Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Sulla decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria nel contesto dei servizi d’investimento (con riflessioni su contesti "contigui")


Aldo Angelo Dolmetta
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Sulla decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria nel contesto dei servizi d’investimento (con riflessioni su contesti "contigui")


Aldo Angelo Dolmetta

Data pubblicazione
17 gennaio 2025

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Sommario. 1. Premessa. – 2. Il punto della giurisprudenza della Cassazione. – 3. Il formante della giurisprudenza di merito. – 4. La posizione dell’ACF. – 5. Riferimenti sulla dottrina. – 6. Qualche osservazione in materia: a proposito della sentenza della Corte Cost. n. 115/2024). – 7. (Segue): decorrenza della prescrizione e fattispecie a formazione progressiva. – 8. (Segue): la disposizione dell’art. 2935 c.c. e il punto della conoscibilità del danno.


1.- Premessa

Un altro dei nodi – dei tanti nodi che il diritto contrattuale delle imprese bancarie e d’investimento continua a proporre – sembrerebbe volgersi verso il suo pettine. Nello scorso mese di novembre, la pubblica udienza della Corte di Cassazione (Prima Sezione) ha passato all’esame la questione relativa all’individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto del cliente al risarcimento dei danni causatigli dall’inadempimento dell’intermediario agli obblighi di informazione e/o di adeguatezza che governano il campo dei servizi d’investimento.

La questione – che ha come sua sponda di fondo l’alternativa tra il tempo dell’inadempimento e quello della verificazione del danno (come poi variamente declinabile sul versante della conoscenza/conoscibilità del danno da parte del cliente) - è di importanza particolare: e, forse, non solo in sé stessa, bensì pure più in generale, nel suo impatto rispetto al diritto vivente. Con riguardo, in specie, al punto della decorrenza dell’azione risarcitoria per inadempimento di obbligazioni professionali, posto che tale (professionale, cioè) è quella dell’intermediario che opera nell’ambito dei servizi d’investimento, trattandosi di attività soggetta ad autorizzazione, e che, nel diritto applicato, quello della responsabilità professionale (avvocato, notaio, medico, …) è terreno avanzato di studio e di analisi del tema della decorrenza[1]. E fors’anche più ampiamente ancora, per il riflesso che la soluzione (che verrà) raggiunta in proposito potrebbe possedere circa altre ipotesi di inadempimento a obbligazioni contrattuali e connesso risarcimento del danno.

Nell’attesa che la Prima Sezione della Corte sciolga la questione, non è forse inutile raccontare, pur se in sintesi breve, il quadro d’insieme che l’attuale diritto vivente presenta in materia. Nell’avvertenza, peraltro, che la soluzione così raggiunta potrebbe poi rivelarsi una semplice «anticamera» a un intervento delle Sezioni Unite, per lo scontento in qualunque caso (quale che sia il merito della stessa, cioè) prodottosi; e pure nell’ulteriore avvertenza che, sempre sul piano del diritto vivente, sui termini contenutistici della soluzione potrebbe forse pure incidere – già nel contesto della sentenza che si annuncia o subito dopo – un’assai recente sentenza della Corte Costituzionale (secondo quanto si accennerà nell’ultimo paragrafo del presente lavoro). In ragione di queste avvertenze, la seconda parte di questo lavoro viene a presentare una riflessione, di ordine sostanzialmente critico, sui contenuti dell’intervento della Corte Costituzionale e a proporre qualche spunto di tipo ricostruttivo.


2.- Il punto sulla giurisprudenza della Cassazione

2.1.- Per quanto mi è noto, la questione è approdata in Cassazione solo in tempi recenti. Volendo, è approdata anche un po’ di «soppiatto», posto che la prima pronuncia, che ha affrontato il problema, risale a un provvedimento della Sesta Sezione (Sottosezione Prima), ovvero della c.d. sezione stralcio (come allora ancora operante[2]). A questa pronuncia - che è rappresentata da Cass., 20 gennaio 2022, n. 1283, e che, in effetti, è rimasta piuttosto trascurata dagli arresti successivi (forse perché non fatta oggetto di apposita massimazione) - ha fatto poi seguito, non molto tempo dopo, quella di Cass., 24 gennaio 2023, n. 2066 (Prima Sezione).

Entrambe le decisioni hanno adottato la soluzione favorevole alla posizione dei clienti, richiamandosi in modo espresso all’autorità di Cass., 5 aprile 2012, n. 5504 (Seconda Sezione), per cui «in tema di danno contrattuale, al fine di determinare il dies a quo della prescrizione occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale del creditore il danno causato»; «l’interesse ad agire del creditore per ottenere il ristoro patrimoniale … assume consistenza soltanto quando si [siano] effettivamente prodotte le conseguenze negative sul suo patrimonio determinate dall’accertato inadempimento imputabile al debitore» (questa sentenza è resa con riferimento diretto a una fattispecie concreta concernente un’operazione di vendita immobiliare).

La decisione del ‘22 ha inoltre osservato che, in ragione dello specifico oggetto della controversia, il punto della prescrizione concerne «non già la prestazione pattuita [nel contratto], quanto, piuttosto, quella succedanea e distinta … del risarcimento» e che «l’interesse» a ottenere «l’invocato ristoro patrimoniale non [può] farsi risalire al momento in cui [è] sorto il diritto all’esecuzione del contratto …, atteso che esso avrebbe acquisito consistenza solo allorquando si fossero effettivamente prodotte le conseguenze negative nel suo patrimonio». A sua volta, la decisione del ’23 ha anche rilevato che la prescrizione dell’azione risarcitoria viene a correre (solo) «dal momento in cui … si concreta la manifestazione oggettiva del danno … avendo riguardo all’epoca di accadimento della conseguenza lesiva per come obiettivamente percepibile e riconoscibile».

Qualche mese dopo, peraltro, l’ordinanza di Cass., 22 dicembre 2023, n. 35891 ha ritenuto – altro non adducendo che la «particolare rilevanza» della questione, «tenuto conto dei riflessi su controversie analoghe e di quanto già sancito da Cass., n. 2066/2023»[3] - di rimettere la causa alla pubblica udienza. In prosieguo di tempo, a tale rimessione si è poi venuta ad accodare anche l’ordinanza di Cass., 8 marzo 2024, n. 6333 (entrambi questi provvedimenti ordinatori provengono dalla Prima Sezione).

Come sopra anticipato, la soluzione adottata dal Collegio chiamato a decidere nella pubblica udienza non risulta ancora pubblicata. In relazione a quest’evenienza, peraltro, sono qui da registrare due dati, come connotati da opposta vettorialità.

 

2.2.- La soluzione accolta dalle due citate pronunce decisorie della Corte è stata confermata - in via indiretta (trattandosi, in quella specie, di una vicenda di responsabilità medica) - dalla pronuncia di Cass., 11 novembre 2024, n. 29328, resa dalla Terza Sezione e di pochissimo antecedente allo svolgimento della detta pubblica udienza.

