Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Osservazioni sull’art. 120-bis, comma 4°, CCII e su qualche pericolosa aporia interpretativa.


Giuseppe Fauceglia

Data pubblicazione
18 dicembre 2024

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L’art. 120-bis, comma 4°, CCII, dispone che “La deliberazione di revoca (degli amministratori) deve essere approvata con decreto della sezione specializzata del tribunale delle imprese competente, sentiti gli interessati”: ciò nel contesto, oggetto di ampia disamina in dottrina, delle competenze esclusive in ordine all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi, attribuite all’organo amministrativo dall’art. 120-bis, comma 1°, CCII. Dalla norma in oggetto si fa derivare il principio secondo il quale l’efficacia dell’atto di revoca resta espressamente condizionata all’accertamento giudiziale della giusta causa di revoca per il periodo che va dalla pubblicazione della decisione di ricorrere allo strumento di regolazione della crisi (art. 120-bis, comma 1°, CCII) fino alla sua interruzione[1], con la conseguenza che la rimozione dall’incarico rimane priva di effetti sino al provvedimento di approvazione del tribunale o sino all’esaurimento della relativa procedura, anche in considerazione dell’art. 739 c.p.c., a mente del quale il decreto del tribunale è suscettibile di reclamo in corte di appello [2], con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., il decreto acquista efficacia solo quando sono decorsi i termini previsti per la definizione del reclamo.

In questo contesto si afferma l’omogeneità del disposto di cui all’art. 120-bis, comma 4°, CCII con l’art. 2400, comma 2°, c.c. per quanto riguarda la revoca del sindaco, ribadendo che entrambe restano norme di garanzia a salvaguardia dell’ufficio dell’amministratore, nell’ambito dell’accesso agli strumenti di regolazione della crisi di impresa, così come del sindaco nella sua funzione di controllo e di vigilanza. Dalla rilevanza degli interessi presupposti dalle due disposizioni, si ricava che entrambe le ipotesi di revoca non solo presuppongono una giusta causa, tale da essere specificamente indicata nella relativa delibera assembleare [3], ma soprattutto entrambe dispongono che la revoca è priva di efficacia se non viene accertata dal tribunale, con conseguente definitività del relativo provvedimento camerale. In sostanza, la norma del CCII ha inteso, così come per la revoca dei sindaci, introdurre una disciplina divergente da quella destinata nella disciplina di diritto comune agli amministratori, i quali possono essere revocati in qualsiasi momento dall’assemblea, e la mancanza di una giusta causa rileva solo ai fini del risarcimento del danno, ma non priva in sè l’atto di efficacia (art. 2383, comma 3°, c.c.). In sostanza, nell’ipotesi qui considerata la giusta causa accertata giudizialmente si pone come condizione di efficacia della estinzione del rapporto e, in ciò la disciplina diverge anche da quella del mandato irrevocabile di cui all’art. 1723 e ss. c.c. [4]. In sostanza, il fondamento delle due norme si rinviene nella necessità di assicurare la stabilità della funzione degli amministratori in un momento delicato della vita dell’impresa, come quello che caratterizza la crisi economica e finanziaria e la conseguente necessità di superarla, così come per i sindaci nel consentire la imparzialità dell’incarico, impedendo che entrambi possano essere “ricattabili” dalla maggioranza che, con la revoca, potrebbe liberarsi di un amministratore o di un sindaco scomodo[5]. L’interesse protetto dalle due norme è quello di assicurare un regolare funzionamento della società, nonché, nel contesto della crisi, di assicurare che l’attività gestoria, collegata all’accesso agli strumenti per la sua definizione, resti indipendente[6] rispetto agli interessi dei soci e finalizzata alla tutela dei creditori.

