, 11 dicembre 2024, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa; 2. L’introduzione e l’evoluzione dell’amministrazione straordinaria e i suoi tratti salienti; 3. Il sovvertimento gerarchico degli interessi protetti e la centralità della salvaguardia dei complessi produttivi; 4. Attualità dell’assetto ordinamentale?; 5. I rapporti con il codice della crisi e la questione della natura dei rinvii alla legge fallimentare.
1. Premessa
A distanza di circa otto anni dalla pubblicazione del mio contributo “L’amministrazione straordinaria”, nel trattato diretto da Oreste Cagnasso e Luciano Panzani, Crisi d'impresa e procedure concorsuali (edito da Utet Giuridica, t. III, 2016, 4015 ss.) e in occasione della prossima uscita della seconda edizione del medesimo, ritengo di una qualche, pur minima, utilità tornare a parlare, in termini generali e di inquadramento sistematico, di amministrazione straordinaria.
Duplice è l’ordine di ragioni alla base di questa scelta: da un lato, ripercorrere brevemente le tappe dell’evoluzione dell’istituto anche al fine di verificare la “bontà” dell’opzione di fondo adottata dal legislatore, dall’altro, raccogliere le autorevoli e stimolanti suggestioni – qui, peraltro, non sempre condivise – che emergono dalla lettura di altri lavori in materia che hanno visto la luce negli ultimi tempi.
Il carattere piuttosto sintetico della trattazione (appunto destinata a un contributo alquanto più articolato) induce a non escludere che i temi presi in esame in questa sede possano essere, in futuro, ulteriormente sviscerati: specie nel caso in cui dovessero “materializzarsi” e trovare infine sbocco i propositi riformatori che da vari lustri ciclicamente si riaffacciano nel dibattito (come pare accadere anche oggi) e che tuttavia sono fin qui rimasti – com’è noto – “lettera morta”.
2. L’introduzione e l’evoluzione dell’amministrazione straordinaria e i suoi tratti salienti
L'introduzione nel nostro ordinamento, alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso, dell’istituto dell’amministrazione straordinaria è figlia del dibattito sviluppatosi in quel tempo a valle di alcune grandi crisi industriali, il cui (sempre meno episodico) verificarsi aveva messo in luce l'inadeguatezza della legge fallimentare rispetto al perseguimento di due obiettivi considerati cruciali nei dissesti di rilevanti dimensioni: la conservazione dei complessi produttivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
A precedere la legge istitutiva dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (1. n. 95/1979, detta "Legge Prodi") erano state la normativa recante “Provvedimenti per il coordinamento della politica industriale, la riconversione e lo sviluppo del settore” (l. n. 675/1977) e quella contenente “Disposizioni per agevolare il risanamento finanziario delle imprese” (d.l. n. 602/1978: c.d. Decreto Donat Cattin, dal nome dell’allora Ministro dell’Industria), approvata a dispetto della forte opposizione di Confindustria e oggetto dei pesanti strali di una parte dei mezzi di informazione (Bruno Visentini, sulle colonne del Corriere della Sera, definì il provvedimento – non senza un eccesso di vis polemica – “politicamente repellente e tecnicamente incomprensibile”[1]). Interventi legislativi, questi, che anticipavano il “modello tipologico ispirato alla concezione ‘sociale’ dell’impresa”[2] proprio dell’amministrazione straordinaria di lì a breve coniata e caratterizzato, in particolare, dal fatto di prescindere completamente dalle reali prospettive di risanamento dell’impresa.
La prima amministrazione straordinaria, quella appunto del 1979, era basata su una marcata accentuazione del ruolo dell'autorità amministrativa (l'allora Ministero dell'Industria, in seguito denominato delle Attività Produttive, poi dello Sviluppo Economico e oggi delle Imprese e del Made in Italy) a scapito di quello dell'autorità giudiziaria[3] — a cominciare dal potere di nomina del commissario preposto alla procedura — e su una notevolissima compressione degli interessi dei creditori a vantaggio della ristrutturazione dell'impresa[4].
Proprio queste caratteristiche, unitamente alla previsione di una garanzia del Tesoro per i debiti contratti dal commissario per la riattivazione e il completamento di impianti industriali, nonché di svariate agevolazioni fiscali e contributive, suscitarono forti critiche nel dibattito dottrinale[5] e – ciò che più conta – diedero luogo a pesanti censure in sede comunitaria, essendo state ritenute le suddette "facilitazioni", sia dalla Corte di Giustizia che dalla Commissione Europea, incompatibili col divieto di aiuti di Stato e come tali idonee a falsare il gioco della libera concorrenza fra le imprese operanti sul mercato[6].
