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Gestione dei crediti in sofferenza. SMD e decreto legislativo 216/24


Dino Crivellari
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Gestione dei crediti in sofferenza. SMD e decreto legislativo 216/24


Dino Crivellari

Data pubblicazione
30 settembre 2024

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Sommario 1. Considerazioni di carattere generale. Perché regolare i gestori e non gli acquirenti di sofferenze?; 2. Un quadro di sintesi; 3. Attività giudiziale ed attività stragiudiziale; 4. Cessione di crediti in sofferenza da parte di ACS; 5. La valutazione del credito in sofferenza ceduto; 6. La gestione degli immobili.


1. Considerazioni di carattere generale. Perché regolare i gestori e non gli acquirenti di sofferenze?

Il legislatore comunitario, e di conseguenza il legislatore nazionale del recepimento, con la SMD (Secondary Market Directive [1]) e il decreto legislativo 116/2024[2] hanno assunto finalmente una posizione apparentemente decisa rispetto ad un fenomeno, quello degli Npl, che ha caratterizzato le vicende bancarie della seconda decade di questo secolo, in particolare in Italia.

Le dichiarazioni di intenti della SMD fanno riferimento, tra l’altro, alla necessità di rendere più efficiente il grande mercato degli Npl. Perché un mercato sia efficiente c’è bisogno di una domanda e di un’offerta equilibrate in relazione alla quantità di merce disponibile e di regole chiare e di facile applicazione che favoriscano le transazioni tra operatori.

Ma aldilà degli intenti dichiarati, le norme che sono state finalmente varate tradiscono una diversa preoccupazione di legislatori e Regulator: la preoccupazione di non avere più sotto controllo le vicende e la gestione degli scarti di produzione dell’industria del credito (appunto gli Npls) che nel corso degli anni “10” di questo secolo avevano superato i 1000 miliardi di valore a livello europeo e sono diventati un fenomeno endemico nel nostro paese dove erano 360 miliardi nel 2015 e non riescono a diminuire più di tanto dopo quasi 10 anni di cessioni massive che hanno visto alleggerire i bilanci bancari di quasi 300 miliardi di sofferenze, ma hanno trasferito il problema in un settore molto meno regolato e vigilato come quello dei fondi speculativi [3].  

Apparentemente il sistema bancario, a parte le perdite registrate nelle cessioni e le conseguenti necessità di ricapitalizzazione, ne ha tratto beneficio. Ma ora la preoccupazione di studiosi e Regulator è che, come accadde nel 2008, l’interconnessione tra NBFIs (Non bank financial institutions) e il sistema creditizio possa ritrasferire a quest’ultimo eventuali shock finanziari che dovessero emergere nello Shadow banking [4].

Questo argomento è molto più complesso e vasto e riguarda orizzonti ben più ampi di quelli del mercato degli Npls, ma Regulator e legislatori, per quanto riguarda quest’ultimo, hanno deciso di affrontarlo secondo le regole che “il pesce puzza dalla testa, ma si squama dalla coda”. Da qui SMD e decreto legislativo 116/24 non si occupano tanto di regolamentare gli acquirenti di crediti in sofferenza (di norma i fondi), quanto i gestori che operano per loro conto nel recupero dei crediti.

Il risultato è gravido di conseguenze.

Per alleggerire le banche della inusitata quantità di Npls formatasi dopo le crisi del 2008/2011, si è fatto di tutto (comprese le garanzie pubbliche: GACS [5]) per favorire le cessioni massive a sconto di sofferenze a favore di investitori speculativi che potevano avere interesse a comprare quei portafogli a due condizioni: a) che il prezzo di acquisto rispetto al valore di recupero assicurasse un rendimento a doppia cifra (ad esempio pagare 25 per recuperare 50), ma anche che: b) i costi di gestione degli Npls fossero decisamente inferiori a quelli sopportati dalle banche per svolgere questa attività.

L’inefficienza di un mercato, che, almeno inizialmente, vedeva un’offerta esorbitante da parte delle banche confrontarsi con una domanda oligopolistica, ha assicurato il realizzarsi della prima condizione. La seconda condizione (l’economicità della gestione) è stata invece assicurata dai servicer, remunerati a risultato, con strutture estremamente snelle e concentrate sul recupero, con un quasi inesistente grado di regolamentazione. Queste due condizioni hanno favorito lo sviluppo di un mercato attraente e remunerativo almeno fino al 2021.