Questa decisione - in modo espresso richiamando, tra l’altro, il precedente rappresentato dalle seconda delle sopradette decisioni – ha sostenuto, in particolare (e con particolare vigore), che «la regola per la quale il termine di prescrizione decorre da quando il danneggiato ha avuto o avrebbe avuto conoscenza della ingiustizia del danno, ossia del fatto che esso si è prodotto e che va attribuito a taluno (Cass., n. 1263/2012) non cambia a seconda del titolo di responsabilità, se contrattuale o extra, vale ossia anche in caso di responsabilità contrattuale (per una ipotesi Cass., n. 2066/2023)».

L’altro dato, che pare opportuno riferire in proposito, consiste in ciò che la requisitoria depositata dalla Procura Generale (in data 29 settembre 2024) in vista della detta pubblica udienza ha sostenuto invece – con non minore vigore (seppur con accenti talvolta in sé stessi non indiscutibili[4]) - la tesi favorevole agli intermediari, secondo cui la prescrizione del diritto risarcitorio corre senz’altro dal giorno in cui si verifica la situazione dell’inadempimento

 

2.3.- Per dare un minimo di completezza al quadro di riferimento sul formante in discorso, è adesso da aggiungere che la soluzione più favorevole alla posizione dei clienti risponde a un orientamento della Corte, che potrebbe essere ormai ritenuto come «ricevuto» per il campo della responsabilità delle obbligazioni professionali[5]. E pure, più in generale, che la stessa riscontra un corposo orientamento della Corte in punto di responsabilità risarcitoria da inadempimento contrattuale (in genere)[6]. Al fondo di questi orientamenti sostanzialmente sta - non è inopportuno precisare - l’avvertita esigenza di fornire alla posizione dell’avente diritto una tutela effettiva, con segnato riguardo alle ipotesi in cui l’inerzia di quest’ultimo non risulta ascrivere a negligenza (c.d. inerzia incolpevole)

Tuttavia, nella giurisprudenza della Corte risulta rappresentato – in periodi temporali ancora non lontani - pure l’orientamento di segno opposto, come inteso a dare della norma dell’art. 2935 c.c. un’interpretazione rigida (o, per meglio dire, di tratto «restrittivo»: cfr. infra, nel n. 6). In questa contraria prospettiva, sovente viene in specie richiamata la pronuncia di Cass., 28 gennaio 2004, n. 1547 (Seconda Sezione e peraltro relativa a un caso di responsabilità medica). Per i tempi più recenti vengono segnalate poi, le pronunce di Cass., 6 ottobre 2014, n. 21026 (terza Sezione; responsabilità di notaio e danni lungolatenti); Cass., 7 settembre 2017, n. 20907 (Quarta Sezione, a proposito di ratei di crediti da pensione)[7].

Questa antinomia – occorre per la verità puntualizzare – non sembrerebbe comunque dare vita, però, a un vero e proprio contrasto tra arresti della Corte (nel senso di cui all’art. 374 c.p.c.). Si ha piuttosto l’«impressione» – così si è scritto - «di una pluralità di pronunce empiriche e perciò non sistemabili»[8]. In effetti, in materia si fa difficoltà a rendere «generali» i dati che il diritto vivente viene a esporre; meglio, a operare crescenti generalizzazioni in proposito: un conto, per dire, è il campo della responsabilità risarcitoria nei servizi di investimenti; un altro, quello della responsabilità professionale; un altro ancora quello della responsabilità da inadempimento contrattuale. Il fatto di fondo è – così a me pare, almeno - che la prescrizione è istituto «trasversale», che incombe su quasi tutti i diritti: e tra i tanti diritti facilmente possono correre (ben al di là delle distinzioni di tipo scolastico) differenze anche molto forti: per tipo di oggetto, di natura, di rapporto (con eventuale obbligato) e pure di funzione (nel caso dei servizi di investimento, per fare un esempio di immediata percezione, gli obblighi di informazione e di adeguatezza, che gravano l’intermediario, esprimono una funzione di tutela del cliente).

 

3.- Il formante della giurisprudenza di merito

Al livello della giurisprudenza di merito, la questione della decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria nei servizi di investimento non riceve nell’attuale – e, per vero, neanche nei tempi meno recenti - risposte di segno univoco.

Sul fronte della tutela della posizione dei clienti, di recente la pronuncia di Trib. Bari, 7 novembre 2024, n. 4563 ha rilevato (anche facendo perno sulla decisione di Cass., n. 2066/2023) che la prescrizione comincia a decorrere non dalla data del fatto di inadempimento, quale «fatto storico obiettivamente realizzato», ma da quella in cui «ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili». Non diversamente, nella sostanza prima delle cose, si è espressa, pochi mesi prima, la sentenza di App. Milano, 24 ottobre 2023, n. 3015, secondo la quale, nei casi in cui «la manifestazione del danno non sia immediata ed evidente e possa apparire dubbia la sua ricollegabilità eziologica all’azione di un terzo», la prescrizione corre dal «momento della reale e concreta percezione dell’esistenza e della gravità» del danno.

Sull’opposto versante, è da registrare la sentenza dell’App. Caltanisetta, 1° settembre 2023, n. 301, che tra l’altro richiama come a sé conforme la pronuncia di Trib. Napoli, sez. II, n. 1511/2023. Secondo il giudice nisseno, dunque, il dies a quo «non può non coincidere con il compimento delle operazioni di investimento contestate»: questa – si è detto – è «l’unica data in grado di offrire una certezza», posto che «i prodotti finanziari subiscono periodiche oscillazioni in positivo o in negativo, ragion per cui», se si fissasse il termine iniziale al tempo della consapevolezza della minusvalenza, «verrebbe sostanzialmente rimessa all’arbitrio dell’investitore l’individuazione della data di decorrenza»; d’altra parte – si è altresì aggiunto -, nella specie «il danno è ravvisabile nella lesione della libertà personale dell’investitore», «le perdite [costituendo] una conseguenza dell’illecito consumato dalla banca»[9].

 

4.- La posizione dell’ACF

Su quest’ultima linea, favorevole alla posizione dell’intermediario inadempiente, si è tradizionalmente attestato – è anche da annotare - l’orientamento dell’Arbitro delle controversie finanziarie.

Le decisioni di questo organismo in particolare sottolineano, oltre ai rilievi appena sopra già riportati che «l’autentica ratio dell’istituto della prescrizione deve essere ravvista nel soddisfare un’imprescindibile esigenza della certezza dei rapporti giuridici»; che il danno consiste nella «non corretta rappresentazione delle caratteristiche dello strumento finanziario», sì che il cliente «non si è potuto determinare in maniera del tutto consapevole nelle proprie scelte di investimento»; che, «nel caso di responsabilità contrattuale il fondamento del diritto al risarcimento è nella violazione di una preesistente obbligazione, ciò che allora rende obiettivamente immediatamente percepibile per il creditore … sia l’illecito che le sue conseguenze dannose»; che, comunque, «gli impedimenti di fatto (quale la mancata manifestazione del danno o la mancata scoperta del danno) non impediscono il decorso del danno»[10].

