Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Articolo

Crisi d’impresa e procedure concorsuali: un'introduzione*


Oreste Cagnasso e Luciano Panzani
Articolo

La durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi nella crisi d’impresa


Giulio Andreani

Data pubblicazione
21 marzo 2025

Scarica PDF

Articoli

TORNA INDIETRO

Sommario: 1. Premessa; 2. La durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari iscritti a ruolo consentita dalle norme applicabili in via ordinaria; 3. La durata della rateazione dei debiti tributari non ancora iscritti a ruolo prevista nella composizione negoziata della crisi; 4. La durata della rateazione secondo i principi di redazione dei piani di risanamento e i principi di attestazione dei piani di risanamento, statuiti dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti; 5. Le disposizioni stabilite, circa la durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi, dalle norme antiabusive introdotte per limitare il cram down nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; 6. Il principio di convenienza della transazione fiscale per l’Erario; 7. Conclusioni.


1. Premessa

L’art. 56 del Codice della crisi e dell’insolvenza, richiamato dal successivo art. 57, e l’art. 87 del medesimo Codice richiedono che nel piano di risanamento siano indicati, rispettivamente con riguardo ai piani attestati, all’accordo di ristrutturazione dei debiti e al concordato preventivo, “i tempi delle azioni da compiersi” e “i tempi di adempimento della proposta analiticamente descritti”, ma non quantificano l’ampiezza di tali tempi.

In assenza di tale delimitazione la legittimità dell’ampiezza della dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi prevista dalla proposta di transazione fiscale e contributiva deve essere determinata considerando cinque fattori:

(i)     la durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari iscritti a ruolo consentita dalle norme applicabili ordinariamente, cioè in assenza del ricorso - da parte del contribuente - a uno strumento di regolazione della crisi, essendo ragionevole ritenere che in quest’ultimo caso tale durata possa essere maggiore e comunque certamente non inferiore a quella ordinaria;

(ii)   la durata della rateazione di pagamento dei debiti tributari non ancora iscritti a ruolo nella composizione negoziata della crisi;

(iii)la durata della rateazione previsti dai principi di redazione dei piani di risanamento e dai principi di attestazione dei piani di risanamento statuiti dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti;

(iv)le disposizioni stabilite, circa la durata della dilazione di pagamento, dalle norme antiabusive introdotte per limitare il cram down nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti con il decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, successivamente modificate dal D. Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 e attualmente collocate nei commi 4 e 5 dell’art. 63 CCII;

(v)   il principio di convenienza della transazione fiscale per l’Erario, che rileva necessariamente anche a sotto questo profilo. 

 

2. La durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari iscritti a ruolo consentita dalle norme applicabili in via ordinaria

L'art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, dopo le modifiche apportatevi dal D. Lgs. n. 110/2024 (avente a oggetto la revisione della disciplina della riscossione), prevede in via ordinaria e generale, cioè con riguardo alle imprese in bonis che non hanno richiesto l’accesso ad alcun istituto disciplinato dal Codice della crisi e dell’insolvenza, quanto segue:

a)       l'agente della riscossione, su semplice richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria, concede una dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo, se il loro importo (compreso in ciascuna richiesta di dilazione) non è superiore a 120 mila, fino a un numero massimo di rate che varia da ottantaquattro a centootto a seconda dell’anno di presentazione della richiesta: ottantaquattro se presentata negli anni 2025 e 2026, novantasei se presentata negli anni 2027 e 2028 e centootto per le richieste presentate a decorrere dal 1° gennaio 2029 (comma 1.1);

b)      l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente che documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria, concede una dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di centoventi rate mensili, se il loro importo (compreso in ciascuna richiesta di dilazione) è superiore a 120 mila euro. Il numero di rate è di poco inferiore, variando da ottantacinque a centonove a seconda della data di presentazione della richiesta di dilazione: ottantacinque per gli anni 2025 e 2026, novantasette per gli anni 2027 e 2028 e centonove per le richieste presentate a decorrere dal 1° gennaio 2029, se l’ammontare dovuto non eccede quello di 120 mila euro (comma 1);

c)       il debitore può chiedere che il piano di rateazione preveda, in luogo di rate costanti, rate di importo variabile crescente per ciascun anno (comma 1-ter).