A vent'anni di distanza fu dunque emanato il d.lgs. n. 270/1999 (c.d. legge Prodi-bis), che provvide, per un verso, a eliminare le disposizioni configurabili alla stregua di aiuti di Stato, per l'altro, a riscrivere interamente la normativa sull’amministrazione straordinaria (come si vedrà meglio in appresso, essendo appunto questa normativa l’oggetto centrale del presente contributo) una fase giudiziale di "osservazione" diretta ad accertare l'effettiva sussistenza di prospettive di risanamento dell'impresa e disciplinando organicamente la materia, riducendo all'essenziale i rinvii alle disposizioni in tema di liquidazione coatta amministrativa cui in precedenza si era fatto invece ampio ricorso.
Nel 2004 poi, con il dichiarato intento di far fronte per mezzo di uno strumento normativo ad hoc al devastante crack del gruppo Parmalat, la 1. n. 39/2004 (c.d. Legge Marzano) ha introdotto una disciplina per le imprese di grandissime dimensioni (oltre cinquecento dipendenti da almeno un anno e almeno trecento milioni di euro di esposizione debitoria: requisiti, questi, considerati a livello di gruppo) che presentavano concrete prospettive di ristrutturazione economica e finanziaria, consentendone l'ammissione alla procedura senza il previo passaggio attraverso la fase giudiziale e, quindi, in modo più celere e (in thesi) efficiente.
La normativa ha subìto nel tempo ulteriori interventi correttivi, al fine di estendere la sua applicabilità ad altre realtà imprenditoriali; correzioni e integrazioni, queste, contenute, in particolare, nei seguenti testi normativi: a) il d.l. 29.11.2004, n. 281, convertito in legge, senza modificazioni, dalla 1. 28.1.2005 n. 6, le cui disposizioni, in occasione dell'insolvenza del gruppo Volare, hanno ridotto i parametri dimensionali di accesso alla procedura a 500 dipendenti ed a un indebitamento complessivo non inferiore ai 300 milioni di euro; b) il d.l. 28.2.2005, n. 22, convertito con modificazioni dalla 1. 29.4.2005, n. 71; c) il d.l. 28.8.2008, convertito in legge con modificazioni dalla 1. 27.10.2008, n. 166, introdotto, sulla scorta del caso Alitalia, nell'ottica di offrire un ulteriore strumento di accelerazione della soluzione della crisi d'impresa, attraverso l'estensione del decreto alle imprese operanti nei servizi pubblici essenziali che intendono avvalersi di un “programma di cessione di complessi di beni e contratti”, ai sensi dell'art. 27, d.lgs. n. 270/1999, lett. b bis) e l'introduzione di norme dedicate esclusivamente alle imprese, a cominciare dalla competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a disporre l'ammissione alla procedura e la nomina del commissario; d) il d.l. 5.1.2015, n. 1 (c.d. decreto Ilva), convertito con modificazioni nella 1. 4.3.2015, n. 20, che ha affiancato alle imprese operanti nei servizi pubblici essenziali quelle che «gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231»: insieme alle numerose, successive modificazioni e integrazioni.
E’ a tutti noto come la legge fallimentare del 1942 fosse improntata al perseguimento, in via sostanzialmente esclusiva, degli interessi dei creditori, oltre che a una concezione afflittiva del regime applicabile agli imprenditori insolventi. E le previsioni contenute nella disciplina del concordato preventivo e, successivamente, dell’amministrazione controllata erano risultate solo in minima parte idonee a stemperare gli effetti di una tale impostazione.
La visione dell’impresa come complesso di beni di proprietà dell’imprenditore – si è giustamente osservato – mal si attagliava a un approccio al fenomeno di natura non soltanto proprietaria[7].
Ne era derivata l’esigenza, progressivamente avvertita, di un uso “alternativo” delle procedure concorsuali, con il quale si era sovente ricorsi, nella pratica, all’amministrazione controllata e al concordato preventivo per finalità diverse dalla tutela dei creditori, segnatamente la protezione della continuità aziendale e dei posti di lavoro.
Ma è solo con l’introduzione dell’amministrazione straordinaria che ha realmente acquisito “diritto di cittadinanza” nel nostro ordinamento l’interesse prioritario alla salvaguardia dei complessi aziendali e con essa al mantenimento, per quanto possibile, dei livelli occupazionali.