 

5.- Riferimenti sulla dottrina

5.1.- In dottrina, non mancano voci specificamente intese a secondare la tesi da ultimo riferita. Peraltro, pure è da segnalare che, proprio di recente, attenta dottrina ha manifestato e motivato la propria adesione alla soluzione di segno opposto[11].

«Il termine di prescrizione» - ha dunque riscontrato Maffeis, con dovizia richiamando pure coerenti precedenti giurisprudenziali – decorre solo se il diritto può essere esercitato, e quindi se il danno non solo è sorto, ma è anche divenuto percepibile con l’ordinaria diligenza».

«La lesione di un diritto» - ha distintamente osservato Natoli - «non produce automaticamente un danno risarcibile»: la tesi dell’immediata decorrenza della prescrizione «identifica il danno con l’inadempimento, così sovrapponendo i due piani, ben distinti». Posta una simile tesi – si aggiunge – il cliente, «per agire tempestivamente e paralizzare le eccezioni di prescrizione del convenuto», «dovrebbe dunque promuovere l’azione quando il danno non si è ancora prodotto»: il che è «paradossale e irrazionale». Ma la tesi è anche «illogica»: «affermando che il danno si manifesta al momento dell’ordine di acquisto dei titoli implicitamente [essa] postula l’assunto che, nel momento stesso in cui l’intermediario omette l’informazione (o dà un’informazione decettiva o fuorviante], il cliente ne sia consapevole»; «se così fosse, però, non vi sarebbe lesione del diritto perché il cliente sarebbe ben consapevole della rischiosità dell’investimento».

Ancora aggiunge quest’ultimo autore che, d’altro canto, l’osservazione del dato giurisprudenziale – come nel concreto sviluppatosi specie in relazione al tema dei danni c.d. lungolatenti – mostra netta la presenza di una tendenza volta a collocare l’exordium praescriptionis al tempo della percezione del sopravvenuto danno: una soluzione diversa per la tematica dei servizi d’investimento rischierebbe di produrre una «disparità di trattamento [confliggente] con l’art. 3 Cost.».

 

5.2.- La posizione espressa dagli autori appena citati si inserisce – è opportuno mettere ora in evidenza per dare almeno un poco di profondità alla disamina in corso – nel contesto di una dottrina dell’istituto della prescrizione che nell’attuale non mostra serenità, quanto invece travaglio. Uno sguardo complessivo di questa letteratura indica, in effetti, che è decisamente terminato il tempo in cui tutto si risolveva con le affermazioni del prevalente valore della «certezza del diritto» e della compiuta irrilevanza delle ragioni stanti effettivamente alla base dell’inerzia dell’avente diritto (salvo solo il caso, ritenuto del tutto estremo, del dolo posto positivamente in atto dal debitore).

Sollecitata dall’evolversi dei tempi e pure dalle esperienze di riforma maturate da altri Paesi[12], la letteratura oggi si interroga. Il punto è ben noto e può essere qui richiamato pure per il tramite di semplici stereotipi: in discussione è, oggi, il tema della effettiva tenuta (per l’an della stessa e in ogni caso per la sua misura) della vecchia regola per cui a far correre la prescrizione è comunque l’inerzia - quand’anche del tutto incolpevole - dell’avente diritto; se possano avere cittadinanza i c.d. impedimento di fatto e che in rapporto (di eccezione o meno) si pongano allora con i c.d. impedimenti di diritto; se la «persistente interpretazione restrittiva dell’art. 2935 c.c.» non sia oggi da ritenere «il frutto di un ingiustificato pregiudizio, capace di sacrificare situazioni meritevoli di tutela a malintese esigenze di certezza»[13] .


6.- Qualche osservazione in materia: a proposito della sentenza della Corte Cost. n. 115/2024)

6.1.- Nella sentenza 1° luglio 2024, n. 115, la Corte Costituzionale ha affrontato il problema del rispetto ai principi degli artt. 3 e 24 Cost. della norma dell’art. 15, comma 3, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, per cui l’azione di risarcimento nei confronti del revisore legale per i danni conseguenti agli inadempimenti compiuti nello svolgimento dell’incarico affidatogli si prescrive nei confronti della società committente «nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio …»[14]. Come si vede, il tema è davvero vicino a quello che viene qui in diretto interesse: il giudice a quo dubitando di un’eccessiva compressione del diritto risarcitorio della società committente[15] per il fatto che tale norma fa decorrere il termine di prescrizione anche quando l’avente diritto «non può essere solerte nell’esercizio di quel diritto, perché il diritto non è ancora sorto o perché non può essere a conoscenza del danno che ha subito».

Nello svolgere la parte motiva della sentenza, la Corte rileva essenzialmente che il tema della decorrenza della prescrizione evoca in buona sostanza un «problema di bilanciamento fra due contrapposti interessi» e che, peraltro, gli stessi «non si compongano agevolmente». Da un lato, dunque, v’è l’interesse del danneggiante a essere liberato «dall’eventuale vincolo obbligatorio», a essere «sollevato dall’onere di una difesa che, altrimenti, andrebbe a verte in primis sulla insussistenza dei presupposti della responsabilità»; e a questo «interesse, di natura privatistica … si collega, al contempo, all’esigenza pubblicistica di assicurare la certezza del diritto». Dall’altro, però, pure «emerge l’interesse del danneggiato a far valere il proprio diritto al risarcimento del danno, senza subire l’effetto preclusivo della prescrizione, se non a fronte di una propria inerzia: simile esigenza invoca … un dies a quo correlato alla possibilità correlato alla possibilità “di fatto” di far valere il diritto, e cioè alla conoscibilità del danno del danno e del nesso di causalità».

Nel concreto, peraltro, la Corte ritiene che a un bilanciamento di questi interessi si possa, nella specie, anche arrivare, in modo da «salvare» la disposizione dell’art. 15 dal giudizio di incostituzionalità. Tale bilanciamento viene complessivamente «ricostruito» nei termini che seguono.