Il dato assolutamente rilevante che costituisce la ratio dell’art. 120-bis, comma 4°, CCII, si rinviene nella prospettiva di assegnare in modo esclusivo agli amministratori la competenza sull’accesso ad uno degli strumenti di risoluzione della crisi (art. 120-bis, comma 1°, CCII), in tal modo si intende limitare o escludere qualsiasi ingerenza dei soci che possa, in qualche modo, ostacolare il risanamento, subordinando la stessa revoca degli amministratori non già ad una qualsiasi deliberazione assembleare incidente sulla loro rimozione, ma alla ricorrenza di una “giusta causa” sottoposta alla successiva e determinante valutazione del tribunale[7]. Il dato normativo corrisponde al Considerando 96 della Direttiva UE 2019/1023, dove si legge “l’efficacia del processo di adozione e di attuazione del piano di ristrutturazione non dovrebbe essere compromesso dalle norme di diritto societario”; con conseguente indicazione agli Stati membri di garantire che “le prescrizioni di diritto societario non possano compromettere l’efficacia del processo di ristrutturazione” e garantire che “gli azionisti (cioè, i soci) non ostacolino indebitamente l’adozione o l’attuazione di un piano di un piano di ristrutturazione che potrebbe ripristinare la sostenibilità economica dell’impresa”. In conformità, l’art. 12 della Direttiva dispone che “gli Stati membri provvedono altresì affinché ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire o di ostacolare irragionevolmente l’adozione e l’omologazione di un piano di ristrutturazione”; nonché “adattare la definizione di cosa debba intendersi per impedire o ostacolare irragionevolmente” la ristrutturazione e il superamento della crisi. In questo contesto, l’art. 120-bis, comma 1°, CCII ha attribuito all’esclusiva competenza degli amministratori l’accesso ad uno degli strumenti di risoluzione della crisi (senza alcun obbligo di ottenere preventivo assenso dei soci), e, dappoi, ha previsto nel comma 4° che gli amministratori non possono essere revocati per la sola circostanza di aver fatto accesso a detto strumento, nonché che la loro revoca solo per giusta causa dovrà essere sottoposta al necessario vaglio accertativo del Tribunale. Orbene, in questo contesto, resta evidente che una delibera assembleare che si limiti a revocare l’amministratore, pur in presenza di una ritenuta giusta causa (in assenza del necessario provvedimento del Tribunale), e contemporaneamente nomini un nuovo amministratore con piene funzioni, finisce per creare in concreto un “ostacolo” al processo di ristrutturazione, posto che le azioni dell’amministratore revocato (con revoca non ancora assentita dall’autorità giudiziaria) potrebbero restare in contrasto con quelle assumibili dal nuovo amministratore (si pensi, ad esempio, alla revoca della nomina dei professionisti chiamati a redigere il piano o alla stessa previsione di altro strumento tra quelli indicati dalla legge), con evidente confusione e possibile pregiudizio per gli obiettivi di superamento della crisi (nel caso restando incerto se le stesse attività di impulso siano attribuibili, in assenza del provvedimento del tribunale, all’amministratore revocato o al nuovo amministratore). In questo contesto, l’approvazione del tribunale viene ricompresa nel concetto di omologazione, essa rappresentando un elemento indispensabile affinché diventi efficace la deliberazione di revoca dell’amministratore [8]. In sostanza, nel richiedere che la deliberazione di revoca venga approvata con decreto della competente Sezione Specializzata in materia d’Impresa, si avvalora una rafforzata stabilità della carica nell’ottica di rendere i gestori della società indipendenti rispetto al gruppo di comando che li ha nominati [9]. Ne consegue che la disciplina in oggetto non è assimilabile alle normali delibere di revoca e sostituzione degli amministratori, posto che la rimozione dall’incarico gestorio può essere decisa dai soci, ma rimane priva di effetti fino al provvedimento di accertamento della giusta causa da parte del Tribunale [10].

A fronte di questo unanime contesto interpretativo, si rinvengono alcune recenti decisioni che si presentano distoniche, se non foriere di gravi deviazioni, rispetto all’impianto normativo. Si segnalano, due provvedimenti assunti da Sezioni specializzate in materia di impresa, la prima del Tribunale L’Aquila, sez. impr., 18 aprile 2023 [11], la seconda del Tribunale di Roma, sez. impr. del 17 settembre 2024. La prima assume che “la delibera di revoca dei membri del c.d.a., con contestuale nomina dell’amministratore unico, è da considerarsi immediatamente efficace, benché sottoposta all’approvazione del Tribunale delle imprese, non venendo in questione il diverso istituto della prorogatio del precedente organo amministrativo e producendo il contratto concluso tra la società e gli amministratori i propri effetti sin dal momento della sua conclusione, anche ai profili legati alla rappresentanza”. La seconda ritiene che “la regola generale prevede che in caso di revoca e contestuale sostituzione dell’organo amministrativo, la nomina del nuovo amministratore sia immediatamente efficace, dipendendo dall’iscrizione la sola spendibilità della stessa verso i terzi. Orbene, ritiene il Collegio che l’art. 120-bis, comma 4°, CCII non introduca alcuna deroga a siffatto principio generale nella parte in cui dispone che “dalla iscrizione della decisione nel registro delle imprese e fino alla omologazione, la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa”. Ed invero, la stessa disposizione in esame, per come formulata, si limita a sancire la inefficacia ex tunc della delibera soltanto nel caso in cui la stessa, all’esito del procedimento di omologazione, risulti viziata dall’assenza di giusta causa.

