Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
23 agosto 2021

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Sommario: 1. I caratteri del nuovo istituto: stragiudizialità, riservatezza e volontarietà. – 2. Il presupposto soggettivo. – 3. Il presupposto oggettivo. – 4. Il “presupposto processuale” dell’art. 23. – 5. La condizione di proseguibilità: le concrete prospettive di risanamento. – 6. La composizione negoziata è una procedura concorsuale?

*Il presente contributo è destinato ad essere pubblicato anche nella Rivista Il Diritto Fallimentare e delle società commerciali.


1. I caratteri del nuovo istituto: stragiudizialità, riservatezza e volontarietà.

La principale novità[1] dello schema di decreto legge in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale[2] è sicuramente rappresentata dall’introduzione di un istituto finora inedito nel nostro ordinamento: la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa.

Essa presenta significative peculiarità non solo rispetto alle procedure concorsuali di cui alla vigente legge fallimentare, ma anche alle misure di allerta disciplinate dal codice della crisi, le quali, soprattutto dopo la constatazione degli effetti della pandemia da covid-19, sono apparse eccessivamente concentrate sull’obiettivo dell’emersione tempestiva della crisi come valore in sé, piuttosto che su quello dell’effettivo salvataggio delle imprese ancora viables seppur in condizione di crisi conclamata[3].

Come stabilito all’art. 2, c. 1, della bozza di decreto, infatti, l’imprenditore commerciale o agricolo in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza può chiedere al segretario generale della camera di commercio del luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale la nomina di un esperto indipendente, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa stessa.

Ai sensi del secondo comma della norma, poi, l’esperto ha il compito di agevolare le trattative tra imprenditore, creditori e altri soggetti eventualmente interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle predette condizioni di squilibrio, anche attraverso il trasferimento dell’azienda o di suoi rami. Esperto che dev’essere munito dei requisiti di professionalità[4] e indipendenza di cui agli artt. 3 e 4 e che, indossando i panni del “facilitatore”, va appunto ad affiancare l’imprenditore in difficoltà concorrendo fattivamente a individuare la risposta più idonea alle criticità del caso[5].

Le finalità della composizione negoziata sono rese palesi dalla Relazione illustrativa, nella quale si legge, fra l’altro, che con esso “si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa”.

Quanto alle caratteristiche dell’istituto, la più evidente è costituita dalla sua estraneità al “circuito” giudiziale: l’imprenditore non è tenuto a rivolgersi al tribunale, se non ove intenda fruire delle misure protettive di cui all’art. 6, o di finanziamenti prededucibili o rinegoziazioni di contratti ex art. 10[6].

Ove egli non avanzi richieste siffatte, la composizione negoziata è destinata (almeno in thesi) a rimanere coperta da riserbo. E a tutela di ciò l’art. 4, al settimo comma, statuisce che tutte le parti coinvolte nelle trattative sono tenute a osservare l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite durante le trattative.

L’istituto in questione è attivabile, come nel caso del concordato preventivo[7] e delle altre soluzioni negoziate della crisi, su base esclusivamente volontaria; pur con la precisazione che, in base all’art. 15, l’organo di controllo societario segnala agli amministratori, in forma scritta e in modo motivato, la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui al predetto art. 2 (senza peraltro che ciò faccia scattare alcun obbligo in capo all’organo gestorio).

E in proposito è stato osservato, in chiave critica rispetto alla diversa scelta operata dal codice della crisi, che “la sollecitazione dei sindaci si esaurisce nella sfera interorganica della società, con un accantonamento (auspicabilmente definitivo) dell’eccentrico ruolo di attivatori della procedura di composizione della crisi innanzi agli Ocri, che invece assegnava loro la riforma”[8]

La cifra della composizione negoziata sta, dunque, nel suo carattere stragiudiziale, riservato e volontario. E sotto questo (e altri) profili il nuovo istituto va salutato con favore, andando incontro a precise esigenze delle imprese in difficoltà e rinunciando nel contempo a quell’approccio rigido (anche nei suoi automatismi) e macchinoso proprio delle misure di allerta quali disciplinate nel codice della crisi. Non a caso, in dottrina si è subito osservato che esso costituisce un importante tentativo “di rimozione delle involuzioni strutturali e cadenze burocratiche dell’allerta e della composizione codicistica, adesso disciolte in un procedimento “per la negoziazione” agile e destrutturato”[9].

