convenienza del piano di gruppo e dei benefici stimati, in che consiste il miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese.

Il ruolo decisionale strategico della controllante è accentuato anche dalla previsione della possibilità di operazioni e trasferimenti di risorse infragruppo a servizio del concordato, del piano di ristrutturazione o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 285, comma 2, CCII). Essa, da un lato, pone un problema di “distribuzione interna” del plusvalore originato dal risanamento del gruppo (di cui occorre definire un ragionevole criterio); dall’altro, prospetta un rischio di trasferimenti ingiustificati o non proporzionati) di ricchezza tra le masse patrimoniali “autonome” delle società coinvolte, con conseguente pregiudizio dei creditori e dei soci esterni, che va affrontato nell’ambito di un progetto unitario di ristrutturazione.

Quale che sia la fonte negoziale (garanzia, finanziamento, cessione di beni o servizi, accollo, rinuncia ecc.) o societaria (operazioni sul capitale o straordinarie)[37] del trasferimento di risorse infragruppo, ogni problema o rischio si risolve ove esso risulti pianificato e, al contempo, giustificato dalla partecipazione della singola entità al programma di risanamento del gruppo. In questa ipotesi, infatti, la causa dello spostamento patrimoniale e della conseguenziale variazione della responsabilità patrimoniale della società debitrice risiederà, per il suo più rilevante aspetto, “a monte” dell’atto traslativo (inteso, ovviamente, in senso atecnico), cioè nella partecipazione al progetto di riequilibrio economico-finanziario promosso dalla società esercente l’attività di direzione e coordinamento[38].

Deve considerarsi, inoltre, l’opportunità, e talora la necessità del coinvolgimento delle società “sane” del gruppo, propiziato, appunto, dalla “regia” della capogruppo, le quali non accedono formalmente alla procedura di crisi, ma potrebbero dare un sostegno determinante alla sua soluzione e concorrere alla proposta rivolta ai creditori [39].

In ogni caso, sia la proposta di “composizione negoziata della crisi” ex art. 25 CCII, sia l’accesso a uno strumento unitario di regolazione della crisi presuppongono l’adozione, a monte, di una decisione della capogruppo condivisa o recepita (e comunque assunta) da ciascuna delle società del gruppo. L’atto potrebbe essere previsto e disciplinato, sotto il profilo delle regole di competenza e del procedimento decisionale dallo statuto o dal regolamento di gruppo, ferma restando la necessità di una distinta deliberazione da parte di ogni società. Non sembra peraltro necessario, al fine di perseguire una soluzione negoziale “unitaria” della crisi del gruppo, il conferimento di un mandato alla holding, né tantomeno la stipula di un contratto tra le imprese ad esso appartenenti.

Altro discorso è quello concernente l’eventuale accordo di regolamentazione sostanziale dei rapporti economico-finanziari sottostanti al piano (o ai piani collegati) di gruppo, che potrà e dovrà riguardare la previsione degli eventuali vantaggi compensativi (art. 285, commi 2 e 5, CCII). Per quest’aspetto, un modello di riferimento può rintracciarsi nell’art. 69-duodecies t.u.b., che prevede la possibilità di concludere – se pure, in quel contesto, preventivamente – accordi di “sostegno finanziario di gruppo” [40].

 

5. Le responsabilità da inadeguatezza organizzativa

Da quanto sin qui esposto e argomentato si ricava agevolmente che, in corrispondenza dei doveri e dei compiti “organizzativi” assegnati alla capogruppo [41] e in conseguenza della loro eventuale violazione, incombono alla stessa e agli organi di amministrazione e controllo – oltre che, ricorrendone i presupposti, alle stesse società eterodirette – altrettante responsabilità contrattuali ed extracontrattuali, le quali si irradiano in tutte le direzioni e in tutti i campi in cui l’attività d’impresa rischia di entrare in collisione con gli interessi giuridicamente protetti dall’or­dinamento, all’interno e all’esterno del gruppo.

È chiaro che, per mettere capo a un’obbligazione risarcitoria, la “colpa organizzativa” della capogruppo (che include, ovviamente, l’ipotesi limite della mancata istituzione di qualsiasi sistema o presidio) [42], oltre a integrare un pericolo, un inadempimento ed eventualmente una “grave irregolarità” degli organi sociali, deve determinare un danno risarcibile, secondo un rapporto di causalità adeguata.

Questo pregiudizio, però, non deriva potenzialmente soltanto dalla violazione dei doveri di prevenzione della crisi, coincidendo allora tendenzialmente con la lesione dei creditori della controllata per effetto del c.d. wrongful trading [43] o dall’incapienza patrimoniale causata da atti illegittimi, cioè dalle situazioni presidiate dalle norme degli artt. 2394, 2476, comma 6 e 2497 c.c. e dai relativi rimedi risarcitori.