(i) Nella «responsabilità contrattuale, l’inadempimento genera immediatamente un danno costituito dalla perdita economica correlata al valore (minore o nullo) della prestazione inesattamente ineseguita … sin dall’inadempimento (ossia dal deposito della relazione) vanta un interesse attuale a far valere – anche in via stragiudiziale – una pretesa risarcitoria». (ii) Tuttavia, la posizione del deposito della relazione come dies a quo «integra una tutela minima» del danneggiato, che è da ritenere sufficiente perché «presuppone il verificarsi di una condotta lesiva già produttiva di danni e, dunque, idonea a far sorgere un credito risarcitorio». (iii) D’altra parte – così prosegue la Corte -, «avendo il revisore assunto, nei confronti della società, l’impegno a controllare che il bilancio rappresenti in maniera veritiera e corretta la situazione la situazione patrimoniale e finanziaria, l’eventuale dolosa omessa segnalazione del carattere non veritiero e non corretto di tale rappresentazione – mancata segnalazione da cui deriva l’obbligazione risarcitoria – può ritenersi equivalente all’avere dolosamente celato il proprio stesso debito», così da integrare la ipotesi di sospensione del corse della prescrizione di cui all’art. 2941, n. 8, c.c.

 

6.2.- Sotto il profilo del diritto vivente, la soluzione raggiunta dalla Corte Costituzionale potrebbe, in via ipotetica, essere considerata fors’anche grosso modo non dissimile, nel suo risvolto paratico, a quella che è stata adottata - per il tema del risarcimento da inadempimento nei servizi di investimento – dalle pronunce della Cassazione n. 1283/2022 e n. 2066/2023 (come pure confermate dalla successiva n. 29328/2024; cfr. sopra, nel n. 2).

Non pare dubbio, in effetti, che il richiamo all’ipotesi di sospensione di cui all’art. 2941, n. 8 c.c. costituisca una parte costitutiva – non eliminabile - della soluzione adottata dalla Corte Costituzionale[16]. Non sembrerebbe irragionevole pensare, d’altra parte, che l’applicazione concreta di questa disposizione alla specie dei servizi di investimento sia da predicare in termini automatici o quasi: la decorrenza della prescrizione non può certo essere trasformata in una clausola di limitazione della responsabilità (di esonero dalla responsabilità per colpa, cioè); per altro verso, il danneggiante ovviamente non dichiara, bensì tende propriamente a occultare il proprio inadempimento.

Comunque sia di ciò, l’avere la sentenza costituzionale assegnato al deposito della relazione del professionista una specifica funzione di tutela del danneggiato (cfr. n. 6.1.ii) suppone, di necessità, che – per avviare il corso della prescrizione - il danneggiato disponga almeno della possibilità di conoscere, leggendo appunto tale relazione, che il professionista si sia reso inadempiente. Ora, una simile eventualità non corre proprio nel campo dei servizi di inadempimento, dove nulla va «depositato»[17].

e segue allora che l’alternativa a una lettura molto morbida, tenue, del «dolo» ex art. 2941, n. 8, c.c.[18] è propriamente quella di ritenere non esportabili alla fattispecie dei servizi di investimento i dicta emessi dalla Corte Costituzionale per il revisore contabile, non essendo in alcun modo possibile – si ripete – applicare per singoli pezzi i contenuti manifestati da questa sentenza.

 

6.3.- Lasciando adesso da parte il piano del diritto vivente: la motivazione svolta dalla sentenza costituzionale non è, secondo il mio giudizio, condivisibile. Non lo è in sé stessa; non lo sarebbe, comunque, per la fattispecie dei servizi d’investimento. A non convincere è, prima di ogni altra cosa, l’assunto di base per cui «l’inadempimento genera immediatamente un danno costituito dalla perdita economica correlata al valore (minore o nullo) della prestazione».

Non sembra, per la verità, illegittimo chiedersi cosa venga intendere – al di là di ogni possibile livello di astrazione - la Corte con una simile formula. Il richiamo alla «perdita del valore economico della prestazione inesatta» non può di sicuro fare riferimento a un «valore di scambio» del diritto (che, nel tipo di prestazioni di cui si discorre, tra l’altro non sussiste). Il contraente, che subisce l’inadempimento, potrà caso mai rifiutarsi di compiere la propria prestazione: ma questo, ovviamente, nulla ha a che vedere colla nozione di danno[19]. Secondo il comune insegnamento e pure per esperienza empirica, del resto, non ogni inadempimento comporta un danno: non necessariamente produce, in particolare, un danno patrimoniale, né per forza lo produce nell’«immediato»(logicamente distinti, inadempimento e danno spesso lo sono pure materialmente: per verificarlo, non v’è bisogno di ricorrere all’ipotesi dei danni lungolatenti). E quello patrimoniale è propriamente il danno che, nella tipologia delle specie in discorso, viene in segnata considerazione.

A parte tutto: un conto è, già sotto il profilo concettuale, il fatto che l’inadempimento del debitore, violando legge e/o contratto, viola pure il diritto di prestazione del creditore (ciò che, tra l’altro, può portare alla risoluzione del titolo); un conto è che l’inadempimento può pure produrre un danno. Le due cose non possono – come già avvertito negli interventi dottrinali espressi in materia per i servizi d’investimento (cfr. n. 5.1.) - venire mischiate tra loro.

 

7.- (Segue): decorrenza della prescrizione e fattispecie a formazione progressiva

7.1.- Nel prendere in considerazione gli orientamenti della Cassazione intesi a meglio tutelare la posizione del creditore a fronte dell’incedere della prescrizione, la Corte Costituzionale – forse condizionata dall’erronea prospettiva che ha stabilito di assegnare al tema (cfr. n. 6.3.) – li ha senz’altro confinati all’area dei tentativi volti a valorizzare i c.d. impedimenti di fatto (: «la tutela del danneggiato ha indotto» la Cassazione «a ritenere che l’inerzia computabile ai fini della prescrizione sia solo quella correlata alla possibilità “di fatto” per il danneggiato di far valere il suo diritto»). Questo approccio, tuttavia, non può stimarsi corretto.

Per meglio chiarire un simile aspetto, conviene fermarsi un attimo sulla distinzione, del tutto tradizionale nel contesto degli studi sulla prescrizione, tra «impedimenti di diritto» e «impedimento di fatto». Un importante (seppur ormai risalente) studio ha mostrato che tale distinzione, più che essere problematica o di labili confini, è proprio priva di «fondamento logico-giuridico». I c.d. impedimenti di diritto (: condizione sospensiva, termine iniziale, autorizzazione amministrativa, etc.) manifestano, piuttosto, la presenza di una «fattispecie complessa a formazione progressiva in corso di perfezionamento, per cui la situazione giuridica soggettiva, della cui prescrizione si discute, non esiste attualmente». Ne segue – si è opportunamente puntualizzato - che «solo dal momento del perfezionamento della fattispecie in poi, si possono verificare degli impedimenti all’esercizio del diritto, che sono esclusivamente impedimenti fattuali»[20].

In sintesi: un conto è l’individuazione di una situazione rispetto alla quale è in sé predicabile il correre della prescrizione; un altro conto – decisamente distinto e successivo – è l’eventuale rilevanza della conoscenza/conoscibilità di tale situazione da parte dell’avente diritto.