Come è normale che accada, questo sviluppo ha progressivamente modificato le primitive condizioni quando la domanda si è rafforzata per il numero crescente di investitori riducendo il gap di prezzo e, contemporaneamente, i servicer, inondati da quantità enormi di pratiche da gestire, hanno dovuto incrementare le dimensioni delle loro strutture a danno dei loro margini economici, a volte assorbendo interamente le strutture operative di recupero delle banche cedenti.

Oggi il quadro è molto diverso da quello di dieci anni fa. Le banche, che nel tempo hanno visto irrigidirsi le loro politiche creditizie sia per la pandemia e la guerra che per il ristagno economico, ma anche per la stretta nelle regole relative al rischio di credito, non hanno più grandi quantità di Npls da cedere. La mancata crescita economica ha frustrato le aspettative di recupero degli investitori e la remuneratività dei servicer è, di conseguenza, in calo mentre la riduzione dei costi di struttura è ostacolata dal persistere di quantità di pratiche che non si riducono perché i recuperi (e quindi le chiusure) ristagnano.

Siamo quindi in un momento critico testimoniato dalle operazioni di aggregazioni tra servicer alla ricerca di economie di scala, ma anche dal peggioramento delle quotazioni di Borsa di player molto blasonati, sanzionati dal mercato che crede sempre meno alle loro prospettive di redditività.

C’è una regola in questo settore che molti trascurano: se un servicer è molto efficiente (o fortunato) nei recuperi, guadagna bene, ma sta ipotecando il suo futuro sviluppo perché riduce il magazzino, a meno che non abbia una continua alimentazione di nuovi flussi di pratiche che permettano almeno di sostenere i rigidi costi di struttura. Questo non sta avvenendo: i nuovi flussi sono modesti ed il magazzino è costituito da crediti di sempre più difficile realizzazione.

I costi di struttura sono fortemente influenzati dalla regolamentazione di settore,ove presente. In Italia, l’uso (e in parte l’abuso) di reti di recuperatori remunerati a success fee e una regolamentazione pressoché inesistente sono stati i fattori di successo di questo settore.

Nel tempo, alcuni operatori hanno pensato di ridurre il loro orientamento alla logica della “vendita della quietanza“ (cioè alle transazioni stragiudiziali con i debitori) che caratterizzava il modello basato sulla rete di recuperatori esterni, puntando maggiormente sull’attività giudiziale, non tanto per la maggiore efficacia di questa (in Italia notoriamente inefficiente), ma perché interessati di più alla acquisizione di immobili da recupero. Ciò ha irrigidito i costi di gestione meno coerenti con la variabilità dei ricavi (di questa tendenza ne hanno fatto le spese gli avvocati che hanno visto progressivamente ridursi i loro onorari a dispetto della legge sull’equo compenso).

Altri operatori stanno tornando a dotarsi della licenza bancaria per cogliere opportunità laddove le banche ordinarie si ritirano dal mercato. Se si pensa che fino a qualche anno fa i servicer con licenza bancaria vi avevano rinunciato per limitarsi ad operare con la licenza 115 TULPS proprio per contenere i costi regolamentari, ci si rende conto che molte cose stanno cambiando.

In questo contesto in evoluzione non positiva per il settore arriva la SMD e la norma di recepimento contenuta nel decreto legislativo 116/24 con il suo carico regolamentare, e quindi di costi, imprevisto. Oltre al testo di legge, per comprendere bene la portata di questa norma, è opportuno dedicarsi alla lettura del corposo documento intitolato “Disposizioni di vigilanza per la gestione dei crediti in sofferenza“ pubblicato nel luglio di quest’anno dalla Banca d’Italia per la consultazione pubblica.