In altri termini, la norma, lungi dall’introdurre una speciale condizione sospensiva di efficacia della delibera, si limita a precisare la retroattività degli effetti dell’eventuale rigetto della domanda di omologa”. Invero, quanto assunto dai citati decreti contrasta con la funzione della norma, posto che il comma 4° dell’art. 120-bis CCII, in maniera innovativa rispetto alla comune disciplina del rapporto gestorio, assume la necessità dell’intervento del tribunale, tanto da escludere che, come avviene in assenza del decreto di cui all’art. 2400 c.c., l’assemblea possa, da subito, con la revoca dell’amministratore nominarne altri in sostituzione (per cui ogni questione connessa alla prorogatio o alla natura del contratto resta ultronea e non influente), e tanto con immediata efficacia o effetti. Dall’altra, A prescindere dall’orientamento correttamente assunto da alcuni uffici del registro delle imprese nel negare l’iscrizione del nuovo amministratore, non conserva alcun rilievo l’”iscrizione della decisione”, posto che qui si controverte non già della nomina del nuovo amministratore, ma della revoca per giusta causa dell’amministratore che ha deliberato l’accesso agli strumenti, la quale presuppone il decreto del tribunale. In realtà, solo con l’intervenuta assentita revoca per giusta causa, come disposta dal tribunale – in perfetta sintonia con la disciplina della revoca dei sindaci – si realizzano gli effetti della nomina del nuovo amministratore, non prima, e ciò vale non solo nel rapporto con i terzi, ma pure in relazione alle dinamiche interne della società, in quanto tali sottratte alla libera determinazione dei soci.

Sul tema, le decisioni in oggetto incorrono in errore, laddove hanno ritenuto di richiamare impropriamente il precedente di Cass. 26 novembre 2018, n. 30542 [12], che attiene a fattispecie completamente diversa, poiché ha ad oggetto una normale delibera assembleare di revoca di un amministratore e di nomina di nuovo, ipotesi che resta completamente affidata alla determinazione assunta dall’assemblea e non richiede alcuna successiva approvazione da parte del tribunale in ordine alla ricorrenza di una qualsiasi giusta causa di revoca, e dunque non è sottoposta a quell’iter processuale che, in relazione al successivo provvedimento giudiziale di accertamento/conferma del presupposto, si sviluppa con riferimento ai procedimenti in camera di consiglio e alla loro definitività. Non solo, ma nel contesto temporale in cui si sviluppa la vicenda scrutinata dalla Corte, non è dato rinvenire una norma simile a quella introdotta dall’art. 120-bis, comma 4°, CCII, sì che quella delibera di revoca (a prescindere dalla ricorrenza di una giusta causa) non era sottoposta ad alcuna approvazione da parte del Tribunale, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Le conseguenze connesse a simili interpretazioni misurano la distanza rispetto agli interessi tutelati dall’art. 120-bis CCII, offrendo prevalenza all’intervento, a volto demolitorio o di puro ostruzionismo, dei soci di maggioranza a fronte di scelte necessitate per salvaguardare la stessa continuità dell’impresa nella tutela dei creditori, in una prospettiva, ad esempio, significativamente criticata anche in altri ordinamenti [13], sì da tradursi in una “lettura” non coerente con il dato normativo caratterizzato da significativa novità, neppure percepita dall’interprete. Non solo, ma l’orientamento criticato non considera che la nuova disciplina si colloca in un sistema (autonomo o meno) che si distanzia dal diritto societario generale, che, nello specifico, non richiede neppure un grande sforzo di coordinamento, in via interpretativa, con le restanti norme di diritto comune, perché è lo stesso CCII ad indicare il diverso assetto di interessi che richiede, per l’appunto, l’intervento del tribunale.

 



[1] Sul tema: BARTOLINI, sub art. 120-bis, in Commentario al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da Di Marzio, Milano, 2022, 551; RORDORF, I soci di società in crisi, in Società, 2023, 1149 ss; VASTA, I rapporti tra gli amministratori e l’assemblea dei soci nella nuova disciplina del CCII, in Giur. comm., 2024, I, 1011 e ss.

[2] FAZZALARI, voce “Giurisdizione volontaria”, in Enc. del dir., XIX, Milano, 1970, 106 ss.; MONTELEONE, voce “Camera di consiglio (diritto processuale civile)”, in Noviss. Dig. App., Torino, 1980, 990; MICHELI, Efficacia, validità e revocabilità dei provvedimenti di giurisdizione volontaria. Opere minori di diritto processuale civile, Milano, 1982, II, 229 ss.; ARIETA, voce “Procedimento camerale”, in Dig.civ., XIV, Torino, 1996, 452.