Non pare d’altro canto dubbio – è appena il caso di segnalare - che il nocciolo duro, ovvero primo, degli orientamenti della Cassazione presi in considerazione dalla Corte Costituzionale si appunti sul primo di questi due punti (: sulla concreta sussistenza di una situazione in cui è predicabile il correre della prescrizione). Per constatarlo, in effetti, basta rileggere gli stralci della motivazione compiuta da Cass., n. 5504/2012, che sono statti trascritti sopra (nel secondo capoverso del n. 5.2.).

 

7.2.- Il diritto al risarcimento del danno contrattuale, se evidentemente suppone un inadempimento del debitore, nello stesso tuttavia non si identifica (cfr. sopra, n. 6.3.), rimanendone staccato. Se così non fosse, non si spiegherebbe, tra l’altro, come mai il danneggiato possa chiedere il risarcimento del danno anche quando, nel contempo, scelga di agire per la risoluzione del titolo, così «rinunciando» (per così dire) al diritto di prestazione (art. 1453 c.c.)[21]. Appare assai difficile, di conseguenza, pensare che l’inadempimento perfezioni - da sé solo - la fattispecie risarcitoria. Il diritto al risarcimento deve, quindi, possedere un dies a quo autonomo per il decorso della prescrizione lo riguarda.

Secondo quanto ritiene la sentenza di Cass., n. 5504/2012, la prescrizione del diritto al risarcimento da inadempimento contrattuale inizia a decorrere dal momento in cui il danno si viene a produrre. Una soluzione di questo genere appare - di per sé stessa almeno – non irragionevole: nel senso che la manifestazione effettiva di un danno[22] porta appunto a «perfezione» la fattispecie risarcitoria. E pure nel senso che da tale momento – una volta compiutisi i fatti costitutivi del diritto risarcitorio - l’avente diritto dispone quanto meno dell’oggettiva, teorica, possibilità di chiedere l’adempimento della prestazione risarcitoria al debitore.

Diversamente è da pensare per il periodo anteriore: quando, pur se il fatto d’inadempimento si è (in ipotesi) materializzato nella sua interezza, non vi sono, nel concreto, danni da lamentare. In una simile situazione, in effetti, la proposizione di una richiesta di adempimento potrebbe essere solo di tratto generico ed essere formulata esclusivamente per la via ipotetica. Non a caso, la giurisprudenza della Cassazione correttamente esclude che «la riserva, pur contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati» sia idonea a interrompere il corso della prescrizione per tali riguardi: «trattandosi di espressione che, per genericità e ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi a una intimazione o a una richiesta di pagamento»[23].

 

7.3.- A quanto appena riscontrato potrebbe, a prima vista, sembrare obiettabile che il nostro sistema vigente consente al danneggiato di chiedere in via giudiziale una condanna generica al risarcimento dei danni (art. 278, comma 1, c.p.c.): consente, quindi, di avviare la tutela della propria posizione anche quando la relativa fattispecie costitutiva non si è ancora formata in tutte le sue componenti. A meglio vedere, però, una simile possibilità non viene a intaccare la tesi sopra accennata (per cui, prima della produzione del fatto di danno il diritto risarcitorio non è esercitabile).

E questo non solo perché il nostro sistema dà tutela anche alla posizione dell’acquirente di un diritto sottoposto a condizione sospensiva ex art. 1356 c.c., laddove nessuno dubita (per quanto consta) che la presenza di una condizione sospensiva impedisca il correre della prescrizione. Ma pure perché la giurisprudenza della Cassazione correttamente ritiene che «il giudicato formatosi sulla pronuncia di condanna generica non impedisce che in sede di liquidazione del quantum, il giudice, oltre a determinare liberamente l’entità del danno, possa anche negare l’esistenza in concreto di un danno risarcibile»: l’idea che la condanna generica comporti un accertamento di danno «non corrisponde alla ratio della norma»[24].

In realtà, una pronuncia giudiziale di questo tipo non pare di per sé stessa dissimile da quella compiuta in via di mero accertamento sull’esistenza di un inadempimento da parte del(l’eventuale) danneggiante. In via correlata, la condanna, che ne segue, si manifesta meramente generica e formulata in via esclusivamente ipotetica. Un accertamento, dunque, insufficiente a integrare gli estremi di un’efficiente richiesta di pagamento (cfr. sopra, n. 7.2.).

 

7.4.- La dottrina sui servizi di pagamento ha evidenziato che costringere il cliente ad agire giudizialmente prima che si produca il fatto di danno è soluzione tanto «paradossale», quanto «irrazionale» (come già sopra si è segnalato: cfr., nel n. 5.1). E ha pure precisato che una simile eventualità «è incompatibile con il disposto dell’art. 111 Cost.» perché, nel caso, «vi sarebbero giudizi avviati solo per evitare l’eccezione di prescrizione», con conseguente «effetto inflattivo derivante dalla moltiplicazione di giudizi»: «in contrasto» con il principio costituzionale della «ragionevole durata del processo»[25].

Nei fatti, a questa osservazione è anche da aggiungere, a me pare, che ritenere che la prescrizione del diritto risarcitorio possa correre prima che si produca il fatto di danno urta pure contro la norma dell’art. 24 Cost., in punto di tutela effettiva del diritto di difesa del danneggiato. E questo per una ragione strettamente conseguente alle osservazioni sin qui svolte: ammettere che la prescrizione del diritto possa correre (per tutto il periodo di durata o anche solo per parte) per un periodo di tempo in cui l’avente diritto non può emettere una richiesta di pagamento al debitore, che abbia sostanza intimativa - e quindi sia idonea a rappresentare anche un atto di stragiudiziale interruzione della prescrizione – significa sostanzialmente dimidiare il contenuto del diritto risarcitorio.

Una simile soluzione – per cui la prescrizione corre anche prima che la fattispecie formativa del diritto si è perfezionata – non sembra, per la verità, operare all’interno di una banda di bilanciamento di opposti interessi, quanto piuttosto proteggere oltre ogni misura – e oltre ogni ragione - la zona dell’inadempimento[26].

 

8.- (Segue): la disposizione dell’art. 2935 c.c. e il punto della conoscibilità del danno

8.1.- Il tema della rilevanza, ai fini del correre della prescrizione, della conoscenza/conoscibilità del danno da parte dell’avente diritto appartiene all’area dei c.d. impedimenti di fatto (o comunque all’area esterna a quella della formazione della fattispecie produttiva del diritto per cui si discute del corso della prescrizione). Esso si volge, quindi, a un fronte propriamente diverso da quello inerente alla formazione della fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento del danno. Fronte che viene subito a relazionarsi con la disposizione dell’art. 2935 c.c.