Il danno prodotto dalla “inadeguatezza organizzativa” può consistere anche in perdite o mancati guadagni localizzati in alcune entità del gruppo, privi di ripercussioni esterne, derivanti da mancata compliance o dall’assunzione (seppure inconsapevole) di rischi eccessivi o non presidiati idoneamente [44]: rischi “da disinformazione”, in assenza di un idoneo sistema di flussi informativi, e, in generale, “da disorganizzazione”, in assenza di un sistema adeguato di governo, direzione e controllo interno.

In questi casi, il ristoro del pregiudizio sarà perseguito con l’azione sociale di responsabilità, esercitata contro gli amministratori e i sindaci della società eterodiretta anche in via derivativa (artt. 2393, 2393-bis, 2476 c.c.) e sarà suscettibile di estendersi, in date situazioni, alla capogruppo, quale soggetto concorrente nella violazione degli organi della controllata (artt. 2055 c.c. e 41 c.p.), ove il deficit organizzativo si debba ascrivere in primo luogo a costoro. Al riguardo, giova segnalare come la giurisprudenza penale affermi che, nel gruppo di società – in difetto di adozione dei modelli organizzativi previsti – la sanzione ex d.lgs. n. 231/2001 vada irrogata a carico della società capogruppo, anche se il reato presupposto è stato commesso nell'ambito dell'attività esercitata da una società controllata, quando nella sua consumazione concorra una persona fisica (esponente apicale o dipendente) la quale agisca “per conto” della capogruppo, perseguendo anche l'interesse di quest'ultima[45].

In linea generale, deve rammentarsi che la controllante è legittimata passivamente rispetto alle azioni di danno da esercizio scorretto del potere di eterodirezione promosse dalla controllata [46] e che la condotta lesiva della prima può integrarsi con le violazioni commesse dagli organi delle società dipendenti in danno delle stesse, determinando un “cumulo” di responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale, che è riconosciuto in linea generale dalla giurisprudenza [47] (ammesso che la responsabilità da eterodirezione possa ricondursi ancora al precetto del neminem laedere [48], a fronte dell’evoluzione della disciplina del gruppo e del proliferare di compiti e doveri della capogruppo, anche nel diritto comune). Il ristoro del danno riflesso arrecato al socio “esterno” da tali condotte o situazioni potrà essere perseguito, a sua volta, con l’azione “individuale” ex art. 2497 c.c., che non esclude peraltro la corresponsabilità di quanti, anche operando in posizione organica, abbiano preso parte al fatto lesivo o ne abbiano beneficiato consapevolmente (art. 2497, comma 2, c.c.).

Il danno risarcibile potrà derivare, inoltre, dal pregiudizio direttamente arrecato ad altri stakeholders delle imprese del gruppo, per effetto della violazione di leggi e regolamenti riguardanti la materia coinvolta (ambientale, lavoristica, sociale, amministrativa, ecc.). In tal caso, la responsabilità civile verso i terzi della società operativa e – ricorrendo le condizioni del concorso nell’illecito – della controllante dipenderà dalla trasgressione di norme di ordine pubblico a rilievo penale o amministrativo (artt. 2043 c.c. e 185 c.p.); ferma restando, nei rapporti interni, l’azione di regresso verso i soggetti effettivamente responsabili della mancata compliance o del deficit organizzativo [49].

Controversa è, invece, la possibilità di fondare la legittimazione attiva all’esercizio di pretese risarcitorie sull’efficacia diretta (Drittwirkung) delle norme costituzionali e dei principi di tutela dei valori ESG enunciati dalle fonti di diritto europeo e internazionale, al di fuori della lesione dei diritti e degli interessi protetti dalle norme imperative, che fondano sicuramente le domande dei soggetti pregiudicati [50].

Prescindendo qui dalla proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (“CSDD”), ancora in discussione, va ribadito che l’inottemperanza ai doveri fiduciari “estesi” degli amministratori, allo stato, dovrebbe configurarsi come un inadempimento dei loro obblighi legali e statutari, rilevante all’interno del rapporto di gestione, che spetta alla società, ai soci e agli investitori far valere sul piano endosocietario, secondo la disciplina della legittimazione e dell’interesse ad agire.

E in effetti, dal dovere di attenzione degli amministratori (e della controllante) nei confronti dei portatori di interessi individuali o collettivi esterni alla società (e al gruppo), ma coinvolti dall’attività d’impresa, a una responsabilità basata, più che sulla violazione di doveri fiduciari, sul “contatto sociale” e sui “doveri di protezione” dei gestori dell’impresa [51] – una protezione che si estendesse, cioè, oltre i confini della tutela assicurata dalle norme imperative e dalla contrattazione (individuale e collettiva, privata e pubblica) e si basasse sulla mera considerazione delle esternalità negative dell’esercizio dell’attività – il passo rischia di essere molto, forse troppo breve.