In estrema sintesi: la gestione dei crediti in sofferenza delle banche può essere esercitata, oltre che dalle banche stesse e dagli intermediari finanziari iscritti nell’Albo di cui all’articolo 106 del TUB [6] (quindi soggetti regolamentati e vigilati), anche da un nuovo soggetto “il gestore dei crediti in sofferenza“ (GCS) altrettanto vigilato e regolamentato quasi quanto gli altri due salvo che per quanto riguarda le regole di capitale che sono banalmente quelle del Codice civile. Per quanto riguarda procedure di autorizzazione, vigilanza informativa, vigilanza ispettiva, segnalazioni di vigilanza, sanzioni, caratteristiche e qualità dei soci e degli esponenti aziendali e quant’altro, le regole sono sostanzialmente le stesse applicate a banche e 106. Addirittura all’articolo 2 del decreto legislativo è prescritto che il GCS è un “ente di interesse pubblico“ con tutto ciò che ne consegue per l’applicazione del decreto legislativo n.39 del 27/1/2010.

Come spesso avviene nel mondo del credito i comportamenti di Regulator e legislatori seguono l’andamento del pendolo: si passa da atteggiamenti di grande rigidità regolamentare (per l’Italia ad esempio la legge del ’36 [7]) a periodi di laissez-faire, da regolamentazioni minimalistiche di stampo neoliberista a iperegolamentazioni all’insegna del contenimento dei rischi sistemici.

La domanda da porsi è: perché legislatore europeo, legislatore nazionale e conseguentemente il Regulator hanno sentito il bisogno di iper regolamentare i servicer e non si sono impegnati a dettare regole e creare strumenti di vigilanza per gli “acquirenti di crediti in sofferenza” (ACS) che all’articolo 114.1, co.1, lett. e) del TUB sono laconicamente definiti: “ la persona fisica o giuridica, diversa da una banca, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale acquista crediti in sofferenza”?

In sostanza si è totalmente liberalizzato il mercato degli acquirenti di crediti, cioè di coloro che incorporano i rischi creditizi ceduti dalle banche, e si sono invece messi sotto stretto controllo i GCS. Con buona pace per le preoccupazioni dei Regulator sui rischi di interconnessione tra Shadow banking e banche commerciali [8].

Una prima saggia risposta potrebbe essere che si è voluto coprire una falla nel sistema di controllo dei fenomeni di mercato legati agli NPLs. In effetti la Vigilanza, tramite la stringente supervisione sui GCS ora ha la possibilità di essere informata e verificare come vengono gestite le sofferenze, quale sia la loro qualità in evoluzione, quali vicende ne caratterizzano nel tempo la vita e la fine. Tutti elementi sicuramente di grande utilità per chi ha la responsabilità di governare i rischi sistemici.

Un’altra risposta plausibile è che soggetti vigilati possano/debbano meglio assicurare una gestione del rapporto con i debitori improntata a correttezza, buona fede eccetera che forse non era assicurata (né verificabile dall’ autorità bancaria se non indirettamente) quando la gestione era affidata a servicer non vigilati perché muniti solo di licenza ex articolo 115 TULPS (da qui: i 115).

Queste risposte però sembrano parziali e non del tutto congruenti.

Già nel 1999, quando fu emanata la legge 130 sulle cartolarizzazioni, la preoccupazione che le sofferenze bancarie non “sfuggissero di mano “ alla vigilanza aveva trovato la soluzione nel prevedere che la gestione dei portafogli cartolarizzati dovesse essere esercitata da banche e 106 tant’è che ora il decreto legislativo di recepimento esclude esplicitamente che le norme ivi contenute siano applicabili alle operazioni di cartolarizzazione ex legge 130/99 [9] (art. 114.2, co.2 del TUB). È pur vero che il mercato ha sostanzialmente aggirato questa norma (con la tolleranza del Regulator) creando la figura del “master servicer”, di norma un 106, assistito nell’operatività concreta del recupero dallo “special servicer”, di norma un 115.

Se si fosse voluto evitare il ricorso a operatori non regolamentati né vigilati come i 115 sarebbe bastato vietare l’utilizzo di “special servicer” riportando la gestione all’esclusiva di banche e 106 cui è riservata formalmente per legge.

D’altra parte, che questa non sia la risposta più corretta è testimoniato dalla previsione, contenuta nel decreto legislativo di recepimento, che il GCS può esternalizzare “parte” della sua attività a “fornitori di servizi” tra cui sono considerati a pieno titolo i 115 che, però, possono svolgere solo attività di recupero stragiudiziale. La stessa norma prevede questa possibilità anche per le banche e i 106. Quindi, sia pur con la limitazione della sola attività stragiudiziale, i 115 conservano, ora consacrata dalla legge primaria (e così non era prima), una loro specifica funzione.