Coerentemente alle sopra menzionate finalità e caratteristiche, l’istanza di nomina dell’esperto - si legge nella Relazione illustrativa - “non apre il concorso dei creditori e non determina alcuno spossessamento del patrimonio dell’imprenditore, il quale, pur essendo obbligato a garantire una gestione non pregiudizievole per i creditori ed in linea con gli obblighi previsti dall’articolo 2086 del codice civile, prosegue nella gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa e può eseguire pagamenti spontanei”.

Non vi è dunque, ope legis, alcuno degli effetti propri del fallimento o del concordato preventivo, valendo per tutte le imprese, anche quelle in bonis, il dovere di dotarsi di assetti aziendali adeguati e di condurre l’attività senza recare danno ai creditori; ne’ la nomina dell’esperto mira in alcun modo a sostituire l’imprenditore, bensì, come si diceva, ad affiancarlo nelle trattative con i creditori, agevolandone per quanto possibile (anche grazie alla propria professionalità e indipendenza) il buon esito.

Vediamo allora nel dettaglio in cosa consistono i presupposti della fattispecie di nuovo conio.

 

2. Il presupposto soggettivo.

L’art. 2, come si diceva, parla testualmente di imprenditore commerciale e agricolo.

Se ne evincono due principi importanti: (i) che la composizione negoziata può essere attivata non solo dagli imprenditori commerciali ma anche da quelli agricoli, come già oggi accade per gli accordi di ristrutturazione dei debiti; (ii) che non è preclusivo all’accesso al “percorso” in questione (così lo chiama anche la Relazione illustrativa) il possesso congiunto dei requisiti di non fallibilità ex art. 1 della legge fallimentare. Il che si ricollega al disposto dell’art. 17 dello schema di decreto, rubricato “Imprese sotto soglia” e destinato appunto a questa tipologia di soggetti, rispetto ai quali viene riaffermato il ruolo degli organismi di composizione della crisi di cui alla disciplina sul sovraindebitamento.

Dal tenore del primo comma dell’art. 3, che consente l’accesso alla istituenda piattaforma telematica “agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese”, si evince inoltre che deve parimenti sussistere il requisito dell’iscrizione nel registro delle imprese, non potendo quindi beneficiare dello strumento le società di fatto (e neppure, per rare e difficilmente configurabili che siano, le holding individuali di fatto).

Gli assunti che precedono trovano puntuale conferma nel tenore della Relazione illustrativa: “Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole”.

La composizione negoziata è dunque rivolta a tutti i debitori che svolgano attività d’impresa, analogamente, da questo punto di vista, al perimetro applicativo delle misure di allerta (e a differenza dell’art. 1, l. fall.), ma senza quelle rilevanti esenzioni di cui all’art. 12 del codice della crisi, dettate da quest’ultimo precisamente perché non è previsto che le misure di allerta scattino su mera base volontaria, com’è invece stato giustamente stabilito per la composizione negoziata.

 

3. Il presupposto oggettivo .

Il medesimo primo comma dell’art. 2 enuclea altresì il presupposto oggettivo della composizione negoziata, individuandolo in quelle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza dell’imprenditore.

La formulazione della norma riecheggia parzialmente la definizione di crisi ad opera dell’art. 2 del codice della crisi, intesa come probabilità di insolvenza[10].

La differenza però è immediatamente percepibile ed è data dal fatto che il presupposto della composizione negoziata si colloca (recte, come si dirà fra breve, può collocarsi) in un momento anteriore a quello della probabilità di insolvenza, contemplando anche la situazione in cui è probabile – ma non ancora in atto – il verificarsi di un semplice stato di crisi: quella c.d. twilight zone (o pre-crisi) che si colloca temporalmente in un momento (spesso di poco) anteriore alla vera e propria crisi.

Il tenore letterale della nuova previsione potrebbe a tutta prima indurre a ritenere che l’istituto non sia fruibile quando la crisi o l’insolvenza siano già in atto e che esso miri esclusivamente a scongiurarne l’inverarsi. E non a caso in un primissimo commento allo schema di decreto, peraltro di taglio giornalistico (e di “matrice” bancaria), si è affermato che esso “interviene per sostenere le imprese non ancora in crisi: si tratta di quelle che tipicamente si trovano in stage 2, vale a dire che hanno subito un incremento significativo del rischio di credito, ma anche quelle ancora a stage 1, che sono in una condizione sana ma prevedono che tale condizione non perduri”[11].