[3] Si ricorda il costante orientamento della giurisprudenza a mente del quale i motivi di revoca dell’amministratore restano solo ed esclusivamente quelli indicati nella relativa deliberazione assembleare, non potendo gli stessi essere integrati da ulteriori motivi nel corso del giudizio (di recente: Trib. Bologna, 11 luglio 2023, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: “è onere della società indicare in modo specifico i fatti ritenuti integranti la giusta causa, senza ulteriore possibilità di integrare la delibera; Trib. Milano, 20 giugno 2022, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: “le circostanze rilevanti ai fini della sussistenza della giusta causa sono solo quelle specificamente enunciate nella delibera di revoca dell’assemblea, senza alcuna possibilità di integrazione nel corso del processo”; Trib. Torino, 17 novembre 2021, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: “le ragioni della revoca devono essere enunciate espressamente e specificamente nella deliberazione, senza possibilità di integrazione in sede giudiziaria”).

[4] FRANZOSI, Della società per azioni, tomo III, Dell’Amministrazione e del Controllo, 2, Del Collegio sindacale. Della revisione legale dei conti, Art. 2397-2409 septies, in Commentario del Codice Civile e Codici Collegati, diretto da Scialoja-Branca-Galgano, a cura di De Nova, Bologna, 2015, 87

[5] Di “rafforzata stabilità della carica” parla anche AMBROSINI, Profili societari degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in PACCHI-AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 339, “nell’ottica di rendere i gestori della società per quanto possibile indipendenti, rispetto alla decisione di cui trattasi, dal gruppo di comando che li ha nominati”. L’autore aggiunge che “Il principio della irrevocabilità degli amministratori se non per giusta causa appare dotato di una «forza espansiva» tale da ricomprendere, vietandole implicitamente, manovre dei soci dirette a perseguire lo scopo proibito dalla norma. Ci si riferisce, ad esempio, a quelle delibere assembleari che, all’evidente fine di aggirare le preclusioni di legge, mirino ad alterare la composizione del consiglio di amministrazione, aumentandone il numero di componenti (all’interno del range previsto dallo statuto sociale o addirittura modificando quest’ultimo) onde poter mutare gli equilibri (e in ipotesi le maggioranze) venutesi a creare all’atto in cui gli amministratori hanno deciso di accedere a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.

[6] Per i sindaci: TEDESCHI, Il collegio sindacale, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1992, 63; più di recente AMBROSINI, Collegio sindacale: nomina, composizione e funzionamento, in ABRIANI-AMBROSINI-CAGNASSO-MONTALENTI, Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, IV.1, Padova, 2010, 742 e ss.; DEMURO, Collegio sindacale, in Società per azioni, Trattato delle società, diretto da Donativi, I, Milano, 2022, 2112 e ss.

[7] Da ultimo, e senza la pretesa di essere esauriente, VASTA, I rapporti tra gli amministratori e l’assemblea dei soci nella nuova disciplina del CCII, cit.

[8] Ciò viene costantemente affermato per la revoca dei sindaci: TEDESCHI, op. ult. cit., 66; FRANZONI, op. ult. cit., 87. Anche: Cass. 4 settembre 2012, n. 14778, in Rep. Foro it., 2012, voce “Società”, n. 579, secondo cui il provvedimento di approvazione della delibera di revoca dei sindaci costituisce la fase necessaria e terminale di una vera e propria sequenza procedimentale alla produzione degli effetti propri della revoca.

[9] Tra i tanti: IOZZO-SCRIBANO, Sub art. 120-bis, in Commentario breve alle leggi sulla Crisi d’impresa ed insolvenza, diretto da Maffei Alberti, 2023, 886; D’ORSI, Sub art. 120-bis, in Il Codice della crisi. Commentario, a cura di Valensise, Di Cecco e Spagnuolo, Torino, 2024, 708

[10] CAGNASSO – GIULIANI – MICELI, L’accesso delle società al concordato preventivo, in Società, 2023, 984.

[11] In Dir. fall., 2024, II, 376, con nota di VIOLA, Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e revoca degli amministratori di società in house; e in Società, 2023, 1088, con nota di CODAZZI, Accesso agli strumenti di regolazione della crisi e revoca degli amministratori di società in house: un’applicazione dell’art. 120-bis, comma 4°, CCII.

[12] In Foro it., 2019, I, 494, che attiene al diverso contesto in cui si assume che la rappresentanza della società e la conseguente legittimazione dell’amministratore è connessa all’accettazione della nomina.

[13] VERONIQUE MARTINEAU-BOURGNINAUD, Tribunaux des activités économiques: quand compétence rime avec incohérence et discordance!, in Bolletin Joly entreprises en difficulté, 2024, n.5, 1.