Tradizionalmente si assume in proposito che questa norma non consente alcuno spazio o possibilità operativa agli impedimenti di fatto. In tempo recenti, però, si è con enfasi sottolineato che, in realtà, «il testo dell’art. 2935 c.c. non fa espresso riferimento agli impedimenti giuridici, limitandosi a stabilire che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere esercitato, e impiega con ciò un’espressione anodina, che è idonea a evocare tanto una possibilità “giuridica”, quanto una possibilità “materiale”»[27]. Del resto – va qui pure aggiunto – gli orientamenti della Cassazione, che danno rilevanza al fatto della sopravvenuta conoscibilità del danno, non mostrano preoccupazioni o timore di sorta davanti al testo della detta disposizione.

In effetti, la tesi tradizionale viene a essere sorretta, negli studi che l’accolgono, con il richiamo a un passo della Relazione ministeriale al codice civile (n. 1198), che effettivamente sostiene che la fattuale «impossibilità di agire» non può trovare rilevanza fuori dalle eccezioni specificamente stabilite dalla legge. La Relazione al codice, tuttavia, non è legge, sì che non vincola. D’altra parte, la formula del Guardasigilli appare, oggi, alquanto risalente nel tempo: dell’emanazione del codice civile a quelli dell’oggi sono trascorsi, infine, più di ottanta anni.

Quest’ultima notazione potrebbe, per la verità, rivelarsi meno banale di quanto a prima vista sembra apparire. In effetti, se è vero che il testo della norma dell’art. 2935 non risolve il problema, è anche vero che quello del codice ’42 è (in linea di massima) un legislatore avvertito e non incompetente. Come è vero pure che l’insieme normativo del codice non presenta - già nella sua versione originaria – un quadro uniforme e monolitico[28]. Appare difficile, allora, pensare che la formulazione del testo normativo dell’art. 2935 c.c. sia frutto esclusivo di un errore tecnico o di una distrazione oppure del caso: al di là delle parole spese dal ministro nella sua Relazione. D’altra parte, la successiva moltiplicazione delle leggi speciali non può non «relativizzare» la formulazione in discorso[29].

Potrebbe farsi strada, allora, l’idea che, in realtà, quella dell’art. 2935 c.c. non sia tanto una norma di confezione ambigua, quanto invece una norma che predispone una regola di contenuto aperto: disponibile, cioè, a recepire, nel caso, anche la rilevanza (per il correre della prescrizione) degli impedimenti di fatto[30]. Non tutti e non sempre, magari; ma comunque la norma assegnando alla successiva elaborazione della letteratura il compito – o funzione – di selezionare l’eventuale rilevanza degli impedimenti di fatto fattispecie tipo per fattispecie tipo.

Non mancano, in ogni caso, margini oggettivi per poter predicare della norma dell’art. 2935 c.c. una interpretazione di segno evolutivo.

 

8.2.- Quale che sia il rilievo da assegnare alle riflessioni appena sopra accennate, mi pare comunque fondato ritenere che la norma dell’art. 2935 c.c. non possa più essere letta, nell’oggi, nel senso di escludere la rilevanza dei c.d. impedimenti di fatti fuori dalle ipotesi tassativamente previste nella legge. Nel diritto positivo nulla autorizza, per vero, una simile e restrittiva impostazione. L’analisi va diretta, piuttosto, verso l’interpretazione sistematica: dei vari e specifici insieme normativi, come pure – e distintamente - della peculiare rilevanza valoristica di date fattispecie tipo (come supportata dalle indicazioni di livello costituzionali: il caso dei danni lungolatenti nel rapporto con l’art. 32 Cost. è esemplare in proposito). In ogni caso, microsistema per microsistema; fattispecie tipo per fattispecie tipo.

Sulla scorta di una simile impostazione sembra, dunque opportuno dirigere il discorso verso l’insieme normativo relativo ai servizi di investimenti, come attualmente focalizzato sulla normativa del TUF (e regolamentazione derivata). Per osservare, in specie, due cose.

La prima: i tempi dell’emanazione del codice civile non conoscevano una normativa ad hoc per questo settore; del resto – va aggiunto per completezza - all’epoca dell’emanazione del codice non esisteva nemmeno la Costituzione repubblicana Come potrebbe la norma dell’art. 2935 c.c. non adeguarsi al sopravvenire di queste circostanze? La seconda: la normativa del settore dei servizi di investimento – quella di trasparenza, in particolare – è funzione di protezione del cliente[31]; è imperniata, proprio, sulle regole base dell’informazione e dell’adeguatezza; come pure sul principio dello svolgimento dell’attività per «servire al meglio l’interesse del cliente» (art. 21, comma 1, lett. a TUF). E’, dunque, ragionevole, e coerente alla attuale struttura normativa di settore, che i clienti abbiano una protezione (non solo in via astratta, ma pure in via pratica) adeguata anche in punto di decorrenza della prescrizione.

Sulla base dell’insieme di queste considerazioni sembra, allora, sicuramente condivisibile l’orientamento delle pronunce della Cassazione che fissano il dies a quo del diritto risarcitorio del cliente deluso dal comportamento di violazione tenuto dall’intermediario al tempo dell’oggettiva conoscibilità del fatto di danno (cfr. nel n. 1): il tutto – è ragionevole pensare - facendo riferimento al criterio dell’ordinaria diligenza ex art. 1176, comma 1, c.c.[32].



[1] Per dei primi riferimenti in proposito v. Castelli, Prescrizione e impedimenti di fatto, ed. II, Milano, 2023, p. 63 ss.; Roselli, in Vitucci e Roselli, La prescrizione, t. 1, ed. 3, in Codice civile commentato fondato da Schlesinger, Milano, 2024, p. 200. V. pure, infra, nota 5.

[2] La Sesta sezione civile della Corte ha cessato le proprie funzioni in data 1° gennaio 2023.

[3] La peculiare cripticità dell’ordinanza di rinvio a nuovo ruolo potrebbe, forse, trovare spiegazione in ciò che il magistrato, che la ha elaborata, è stato pure l’estensore della motivazione della prima decisione emessa in materia (Cass., n. 1283/2022).

[4] Quale, ad esempio, quello per cui la decisione di Cass., n. 2066/2023 avrebbe «errato» nel citare a proprio supporto la sentenza di Cass. n. 5504/2012, che per contro darebbe valore decisivo al fatto dell’inadempimento. In realtà, la Procura fraintende proprio questo arresto. Il testo del quale è, in realtà, assai chiaro: non solo nello stralcio riportato sopra (nel n. 2.1.), ma anche nei suoi successivi passaggi, specie là dove puntualizza di «non condividere l’orientamento seguito da Cass., 1547/2004» proprio perché al fine di determinare il dies a quo della prescrizione del diritto risarcitorio – «occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale il danno causato dal colpevole inadempimento».

Come pure, sempre ad esempio, la Procura assegna estremo rilievo, per sostenere la tesi della decorrenza immediata della prescrizione, al fatto che, per consolidata regola della Corte, nei servizi d’investimento, una accertato l’inadempimento dell’intermediario, il nesso di causalità si presume (salva prova contraria). Ora, se è vero che il passare del tempo può, nel concreto, anche allentare la morsa del nesso causale, o addirittura eliminarla – come pure può rendere più facile che la fattispecie presenti un concorso di colpa -, è anche vero, però, che questi sono profili del tutto estranei alla tematica dell’exordium praescriptionis.