In realtà, a dispetto della potenziale decettività dell’espressione “rendono probabile”, che sembra alludere soltanto a eventi futuri – e da questo punto di vista sarebbe in realtà preferibile declinare il precetto così: “che rendono verosimile l’esistenza dello stato di crisi o di insolvenza, o probabile il loro futuro verificarsi” – non pare che dal perimetro applicativo della nuova disposizione possano venire escluse le imprese già in crisi o addirittura insolventi.

Basti pensare, a titolo di esempio, che il penultimo comma dell’art. 6 preclude la dichiarazione di fallimento dalla pubblicazione dell’istanza di composizione negoziata e che il secondo comma dell’art. 23 sancisce l’inammissibilità di tale istanza ogniqualvolta ci si trovi in pendenza dei procedimenti per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione, per l’ammissione al concordato preventivo o per la (o a valle della) concessione del termine nella c.d. fase prenotativa: previsioni, queste, che non avrebbero senso se il presupposto oggettivo della composizione negoziata non potesse risiedere anche nello stato di crisi o di insolvenza.

Nel medesimo senso depone inoltre il rilievo che, avendo il facilitatore il compito esclusivo di favorire un accordo con i creditori, non sono evidentemente ritenute praticabili dallo stesso imprenditore soluzioni “interne” di ristrutturazione del modello aziendale: il che integra di regola una situazione di crisi in atto. Del resto, se è necessaria una ristrutturazione totale o parziale del debito, ciò significa che il rischio di insolvenza è tendenzialmente già in essere[12].

Va altresì considerato che il primo comma dell’art. 9, nel parlare di “probabilità di insolvenza”, presuppone uno stato di crisi già in atto, che rischia appunto di degenerare in insolvenza[13].

Beninteso, non può trattarsi di insolvenza irreversibile, giacché il nuovo istituto mira dichiaratamente ad affrontare situazioni connotate da “una concreta prospettiva di risanamento” (art. 5, c. 5: previsione su cui si tornerà nel prosieguo).

E che questa lettura, escludente la sola insolvenza irreversibile, sia quella corretta risulta confermato dal fatto che non è dato cogliere indici di una volontà più limitativa dello spettro di applicazione della composizione negoziata; al contrario, nella Relazione illustrativa si legge testualmente: “L’imprenditore in difficoltà, in crisi, o in stato di insolvenza reversibile, può decidere quindi di intraprendere un percorso, del tutto riservato finché non viene chiesta la concessione di misure protettive, chiedendo la nomina di un esperto indipendente che valuti lo stato dell’impresa e che lo assista nelle trattative da attivare per il buon esito della composizione negoziata (e, di conseguenza, per la ricerca delle possibili soluzioni di risanamento dell’attività)”.

Con il che il presupposto oggettivo deve ritenersi comprensivo non solo dello stato di temporanea difficoltà dell’impresa (analogamente, mutatis mutandis, a quanto era previsto per la vecchia amministrazione controllata), ma anche della crisi e dell’insolvenza, purché reversibile. Il che nulla toglie, ovviamente, al fatto che il rimedio in parola sia idealmente diretto anzitutto a imprese che ancora non versano in stato di crisi e tantomeno di insolvenza.

In ogni caso la norma, sul piano concettuale, risulta idonea a distinguere in maniera più puntuale fra crisi e insolvenza, laddove de iure condito i due concetti, alla stregua di quanto disposto dal penultimo comma dell’art. 160 (“per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”), continuano a porsi fra loro in rapporto di genere a specie: con ciò in qualche modo anticipandosi, pur con la precisazione di cui sopra, la portata del ridetto art. 2 del codice della crisi.

 

4. Il “presupposto processuale” dell’art. 23.

Come già ricordato, ai sensi del secondo comma dell’art. 23 l’istanza di composizione negoziata non può essere presentata dall’imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o con ricorso, anche “prenotativo”, per l’ammissione al concordato preventivo.

Questo “presupposto processuale”, definito nella rubrica della norma come limite di accesso alla composizione negoziata, fa sì che l’istanza in questione sia improponibile e che essa, ove venga nondimeno proposta, incorra nella declaratoria di inammissibilità.

A tale stregua, sarebbe forse stato opportuno prevedere all’art 5 un’autodichiarazione dell’imprenditore circa la non pendenza, presso qualunque tribunale, dei procedimenti testé menzionati.