Nella legge del 1979, come si è rilevato, “la gerarchia degli interessi è ribaltata, non già solo per mano della giurisprudenza, sollecitata dalle circostanze, caso per caso, ad un uso alternativo delle procedure concorsuali, bensì del legislatore stesso e quindi con una valenza generale ed astratta e con riflessi di ordine sistematico sull’intera normativa concorsuale”[8].
La tutela prioritaria di interessi diversi da quelli dei creditori ha trovato conferma anche nella legge Prodi-bis, seppur – come anticipato – in forma più attenuata.
Del resto, la contrapposizione fra diritto dei creditori al soddisfacimento delle loro pretese e prosecuzione dell’attività economica e dei relativi rapporti di lavoro è consustanziale alle “dinamiche” del diritto della crisi d’impresa in quanto tale; e derivando entrambe queste esigenze da valori costituzionalmente rilevanti è necessario ricercarne un bilanciamento[9], ciò che non era stato adeguatamente realizzato con la legge del 1979, in effetti troppo sbilanciata – come si diceva – a danno dei creditori e (anche) per questo sostituita dal d. lgs. n. 270/1999[10].
L’interesse prioritariamente protetto è icasticamente “scolpito nella pietra” della disposizione di esordio di tale legge, dove sono sancite le finalità dell’amministrazione straordinaria: “finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali”. Ed è chiaro che la conservazione dei complessi produttivi attraverso la continuazione (o ripresa) dell’attività d’impresa reca con sé la salvaguardia almeno parziale dei posti di lavoro.
Da ciò si coglie con nitore come la tutela degli interessi dei creditori passi fatalmente, nel contesto delle grandi imprese insolventi, in secondo piano rispetto ad altri interessi – quelli testé menzionati – ritenuti tendenzialmente meritevoli (alle condizioni di legge, ovviamente) di prevalente protezione: tanto che in dottrina si è parlato, schiettamente, di risanamento finanziato dai creditori[11].
Parte della dottrina, tuttavia, ha sostenuto, ancora di recente, che “se si guarda alle previsioni della legge del 1999 in ordine ai casi di chiusura della procedura (…) non è difficile convincersi che è il soddisfacimento dei creditori l’obiettivo finale della procedura, restando le «finalità di conservazione del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali», di cui è menzione nel prima ricordato art. 1 d.lgs. n. 270, un semplice obiettivo intermedio”[12].
Le cose, in realtà, non sembrano stare nei termini anzidetti. Ed invero, il fine principale dell’amministrazione straordinaria non risiede nel soddisfacimento dei creditori, bensì nel mantenimento in vita dei complessi aziendali: la norma cardine dell’art. 27 mette al centro della procedura le “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali” e questa è precisamente la condizione al cospetto della quale le grandi imprese insolventi sono ammesse alla procedura, traguardando la c.d. fase giudiziale di osservazione.
L’obiettivo della procedura è espressamente “funzionalizzato”, come si diceva, alla conservazione del patrimonio produttivo; a rigore il fine ultimo, quindi, non è necessariamente quello del risanamento: lo è esclusivamente nell’ipotesi di programma di ristrutturazione (art. 27, c. 2, lett. b), ma non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi – di gran lunga la più frequente nella pratica – della cessione dei complessi aziendali (lett. a), la quale non richiede il superamento dell’insolvenza. Ed anche da ciò, a ben vedere, si ricava una cartina di tornasole della correttezza della tesi qui predicata: “anche in ipotesi di raggiungimento di una modesta percentuale di pagamento, non per questo la procedura si considera non riuscita ma, al contrario, si chiude senza convertirsi in fallimento ed è questa la miglior conferma della reale ratio dell'istituto”[13]. Ratio che risiede nella “tutela del pubblico interesse ad evitare un danno per l'economia in generale costituito dalla perdita della capacità produttiva dell'impresa, danno che può essere evitato non solo aiutando l'imprenditore a superare la crisi ma anche trasferendo tutta la sua azienda o comunque i complessi produttivi in altre mani con la prospettiva che gli stessi siano man tenuti in attività e quindi riprendano a produrre ricchezza”[14].
Certo, come recita l’art. 69, ogniqualvolta risulti, nel corso dell’amministrazione straordinaria, che essa “non può essere utilmente proseguita”, il tribunale deve disporre, anche d’ufficio, la conversione in fallimento (oggi in liquidazione giudiziale), ma ciò significa solo che la presa d’atto dell’impossibilità di risanare l’impresa o collocare presso terzi i complessi aziendali conduce alla predetta conversione, non già che l’interesse dei creditori costituisce la “stella polare” anche dell’amministrazione straordinaria: tanto che per perseguirlo prioritariamente si deve passare ad altra procedura.
