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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Fondi Pubblici per le PMI: quando una opportunità si trasforma in un rischio


Simone Pesucci

Data pubblicazione
04 ottobre 2024

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Sommario: 1. Introduzione – 2. Quali e quanti sono i contributi a fondo perduto in Italia – 3. Le risorse accessibili dai fondi europei – 4. Le modalità di accesso – 5. I controlli dell’Agenzia delle Entrate – 6.  I Rischi di una revoca del contributo – 7. Possibili profili di responsabilità – 8. Conclusioni


1.       Introduzione

Lo scritto affronta il tema dei contributi a fondo perduto - aumentati esponenzialmente in numero e ammontare negli anni successivi all’evento pandemico - e della pericolosa ricaduta che spesso hanno sull’impresa.

Come è noto, in Italia i contributi a fondo perduto rappresentano una risorsa cruciale per sostenere le imprese, soprattutto in contesti di innovazione, transizione ecologica e crescita sostenibile. Non è un caso, quindi, che la maggior parte delle PMI si avvalga di queste “risorse finanziarie” aggiuntive per la crescita del proprio progetto imprenditoriale.

Purtroppo, in particolare nella fase embrionale di una Start-up, queste pressanti esigenze emergono dai dati: il 56% delle Piccole e Medie Imprese (PMI) ritiene necessario ottenere un finanziamento entro una settimana, mentre il 31% ne sente l’urgenza entro 48 ore. Questa percezione di necessità è alimentata dall’incertezza e dall'instabilità economica, per cui i fondi richiesti sono spesso destinati non solo e non tanto a finanziare investimenti per la crescita, quanto a coprire spese correnti o far fronte a eventi imprevisti, come l'aumento improvviso dei prezzi delle materie prime. Anziché per crescere e consolidarsi, queste concessioni vanno, così, a coprire le spese correnti che un’impresa che sta muovendo i primi passi e per giunta in un mercato in crisi non è in grado di sostenere. Ciò naturalmente – come dirò più avanti – solleva di per sé dubbi sul progetto di business.

Il problema deve essere contestualizzato nella fascia di imprese nelle quali emerge.

Un sondaggio condotto da Workinvoice insieme all'Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano mette in luce una realtà complessa e poco esplorata, priva di dati sistematici ma fondamentale per il tessuto economico italiano. Le PMI, con un fatturato complessivo stimato da Sace di oltre 1.000 miliardi di euro, contribuiscono a quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo della forza lavoro. Tra il 2010 e il 2019, queste imprese hanno aumentato la produttività del 7%, rappresentando anche un pilastro delle esportazioni italiane, con vendite estere che nel 2019 hanno raggiunto i 219 miliardi di euro, pari al 46% dell’export totale del paese.

A ciò si aggiunge la volatilità dei mercati che complica la gestione finanziaria delle PMI. Queste devono far fronte a pressioni come l’aumento dei prezzi energetici, causato dall'invasione russa dell'Ucraina, e le tensioni logistiche che allungano i tempi di incasso.

In questo contesto, più della metà delle PMI presenta necessità di liquidità entro una settimana, con settori come i servizi particolarmente colpiti per via della minore liquidità, a differenza di comparti come il trasporto e la logistica, che godono di una maggiore stabilità finanziaria.

Nonostante l’urgenza, la maggior parte delle PMI si affida ancora a strumenti di finanziamento tradizionali: il 72% si rivolge alle banche, il 15% al commercialista, mentre solo il 13% utilizza strumenti alternativi come, ad esempio, il “Supply Chain Finance”. I tassi di interesse elevati, insieme a tempi di approvazione troppo lunghi e alla mancanza di consulenze personalizzate, rappresentano per questa fascia di imprese una delle principali barriere per l'accesso al credito.

 

2. Quali e quanti sono i contributi a fondo perduto in Italia

È all’interno di questo quadro che si inseriscono i numerosi e variegati fondi messi a disposizione sia dallo Stato italiano che dall’Unione Europea.