Ad ogni buon conto, ciò che viene soprattutto in rilievo nella lettura del citato secondo comma della norma è il mancato richiamo al sesto comma dell’art. 182-bis, l. fall.: dal che sembra derivare la compatibilità dell’istanza di composizione negoziata con la pendenza della richiesta di blocco delle azioni esecutive e cautelari avanzata nell’ambito del c.d. preaccordo di ristrutturazione.

Questa opzione potrebbe, prima facie, considerarsi giustificata dalle differenze che intercorrono fra quest’ultimo procedimento e il c.d. preconcordato. A ben vedere, tuttavia, la disparità scaturente dal mancato richiamo del sesto comma dell’art. 182-bis, l. fall., non parrebbe del tutto razionale: basti pensare – se non si va errati – alla possibilità, rebus sic stantibus, che l’automatic stay venga richiesto simultaneamente nell’ambito del preaccordo di ristrutturazione e della composizione negoziata, con esiti potenzialmente confliggenti (e comunque con improprie sovrapposizioni di competenze).

Sarebbe quindi bene che il testo del decreto, o quello della legge di conversione, inserissero nel secondo comma dell’art. 23 anche il richiamo al sesto comma dell’art. 182-bis.

 

5. La condizione di proseguibilità: le concrete prospettive di risanamento.

Il primo compito che la legge attribuisce all’esperto consiste nella verifica delle concrete prospettive di risanamento dell’impresa. Recita infatti la prima parte del quinto comma dell’art. 5: “L’esperto, accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento”.

La norma utilizza, quanto all’espressione “concrete prospettive” declinata al plurale nella seconda parte del citato comma), la medesima terminologia dell’art. 27, d. lgs. n. 270/1999, che alla loro sussistenza notoriamente subordina l’apertura dell’amministrazione straordinaria (nel passaggio ad essa dalla fase c.d. giudiziale). È quindi necessario che le prospettive di risanamento siano connotate da un significativo livello di concretezza, alla stregua, direi, del criterio del “più probabile che non”, e non si riducano a una mera aspettativa, né a una teorica possibilità.

La valutazione della loro sussistenza deve tener conto sia della condizione soggettiva dell’impresa e del suo modello di business, sia del settore merceologico di appartenenza, oltre ovviamente a dover considerare le eventuali iniziative industriali già messe in campo dall’imprenditore e quelle che egli intende adottare (art 5, c. 3, lett. b), spettando poi all’esperto prospettare le possibili (in ipotesi ulteriori) strategie di intervento.

La locuzione “risanamento” tout court, dal canto suo, rimanda alla più articolata formulazione di cui all’art. 67, c. 3, lett. d), “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa” e “riequilibrio della sua situazione finanziaria” (ripresa dall’art. 56 del codice della crisi), costituendone - ci pare - una sintesi sufficientemente perspicua, anche alla luce delle implicazioni aziendalistiche del termine; sebbene dal punto di vista dell’omogeneità del sistema concorsuale sarebbe stato forse preferibile replicare la citata terminologia della legge fallimentare e del codice della crisi.

La genericità dell’espressione “risanamento“ sembra autorizzare a ricomprendervi l’ipotesi della c.d. continuità indiretta, vale a dire il trasferimento a terzi del compendio aziendale o di parte di esso, se del caso previo affitto: ciò che ben potrebbe costituire, in effetti, una componente di quell’accordo contemplato all’art. 11, c. 1, lett. c), e finanche del “contratto con uno o più creditori” ai sensi della lettera a) del medesimo comma.

A meno di ritenere che la “liquidazione del patrimonio” ex art. 18, comprensiva della cessione di azienda o di suoi rami di cui parla l’art. 19, possa avvenire solo nell’ambito del successivo concordato semplificato: il che conduce tuttavia a una soluzione eccessivamente limitativa, specie se riferita a un istituto, come si diceva, concepito in un contesto di spiccata valorizzazione dell’autonomia privata.

La positiva verifica delle concrete prospettive di risanamento si atteggia a condizione di proseguibilità del percorso: se infatti l’esperto non ne ravvisa gli estremi, egli, sempre ai sensi del quinto comma dell’art. 5, deve darne notizia all’imprenditore e al segretario generale della camera di commercio, il quale dispone l’archiviazione del procedimento.