È pur vero che, contrariamente ai 115, il GCS può godere del “passaporto europeo“ e operare, a determinate condizioni, nel territorio comunitario. Ma anche i 106, che pure per legge e regole di Banca d’Italia possono occuparsi di gestione di crediti in sofferenza, se vogliono operare fuori dei confini nazionali, debbono essere autorizzati con una specifica procedura da Banca d’Italia stessa.

Quindi, forse, attribuendo ai 106, senza vincoli di capitale regolamentare e con oggetto sociale specifico ed esclusivo sul recupero crediti in sofferenza e con le necessarie modifiche inserite nella norma di recepimento, si poteva evitare la creazione di una nuova figura ad hoc.

Resta il fatto che né la direttiva europea né il legislatore nazionale hanno voluto intervenire per regolare e qualificare gli ACS. Evidentemente sono state fatte considerazioni di opportunità che non ci sono note. Di sicuro non si è voluto assoggettare a regole e vigilanza operatori di mercato complessi quali i fondi speculativi ritenendo che vigilare sui gestori sia sufficiente ad evitare fenomeni non graditi o nocivi per il sistema. Chi vivrà vedrà.

Così facendo, cioè eliminando la riserva di legge preesistente per cui le attività continuative di acquisto crediti potevano essere esercitate solo da soggetti vigilati, non vi sarà alcun controllo sulla qualità degli acquirenti con tutte le conseguenze immaginabili. Il superamento di questa riserva di legge è stabilito ora all’articolo 114.3, secondo comma del TUB, dove si legge: “l’acquisto a titolo oneroso di crediti in sofferenza da parte di acquirenti di crediti in sofferenza non costituisce attività di concessione di finanziamenti ai sensi dell’articolo 106“ del TUB. Ne consegue in via definitiva che i crediti in sofferenza, se ceduti, sono mera merce. Ne deriva altresì che la riserva ex articolo 106 TUB resta valida per la compravendita di qualunque altro credito bancario diverso dalle sofferenze. Vedremo col tempo quali conseguenze potranno riverberarsi sul nascente, ma stentato, mercato degli UTP.

 

2. Un quadro di sintesi.

Tenendo conto della legislazione vigente, una banca (vigilata) oltre che gestire in proprio gli Npls, può:

1. cedere sofferenze ad un ACS (non vigilato) che incarica della gestione un GCS (vigilato) il quale può esternalizzare il recupero stragiudiziale ad un 115 (non vigilato);

2. incaricare un 115 (non vigilato) di effettuare la gestione stragiudiziale di sofferenze ed altri Npls..

3. incaricare un Agente in attività finanziaria (figura regolamentata dall’articolo 128 quaterdecies del TUB) per “attività di consulenza e gestione dei crediti a fini di ristrutturazione e recupero degli stessi” anche non in sofferenza.

4. incaricare un 106 (vigilato) per la gestione dei crediti in sofferenza il quale a sua volta può incaricare un 115 (non vigilato) per la gestione stragiudiziale oppure un GCS (vigilato) oppure un Agente in attività finanziaria (v. punto 3).

5. incaricare un GCS (vigilato) per la gestione di sofferenze il quale può incaricare un 115 (non vigilato) per la gestione stragiudiziale.

6. cedere sofferenze ad un SPV 130 (non vigilato) che incarica per la gestione una banca (vigilata) o un 106 (vigilato) che possono a loro volta incaricare un 115 (non vigilato) o un GCS (vigilato) per la gestione stragiudiziale.

7. incaricare un 106 (vigilato) per la gestione di un Npls diversi da sofferenze che può incaricare un 115 (non vigilato) per la gestione stragiudiziale o un Agente in attività finanziaria (v. punto 3).

Come si vede le alternative sono diverse, ma non è chiara la ratio se non quella di avere un’area di stretto controllo verso la gestione giudiziale delle sofferenze (vedi ultra).