(*) Relazione al Convegno di Torino del 24 maggio 2024 «Dal Diritto Fallimentare al Diritto della Crisi - 100 anni della Rivista “Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali” (1924-2024)». Il lavoro costituisce parte di un saggio più ampio, intitolato “Assetti organizzativi di gruppo, forme di eterodirezione e regimi di responsabilità” e pubblicato su Riv. dir. soc., n. 2/2024, pagg. 205 ss.



[1] Cfr. Guerrera, Autoregolamentazione e organizzazione del gruppo di società, in Riv. dir. comm., 2012, p. 589 ss.; e già Tombari, Riforma del diritto societario e gruppi di imprese, in Giur. comm., 2004, I, p. 61; Id., Poteri e doveri di una s.p.a. “di gruppo”, in Riv. soc., 2009, p. 122; Id., Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, p. 85 ss.

[2] Guerrera, “Compiti” e responsabilità del socio di controllo, in questa Rivista, 2009, p. 510; Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Studi in ricordo di P.G. Jaeger, Milano, 2011, pp. 579, 591; Maugeri, Partecipazione sociale e attività d’impresa, Milano, 2010, p. 349 s. E sul tema v. ora Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, in Riv. soc., 2022, p. 1412.

[3] Cfr. Guerrera, Autoregolamentazione e organizzazione del gruppo di società, cit., pp. 598, 609 ss.; Scognamiglio, Recenti tendenze in tema di assetti organizzativi degli intermediari finanziari (e non solo), in Banca, borsa, 2010, I, p. 137; Meruzzi, L’informativa endo-societaria nella società per azioni, in Contr. impr., 2010, p. 737; Irrera, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni fra vecchie e nuove clausole generali, in questa Rivista, 2011, p. 358. E sul tema v. più di recente AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016; Policaro, Il governo dei gruppi di società, in Diritto del governo delle imprese, diretto da Irrera, II ed., Torino, 2020, p. 711; Callegari, Gli assetti adeguati nei gruppi tra disciplina positiva ed autonomia privata, in Corporate governance, 2022, p. 413; Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, Pisa, 2023, p. 57 ss.

[4] Cfr. Scognamiglio, Recenti tendenze in tema di assetti organizzativi, cit., p. 144 ss., 160 ss.; Lemme, Le disposizioni, di vigilanza sulla governance delle banche, in Banca, borsa, 2011, I, pp. 705, 710 ss.; Scotti Camuzzi, Le nuove disposizioni di vigilanza sui controlli interni della banche, in Banca, borsa, 2014, I, p. 147; Montalenti, Amministrazione e controllo della società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca, borsa, 2015, I, p. 707; in Minto, Il progetto di governo societario delle banche, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 663; Stella Richter jr, In principio sono sempre le funzioni, in Riv. soc., 2019, p. 20.

[5] Esso si identifica, perciò, con la massimizzazione del valore e della redditività delle partecipazioni possedute nelle controllate attraverso la gestione coordinata del gruppo e la direzione unitaria della(e) impresa(e) di gruppo: cfr. Guerrera, Autoregolamentazione e organizzazione del gruppo di società, cit., p. 623 ss.; Scognamiglio, Interesse sociale e interesse di gruppo, in L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, a cura di Sacchi, Milano, 2010, p. 125 ss.; Maugeri, Interesse sociale, interesse dei soci e interesse del gruppo, in La dialettica degli interessi nella disciplina della società per azioni, a cura di Paciello, Napoli, 2011, p. 261 ss. Tale obiettivo sarà perseguito, beninteso, dalla capogruppo compatibilmente con il rispetto degli altri interessi coinvolti dall’attività: Il Codice di corporate governance definisce, infatti, il “successo sostenibile” come “l’obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.

[6] Cfr. Montalenti, I principi di corretta amministrazione: una nuova clausola generale, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 3; Meruzzi, L’ade­guatezza degli assetti, ivi, p. 41.

[7] Si vedano in tema gli scritti di Nigro, Ferri jr, Vattermoli, Santosuosso e Miola in AA.VV., I gruppi nel codice della crisi, a cura di Vattermoli, Pisa, 2020.