[5] Cfr., da ultimo, Cass., 14 marzo 2024, n. 6947 (Terza Sezione): «l’azione risarcitoria richiede il verificarsi di un danno; ciò avrebbe imposto alla Corte di merito di domandarsi in quale momento la società aggiudicataria aveva eventualmente subito un danno causalmente riconducibile alla responsabilità dei professionisti evocato in giudizio; sapere che da un certo comportamento è derivato un danno non è lo stesso che temere che un certo comportamento possa eventualmente provocare un danno: il termine di prescrizione inizia a decorrere solo da quando il danno si è verificato (così Cass., 30 marzo 2021, n. 8872); la fattispecie esaminata riguardava la responsabilità professionale del commercialista per inadempimento all’incarico di tenuta della contabilità».

[6] Cfr., tra le più recenti, Cass., 12 giugno 2023, n. 16631 (Terza Sezione, responsabilità professionale); Cass., 31 marzo 2021, n. 8872 (idem); Cass., 12 novembre 2024, n. 29140 (idem); Cass., 12 giugno 2023, n. 16631 (idem); Cass., 28 ottobre 2022, n. 39919 (Quarta Sezione; credito da violazione degli obblighi ex art. 2087 c.c.; Cass., 13 marzo 2023, n. 7262 (Prima Sezione; credito ex art. 2497 c.c.).

[7] Per l’affermazione, in tempi recenti, che l’ignoranza del creditore non rientra tra le cause impeditive del correre della prescrizione v. Cass., 14 settembre 2022, Quarta Sezione, in relazione, peraltro, a una «presunzione di occultamento derivante dalla omessa compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi», che assumeva l’INPS in relazione a un certo credito contributo; Cass., 28 aprile 2022, n. 13344, Terza Sezione, però in relazione a «incertezze giurisprudenziali» affermate da medici specializzandi che chiedevano il risarcimento del danno loro patito da tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno di direttive UE.

Per la verità, la lettura delle massime ufficiali degli ultimi cinque anni, e la scorsa del testo dei relativi provvedimenti, lasciano netta l’impressione che quelli che escludono la rilevanza della conoscibilità del danno rimangano di fatto latitanti, mentre quelli che vi danno rilevanza sono assai numerosi.

[8] Cfr. Roselli, op. cit., p. 80.

[9] La sentenza del Tribunale di Bari è reperibile su Diritto del Risparmio, al pari di quella dell’Appello Milano e di quella dell’Appello Caltanisetta. La decisione del Tribunale di Napoli, richiamata dalla Corte citata per ultimo non mi risulta sia stata pubblicata su riviste giuridiche.

Per le pronunce meno recenti (orientate in uno o nell’altro senso) si può rinviare a Malavasi, la decorrenza del termine di prescrizione nel contenzioso tra investitori e intermediari, in dirittobancario.it, 4 giugno 2020.

[10] Le decisioni dell’ACF portano motivazioni sostanzialmente ripetitive. Tra i tanti, si possono qui richiamare, a titolo esemplificativo, ACF 3 agosto 2020, n. 2841; ACF 31 marzo 2023, n. 6454; ACF 6 febbraio 2020, n. 2217.

Per una prospettiva un po’ meno rigida v., peraltro, ACF 6 aprile 2023, n. 6471, che, rispetto a una fattispecie alquanto particolare, dà rilevanza al tempo del «danno rilevabile da parte ricorrente».

[11] Cfr. Maffeis, I contratti del mercato finanziario, nel Trattato Cicu e Messineo, Milano, 2024, p. 410; Natoli, La prescrizione dell’azione di risarcimento dei danni patiti dall’investitore, in Liber amicorum per Rosalba Alessi, Torino, 2024, p. 1015 ss.

Si conforma invece alla posizione divisata dall’ACF il lavoro di Malavasi, op. cit.

[12] In particolare, dalla Germania e dalla Francia: notizie in Castelli, op. cit., p. 119 ss.

[13] Roselli, op. cit., p. 140.

Sul dibattito in essere cfr. il resoconto fornito da Castelli, op. cit., p. 3 ss.

Particolarmente segnaletici risultano, in proposito, alcuni flashes di Minervini, Il problema della decorrenza della prescrizione, in Giur. it., 2022, c. 2788 s.: «la disciplina della prescrizione mostra impietosamente i segni del tempo trascorso, dall’emanazione del codice civile ad oggi»; «occorre prendere atto del fatto che in materia di prescrizione vige ormai il caos e che la disciplina della prescrizione si avvia alla disintegrazione, sicché viene il sospetto che la prescrizione, come istituto giuridico, volga al tramonto»; «interventi molto invasivi, di matrice legislativa o giurisprudenziale, … sovente si incentrano sull’exordium praescriptionis»; «l’istituto della prescrizione va interpretato … in un’ottica di bilanciamento degli interessi privati coinvolti e va collocato sul piano rimediale, quale tecnica di difesa provata: si sostiene allora che il tempo cancella le pretese soltanto quando abbiano acquisito consistenza e visibilità i presupposti materiali delle stesse».

[14] Per completezza, va anche riferito che la sentenza della Corte costituzionale si occupa altresì della responsabilità extracontrattuale del revisore contabile (verso i soci e verso i creditori della società). Per tale ipotesi essa dichiara che, diversamente dal caso della responsabilità contrattuale, la prescrizione non può correre dal deposito della relazione. Per fondare il detto assunto, la sentenza rileva che «il dies a quo della prescrizione di un’azione risarcitoria non può retrocedere a un momento che precede lo stesso perfezionamento del fatto illecito produttivo di danni».

Ora, la motivazione portata per quest’ultimo riguardo dalla Corte è, secondo il mio giudizio, assolutamente corretta, secondo quanto indicano le osservazioni che vengo a svolgere nello sviluppo del presente lavoro: con riferimento, peraltro, all’ipotesi della responsabilità contrattuale da inadempimento. In effetti, la diversità di trattamento tra le due ipotesi (della responsabilità contrattuale e della responsabilità extracontrattuale) è assolutamente ingiustificata: come opportunamente riscontrato da Cass. n. 29328/2024, in punto di decorrenza della prescrizione le stesse non mostrano differenze (sopra, nel n. 2.2). In entrambi in casi, la fattispecie è a formazione progressiva ed è completata dalla produzione del fatto di danno (a integrazione, appunto, del fatto di comportamento posto in essere dal danneggiante).

[15] In relazione all’art. 3 per «irragionevolezza intrinseca» della disposizione dell’art. 15 Cost. e in relazione all’art. 24, in quanto la decorrenza fissata da tale norma verrebbe a «ostacolare l’esercizio effettivo del diritto risarcitorio da parte del danneggiato».