Tra le più comuni tipologie di fondi a disposizione delle PMI in Italia possiamo ricordare, tra i contributi nazionali, il Fondo per la Crescita Sostenibile, La cd. “Nuova Sabatini”, Il Fondo per il Turismo Sostenibile[1] Smart & Start Italia; mentre, tra i contributi europei, spiccano i Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF).

Il primo è anche uno dei fondi “storici” messi a disposizione dell’imprenditoria italiana. Il Fondo per la Crescita Sostenibile ha sostituito, infatti, con la riforma degli incentivi del 2012, lo strumento precedentemente noto come Fondo per l’innovazione tecnologica (FIT); destinato al finanziamento di programmi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitività dell'apparato produttivo, con particolare riguardo alle seguenti finalità:

-           la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo, anche tramite il consolidamento dei centri e delle strutture di ricerca e sviluppo delle imprese;

-           il rafforzamento della struttura produttiva, il riutilizzo di impianti produttivi e il rilancio di aree che versano in situazioni di crisi complessa di rilevanza nazionale tramite la sottoscrizione di accordi di programma;

-           la promozione della presenza internazionale delle imprese e l'attrazione di investimenti dall'estero, anche in raccordo con le azioni che saranno attivate dall'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

Con decreto interministeriale 8 marzo 2013[2] venivano definite le priorità, le forme e le intensità massime di aiuto concedibili dal Fondo. In particolare, erano individuate le seguenti tipologie di interventi:

-    sostegno dei progetti di ricerca e sviluppo

-    rafforzamento della struttura produttiva del Paese

-    internazionalizzazione delle imprese e attrazione di investimenti dall’estero

-    progetti speciali per la riqualificazione competitiva di specifiche aree tecnologiche-produttive strategiche per la competitività del Paese

Le agevolazioni del Fondo sono concesse nella forma del finanziamento agevolato. La possibilità di concedere incentivi in forma diversa è subordinata al cofinanziamento comunitario o regionale.

Gli interventi del Fondo sono attuati con bandi ovvero direttive del Ministro dello sviluppo economico, in cui sono individuati, in particolare, l'ammontare delle risorse disponibili, i requisiti di accesso dei soggetti beneficiari, le condizioni di ammissibilità dei programmi d’investimento o dei progetti di ricerca e sviluppo, le spese ammissibili, la forma e l'intensità delle agevolazioni, nel rispetto delle intensità massime stabilite dalla normativa comunitaria, nonché i termini e le modalità per la presentazione delle domande, i criteri di valutazione dei programmi o progetti e le modalità per la concessione ed erogazione degli aiuti. Rinnovato con 110 milioni di euro per il 2024 e 220 milioni per il 2025, questo fondo è destinato a sostenere progetti di ricerca e sviluppo, in particolare nel settore della sostenibilità e dell'economia circolare.

A ruota segue la “Nuova Sabatini”, introdotta con il Decreto Ministeriale del 22 marzo 2023 recante “Disposizioni applicative per il riparto e l’erogazione delle risorse stanziate sul Fondo istituito dall’articolo 1, comma 611, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, destinate al potenziamento degli interventi finalizzati alla promozione dell’ecoturismo e del turismo sostenibile”; con esso il Ministero ha dato attuazione a quanto previsto all’articolo 1, commi 611-612, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.

Il Fondo ha una valenza pluriennale sul triennio 2023-2025 e una dotazione complessiva di 25milioni di euro.

Le misure sono indirizzate alle strutture ricettive, anche non imprenditoriali, e alle imprese turistiche che perseguiranno le seguenti finalità: rafforzare le grandi destinazioni culturali attraverso la promozione di forme di turismo sostenibile, l’attenuazione del sovraffollamento turistico, la creazione di itinerari turistici innovativi e la destagionalizzazione del turismo e favorire la transizione ecologica nel turismo, con azioni di promozione del turismo intermodale secondo le strategie di riduzione delle emissioni per il turismo; sostenere le strutture ricettive e le imprese turistiche nelle attività utili al conseguimento di certificazioni di sostenibilità. 

A tal fine, il Ministero ha definito tre avvisi pubblici atti a realizzare interventi utili all’ideazione, creazione, promozione, valorizzazione di progettualità che incentivino un turismo maggiormente sostenibile e realizzare interventi finalizzati all’ottenimento di certificazione di sostenibilità.