[8] Cfr. Guerrera, Autoregolamentazione e organizzazione del gruppo di società, cit., p. 614 s.; è significativo che, nella dottrina tedesca, la riflessione sul diritto organizzativo dei gruppi si sia incentrato proprio sul contenuto “allargato” degli obblighi degli organi della capogruppo, intesi quale “organi di gruppo”: cfr. Wiedemann, Die Unternehmensgruppe im Privatrecht, Tu:bingen, 1988, p. 50 ss.; Id., Aufstieg und Krise des GmbH-Konzernrechts, in GmbHR, 2011, p. 1015; Lutter, Das unvollendete Konzernrecht, in Festchrift fu:r Karsten Schmidt, Ko:ln, 2009, p. 1065, 1070 s.; Id., Der Aufsichtsrat im Konzern, in AG, 2006, p. 517 ss.

[9] Cfr. Assonime, Direzione e coordinamento di società. Profili di organizzazione e responsabilità del fenomeno del gruppo (Circolare n. 44/2006), in Riv. soc., 2006, p. 1097; Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, p. 317; Scognamiglio, Motivazione delle decisioni e governo del gruppo, in Riv. dir. civ., 2009, p. 757; Guerrera, Autoregolamentazione e organizzazione del gruppo, cit., p. 602.

[10] Cfr. Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, p. 81 ss.; Montalenti, I principi di corretta amministrazione, cit., p. 6 ss.

[11] Cfr. Galgano, Il regolamento di gruppo nei gruppi bancari, in Banca, borsa, 2005, I, p. 86 ss.; Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, p. 317 ss.; Tombari, Autonomia privata e gruppi d’imprese, Studio CNN 248-2009/I; Guerrera, I regolamenti di gruppo, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da Campobasso-Cariello-Di Cataldo-Guerrera-Sciarrone Alibrandi, II, Torino, 2014, p. 1551 ss., ed ivi ampi riferimenti;Callegari, Gli assetti societari e i gruppi, in Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, diretto da Irrera, Torino, 2016, p. 585 ss.; Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 69 ss.; e, anche con riferimento al “contratto di coesione” nel gruppo bancario paritetico, Rugolo, La direzione unitaria nel gruppo cooperativo, Torino, 2021, p. 104 ss.

[12] Cfr. Montalenti, I principi di corretta amministrazione, cit., p. 15 ss.; Id., Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgement rule, in Nuovo dir. soc., 2021, p. 9 ss.; Benedetti, L’applicabilità della business judgement rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, p. 413.

[13] Sul tema v. in generaleDe Mari, Gli assetti organizzativi societari, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 26 ss.; Meruzzi, L’adeguatezza degli assetti, cit., p. 53 ss.; Ranalli, La declinazione degli assetti adeguati a prevedere la crisi e le tecniche di valutazione del rischio di crisi nel CCII, in Riv. soc., 2022, p. 1157; Acciaro & Associati, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, Rimini, 2023.

[14] Cfr. Ranalli, La declinazione degli assetti adeguati, cit., p. 1158; Bastia, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese a struttura complessa, cit., p. 13 ss.

[15] Bianchi, Il contenuto. Una visione d’insieme, in AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 147 ss.; Bastia, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese a struttura complessa e neigruppi societari, in La Magistratura, 2022, p. 7 ss.; Turchi-Verna, L’assetto amministrativo: il suo concreto funzionamento, in Acciaro & Associati, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, Rimini, 2023, p. 89 ss.

[16] Si pensi ad es. – oltre alla gestione delle crisi finanziarie, su cui v. infra, § 4 – alle misure c.d. di self cleaning necessarie a risolvere alcune situazioni di non affidabilità e d’incapacità a contrarre con la p.a., su cui v. art. 80 Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) e art. 32, d.l. n. 90/2014; sul tema v. De Muro, Self cleaning e organizzazione dell’impresa societaria, in Riv. soc., 2021, p. 874 ss.

[17] Cfr. Guerrera, Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse” nei concordati e negli accordi di ristrutturazione e di risanamento di gruppo, in Riv. dir. comm., 2021, p. 92 ss.

[18] Cfr. W.H. Beaver-S. Cascino-M. Correja-M.F. McNichols, Bankruptcy in Groups, Stanford University School of Business Research, Working Paper (2016); D.Buchuk-B. Larrain-F. Muñoz-F. Urzúa, The internal capital markets of business groups: Evidence from intra-group loans, in 112 Journal of Financial Economics (2014), p. 190 ss.; T. Khanna-Y. Yafeh, Business groups and risk sharing around the world, in 78 The Journal of Business (2005), p. 301 ss.

[19] Cfr. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, p. 106 ss., ove diffusi riferimenti dottrinali, a partire dal “classico” lavoro di Mignoli, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, in Contr. impr., 1986, p. 729.

[20] Cfr. Tombari, Crisi di impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” della società capogruppo. Prime considerazioni, in Riv. dir. comm., 2011, p. 636 ss.;Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, p. 830; P. Montalenti,Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, p. 62 ss.