Resta la considerazione che il GCS avrà oneri regolamentari di rilievo che potrebbero incidere sulla economicità della gestione e quindi sulla attrattività del servizio per l’investitore. D’altra parte è indubbio che se un ACS, diverso da una banca, da un 106 o da un 130 vuole investire in sofferenze dovrà necessariamente avvalersi di un GCS vigilato e regolato incorporandone i costi regolamentari e di struttura anche sotto il profilo del costo del personale che verosimilmente non potrà essere diverso da quello bancario data la natura di soggetto regolamentato del GCS. Questa novità avrà effetti non favorevoli su un mercato già critico a dispetto degli intenti di efficientamento dichiarati nella SMD.

Non ci sarebbe da stupirsi se le banche, in prospettiva, dovessero ritenere più conveniente tornare ad occuparsi direttamente della gestione degli Npls piuttosto che registrare perdite da cessioni massive. In tal caso dovranno riorganizzare le loro strutture di recupero crediti ormai minimali.

 

3. Attività giudiziale ed attività stragiudiziale.

Il decreto legislativo di recepimento si occupa quasi esclusivamente della gestione dei crediti in sofferenza (sono esclusi altri crediti anche se Npls; v. Art. 114.1, primo comma, lettera a) del TUB).

In realtà all’articolo 114.3, primo comma, lett. a) è precisato che i GCS iscritti nell’albo di cui all’articolo 114.5 possono svolgere “l’attività di recupero crediti stragiudiziale” di crediti diversi da quelli indicati dall’articolo 114.1, primo comma, lett.a), cioè le sofferenze bancarie.

La norma tende a fare una distinzione netta tra “gestione dei crediti in sofferenza“ e “recupero stragiudiziale di crediti“, pur non indicando nel dettaglio il contenuto dei due concetti. Ma all’articolo 114.1, comma 1, lett.b) TUB si precisa che la gestione dei crediti in sofferenza consiste nello svolgimento della generica attività di “incasso e recupero dei pagamenti dovuti dal debitore” (punto 1), “rinegoziazione dei termini e delle condizioni contrattuali con il debitore“ (punto 2), di gestione dei reclami (punto 3) e dell’ informativa al debitore sulla variazione dei tassi ecc. (punto 4).

La norma di recepimento prevede che il GCS debba svolgere almeno una delle attività di cui alla citata lett.b), ma la Banca d’Italia è più restrittiva: “per il rilascio dell’autorizzazione si richiede che il gestore di crediti in sofferenza svolga almeno l’attività di riscossione e il recupero dei pagamenti dovuti dal debitore ceduto“ (v. Documento BdI citato, Parte prima, capitolo secondo, sezione quinta, punto 2, nota 4).

Si potrebbe disquisire sulla differenza concettuale e concreta tra “incasso” e “riscossione”, ma, in ogni caso, poiché la norma non esclude che il conseguimento di un risultato di recupero possa avvenire senza attivazione di procedure giudiziarie (esclusione che sarebbe controproducente), sembra che si sia voluto prevedere che il GCS possa operare in questo ambito solo per le sofferenze, escludendo invece esplicitamente che possa occuparsi di azioni giudiziarie per conto del creditore (ACS, banche o 106) per crediti diversi dalle sofferenze bancarie.

Sottostà a questa lettura un altro limite dell’attività del GCS che non potrà fornire un servizio end to end (come fanno ad oggi anche i 115) per crediti diversi dalle sofferenze.

In modo più esplicito, nelle citate disposizioni di vigilanza in consultazione, al Capitolo due, Sezione prima, 1, lett. g), è prescritta per i GCS “la limitazione dell’oggetto sociale all’attività di gestione di crediti in sofferenza di cui all’articolo 114.1,comma primo, lett. b) del TUB e all’attività di recupero stragiudiziale dei crediti diversi da quelli indicati dall’articolo 114.1, comma primo, lettera a)“. Nello stesso documento per “attività di gestione di crediti in sofferenza“ si precisa che, di norma, il GCS, tra l’altro, “avvia e segue lo svolgimento delle procedure esecutive“ (Parte prima, Capitolo quinto, Sezione sesta, numero 3). Non ci si riferisce invece mai ad una attività orientata alla soluzione stragiudiziale che è da considerare assolta nel concetto di “riscossione e recupero dei pagamenti dovuti dal debitore” (ibidem). Deve quindi concludersi che, dove ci si riferisce alla sola attività stragiudiziale, consegue un divieto implicito di svolgere attività giudiziale.