Altro strumento è lo Smart&Start Italia: uno strumento agevolativo istituito con decreto del Ministro dello sviluppo economico 24 settembre 2014 e successive modificazioni e integrazioni, finalizzato a promuovere, su tutto il territorio nazionale, le condizioni per la diffusione di nuova imprenditorialità e sostenere le politiche di trasferimento tecnologico e di valorizzazione economica dei risultati del sistema della ricerca pubblica e privata.

Con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 30 agosto 2019, adottato in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 29, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, sono state apportate modifiche al predetto decreto 24 settembre 2014, finalizzate ad una revisione della disciplina attuativa dell’intervento improntata, tra l’altro, alla semplificazione e accelerazione delle procedure di accesso, concessione e erogazione delle agevolazioni, anche attraverso l’aggiornamento delle modalità di valutazione delle iniziative e di rendicontazione delle spese sostenute dai beneficiari.

Con circolare della Direzione Generale per gli incentivi alle imprese n. 439196 del 16 dicembre 2019 sono stati definiti i criteri e le modalità per l’accesso, la concessione e l’erogazione delle agevolazioni.

Occorre però guardare anche oltre i confini italiani.

 

3. Le risorse accessibili dai Fondi Europei

In ambito europeo dobbiamo ricordare gli European Structural and Investment Funds (ESIF) disciplinati dal Regolamento (UE) n. 1303/2013, noto anche come Regolamento CPR (Common Provisions Regulation), che stabilisce norme comuni per tutti i fondi della politica di coesione dell'Unione Europea. Questo quadro normativo viene aggiornato periodicamente in funzione delle priorità europee e nazionali. Il regolamento definisce la programmazione, la gestione, il monitoraggio e il controllo dei fondi, e stabilisce gli obiettivi specifici per cui devono essere utilizzati.

Gli ESIF comprendono cinque fondi principali:

-    Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR): È il principale strumento per rafforzare la coesione economica e sociale nell'UE, riducendo le disparità tra le regioni. Il FESR finanzia progetti in settori come l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo, l'efficienza energetica e le infrastrutture regionali;

-    Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+): Promuove politiche di inclusione sociale, sostenendo l'occupazione, l'istruzione e la formazione professionale. L'obiettivo è migliorare le opportunità di lavoro, ridurre la povertà e combattere la disoccupazione di lunga durata;

-    Fondo di Coesione: Finanziato per le regioni con un PIL inferiore al 90% della media UE, il Fondo di Coesione è destinato a sostenere progetti infrastrutturali, soprattutto nel campo delle reti di trasporto transeuropee e delle energie rinnovabili;

-    Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR): Si concentra sullo sviluppo rurale, finanziando progetti che migliorano la competitività agricola, promuovono la gestione sostenibile delle risorse naturali e supportano l'economia nelle aree rurali;

-    Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l'Acquacoltura (FEAMP): Sostiene il settore della pesca e dell'acquacoltura, contribuendo alla sostenibilità delle attività marittime e alla conservazione degli ecosistemi marini.

L'Accordo di partenariato tra l'UE e l’Italia, approvato il 19 luglio 2022, reca l'impianto strategico e la selezione degli obiettivi di policy su cui si concentrano gli interventi finanziati dai Fondi europei per la coesione per il ciclo di programmazione 2021-2027. Si tratta, nel complesso, di circa 43,1 miliardi di risorse comunitarie assegnate all'Italia, di cui oltre 42,7 miliardi destinati specificamente a promuovere la politica di coesione economica, sociale e territoriale la gran parte dei quali destinata alle regioni meno sviluppate (oltre 30 miliardi). Ai contributi europei, come detto sopra, si aggiungono le risorse derivanti dal cofinanziamento nazionale, per un totale di risorse finanziarie programmate nell'Accordo di Partenariato per il periodo di programmazione 2021-2027 pari a oltre 75 miliardi di euro complessivi.