Né per vero il tenore dell’art. 74 sui casi di chiusura della procedura appare idoneo a far premio sulla struttura e sulle finalità del sistema quali fin qui descritte. Senza voler soggiungere che può apparire singolare che per l’individuazione dell’interesse protetto in via prevalente si debba arrivare alla disciplina sulla chiusura della procedura, trascurando la centralità di norme quali i ridetti artt. artt. 1 e 27.
Proprio da quest’ultimo, invero, si ricava che la presa d’atto che “non è previsto che si valuti l’incidenza della procedura sui diritti dei creditori. Dunque, la via del risanamento possibile non è ostacolata dal pregiudizio che potrebbe così arrecarsi all’interesse dei creditori. E infatti, a differenza del diritto comune della crisi d’impresa, non si rinvengono nella normativa speciale sull’amministrazione straordinaria disposizioni che inibiscano la prosecuzione dell’attività che possa risolversi in pregiudizio dei creditori”[15].
Sono d’altronde numerose le disposizioni delle leggi Prodi-bis e Parmalat in cui i diritti dei creditori sono fortemente intaccati e comunque limitati rispetto ad altre procedure e la prassi applicativa – com’è noto – depone nel medesimo senso: basti pensare all’art. 63 sulla vendita dell’azienda, ove si parla di “garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali” e si prevede anche, espressamente, che la redditività possa essere – come sovente accade – negativa. D’altronde, la stessa prosecuzione dell’attività, consustanziale all’amministrazione straordinaria, comporta invariabilmente la maturazione di ingenti oneri prededucibili, con inevitabile nocumento per le aspettative di soddisfacimento dei creditori anteriori, i quali risultano anche da questo punto di vista collocati in posizione secondaria.
A ciò si aggiunge che l’art. 55, c. 1, d.lgs n. 270/99, nel definire i criteri del programma, enuclea come priorità la salvaguardia dell’unità operativa dei complessi aziendali, con le conseguenti ricadute positive sul versante occupazionale, mentre degli interessi dei creditori, pesantemente sacrificati dall'insorgere di debiti prededucibili consustanziali alla prosecuzione dell'attività d'impresa, va semplicemente "tenuto conto"[16].
A contrariis, occorre rimarcare che la legislazione speciale si guarda bene dal formulare precetti simili a quelli contenuti dal codice della crisi in tema di gestione delle imprese in stato di insolvenza. Non vi è infatti traccia di previsioni come quella dell’art. 4, c. 2, lett. c) CCII, in base al quale “il debitore ha il dovere (…) di gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori”; e neppure come quella dell’art. 21, c. 1, CCII, il quale, in tema di composizione negoziata, stabilisce che l’imprenditore, se insolvente, gestisce l’impresa e individua la soluzione per il superamento della situazione di insolvenza “nel prevalente interesse dei creditori”.
Va nondimeno dato conto della tesi contraria[17] a quella qui predicata, la quale poggia essenzialmente su un duplice assunto: che la funzione di una procedura (nella specie l’amministrazione straordinaria) vada nettamente distinta dalle sue finalità; e che la procedura in questione vada vista nella sua unitarietà, asseritamente comprensiva del possibile sbocco della liquidazione giudiziale.
A ben vedere, tuttavia, entrambe le asserzioni paiono superabili.
In primo luogo, non sembra agevolmente negabile che la funzione di una procedura concorsuale risieda - se non solo, sicuramente anche - nel perseguimento degli obiettivi prioritari fissati dalla legge: la conservazione del patrimonio produttivo nell’amministrazione straordinaria, la tutela dei creditori (e, nella misura possibile, dei posti di lavoro) nel concordato in continuità aziendale (art. 84, c. 2, CCII). La soluzione opposta, per vero, sembra peccare di un certo dogmatismo concettualistico.
In secondo luogo, non pare corretto riguardare la liquidazione giudiziale alla stregua di una fase della procedura ex lege n. 270/1999. La procedura si chiude nei modi di cui all’art. 74 o attraverso un concordato. L’apertura della liquidazione giudiziale comporta il passaggio ad altra e diversa procedura, retta da regole sue proprie, improntate – per l’appunto – a differenti funzioni. E che si tratti di una marcata cesura fra i due momenti risulta confermato dalla terminologia utilizzata dal legislatore, che all’art. 69 parla di “conversione” della procedura (sottinteso: in un’altra); locuzione che ove si trattasse di un’unica procedura risulterebbe quanto meno inappropriata.