 

Rebus sic stantibus, anche i 115 non possono svolgere recuperi per il tramite di attività giudiziale. Questa interpretazione, rafforzerà la posizione di coloro che negli ultimi anni hanno sostenuto che nelle operazioni di cartolarizzazione lo “special servicer”, se 115, non ha legittimità a stare in giudizio per conto della SPV.

 

4. Cessione di crediti in sofferenza da parte di ACS.

Sin dall’inizio del dibattito sulla bozza della norma di recepimento della SMD si era posta una domanda. Un credito in sofferenza acquistato da un ACS e gestito da un GCS, qualora venisse ceduto a terzi, sfuggirebbe alla normativa del decreto legislativo 116/24?

Se così fosse, sia pur con qualche complessità operativa, tutto l’impianto della norma di recepimento sarebbe facilmente aggirabile e lo scopo di tenere sotto il controllo della vigilanza il mondo delle sofferenze cedute sarebbe vanificato.

In un precedente lavoro [10] chi scrive aveva ipotizzato la statuizione di una sorta di “qualificazione genetica della sofferenza” che (ancorché merce) non avrebbe perso la sua natura e quindi avrebbe dovuto essere sempre gestita da un GCS anche in presenza di cessioni ulteriori dopo la prima.

Il testo promulgato fa cenno al tema, ma non risolve il problema.

All’ art 114.3, quinto comma, lett. c), si legge: “in caso di cessione dei crediti in sofferenza dallo stesso gestiti ad un altro acquirente di crediti in sofferenza, [il GCS ] comunica con periodicità almeno semestrale alla Banca d’Italia con riferimento alle cessioni effettuate nel periodo i dati…“.

Quindi, le cessioni di sofferenze cedute dalle banche non sono vietate e questo appare ovvio perché si limiterebbe in modo irragionevole l’efficienza della gestione. Ma la prescrizione che tali obblighi di informativa attengono al caso di cessione ad “altro acquirente di crediti di sofferenza“ lascia aperta la possibilità che la cessione (del singolo credito o di un portafoglio di crediti ?) possa avvenire a beneficio di un terzo che non si qualifica come ACS? Per esempio perché non si caratterizza come quella “persona fisica o giuridica, …, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale acquista crediti in sofferenza” (Art. 114.1, primo comma, lett. e)). È il caso di una società industriale che ha interesse a rilevare un debito in sofferenza di una consociata o di un suo fornitore.

Ma, se un credito in sofferenza viene riceduto ad un soggetto che “non acquista crediti in sofferenza”, quel credito perderà la caratteristica di “credito in sofferenza” entrando nella sfera giuridica di un soggetto privato che eserciterà il diritto di credito verso un altro soggetto privato?

Se questo è corretto -e sembra indiscutibile-non saranno rari i casi in cui le sofferenze di origine bancaria usciranno dall’alveo di un sistema regolamentato e vigilato (quindi costoso) con buona pace per gli intenti dei Regulator di tenere sotto controllo le vicende di questo mercato.

Se però questa interpretazione non fosse considerata corretta, un cessionario di crediti in sofferenza che ha acquistato da una ACS cessionario della banca originator potrebbe rischiare le pesanti sanzioni ora specificatamente introdotte dall’articolo 128 del TUB con il comma 1,ter qualora non rispetti le norme introdotte nel TUB dal decreto legislativo di recepimento. Poiché queste norme non riguardano le operazioni di cartolarizzazione ex L. 130/99, si avrebbe una disparità di regole per le sofferenze acquistate da un ACS e per quelle acquistate da un SPV (senza vincoli di cessione) pur essendo all’ attenzione del legislatore il medesimo oggetto, cioè la sofferenza di origine bancaria.

La questione merita ulteriori approfondimenti e chiarimenti per evitare che l’ormai avviato mercato secondario degli Npls, costituito dalle cessioni dei cessionari delle banche, ne sia sfavorito nonostante uno degli scopi della SMD sia proprio quello di “promuovere lo sviluppo di un mercato secondario europeo dei crediti deteriorati più competitivo efficiente e trasparente”.