 

3. La durata della rateazione dei debiti tributari non ancora iscritti a ruolo prevista nella composizione negoziata della crisi

Il comma 4 dell’art. 25-bis CCII prevede che, in caso di pubblicazione nel registro delle imprese del contratto di cui all’art. 23, comma 1, lett. a), o dell’accordo di cui alla lett. c) del medesimo comma, l’Agenzia delle Entrate concede all’imprenditore che lo richiede un piano di rateazione fino a un massimo di settantadue rate mensili per il pagamento delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, iva e irap non ancora iscritte a ruolo e dei relativi accessori, cioè delle sanzioni e degli interessi a esse inerenti. La richiesta deve essere formulata con istanza sottoscritta anche dall’esperto nominato ai fini della composizione negoziata e, poiché la norma utilizza l’espressione “l’Agenzia delle Entrate concede”, detto Ufficio, se ne ricorrono i menzionati presupposti (pubblicazione dell’accordo o del contratto, natura delle somme dovute, sottoscrizione dell’istanza anche da parte dell’esperto e rispetto della durata della dilazione prevista dalla norma), non ha titolo per rifiutare la concessione della rateazione. Si tratta, infatti, di una misura premiale volta a incentivare il ricorso delle imprese alla composizione negoziata e la sottoscrizione dell’istanza da parte dell'esperto costituisce prova dell'esistenza di una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che di per sé giustifica la suddetta rateazione.

In caso di comprovata e grave situazione di difficoltà dell’impresa, rappresentata nell’istanza di rateazione e sottoscritta dall’esperto, l’ultimo periodo del medesimo comma 4 dell’art. 25-bis CCII (aggiunto dal D. Lgs. n. 136/2024) stabilisce espressamente (in precedenza lo prevedeva peraltro l'art. 38, comma 1, del D.L. n. 13/2023) che l’Agenzia delle Entrate può concedere una dilazione sino a centoventi rate mensili (dunque pari a dieci anni). A questo riguardo la norma non prevede che l’Agenzia “concede” ma che “può concedere” la maggior rateazione: significa che, ai fini dell’estensione della dilazione di pagamento, tale Ufficio deve compiere una valutazione circa la gravità della situazione in cui versa l’impresa debitrice e quindi che la maggior rateazione, pur costituendo un diritto dell’imprenditore se ne ricorrono i presupposti, non è il frutto di un automatismo e spetta solo in presenza di una situazione realmente grave che la giustifica, di cui la sottoscrizione dell’esperto rappresenta comunque una conferma.

 

4. La durata della rateazione secondo i principi di redazione dei piani di risanamento e i principi di attestazione dei piani di risanamento, statuiti dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti

Secondo i principi di redazione dei piani di risanamento (par. 2.2.5.) “il piano deve evidenziare la possibilità di raggiungimento di un equilibrio finanziario, economico e patrimoniale sostenibile“ ed è significativo l’uso dell’aggettivo “sostenibile”, perché, come precisano i medesimi principi, quel che rileva è che “a regime ci sia la capacità di conseguire flussi di cassa operativi, al netto di quanto occorrente per permettere gli investimenti di mantenimento per l’assolvimento delle imposte sul reddito, atti ad assicurare il servizio del debito. In tali situazioni, l’obiettivo del risanamento aziendale può dirsi raggiunto”. Infatti, come gli stessi principi precisano nel successivo par. 2.2.6., “Nell’arco temporale di piano, non è necessario che si verifichi un’estinzione di tutti i debiti” e “il risanamento dell’esposizione debitoria può considerarsi raggiunto allorché il debito sia sostenibile e coerente con i flussi di cassa liberi al servizio del debito e con il livello di patrimonializzazione”.

I principi di attestazione dei piani di risanamento statuiscono, con riguardo - si badi bene- alla durata dei piani di risanamento e non ai tempi di pagamento dei creditori, che “in generale un orizzonte temporale troppo lontano appare problematico per l’attestatore, a meno che non vi siano elementi di certezza, quali, ad esempio, contratti vincolanti di durata oltre i cinque anni con primarie aziende, come avviene nel settore degli idrocarburi, delle utilities o delle gestioni immobiliari o alberghiere. In ogni caso il ricorso a piani aventi durata superiore a cinque anni deve essere puntualmente giustificato” (par. 6.5.11).

Tuttavia, nel successivo par. 6.5.12 i suddetti principi dispongono che “l’arco temporale deve comunque attestarsi a data non anteriore al momento in cui, in base al piano, è previsto che siano soddisfatti i creditori, ovvero, nel caso di continuità aziendale, siano ripristinate le normali condizioni di finanziamento (e di fido)”, e questa situazione si verifica, come precisano i principi di redazione dei piani di risanamento, “allorché il debito sia sostenibile e coerente con i flussi di cassa liberi al servizio del debito e con il livello di patrimonializzazione”.