[21] V. in tal senso, ora,anche i G20-OECD Principles of Corporate Governance (2023), p. 19 ss., 28 ss.

[22] Sono tuttavia evidenti, sotto il profilo delle condizioni di scambio e dell’adeguatezza organizzativa, le differenze tra: la prestazione in outsourcing di servizi “a basso valore aggiunto” (che, secondo la normativa OCSE, hanno natura di “supporto”, non richiedono beni immateriali essenziali e non comportano l’assunzione o il controllo di rischi rilevanti da parte del fornitore); l’affidamento alla capogruppo o a una società del gruppo di “funzioni essenziali o importanti” (richiamando la tassonomia delle Istruzioni di vigilanza di Bankitalia per i gruppi bancari); lo svolgimento di “attività d’indirizzo strategico e generale” che integrano l’esercizio stesso del potere di direzione e coordinamento, ma costituiscono anche attività d’interesse comune delle controllate (per es., pianificazione, governo dei rischi, reportistica, monitoraggio andamentale, marketing, relazioni esterne, controllo e prevenzione crisi, ecc.).

[23] Cfr. Polizzi, La regolamentazione sull’outsourcing negli intermediari bancari e finanziari, in L’Outsourcing nei servizi bancari e finanziari – La disciplina dell’esternalizzazione alla luce dei recenti interventi regolamentari (Linee guida EBA Febbraio 2019 ed aggiornamento Circolare 285 della Banca d’Italia), a cura diCasamassima e Nicotra, Padova, 2021; Micheli-Cunial, I presidi in materia di esternalizzazione nel quadro normativo di Solvency II, in dirittobancario.it, marzo 2016; Lamandini, Il gruppo bancario alla luce delle recenti riforme, in Banca, borsa, 2016, I, p. 678; Maugeri, Esternalizzazione di funzioni aziendali e “integrità” organizzativa nelle imprese di investimento, in Banca, borsa, 2010, p. 439.

[24] Mentre in alcuni casi si adotta un’esenzione generale, purché nelle società controllate o collegate non vi siano “interessi significativi” di altre parti correlate; in altri casi, si sceglie di disattivare l’esenzione e applicare la disciplina OPC quando l’operazione è di “maggiore rilevanza”; oppure si attribuisce all’esenzione portata circoscritta, applicando soltanto alcune “cautele istruttorie” (sicché l’operazione va sempre analizzata nelle sue caratteristiche e condizioni e per i suoi effetti economici e finanziari) e “prescrizioni informative” (per soddisfare l’esigenza di correttezza formale e sostanziale sottesa alla normativa); o ancora si limita l’esenzione ai casi di “accentramento funzionale” prescritto da speciali normative o agli “accordi di servizio infragruppo” già disciplinati in generale da un regolamento di gruppo o da una delibera-quadro e da una convenzione.

[25] Cfr. Cass. pen., 5 aprile 2018, n. 34457, che reputa necessaria una “puntuale regolamentazione contrattuale”; Cass. pen., 11 maggio 2023, n. 3288, che richiede “una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata” e “la vocazione funzionale di siffatta modalità di gestione alla massimizzazione della competitività delle società del gruppo”, precisando: “ciò impone, da un lato, che se i trasferimenti infragruppo di denaro costituiscono modalità esecutive di un contratto, di tale negozio giuridico deve esservi adeguata traccia documentale e dall'altro che siffatto accordo si inscriva all'interno della logica dei c.d. vantaggi compensativi, propria dell'operatività di un gruppo di imprese”, in IUS Societario, 29.09.2023, con nota di Santoriello; Cass. pen., 23 giugno 2023, n, 39139, secondo cui “non integrano il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale i pagamenti tra società infragruppo riconducibili all'operatività del contratto di cash pooling, purché i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili”.

[26] Cfr. Montalenti, Il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in Giur. comm., 2020, p. 829; Benedetti, Frammenti di uno statuto organizzativo delle società del gruppo in crisi ricavabili dal sistema dell’allerta, in Riv. dir. comm., 2020, I, p. 715; Fortunato, Assetti organizzativi e crisi d’impresa: una sintesi, in Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, a cura di Ambrosini, Bologna, 2021, p. 744; Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, in Riv. soc., 2022, p. 1330; Assonime, I doveri degli organi sociali per la prevenzione e gestione della crisi (Circolare n. 27/2022), in Riv. soc., 2022, p. 1384; Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codicedella crisi e dell’insolvenza, in Diritto della crisi, novembre 2022; Noselotti-Tolomei, Corporate governance. L’adeguatezza degli assetti aziendali alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. dott. comm., 2023, p. 283.