[16] La giurisprudenza della Cassazione ritiene rilevabili d’ufficio le cause di sospensione del corso della prescrizione (naturalmente, una volta sia entrata nel processo l’eccezione di prescrizione): cfr. Cass., 3 ottobre 2022 (Quarta Sezione); n. 28565; Cass., 15 ottobre 2009, n. 21929 (Seconda Sezione).

[17] E dove, d’altra parte, nemmeno sembra configurarsi l’eventualità che il cliente sia consapevole dell’inadempimento dell’intermediario nel momento in cui questo viene a compiersi (cfr. sopra, nel n. 5.1., ultimo periodo del terzo capoverso.

[18] Da ricordare in proposito è anche la tendenza a ritenere applicabile la causa di sospensione del n. 8 anche ai casi in cui l’occultamento risponde all’inadempimento di un obbligo di informare sussistente in capo al debitore: Cass., 29 gennaio 2010, n. 2030 (terza Sezione); Roselli, op. cit.

[19] La affermazione della Corte Costituzionale si risolve, dunque, in una formula vuota; e lo è (prima di ogni altra cosa) perché è intrinsecamente errato il presupposto di base della tesi: quello per cui un danno sarebbe in ogni caso immanente al nudo fatto d’inadempimento. Che è cosa non vera: almeno, non lo è se si tengono ferme l’idea e la nozione di danno risarcibile assunte dalla norma dell’art. 1223 c.c. (e che, per la verità, è anche l’unica che conta ai fini della problematica in esame).

Non diverso giudizio va, infetti, ripetuto per la formula della «violazione della libertà negoziale» come portata dall’inadempimento, che si trova talvolta utilizzata nella giurisprudenza di merito e che è adottata dall’orientamento dell’ACF: formula, questa, che, oltre tutto, sembrerebbe volere andare a parare nelle ben diverse stanze dei vizi del volere.

[20] Il riferimento è al saggio di Caponi, Gli impedimenti all’esercizio dei diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir civ. 1996, I, p. 721 ss., a p. 751 s. Questo saggio si pone – è importante anche notare - alle origini dell’attuale attenzione prestata dalla letteratura domestica al rapporto tra corso della prescrizione e inerzia incolpevole dell’avente diritto.

[21] Tradizionalmente – e spesso ancora oggi (cfr., ad esempio, la decisione di Cass., n. 1283/2022 e Castelli, op. cit., p. 74) - si dice che il risarcimento del danno si pone come struttura succedanea, di sostituzione dell’adempimento. Il significato dell’assunto a me pare, peraltro, molto relativo: nei fatti, il creditore può scegliere se proseguire (ove possibile) nella richiesta di prestazione a mezzo di esecuzione forzata in forma specifica (con connesso danno da ritardo) o andare per la via dell’esecuzione per equivalente.

[22] Naturalmente, senza che in proposito assuma rilevanza la quantificazione del credito, che ben potrebbe essere non determinato, ma solo determinabile: cfr. Cass., 25 novembre 2015, n., 24054 (Quarta Sezione).

[23] La frase è tratta da Cass., 31 maggio 2021, n. 15140, Seconda Sezione (le enfasi sono aggiunte). TCfr., oltre ai precedenti citati da questa sentenza, anche Cass., 30 novembre 2006, n. 25500, Terza Sezione.

[24] Così, da ultimo, Cass. 28 marzo 2023, n. 8729, Seconda Sezione. Cfr., tra le altre, Cass., 11 ottobre 2016, n. 20444, Prima Sezione.

[25] Natoli, op. cit., p. 1017, che pure sottolinea «l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata».

[26] A leggere la sentenza della Corte Costituzionale sembra, per la verità, che gli opposti interessi da bilanciare – quello dell’«avere giustizia» del danneggiato e quello di «liberarsi dell’obbligo del danneggiante» - siano equiordinati, ponendosi su un identico livello. Il che, però, non è vero: una simile impostazione finisce, in realtà, per premiare l’inadempimento.

[27] Il brano riportato nel testo è tratto da Castelli, op. cit., p. 7.

Rileva Monticelli, La prescrizione dei crediti risarcitori dei clienti nei confronti dei professionisti, in Giur. it., 2022, p. 2799, nota 11, che «il dettato dell’art. 2935 c.c., legando l’exordium alla possibilità di far valere il diritto, si presta a molteplici e contrapposte interpretazioni».

[28] Minervini, op. cit., p. 2789.

[29] Cfr. ancora Minervini, op. loc. citt.

[30] Non contrasta con l’ipotesi ricostruttiva, che si svolge nel testo, la norma dell’art. 2941, n. 8 c.c. Come indica anche il fatto che, nel caso ivi previsto, la sospensione non cessa al tempo dell’avvenuta conoscenza da parte del creditore dell’esistenza dell’obbligazione, ma al tempo in cui si scopre che il debitore la aveva dolosamente occultata, tale disposizione non si inscrive nella prospettiva della tutela del creditore, quanto piuttosto in quella della sanzione del debitore, per il pravo comportamento che è venuto a tenere.

Ciò non significa, evidentemente, che tale disposizione non possa venire a ricevere profili (anche significativi) di evoluzione interpretativa, in ragione del trascorrere del tempo e del contesto socioeconomico e in connessione con una mutata sensibilità degli interpreti nei confronti dell’istituto della prescrizione. Così, in particolare, potrebbe essere in punto di costruzione della fattispecie del «dolo» rilevante: nei fatti, il confine tra il dolo eventuale e la colpa grave può risultare labile, se non proprio evanescente.

[31] Non sembra fuori luogo, perciò, anche il richiamo al principio costituzionale della tutela del risparmio che viene investito.

Non è poi da sottovalutare che, trattandosi nella specie di debitori che esercitano un’attività di impresa, la tutela del cliente creditore a fronte dell’inadempimento contrattuale dell’intermediario contiene in sé stessa una spinta verso una maggiore livello di efficienza delle attività di queste imprese (di servizi di investimento, appunto). Per altro verso, sarebbe pure da chiedersi se il punto del diritto di difesa della posizione del danneggiante (a cui si richiama, tra l’altro, la sentenza della Corte Costituzionale) sia davvero declinabile per le imprese nello stesso, identico modo che per gli altri soggetti dell’ordinamento: nei fatti, la capacità organizzativa di un’impresa non è comparabile con quella, ad esempio, di un consumatore.

[32] Ad avviso di Natoli, op. cit., p. 1019 s. il dies a quo della prescrizione corre – per l’ipotesi del risarcimento del danno da inadempimento dell’intermediario agli obblighi inerenti alla materia dei servizi d’investimento – dal «giorno in cui il cliente, accortosi della perdita …, tramite la lettura del rendiconto periodico … la mette in correlazione causale con un obbligo inadempiuto dell’intermediario».