All’interno del quadro non possiamo non citare i fondi derivanti dal PNRR e fondi di ripresa, parte del programma europeo Next Generation EU. Il PNRR ha allocato risorse significative per finanziare la transizione verde e digitale delle imprese italiane, con contributi a fondo perduto per progetti legati a settori strategici come la transizione energetica, la digitalizzazione e l'innovazione.

Insomma, le imprese hanno dinanzi una moltitudine variegata di offerenti e di offerte alle quali poter attingere.

 

4. Le modalità di accesso

Ottenere l’accesso a questi fondi è relativamente agevole anche grazie alle numerose società che si offrono di gestire l’intera istruttoria, dall’individuazione del fondo più opportuno per l’impresa, alla compilazione della domanda finale.

Il presente studio, però, non si concentra sui benefici, sicuramente importanti, per le PMI, nel breve termine, ottenuti dall’erogazione di queste somme; bensì si sofferma su una fase successiva, in molti casi anche estremamente ravvicinata, in cui tali somme, per motivi vari, vengono richieste indietro dall’Agenzia delle Entrate.

Rendere agile l’accesso a queste somme, snellirne la struttura burocratica, ha significato allentare i controlli preventivi che garantivano un filtro delle domande.

L’Agenzia delle Entrate richiede, infatti, una modulistica decisamente poco sviluppata per tutti gli importi sino ad euro 150.000,00=, riservandosi però di verificare in un momento successivo l’effettiva idoneità dei richiedenti.

Questo meccanismo ha permesso di finanziare molte nuove imprese, che quindi hanno negli anni rodato una prassi che le portava costantemente ad attingere da questo genere di finanziamenti a fondo perduto.

Oggi si possono contare anche molte società che operano proprio nel campo dei fondi, offrendo alle start-up di agevolarle per l’ottenimento di questi, con risultati altalenanti.

È proprio a questo punto che la “favola” dei contributi finisce e comincia una storia, benché sottotraccia, dal gusto assai amaro.

 

5. I controlli dell’Agenzia delle Entrate

Dal 2023, complice anche il disastroso effetto boomerang operato dal bonus 110% che coinvolgeva le ristrutturazioni degli immobili, Agenzia delle Entrate ha iniziato una importante revisione di tutti i contributi erogati, a qualsiasi titolo, a privati e imprese.

Avendo tralasciato del tutto il controllo preventivo, in favore di una erogazione agile e veloce, gli effetti del controllo successivo si stanno facendo rapidamente sentire.

L'Agenzia delle Entrate, infatti, verifica i dati dichiarati nelle istanze applicando le regole di accertamento sulle dichiarazioni fiscali (articoli 31 e seguenti del Dpr n. 600/1973). Inoltre, controlla anche i dati delle fatture elettroniche, dei corrispettivi telematici, delle liquidazioni periodiche Iva e delle dichiarazioni Iva. Indipendentemente dall'importo del contributo erogato, vengono effettuati controlli specifici per prevenire infiltrazioni criminali, regolati da un protocollo d'intesa tra il Ministero dell'Interno, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate.

Sempre in base a questo protocollo, l'Agenzia trasmette alla Guardia di Finanza i dati e le informazioni raccolte per le attività di controllo economico-finanziario. Se dai controlli emerge che il contributo non è dovuto, l'Agenzia procede al recupero e applica una sanzione che va dal 100% al 200% dell'importo, senza possibilità di agevolazioni. Inoltre, si applica l'articolo 316-ter del Codice penale per indebita percezione, che prevede reclusione da 6 mesi a 3 anni o, per importi inferiori a 4.000 euro, una sanzione amministrativa da 5.164 a 25.822 euro, con un massimo di tre volte il contributo indebitamente percepito. Chi ha presentato un'autocertificazione antimafia falsa rischia una pena da due a sei anni di reclusione. Infine, se il contributo è stato erogato, si applica la confisca prevista dall'articolo 322-ter del Codice penale.

Tralasciando le severe conseguenze legate ai rapporti tra le imprese che hanno fatto richiesta e la criminalità di origine mafiosa, resta il fatto che “se il contributo non è dovuto” oltre a recuperarlo, si applica una sanzione dal 100% al 200% dell’importo, senza possibilità di agevolazioni.