[27] Il comma 3 dell’art. 3 CCII stabilisce che “al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di: a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cuiall’articolo 13, al comma 2 ...”; segue al comma 4 l’indicazione dettagliata dei “segnali” per la previsione della crisi d’impresa, riferiti ai debiti scaduti e diversificati per categorie di creditori. Sul tema v. Ranalli, La declinazione degli assetti adeguati a prevedere la crisi e le tecniche di valutazione del rischio di crisi nel CCII, cit.

[28] V. in giurisprudenza Trib. Catanzaro, 6 febbraio 2024, in IlCaso.it; Trib. Cagliari, 19 gennaio 2022, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Ilcaso.it;Trib. Milano, 18 ottobre 2019, in Nuovo dir. soc., 2020, p. 71.

[29] Cfr. EBA, Guidelines on management of non-performing and forborne exposures – Final Report, 2018; Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per le banche (Circolare Banca d’Italia, 17 dicembre 2013, n. 285 e successive modifiche e integrazioni), Parte I, Titolo III, Cap. 1 (“Processo di controllo prudenziale”);Parte I, Titolo IV, Cap. 6, Sezione III (“Processo di gestione del rischio di liquidità”) e Parte III, Capitolo 6, Sezione III (“Gruppo bancario cooperativo – Contratto di coesione”). In dottrina v. Minto, Gli assetti in ambito bancario, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 623, con particolare attenzione al governo del rischio e all’istituzione del Risk Appetite Framework (RAF). Per le società a controllo pubblico v. art. 6, comma 2, TUSP (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), che prevede, o, l’obbligo di predisporre “specifici programmi di valutazione del rischio aziendale” e di informarne l’assemblea attraverso la relazione sul governo societario.

[30] Cfr. Montalenti, Il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, cit., il quale sottolinea come “the detection of crisis symptoms should be anticipated at the stage of the possibility of insolvency (early warning) and not limited to the phase of the probability of insolvency (twilight zone)”. Nell’ottica dell’assistenza finanziaria delle banche, Ambrosini, Adeguatezza degli assetti, sostenibilità della gestione, crisi d’impresa e responsabilità della banca: alla ricerca di un fil rouge, in Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, a cura di Stefano Ambrosini, Pisa 2023, p. 1 ss.; e con riferimento ai gruppi Abriani-Panzani, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto daCagnasso-Panzani, II, Milano, 2016, p. 3034 ss.;

[31] V. sul punto la giurisprudenza citata supra, § 3, nt. 25, cui adde Cass. pen., 1° marzo 2019, n. 22860, la quale, con riferimento al caso in cui la società depauperata dal trasferimento finanziario infragruppo si trovi in stato di crisi, sottolinea la necessità – perché non si configuri una bancarotta per distrazione – di una “garanzia di restituzione dei valori trasferiti” e di un “credibile programma di riassestamento del gruppo”, precisando altresì – a riprova dell’essenzialità dei profili di organizzazione e pianificazione del rapporto infragruppo – che “non vale ad escludere la natura distrattiva dell'operazione la responsabilità della controllante per i debiti della controllata, delineata dall'art. 2497 c.c., determinandosi comunque una maggiore difficoltà per i creditori della fallita, tenuti a rivalersi nei confronti di un ente diverso da quello con il quale hanno instaurato rapporti commerciali”.

[32] Cfr. Bianchi, Le procedure aziendali, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 181; Bastia, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese a struttura complessa, cit., p. 13 ss.; Turchi-Verna, L’assetto amministrativo: il suo concreto funzionamento, in Acciaro & Associati, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, Rimini, 2023, p. 89 ss.

[33] Cfr. Guerrera, La regolazione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 2019, p. 1318. Da segnalare la Sect. 15.15 dell’EMCA (European Model Companies Act) che disegna i presupposti della Parent Liability:Whenever a subsidiary company, which has been managed according to instructions issued by its parents in the interest of the group, has no reasonable prospect, by means of its own resources, of avoiding a winding-up (crisis point), the parent company is obliged without delay to effect a fundamental restructuring of the subsidiary or to initiate its winding-up procedure”. V. pure Assonime, I doveri degli organi sociali per la prevenzione e gestione della crisi, cit., p. 1401 ss., sulla scia di Tombari, Crisi di impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale”, cit., p. 631.

[34] Cfr. Abriani-Panzani, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, cit., p. 3032 s., i quali sottolineano l’importanza di una valutazione complessiva della situazione finanziaria e della continuità dell’impresa di gruppo, richiamando anche gli studi di Tombari, Crisi di impresa e doveri “corretta gestione e societaria”, cit., e di Santagata, Concordato preventivo “di gruppo” e “teoria dei vantaggi compensativi”, in Riv. dir. impr., 2015, p. 211 ss.; Guerrera, La regolazione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, cit., p. 1319; Id., Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse”, cit., p. 106.