Inoltre, se così non fosse, una certa “intrusività’” del GCS nel bilancio della ACS si estenderebbe all’infinito per ogni successivo cessionario di quel credito (v. ultra). Un altro freno non da poco per il mercato secondario.

 

5. La valutazione del credito in sofferenza ceduto.

All’ articolo 114.4 del TUB (“informativa ai potenziali acquirenti di crediti in sofferenza…“), al primo comma, si stabilisce che “le banche forniscono ai potenziali acquirenti di crediti in sofferenza le informazioni necessarie a questi ultimi per effettuare una valutazione del credito e della probabilità di recuperarne il valore” (nostro il grassetto).

Nella bozza di testo circolarizzata dal MEF a gennaio 2024 la dizione era diversa: le banche “forniscono ai potenziali acquirenti di crediti in sofferenza le informazioni necessarie per effettuare una valutazione del credito e la probabilità di recuperare il relativo valore“ (nostro il grassetto). Chi scrive aveva osservato [11] che questa formulazione non sarebbe piaciuta alle banche cedenti costrette a comunicare al potenziale acquirente il proprio NBV [12] (cioè il valore netto di bilancio che corrisponde alla probabilità di recupero). Evidentemente la nuova formulazione è stata anche frutto di tali osservazioni ed ora le banche hanno solo l’obbligo di fornire le informazioni necessarie per valutare ma non la loro valutazione, in linea con quanto previsto nel Regolamento di esecuzione (UE) 2023/2083 [13].

Questa sì è una disposizione che tende a rendere più efficiente il mercato ed a migliorare il pricing delle cessioni non più afflitto dalla incertezza valutativa dei crediti conseguente ad un inadeguato corredo informativo.

Però il legislatore del recepimento,al quinto comma dell’articolo 114.4 TUB, non ha utilizzato la stessa cautela per cui, pur modificando il testo, ha previsto che, qualora la Banca d’Italia estendesse l’applicazione del primo comma a soggetti diversi dalle banche (per esempio i 106) dovrebbe identificare “i casi in cui le informazioni necessarie per effettuare una valutazione del credito e la probabilità di recuperare il relativo valore sono fornite al potenziale acquirente …” (nostro il grassetto). Siamo di nuovo al NBV.

Per ora la Banca d’Italia, nella citata bozza delle “Disposizioni di vigilanza per la gestione dei crediti sofferenza “, alla Parte seconda, Capitolo primo, Sezione terza,numero 1, si limita a prescrivere che i 106 “forniscano ai potenziali acquirenti di crediti solo le informazioni obbligatorie indicate nel regolamento di esecuzione (UE) 2023/2083“ all’articolo 4 (nostra la sottolineatura).

In tema di valutazione del credito c’è un’altra prescrizione da non trascurare. Il GCS ha l’obbligo di assicurare all’ ACS l’adeguatezza delle rettifiche di valore e dei passaggi a perdita (Disposizioni di vigilanza cit., Parte prima, Capitolo quinto, Sezione sesta, n. 3). Questa è sicuramente una novità di rilievo non prescritta nel decreto legislativo 116/24. Finora i servicer erano tenuti a fornire in itinere ai loro mandanti titolari di crediti acquistati tutte le informazioni utili per la valutazione dei crediti, anche a fini bilancisti, ma la responsabilità della valutazione era ed è pur sempre del titolare del credito il quale non può certo trasferirla al gestore. Ora, invece, per disposizioni regolamentari, sarà il GCS che “assicura l’adeguatezza delle rettifiche di valore” che verranno rilevate nel bilancio dell’ ACS come pure i passaggi a perdita. Così come il GCS “assicura che la valutazione dell’attività a garanzia di crediti gestiti sia effettuata sulla base di criteri affidabili e prudenti e sia monitorata e rivisitata con cadenza periodica”.

Insomma, il bilancio dell’ ACS, almeno per le sofferenze acquistate, è nelle mani del GCS. Anche questa responsabilità, del tutto nuova per un servicer, avrà un costo per l’ ACS. Qualora si adottasse l’interpretazione che le eventuali future cessioni di sofferenze restano per sempre assoggettate alle norme del decreto legislativo 116/24, tutti i successivi cessionari avranno bilanci condizionati dai GCS.