Accanto alla tutela dei complessi produttivi la legge Prodi-bis persegue chiaramente il concomitante obiettivo della salvaguardia dei livelli occupazionali[18].
Ciò emerge da una serie di previsioni che riguardano diversi momenti della procedura, a cominciare dall'ammissione ad essa, subordinata alla circostanza che l'impresa abbia da almeno un anno un numero di lavoratori subordinati non inferiore a duecento.
Di mantenimento dei livelli occupazionali si parla poi ex professo nell'art. 63 relativamente all'impegno in tal senso per almeno un biennio e alla garanzia che deve accompagnarlo. E ancora da ultimo il legislatore, disciplinando la particolare ipotesi della gestione commissariale in pendenza dell'impugnazione degli atti di liquidazione, si è riferito testualmente a «modalità di gestione idonee a consentire la salvaguardia della continuità aziendale e dei livelli occupazionali» (art. 65-bis, introdotto dalla 1. 6.2.2014, n. 6).
Come si vede, la tutela dei complessi produttivi in quanto tali e del mantenimento dei livelli occupazionali costituiscono il cuore della disciplina dell'amministrazione straordinaria, che realizza in tal modo un rovesciamento "copernicano" della scala di valori quali risultano invece protetti nell'ambito del fallimento (ora liquidazione giudiziale) e del concordato preventivo.
Vi sono dunque plurimi indici, di natura sia sistematica, sia testuale, che convincono della correttezza della soluzione testé argomentata relativamente alla “gerarchia” degli interessi protetti.
Non a caso, le critiche all’amministrazione straordinaria come istituto si sono spesso appuntate, nel dibattito dottrinale, proprio sulla scelta, operata a livello di politica legislativa, a favore di una procedura così peculiare e distante dalla legge fallimentare anche dal punto di vista degli interessi oggetto di tutela. Con la precisazione, per quanto ovvia, che questa distanza appare oggi significativamente colmata, anzitutto sul piano dell’approccio “valoriale”, a seguito del varo del codice della crisi, la cui disciplina (fortemente ispirata ai principi sanciti dalla Direttiva Insolvency) mostra di essere stata in più punti “contaminata” da quella della Legge Prodi-bis e, più in generale, di guardare oggi con primaria attenzione alla risanabilità dell’impresa: senza che tutto ciò sia idoneo, peraltro, a porre in secondo piano i rilevanti e persistenti profili distintivi della legislazione speciale.
In definitiva, deve prendersi atto che il nostro ordinamento rimane a tutt’oggi ancorato, anche in relazione alla particolarità degli interessi tutelati, all’idea della necessità di procedure ad hoc per le grandi e grandissime imprese insolventi, ritenute da ormai quarantacinque anni a questa parte più adatte di quelle giudiziali al perseguimento – si ripete – di interessi ulteriori e preminenti rispetto al diritto di credito.
4. Attualità dell’assetto ordinamentale?
Non da oggi ci si interroga, fra gli studiosi e gli operatori del settore, circa la bontà della scelta operata dal legislatore nei termini di cui si diceva, tenuto anche conto del fatto che l’amministrazione straordinaria appare come un unicum nel panorama delle legislazioni dei Paesi occidentali, le quali registrano eccezioni alla gestione della crisi in sede giudiziaria obiettivamente meno vistose di quella nostrana.
Va detto tuttavia, anche in base all’esperienza pratica, che il ministero competente in materia (Ministero della Imprese e del Made in Italy) si è rivelato – può dirsi senza tema di smentita – sede certamente non meno appropriata delle aule di giustizia per tutta una serie di attività prodromiche ai grandi salvataggi: dai rapporti con gli altri ministeri (Economia, Lavoro, ecc.) alle interlocuzioni con le organizzazioni sindacali, dagli incontri con operatori industriali e finanziari del Paese a omologhi soggetti stranieri, ecc.
Il punto sta piuttosto nel domandarsi se tali attività, oggettivamente utili e non facilmente “fungibili”, si rendano davvero indispensabili ogniqualvolta un’impresa viene sottoposta ad amministrazione straordinaria, o non invece solo in situazioni nelle quali le dimensioni dell’impresa (sia come entità del dissesto che come numero di dipendenti) risultino più elevate delle soglie previste dalla normativa vigente. Soglie, queste, il cui innalzamento potrebbe, anche da questo punto di vista, essere oggetto di attenta considerazione da parte di una futura, eventuale, riforma in materia.