[35] Cfr. Cass., 11 maggio 2022, n. 14876, in motivazione (§ 2.2): “(...) ‘danno’ per i creditori è il non poter essere pagati, a cagione del pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale, causato dalla capogruppo. All’art. 2497 c.c., laddove menziona il necessario rispetto, ad opera della capogruppo, dei ‘principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società’, può ricondursi il principio onde è imposto ad essa di preservare l’equilibrio finanziario dell’impresa e l’integrità del suo patrimonio, a tutela del ceto dei creditori, volontari ed involontari, dell’impresa stessa, e quello che impone di gestire l’impresa in maniera tale da salvaguardarne la capacità di esistenza autonoma in un contesto di mercato concorrenziale” (enfasi aggiunta).

[36] Cfr. Cass., 21 aprile 2011, n. 9260, in motivazione (§ 3.1), là dove richiama: “l’orienta­mento (Cass. n. 23344/2010), secondo cui,ai fini della dichiarazione di fallimento di una società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un’unica società holding, l’accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il patrimonio soltanto dei propri debiti’. La ricorrente, laddove contesta l’apprezzamento sul suo stato d’insolvenza, adducendo la specialità dell’attività esercitata, la sua partecipazione al gruppo controllato da (...) e le specifiche iniziative assunte da quest’ultima, richiamando le operazioni infragruppo che ne attesterebbero il sostegno finanziario fornito, prospetta in jure una semplificazione di questi interventi per sostenere l’unificazione della sua condizione e di quella della holding, secondo una logica infragruppo unitaria, che annullando le manifestazioni della sua autonomia patrimoniale, in quanto controllata o eterodiretta, annullerebbero, per inevitabile corollario, gli effetti sul piano dell’insolvenza patrimoniale, in quanto controllata o eterodiretta, annullerebbero, per inevitabile corollario, gli effetti sul piano dell’insolvenza. Propugna soluzione che, corretta in chiave economica ed aziendalistica, non è tuttavia legittimata in chiave giuridica”.

[37] In tema v. Le operazioni sul capitale e straordinarie “con parti correlate”: aspetti sostanziali e procedurali,in RDS, 2022, 13 ss., nonché in Governance e mercati, Studi in onore di Paolo Montalenti, a cura di Callegari, Cerrato e Desana, Torino, 2022, II, 1505 ss.

[38] Cfr. Guerrera, Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse”, cit., 116 s.

[39] Cfr. Guerrera, Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse”, cit., p. 101; Boggio, Partecipazione di società non insolventi al concordato preventivo di gruppo, in Patrimonio sociale e governo dell’impresa. Dialogo tra giurisprudenza, dottrina e prassi in ricordo di G.E. Colombo, a cura di Rescio-Speranzin, Torino, 2020, p. 295; Vanetti, Il concordato di gruppo nel codice della crisi d’impresa, ivi, p. 250; Ricciardello, Il nuovo concordato preventivo di gruppo tra autonomia delle masse e interconnessione finanziaria, in Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, a cura di Ambrosini, Bologna, 2021, p. 788; Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codicedella crisi e dell’insolvenza, cit., p. 28 ss.

[40] I “piani di risanamento di gruppo” sono previsti dagli artt. 69-quinquies e 159-bis t.u.b., introdotti dal d.lgs. n. 181/2015 in attuazione della Direttiva BRR. Nella disciplina delle crisi (Titolo IV – “Misure preparatorie, di intervento precoce e liquidazione coatta amministrativa”), essi svolgono tuttavia una funzione diversa, cioè “anticipatoria”, collegata agli stress test, poiché predispongono presidi e programmi d’azione per la gestione della crisi bancaria prima che questa si manifesti: sono cioè adottati preventivamente dalle banche interessate, valutati dalla Banca d’Italia e solo dopo, ricorrendone le circostanze, attuati sotto la vigilanza o per impulso di essa (artt. 69-octies e 69-noviesdecies t.u.b.). In tema v. Marra, Gli accordi di sostegno finanziario di gruppo ex artt. 69-duodecies ss. t.u.b., in Orizzonti dir. comm., 2020, p. 231.

[41] Si vedano i contributi citati supra, § 1, nt. 2.

[42] Per una riflessione generale sul tema v. Rabitti, Responsabilità da deficit organizzativo, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, pp. 955, 990 ss. ove diffusi richiami bibliografici cui si rinvia. Sui criteri d’imputazione della responsabilità da inadeguatezza degli assetti si vedano gli scritti di Montalenti e Benedetti, citati supra, § 2, nt. 12, nonché Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, cit., p. 1348; Ambrosini, Adeguatezza degli assetti aziendali, doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della crisi, in Governance e mercati, Studi in onore di Paolo Montalenti, a cura di Callegari, Cerrato e Desana, III, Torino, 2022, pp. 1703 ss.