E in questo provvedimento di archiviazione sta la conferma che nella composizione negoziata, stanti i caratteri di riservatezza e stragiudizialità, non vi è alcuna “chiusura del cerchio” in sede giudiziale, a differenza di quanto previsto (secondo molti inopportunamente) dal codice della crisi in tema di misure di allerta con riguardo all’attivazione del pubblico ministero.

 

6. La composizione negoziata è una procedura concorsuale?  

La disciplina del nuovo istituto e i suoi “ tratti fisionomici” sollevano l’interrogativo circa la riconducibilità alla nozione di procedura concorsuale. E l’interrogativo non risulta essere meramente (e oziosamente) qualificatorio se si considera che vi sono tanto norme di legge e di regolamento, quanto condizioni generali di contratto (basti pensare al settore bancario e parabancario), in cui vengono ex professo contemplati l’ipotesi e gli effetti dell’assoggettamento a “procedura concorsuale”.

Rimandando a quanto in altra sede di recente osservato sull’evoluzione di tale nozione[14], la risposta pare dover essere di segno negativo.

Lo è certamente ove per ravvisarne gli estremi si richieda la sussistenza di un provvedimento giudiziale di ammissione (o comunque di omologazione), risultando in tal caso la composizione negoziata estranea al concetto di procedura, come induce altresì a ritenere, secondo l’approccio tradizionale, il mancato verificarsi del concorso tra creditori e l’assenza di spossessamento del debitore, messi in luce – come si diceva – dalla Relazione illustrativa.

Ma la risposta resta probabilmente negativa anche se si opta per una nozione “minimalista” di procedura concorsuale quale adottata negli ultimi tempi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di accordi di ristrutturazione (sulla scia della Direttiva UE), giacché nella specie non sembra potersi riscontrare la compresenza di quegli elementi, ritenuti indispensabili, costituiti da: (i) una qualsiasi forma di interlocuzione con l’autorità pubblica, con finalità protettive nella fase iniziale e di controllo in quella finale; (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori; (iii) una qualche forma di pubblicità della procedura.

La stessa Relazione illustrativa, definendo ripetutamente (e in modo volutamente atecnico) la composizione negoziata come “percorso”, mostra di compiere una scelta astensionistica rispetto alla questione in parola, anche se, rifuggendo deliberatamente dall’utilizzo del termine “procedura”, conferma l’obiettiva difficoltà a qualificare sic et simpliciter come tale la composizione negoziata.

E ciò a prescindere dalla collocazione che sarà riservata al nuovo istituto, all’interno oppure (preferibilmente[15], come invero parrebbe dalla struttura dello schema di decreto) all’esterno della legge fallimentare.



[1] Tale non può invece considerarsi il rinvio dell’entrata in vigore del codice della crisi e l’ancor più lungo differimento delle misure di allerta, entrambi senz’altro opportuni, come si è già avuto modo di dire lo scorso anno a proposito dell’analoga disposizione contenuta nel Decreto Liquidità (cfr. Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in IL CASO.it, 21 aprile 2020).

[2] Per un primo (e come sempre stimolante) commento v. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in questa Rivista, cui adde le interessanti considerazioni di Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in dirittodellacrisi.it., 5 agosto 2021. Per qualche veloce notazione sull’iter normativo in corso v., di poco precedenti, Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, ivi, 2 agosto 2021, il quale osserva che l’intervento in questione, figlio (anche) della situazione postpandemica, “si muove in un contesto ‘solidaristico’ (ma non assistenziale) totalmente allineato ai valori della Costituzione (art. 2) e ai principi di proporzionalità diffusi nell’Unione europea”; Galletti, E’ arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare, in ilFallimentarista, 27 luglio 2021, il quale, in ottica critica, intravvede nella nuova impostazione la malcelata volontà di attuare una vera e propria “controriforma”. Personalmente, considero un po’ “stucchevole” il refrain circa il carattere controriformatore o meno di ogni novità legislativa in materia di crisi d’impresa: dopodiché la circostanza che, rispetto al codice della crisi, il pendolo sia ripreso a oscillare nella direzione di strumenti connotati in senso meno “pubblicistico” pare francamente innegabile (e a mio parere da accogliere favorevolmente).