Se poi si guarda ai risultati ottenuti “sul campo”[19], deve prendersi atto che alla luce di un criterio di stretta efficienza economica essi non appaiono del tutto lusinghieri, specie tenuto conto dei costi addossati nel tempo allo Stato e quindi alla collettività. Sarebbe nondimeno ingeneroso negare che il salvataggio di molte decine di migliaia di posti di lavoro, in vicende come Parmalat, Ilva, Alitalia e tante altre (considerati altresì gli indotti di tali gruppi di società), si è reso possibile grazie al ricorso all’amministrazione straordinaria: e non vi è la controprova che si sarebbe riusciti a fare altrettanto all’interno di un quadro normativo diverso, vale a dire di matrice soltanto giudiziale.
Sul piano più propriamente normativo, oggi la riflessione si arricchisce dell’ampiezza dello spettro di strumenti messi a disposizione degli operatori dal codice della crisi, molti dei quali diretti a perseguire l’obiettivo della risanabilità dell’impresa. Ci si può quindi chiedere se avendo a disposizione una “cassetta degli attrezzi” così fornita come quella del codice sia ancora indispensabile la presenza dell’istituto dell’amministrazione straordinaria.
Probabilmente, per fornire una risposta all’interrogativo bisogna ricorrere ancora una volta alla “cartina di tornasole” degli interessi protetti: ove si ritenga, a livello di politica legislativa, che la continuità aziendale vada tutelata solo nella misura in cui non confligga con il prevalente interesse dei creditori (alla stregua del criterio di non deteriorità rispetto allo scenario che si dischiuderebbe con la liquidazione giudiziale), allora l’amministrazione straordinaria dovrebbe considerarsi superata; se invece si reputa opportuno che, a certe condizioni, l’interesse alla conservazione dei complessi produttivi e dei livelli occupazionali possa far premio sulle pur legittime attese del ceto creditorio, la procedura di cui trattasi non sembra, a ben vedere, rinunciabile, ma soltanto riformabile.
Com’è noto, l’idea iniziale della riforma organica del diritto della crisi d’impresa, che aveva preso avvio con la nomina della nostra commissione ministeriale incaricata della redazione dei principi di delega (inclusi quelli relativi all’amministrazione straordinaria) [20], è rimasta – lo si rammentava in esordio – “lettera morta”: la legge delega n. 155 del 2017 ha infatti espunto dal novero delle materie oggetto di novellazione questa procedura, che risulta pertanto sostanzialmente inalterata. E ciò, come si diceva, a dispetto delle esigenze di modifica e ammodernamento di una normativa che ha di recente compiuto il venticinquesimo anno di vita; tanto più tenuto conto di quanto e come è nel frattempo mutato lo “spazio giuridico” circostante.
Sono quindi pochissime le disposizioni del codice della crisi che contengono precetti inerenti all’amministrazione straordinaria.
Il riferimento è anzitutto all’art. 27, c. 1, CCII, ai sensi del quale “per i procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese assoggettabili ad amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese (…)”. E in proposito va subito messo in luce che competente alla declaratoria di cui sopra non è il tribunale delle imprese[21]. La norma invero, a leggerla correttamente, non si riferisce a quest’ultimo bensì al tribunale sede della relativa sezione specializzata; tribunale che è necessariamente, ratione materiae, quello competente per i procedimenti in ambito concorsuale, cioè la sezione deputata per l’appunto alle procedure concorsuali. Non a caso, quando è accaduto che un tribunale (nella specie quello di Arezzo[22]), nel declinare la propria competenza, abbia erroneamente rimesso gli atti alla sezione imprese del tribunale ritenuto competente (nella specie quello di Milano[23]), quest’ultima ha a sua volta inviato gli atti alla sezione procedure concorsuali, che ha ritualmente provveduto alla concessione del termine ex art. 44 CCII.
In secondo luogo, va menzionato l’art. 1, c. 2, ai sensi del quale “sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di: a) amministrazione straordinaria delle grandi imprese”.
Il problema più delicato nel campo dei rapporti fra codice della crisi e Legge Prodi bis attiene peraltro ad un aspetto diverso: quello della natura – fissa ovvero mobile – dei richiami alla disciplina della legge fallimentare contenuti in quest’ultima. E il problema si pone anche (se non soprattutto) perché in alcuni casi il legislatore è intervenuto su norme specifiche dell’amministrazione straordinaria, novando il preesistente richiamo a disposizioni della legge fallimentare e rinviando a norme del nuovo codice espressamente individuate, mentre in altri casi ciò non è avvenuto.
Ora, è chiaro che, ove si ritengano tali rinvii di carattere fisso, dovrebbe continuare a trovare applicazione alle procedure di amministrazione straordinaria la vecchia legge fallimentare; e ciò indipendentemente – parrebbe – dal fatto che esse siano state aperte in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice della crisi[24].