Questo è il quadro di riferimento entro cui opera l’Agenzia delle Entrate rispetto ai contributi erogati a fondo perduto.

 

6. I Rischi di una revoca del contributo

A fronte di una richiesta iniziale di accesso “leggera”, redatta a fronte di un progetto imprenditoriale astrattamente idoneo a ottenere le somme, ma nel concreto verosimilmente ancora poco sviluppato o poco chiaro nella sua esposizione, così una start-up che, dopo due o tre anni dall’erogazione di una somma essenziale per la sua vitalità, debba restituire l’importo unitamente a una sanzione e, quindi, in misura doppia o tripla rispetto al ricevuto raddoppia o triplica l’importo, è costretta a cessare l’attività scegliendo, di conseguenza, la via di una procedura concorsuale.

Nessuna impresa con queste caratteristiche – che poi sono proprio quelle che maggiormente possono attingere ai contributi sopra descritti – può sopravvivere ad una richiesta di rimborso simile.

Il danno è irrimediabile, non soggetto a nessuna forma di definizione agevolata e in molti casi lascia a chi voleva fare impresa pochissimo tempo per provare a porre in essere una seppur minima linea difensiva.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate può emanare l’atto di recupero motivato, che deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello in cui il contributo è stato fruito. Con l’atto di recupero sono irrogate le sanzioni ed applicati gli interessi (tasso del 4% ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973).

È proprio questo il punto centrale: non aver consentito un maggior controllo in entrata, se non quelli “formali” già sopra indicati, ha impedito alle imprese di approfondire e sviluppare la documentazione necessaria per spiegarne le finalità; tra l’altro, nel caso di rigetto dell’istanza, non vi sono danni economici di alcun tipo: le somme non vengono girate e la società non comincia a svolgere la propria attività (perlomeno, non in quel ramo d’azienda).

Peraltro, a differenza dell'art. 25 del D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio) l'art. 1 del D.L. 41/2021 (Decreto Sostegni) al comma 13 stabilisce infatti che "Le disposizioni del presente comma e dei commi da 14 a 17 si applicano alle misure di agevolazione contenute nelle seguenti disposizioni, per le quali rilevano le condizioni e i limiti previsti dalle Sezioni 3.1 «Aiuti di importo limitato» e 3.12 «Aiuti sotto forma di sostegno a costi fissi non coperti» della Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19», e successive modificazioni" e proprio quest'ultima disposizione, dopo le modifiche intervenute, prevede che "gli aiuti possono essere concessi alle microimprese o alle piccole imprese ... che risultavano già in difficoltà al 31 dicembre 2019, purché non siano soggette a procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale".

Ciò a dire che alcuni dei contributi sopra menzionati possono essere stati rilasciati a imprese che già avevano una sofferenza economica. Circostanza lodevole, se si pensa che il quadro normativo è quello previsto proprio dalla normativa emergenziale; ma ovviamente non così virtuoso se l’obiettivo è quello di elargire importi a soggetti che potrebbero non averne diritto, per alterare quindi la loro posizione patrimoniale procrastinando una loro inevitabile dipartita liquidatoria o peggio, chiedendone poi ulteriormente la restituzione mediante revoca del contributo erogato.

 

7. Possibili profili di responsabilità

La sola circostanza che uno strumento con una tale potenziale possa diventare un elemento di crisi per una impresa in crescita, impone due importanti riflessioni.

La prima riguarda i controlli in fase di presentazione della domanda: dal momento che AdE ha gli strumenti per approfondire e sviscerare il progetto dell’istante, anche richiedendo ulteriore documentazione a sostegno, non si comprende perché non li metta in campo sin da subito.

Si parla, senza girarci troppo attorno, di una responsabilità che sconfina nella concessione abusiva del credito, con l’aggravante che il credito in questione è rappresentato da soldi provenienti da fondi pubblici ed erogato senza applicazione di alcun tasso di interesse.

Dovremmo chiederci come sia possibile che un Ente statale possa erogare tali somme, in maniera errata, senza incorrere in alcuna responsabilità, rilevabile magari dal curatore all’apertura di una liquidazione giudiziale.