[43] V. l’art. 2486 novellato dall’art. 378 CCII. In dottrina sul tema cfr. Macario, Il nuovo art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in Dirittodellacrisi, 26 maggio 2022, § 5; Barcellona, Business judgement rule e interesse sociale nella “crisi”. L’adeguatezza degli assetti organizzativi alla luce della riforma del dirittoconcorsuale, Milano, 2020; Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e business judgement rule, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 999; Sanzo, La responsabilità nella (e per la) crisi, ivi, p. 1031.

[44] Cfr. Mozzarelli, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell’attività imprenditoriale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, p. 728; Latella, “Sistema” dei controlli interni e organizzazione della società per azioni, Torino, 2018. Si veda anche l’art. 6 Codice di corporate governance (“Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”): Principi XVIII. Il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi è costituito dall’insieme delle regole, procedure e strutture organizzative finalizzate ad una effettiva ed efficace identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, al fine di contribuire al successo sostenibile della società. XIX. L’organo di amministrazione definisce le linee di indirizzo del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi in coerenza con le strategie della società e ne valuta annualmente l’adeguatezza e l’efficacia. XX. L’organo di amministrazione definisce i princìpi che riguardano il coordinamento e i flussi informativi tra i diversi soggetti coinvolti nel sistema di controllo interno e di gestione dei rischi al fine di massimizzare l’efficienza del sistema stesso, ridurre le duplicazioni di attività e garantire un efficace svolgimento dei compiti propri dell’organo di controllo.

[45] Cfr. Cass. penale, 27 settembre 2016, n. 52316, in Ilpenalista.it, 2017 (nota di Santoriello): “È ammissibile una responsabilità, ai sensi d.lg. 231 del 2001, della società capogruppo per reati commessi nell'ambito dell'attività delle società da essa controllate a condizione che a) il soggetto che agisce per conto della holding concorra con il soggetto che commette il reato per conto della persona giuridica controllata; b) possa ritenersi che la holding abbia ricevuto un concreto vantaggio o perseguito un effettivo interesse a mezzo del reato commesso nell'ambito dell'attività svolta da altra società”; Cass. penale, 19 maggio 2016, n. 31210: “In tema di responsabilità da reato dell'ente in conseguenza della commissione dei reati di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (…), ricorre il requisito dell'interesse dell'ente quando la persona fisica (…) ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa (...). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente (…), ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”; analogamente, Cass. penale, sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343.

[46] Cfr. Trib. Milano, 27 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, p. 734, con nota di Marsili; Trib. Milano, 20 dicembre 2013, in Riv. dir. comm., 2015, II, p. 362, con nota di Benedetti.

[47] Cfr. Cass., 12 aprile 2023, n. 9675; Cass., 16 maggio 2022, n. 15512; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2037; Trib. Milano, 10 maggio 2014, in Dejure; Cass., 12 dicembre 2013, n. 27875.

[48] Cfr. Cass., 11 maggio 2022, n. 14876; Trib. Civitavecchia, 14 giugno 2022, in Dejure.

[49] Cfr. Guerrera, Illecito e responsabilità nelle organizzazioni collettive, Milano, 1991, p. 388 ss.; Id., La responsabilità “deliberativa” nelle società di capitali, Torino, 2004, p. 391 ss.

[50] Si vedano in proposito, fra gli altri, Ventoruzzo, Note minime sulla responsabilità civile nel progetto di direttiva Due Diligence, in Riv. soc., 2021, 380; Assonime, Doveri degli amministratori e sostenibilità, in Riv. soc., 2021, 418 ss.; Marchetti, Il bicchiere mezzo pieno, in Riv. soc., 2021, 343 ss.; Rolli, Dalla Corporate Social Responsibility alla Sustainability, alla Environmental, Social and Governance, in Corporate Governance, 2022, 82.

[51] Nella dottrina civilistica v. sul tema Castronovo, Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1991, 1 ss.; Id., Responsabilità civile, Milano, 2018, p. 523; Lambo, Obblighi di protezione, Padova, 2007; Venosta, Profili della disciplina dei doveri di protezione, Riv. dir. civ., 2011, 850; Id., Prestazioni non dovute, “contatto sociale” e doveri di protezione “autonomi”, in Europa dir. priv., 2014, 109. E con specifico riguardo alla responsabilità della capogruppo verso i creditori sociali Mambriani, Contatto sociale qualificato, responsabilitàdella holding e degli amministratori, in Nuovo dir. soc., 2022, 559.