Una soluzione siffatta, tuttavia, non appare verosimilmente corretta sul piano sistematico, né appagante sotto il profilo applicativo, tanto meno se enunciata in termini generali.
Va invero considerato, in proposito, che l’art. 349 CCII stabilisce che “nelle disposizioni normative vigenti i termini «fallimento», «procedura fallimentare», «fallito» nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale» e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie”.
Più in generale, occorre prendere atto, dal punto di vista sistematico, che anche nel nuovo assetto la disciplina dell’amministrazione straordinaria e quella della liquidazione giudiziale restano tra loro compenetrate, analogamente a quanto accadeva con il fallimento. Tanto che in dottrina si è sostenuto che “la riaffermata compenetrazione fra amministrazione straordinaria e liquidazione giudiziale potrebbe, al limite, addirittura consentire di propendere per una sorta di presunzione di dinamicità di essi, salvi i casi, in definitiva limitati e marginali (…) nei quali o le peculiarità funzionali dell’amministrazione straordinaria o la struttura stessa del rinvio suggeriscano una soluzione diversa”[25].
La conclusione cui si è qui ritenuto di pervenire non è tuttavia predicabile in termini assoluti, potendo darsi casi in cui la disciplina richiamante, cioè quella speciale, è improntata a regole e principi diversi da quelli sanciti in via generale dal codice della crisi.
Non sembra essere necessariamente questo, peraltro, il caso della disciplina dei contratti pendenti[26], dal momento che il codice non ha stravolto i principi ai quali in materia si conformava la legge fallimentare. E con specifico riferimento alla fase di amministrazione giudiziale si ritiene a essa applicabile l’art. 97 CCII dettato per il concordato preventivo, tenuto anche conto che “eventuali richieste di scioglimento non potranno non essere valutate dal giudice in sede di autorizzazione con grande prudenza in quanto non sarà l’imprenditore insolvente a formulare il programma ma il nominando commissario straordinario”[27].
In ogni caso, i rapporti tra amministrazione straordinaria e nuovi istituti codicistici, dalla composizione negoziata al procedimento unitario, sono stati scandagliati in appositi recentissimi contributi[28], ai quali si rimanda e rispetto i quali ci si riserva un più articolato confronto in altra sede.
[1] Come ricordato da L. Rovelli, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, in L. Panzani (diretto da), Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 1338.
[2] Così N. Rondinone, Il mito della conservazione dell'impresa in crisi e le ragioni della “commercialità”, Milano, 2012, 56.
[3] Sul punto v. V. Colesanti, Amministrazione e giurisdizione nella nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, in Riv. dir. proc., 2001, 33 ss.
[4] Cfr., tra gli altri, P.G. Jaeger, Crisi dell’impresa e poteri del giudice, in Giur. Comm., 1978, I, 689; V. Colesanti, Provvedimenti urgenti per l’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in V. Colesanti, A Maffei Alberti e P. Schlesinger (a cura di), Commentario alla l. 3.4.1979, n. 95, in Nuove leggi civ. comm., 1979, 707 ss.; G. Minervini, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: due anni di esperienza,in Giur. comm., 1981, I, 859 ss.; F. D’Alessandro, Interesse pubblico alla conservazione dell’impresa e diritti privati sul patrimonio dell’imprenditore, ivi, 1984, I, 53 ss.; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, in Tratt. Iudica, Zatti, Milano, 2000, 205 ss.; Bianca, La disciplina della crisi delle grandi imprese, in COSTA (a cura di), L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dopo il d.lgs. 12.9.2007, n. 169, Torino, 2008, 21 ss.
[5] Fra i molti A. Bonsignori, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980; Oppo, Profilo sistematico dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Riv. dir. civ., 1981, I, 246 ss.; R. Franceschelli, L’apprendista stregone, l’elisir di lunga vita e l’impresa immortale, in Aa.Vv., Problemi attuali dell’impresa in crisi. Studi in onore di Giuseppe Ferri, Padova, 1983, 73 ss.; E.F. Ricci, La tutela dei creditori dell’imprenditore nell’amministrazione straordinaria: problemi di legittimità costituzionale, in Fall,1984, 100; A. Jorio, Le procedure concorsuali tra tutela del credito e salvaguardia dei complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, p. 513.
[6] Sul tema cfr., anche per riferimenti, M.T. Cirenei, La riforma dell’amministrazione straordinaria alla luce della disciplina comunitaria degli aiuti: fine di un contenzioso?, in Riv. dir. comm.int., 1999, p. 525 e ss.