A tal fine occorre ricordare che molti di questi contributi possono essere erogati anche a imprese in difficoltà: proprio a tal fine l’uso dovrebbe essere estremamente oculato e attento.

Invece, complice una evidente volontà politica di veicolare un messaggio eccessivamente ottimistico, si mira a deresponsabilizzare la fase di verifica preventiva.

Con le conseguenze sopra menzionate.

Ma occorre fare una ulteriore riflessione anche sull’imprenditore che presenta l’istanza.

In generale, la funzione di predisporre assetti organizzativi adeguati rientra nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche.

Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è, però, assoluto: la scelta di gestione è insindacabile se è stata legittimamente compiuta e se non è irrazionale. L’art. 375 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, introdotto dal Decreto Legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, ha profondamente modificato l’art. 2086 c.c., aggiungendovi un secondo comma e sostituendo la relativa rubrica denominandola “Gestione dell’impresa”. Il secondo comma prevede che: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

L’adeguatezza del sistema organizzativo deve essere vagliata in ragione della natura, dimensione e complessità dell’impresa in questione. E’ evidente che il dovere imposto dall’art. 2086 c.c. comporta una compressione della discrezionalità dell’imprenditore nella gestione e organizzazione dell’impresa.

Il problema del rapporto tra l’ambito operativo del principio della “business judgment rule“ e le scelte inerenti gli assetti organizzativi si pone in quanto l’opzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, nel senso che l’organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all’adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nel momento di crisi.

La domanda da porci quindi è: può la presentazione di una istanza per ottenere un contributo a fondo perduto a cui non si avrebbe diritto, rappresentare una fonte di responsabilità per l’imprenditore?

Ed è una domanda di non poco conto, se si considera l’effetto che una revoca successiva (con le sanzioni che ne raddoppiano o triplicano l’importo) può causare.

Le norme che devono essere prese in considerazione sono gli articoli 2476 e 2086 c.c. Invero l’art. 2476 c.c. nella nuova formulazione prevede che “..gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione e dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio della società risulti insufficiente al soddisfacimento dei propri crediti..”

Tale norma deve essee coordinata con il disposto dell’articolo 2056 c.c. che a seguito della citata modifica legislativa stabilisce che “(...) l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale”.

Agli occhi dello scrivente, ove sia palese la presentazione di una istanza priva di presupposti, non si dovrebbe poter prescindere da una forma di responsabilità rilevabile in sede di liquidazione giudiziale.

Responsabilità che coinvolge non soltanto l’amministratore ma, ove la società ne abbia i presupposti, anche il collegio sindacale, che verificando i dati del bilancio, potrebbe ben evidenziare l’illogicità dell’utilizzo del fondo rispetto al core business della società.

A questo potremmo aggiungere anche una forma di responsabilità successiva: il caso, ad esempio, di un contributo a fondo perduto ottenuto per motivi giusti, ma poi utilizzato per scopi diversi, magari perché il progetto innovativo poi non viene portato a termine. In questo caso vi sarebbe comunque una responsabilità dell’imprenditore che scientemente decide di usare tali somme per scopi distanti dalla ragione per cui li ha ottenuti.

La circostanza può essere facilmente rivelata da una imputazione ex art. 316-ter c.p., che disciplina il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Tale fattispecie prevede che, salvo che il fatto costituisca truffa nelle erogazioni pubbliche (articolo 640-bis c.p.), chiunque, mediante utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o con l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, o altre erogazioni comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato o da altri enti pubblici, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Dal momento che tale imputazione può scattare per tutte le richieste considerate illegittime sopra i 4000 euro, potremmo certamente individuare una responsabilità dell’amministratore o dell’imprenditore laddove a fronte di una richiesta di contributo sia conseguita una condanna ai sensi del 316-ter c.p.

In conclusione l’erogazione di contributi a fondo perduto è molto attraente se letta con l’occhio dell’opportunità di accesso; è letale se, diversamente, comporta una restituzione e una distruzione dell’impresa, con ogni effetto collaterale che porta con sé.