 

6. La gestione degli immobili.

All’articolo 114.3 del TUB, comma primo, lett. b), si prevede che i GCS possano svolgere “attività connesse e strumentali“. La Banca d’Italia, cui sono delegate le disposizioni attuative, tra le altre attività connesse e strumentali al recupero crediti in sofferenza, ha previsto che il GCS esercita la “gestione di immobili ad uso funzionale oppure immobili acquistati o detenuti per il recupero di crediti in relazione al tempo strettamente necessario per effettuarne la cessione“ (Parte prima, Capitolo 3, Sezione III, numero 1),lett. a)), escludendo la possibilità di svolgere attività immobiliari di tipo meramente speculativo e precisando che si tratta di “immobili per recupero crediti e ogni altro immobile acquisito ai fini del perseguimento dell’oggetto sociale della società acquirente [ACS]o di altre componenti del gruppo di appartenenza “ (dell’ ACS?) [14].

Questa attività è qualificata da Banca d’Italia come “strumentale“.

Un tema che non è affatto oggetto della normativa di recepimento. Quindi è stato il Regulator a volerlo introdurre e normare, consapevole che nella pratica di mercato l’elemento delle garanzie immobiliari è di rilievo non secondario.

È evidente che il GCS non può occuparsi di immobili se non a fini di recupero (quelli di proprietà o detenuti a fini funzionali qui non rilevano). La particolarità è che si dia per scontato che il GCS possa investire in immobili e gestirli senza alcun concerto con l’ ACS che nelle normative di vigilanza non appare coinvolta. Ancorché all’art.114.1, comma 1, lett. b, n.2, sia stabilito che la “rinegoziazione dei termini e delle condizioni contrattuali con il debitore” debbono essere definite “in linea con le istruzioni dell’ acquirente di crediti in sofferenza”, appare evidente che nelle istruzioni della Banca d’Italia, almeno per quanto riguarda l’acquisizione degli immobili per recupero, si voglia attribuire al GCS un’autonomia gestionale non usuale fino ad oggi nell’attività di servicing dove i poteri delegati sono comunque limitati da policies contrattualmente stabilite nei mandati. Anche questa costituisce una novità significativa che informa tutta la normativa in esame attribuendo al GCS un ruolo ed un’autonomia gestionale alle quali non eravamo abituati.



[1] Direttiva (UE) 2021/2167 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2021.

[2] Decreto legislativo 30 luglio 2024, n.116 Recepimento della direttiva (UE) di cui alla nota precedente, relativa ai gestori di crediti ed agli acquirenti di crediti e che modifica le direttive 2008//48/UE e 2014/17/UE, in G.U. n.189 del 13 agosto 2024.

[3] Dino Crivellari, Crediti deteriorati: un fenomeno endemico. Le nuove proposte in Parlamento, Scritti in onore di Gino Cavalli, a cura di A. Caiafa, Nuova editrice universitaria.

[4] Tra i molti: A. Baranes, Tassi, hedge fund e shadow banking: perché il sistema finanziario rischia, 25 settembre 2023; F. Panetta, intervento al 30° Congresso ASSIOM FOREX, Genova del 10 febbraio 2024.

[5] Fondo di garanzia sulle cartolarizzazioni delle sofferenze previsto dal D.L. 14 febbraio 2016, n.18, convertito con modificazioni in L. 8 aprile 2016, n. 49.

[6] D. Legislativo 1° settembre 1993, n. 385.

[7] R.D.L. 375/36.

[8] V. BCE, Occasional paper series, n. 270, Non-Bank financial intermediation in the euro area: implications for monterary policy trasmission and key vulnerabilities, Dicembre 2021.

[9] Legge 30 aprile 1999, n. 130.

[10] Dino e Francesca Crivellari, Servicing di npl: criticità e prospettive …, in Ristrutturazioni aziendali, febbraio 2024.

[11] V. nota 10.

[12] Net book value, valore di bilancio del credito al netto degli accantonamenti per perdite attese.

[13] Regolamento di esecuzione (UE) 2023/2083 della Commissione del 26 settembre 2023 che stabilisce norme tecniche di attuazione dell’art.16, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2021/2167 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i modelli che devono essere usati dagli enti creditizi per la trasmissione agli acquirenti di informazioni sulle esposizioni creditizie nel portafoglio bancario.

[14] Una formulazione alquanto oscura.