[7]S. Pacchi, Dalla meritevolezza dell’imprenditore alla meritevolezza del complesso aziendale, Milano, 1989, 314.
[8] R. Rordorf, Le procedure concorsuali e la par condicio fra diritto positivo, usi alternativi e prospettive di riforma, in Quaderni del C.S.M., Frascati, 1988, 23 (richiamato anche da L. Rovelli, cit., 1338). E si veda altresì A. Gambino, Le procedure concorsuali minori: prospettive di riforma e la rinnovata amministrazione straordinaria, in Fall., 2000, 5 ss.
[9] Sulla ben nota questione sia consentito un rimando al mio recente L’impresa nella Costituzione, Bologna, 2023, passim.
[10] Su cui cfr., ex aliis, A. Jorio, Luci ed ombre della nuova Prodi, in Giur. comm., 1999, I, 5 ss.; G. Alessi, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. Commento sistematico al d. lgs. 8.7.1999, Milano, 2000; L. Rovelli, Luci e ombre della nuova legge sull’amministrazione straordinaria, in Fall., 2000, 45 ss.; nonché, più di recente, S. Ambrosini, L’amministrazione straordinaria, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Torino, 2016, 4015 ss.; F. Di Marzio, F. Macario, L’amministrazione straordinaria come procedura concorsuale della grande impresa, in A. Jorio, B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017, 601 ss.
[11] G. Meo, Il risanamento finanziato dai creditori. Lettura dell’amministrazione straordinaria, Milano, 2013.
[12] A. Nigro, Le amministrazioni straordinarie nell’ordinamento concorsuale, in D. Vattermoli (a cura di), Le amministrazioni straordinarie delle grandi imprese insolventi, Pisa, 2024, 16; in precedenza F. Vassalli, I casi di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, ora in Scritti giuridici, t. I, Milano, 2023, 189 ss.
[13] Così, giustamente, V. Zanichelli, Amministrazione straordinaria comune, in V. Zanichelli, E. Stasi, "Grandi procedure" non solo per le grandi imprese, Milano, 2010, 98.
[14] V. Zanichelli, op. cit., 97-98.
[15] F. Di Marzio, F. Macario, op. cit., 656.
[16] S. Ambrosini, L’amministrazione straordinaria, cit., 4019.
[17] A. Nigro, Le amministrazioni straordinarie nell’ordinamento concorsuale, cit., 11 ss.; G. Ferri jr., Profili funzionali dell’amministrazione straordinaria, in Dir. fall., 2024, I, 429 ss.
[18] Analoga espressione si rinviene oggi nell’art. 84, c. 2, CCII, a mente del quale “la continuità aziendale tutela l'interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”. E sul tema, cfr., già alla vigilia del varo del codice della crisi, S. Ambrosini, Concordato preventivo e soggetti protetti nel codice della crisi dopo la Direttiva Insolvency: i creditori e i lavoratori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 1° giugno 2022.
[19] A. Danovi, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza; primi spunti di verifica empirica, in Giur. comm., 2010, I, 245 ss.
[20] Per la lettura e il commento di quell’elaborato cfr. S. Ambrosini, La nuova crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016 (con prefazione di Renato Rordorf e introduzione di Luciano Panzani).
[21] Così, invece, A. Nigro, op. cit., 23.
[22] Trib. Arezzo, 16 giugno 2023, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[23] Trib. Milano, 26 giugno 2023, ric. Fimer S.p.a., inedito.
[24] M. Rossi, La disciplina applicabile alle amministrazioni straordinarie, in D. Vattermoli (a cura di), Le amministrazioni straordinarie delle grandi imprese insolventi, Pisa, 2024, 60.
[25] M. Rossi, La disciplina applicabile alle amministrazioni straordinarie, cit., 70.
[26] Sul tema, in luogo di altri, L. Panzani, I rapporti pendenti nell’amministrazione straordinaria, in Fall., 2018, 1210; M. Fabiani, I contratti pendenti nell’amministrazione straordinaria alla luce del codice della crisi, in Giur. comm., 2020, I, 787.
[27] V. Zanichelli, I rapporti pendenti nelle procedure di amministrazione straordinaria, in Fall., 2024, 1273.
[28] M. Fabiani, Le relazioni tra composizione negoziata e amministrazione straordinaria, in Fall., 2024, 1217 ss.; F. De Santis, I processi per l’accesso all’amministrazione straordinaria e il procedimento unitario, ivi, 1241 ss. (apparsi entrambi quando il presente lavoro veniva varato).