A me pare evidente il danno diretto, derivante dalla restituzione immediata del contributo, con le maggiorazioni di legge; un danno che si ripercuote sulla vita stessa della società e ne può determinare in molti casi la fine.

Ma non si tratta soltanto di questo: una società che chiede un contributo per avviare un processo innovativo, o di trasformazione del ciclo produttivo – magari nell’ottica di rendere il prodotto più ecosostenibile o di migliorarne l’efficienza – lo investe nell’azienda stessa: aumenta o forma diversamente il numero dei dipendenti; ristruttura i locali destinati alla produzione o ne acquisisce di nuovi; investe in nuovi macchinari. Come ogni investimento, quindi, l’impatto economico non si limita al perimetro dei conti aziendali, andando ad impattare a catena su tutta una serie di soggetti esterni.

A monte possiamo individuare un ulteriore danno inevitabile, ovvero l’estrema difficoltà che si possa recuperare il credito erogato: una società in crisi blocca il ciclo produttivo e impedirgli l’accesso ad una definizione agevolata comporta una paralisi del progetto imprenditoriale: nella migliore delle ipotesi, si costringe l’impresa a dirottare risorse in un diverso progetto societario; nella peggiore, semplicemente si pongono le basi per l’apertura di una liquidazione giudiziale.

In entrambi i casi però, è assai improbabile che possa esserci un recupero del credito erogato, che quindi resterà insoddisfatto insieme alla massa dei crediti.

E infine: un contributo erogato male è un contributo perso: un’occasione sprecata, oltreché un danno economico. Per un soggetto che abbia ricevuto – non avendone i requisiti – una somma, e che vedrà comunque fallire il suo progetto, ce n’è un altro che poteva essere più idoneo e non ha ottenuto niente.

 

8 - Conclusioni

Dobbiamo soffermarci sui numeri: Agenzia delle Entrate dichiara, a fronte di oltre 17 miliardi alle imprese il recupero, nel 2022, di oltre 9,6 miliardi per contributi non spettanti.

In termini assoluti è un dato tutt’altro che rassicurante, perché dice molto sia della superficialità imprenditoriale nel richiedere fondi a cui evidentemente non si avrebbe diritto, ma esplica anche una incapacità nei controlli preventivi a saper filtrare bene le istanze.

Il quadro ora tratteggiato spinge a porre l’attenzione ad una fase cruciale ed essenziale, ovvero quella dei controlli preventivi: al pari del meccanismo che regola ormai la richiesta di finanziamenti presso gli istituti bancari, anche questo credito deve attraversare controlli più specifici e che possano in qualche modo garantire una sorta di immunità successiva (fatti salvi i soli casi di violazione della normativa antimafia): altrimenti è inevitabile che si corra sempre il rischio di affidare somme a soggetti inidonei che comunque non saranno mai in grado di restituirle.

Vi è, nel contempo, un problema di mentalità dell’imprenditore e dell’ente che si occupa di gestire tali fondi: nel primo, perché non riesce a mantenere unito il concetto che possa accedervi solo se li utilizzerà per lo scopo per cui sono stati creati; egli vede troppo spesso solo la finanza liquida, a fronte magari come detto all’inizio dell’intervento, di una esigenza urgente non ottenibile tramite i canali usuali.

L’ente invece pecca perché non ha alcuna responsabilità; perché agisce per ragioni politiche e non per ragioni economiche; perché, infine, non comprende il danno che una simile iniezione di falsa liquidità può causare ad un bacino di imprese in divenire.

È sempre una sconfitta quando si sceglie, consapevolmente, di inquinare un mercato alterandolo con strumenti che si utilizzano in modo errato; occorre quindi lavorare, anche lato professionisti, per cambiare l’approccio verso l’utilizzo di questi strumenti che possono diventare efficaci alleati solo se sfruttati con consapevolezza e con etica imprenditoriale appropriata.

 



 

 

[2]Il decreto (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2013) aveva ad oggetto l’“Individuazione delle priorità, delle forme e delle intensità massime di aiuto concedibili nell’ambito del Fondo per la crescita sostenibile, ai sensi dell’articolo 23, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83”.