[3] Con la consueta (e non comune) efficacia, il decano dei fallimentaristi italiani ha osservato, sul punto, che “occorre verificare come si adatti l’istituto (dell’allerta: n.d.r.) ad una crisi che, per quanto riguarda interi settori della nostra economia, non deve essere scoperta, ma è già in atto”: così Maffei Alberti, Prefazione, in AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi, a cura di Ambrosini, Torino, 2021, p. XV (pubblicata anche in questa Rivista nella sezione “Recensioni”).

[4] In contrasto con quanto stabilito dall’art. 28, l. fall., che correttamente colloca sul medesimo piano dottori commercialisti e avvocati (basti pensare che da sempre i tre più grandi tribunali italiani, Roma, Milano e Napoli, insieme alla maggioranza degli altri fori, nominano curatori e commissari sia commercialisti che avvocati), il terzo comma dell’art. 3 dello schema di decreto richiede soltanto per questi ultimi il requisito di “aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d’impresa”. Ciò integra un profilo di verosimile, ingiustificata, disparità di trattamento fra commercialisti e avvocati, dal momento che il possesso del titolo di dottore commercialista non è di per sé, notoriamente, garanzia di esperienza e competenza nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d’impresa (essendo coloro che svolgono tale professione dediti, per la stragrande maggioranza, ad attività in materia contabile e fiscale). Delle due quindi l’una: o si ricalca l’impostazione del predetto art. 28, o si richiede tale requisito esperienziale indistintamente a tutti i professionisti in questione, pena un vulnus sul piano della costituzionalità del precetto.

[5] Com’è stato osservato, questo facilitatore assume “i tratti di un garante, divenendo parte nel momento in cui deve firmare la negoziazione. In questa veste, il professionista assume responsabilità contrattuale sull’esistenza delle condizioni per l’operazione e, in definitiva allora, sulla sua fattibilità” (Pacchi, op. cit., p. 19).

[6] Da questo punto di vista (e ferme le peculiarità del percorso di cui trattasi), la composizione negoziata va a collocarsi fra l’accordo di ristrutturazione, che postula l’omologazione del tribunale e consente il blocco delle azioni esecutive e cautelari e l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili, e il piano attestato di risanamento, che non contempla la nomina esterna di alcuna figura, bensì la semplice designazione, da parte dello stesso imprenditore, di un professionista indipendente quale attestatore, né la possibilità di alcun intervento giudiziale relativamente ai rapporti con i ceditori.

[7] Per i limiti di questa scelta rispetto all’obiettivo dell’early warning v., da ultimo, Ambrosini, L’emersione tempestiva della crisi e il concordato preventivo del terzo: dall’idea del “progetto Rordorf” alle previsioni del legislatore europeo, in questa Rivista, 27 giugno 2021.

[8] Così Abriani - Cavalluzzo, Il collegio sindacale deve segnalare condizioni di squilibrio, in Sole24Ore del 6 agosto 2021, p. 29. È notoriamente invece già in vigore dal marzo del 2019 la norma in base alla quale è stato opportunamente esteso al collegio sindacale delle s.r.l. il potere/dovere di denuncia delle gravi irregolarità gestorie ex art. 2409 c.c.

[9] Leuzzi, cit., p. 2.

[10] In argomento cfr. ex aliis, anche per gli opportuni riferimenti, Ambrosini, Crisi e insolvenza nel passaggio fra vecchio e nuovo assetto ordinamentale: considerazioni problematiche, in IL CASO.it, 14 gennaio 2019, e, con particolare riferimento alla procedura di allerta, Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in corso di pubblicazione in Le crisi dell’impresa e del consumatore, Liber Amicorum di Alberto Jorio, a cura di Ambrosini (editrice Zanichelli).

[11] Così Rinaldi, Aziende in crisi, l’esperto agevola la trattativa e tutela i creditori, in Sole24Ore del 6 agosto 2021, p. 29.

[12] Devo lo spunto a un amicale - e per me sempre proficuo - scambio di vedute con Vittorio Zanichelli.

[13] La norma suscita invece qualche perplessità quando collega esclusivamente a tale situazione l’obbligo dell’imprenditore di gestire l’impresa in modo da non arrecare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, quando in realtà tale dovere prescinde dalla minaccia di insolvenza.

[14] Ambrosini, Procedure concorsuali: tipologie, caratteri e presupposti, in Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, pp. 47 ss.

[15] Si tratterebbe, invero, di una scelta attenta alla “sensibilità” del mondo delle imprese e degli investitori, soprattutto se stranieri.