Non può essere quindi confusa la durata della dilazione di pagamento offerta all’Amministrazione finanziaria (così come ad altri creditori) con quella del piano, tranne che nei casi in cui quest’ultima coincida con la dilazione di pagamento dei debiti. Infatti, non è necessario che nell’arco temporale del piano si verifichi l’estinzione di tutti debiti. Ciò significa che, una volta raggiunto il risanamento propriamente inteso quando il debito è sostenibile, l’estinzione dei debiti può essere completata anche negli anni successivi, utilizzando a tal fine i flussi di cassa liberi prodotti dalla gestione aziendale, individuabili sulla base di un andamento annuale dell’attività esercitata che può essere estrapolato da quello previsto relativamente agli ultimi anni inclusi nel piano. Infatti, per poter essere considerata risanata, l’impresa debitrice deve, sì, aver riacquisito il proprio equilibrio finanziario, economico e patrimoniale nell’arco temporale oggetto del piano, ma il raggiungimento di tale equilibrio non presuppone l’estinzione di tutti i debiti nel medesimo lasso temporale, essendo del tutto naturale che un’impresa, anche in bonis, presenti costantemente nel corso della sua vita un’esposizione debitoria: ciò che conta è che tale esposizione sia compatibile con la situazione generale dell’impresa, attraverso un congruo rapporto fra i suoi impieghi e le sue fonti di finanziamento, e con la capacità di quest’ultima far fronte ai propri debiti grazie ai flussi finanziari generati dalla gestione o, eventualmente, grazie ad altre risorse. Queste circostanze devono naturalmente essere attestate dal professionista indipendente, ma, se ricorrono, impediscono che possa essere considerata illegittima una durata della dilazione di pagamento dei creditori superiore a un quinquennio.

Anche quando il pagamento di alcuni creditori va oltre il quinquennio, come peraltro normalmente avviene, non è quindi indispensabile che il piano abbia una durata pari a quella della dilazione concordata (o anche solo richiesta, se l’approvazione della proposta di accordo ha luogo mediante cram down), a patto che il riequilibrio patrimoniale, finanziario ed economico sia previsto nell’arco temporale del quinquennio.

Il tema dell’ampiezza della dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi è stato peraltro direttamente ed espressamente affrontato dai principi di attestazione nel par. 4 dell’apposita appendice 3, il cui contenuto, che per ragioni logiche verrà esposto nel successivo paragrafo, smentisce radicalmente la tesi secondo cui la dilazione di pagamento non potrebbe eccedere l’arco temporale oggetto del piano.

 

5. Le disposizioni stabilite, circa la durata della dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi, dalle norme antiabusive introdotte per limitare il cram down nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti

Il comma 5 dell’art. 63 del Codice della crisi e dell’insolvenza stabilisce che, quando agli accordi di ristrutturazione dei debiti hanno aderito creditori diversi da quelli pubblici (“gli altri creditori”) che sono titolari di crediti il cui ammontare è inferiore a un quarto dell’importo complessivo dei debiti dell’impresa istante, il cram down può essere disposto dal tribunale (ricorrendo le altre condizioni previste dal medesimo comma 5) se la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non è inferiore al sessanta per cento dell’ammontare dei rispettivi crediti, esclusi sanzioni e interessi (le norme vigenti anteriormente al 28 settembre 2024, applicabili al caso di specie ai sensi dell’art. 56 del D. Lgs. n. 136/2024, prevedevano invece la soglia minima del 40% dell’importo complessivo di tali crediti, comprensivo di sanzioni e interessi) e “la dilazione di pagamento richiesta non eccede il periodo di dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione in base al tasso legale vigente nel corso di tale periodo”.

Quest’ultima limitazione relativa alla durata della dilazione non è invece prevista dal comma 4 del medesimo art. 63, il quale disciplina la diversa ipotesi in cui il credito complessivo di cui sono titolari gli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione è pari ad almeno un quarto dell’importo complessivo dei crediti, nel qual caso è sufficiente (sotto l’aspetto del quantum da versare) che la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non sia inferiore al cinquanta per cento dell’ammontare dei rispettivi crediti, esclusi sanzioni e interessi (le norme vigenti anteriormente al 28 settembre 2024, applicabili al caso di specie ai sensi dell’art. 56 del D. Lgs. n. 136/2024, prevedevano invece la soglia minima del 30% dell’importo complessivo di tali crediti, comprensivo di sanzioni e interessi). Deve perciò reputarsi pienamente legittimo prevedere, in tale contesto, dilazioni di pagamento anche superiori a dieci anni, venendo così, da un lato, implicitamente suffragata la condotta degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate che approvano proposte di transazione che prevedono una dilazione di pagamento superiore a dieci anni e, dall’altro, smentita quella di chi ritiene invece eccessiva persino una dilazione semplicemente decennale.

È infatti lo stesso legislatore a dichiarare legittima questa durata e lo fa – la circostanza è particolarmente significativa – all’interno di disposizioni antiabusive, le quali hanno lo scopo di stabilire con chiarezza, relativamente ai fattori in esse considerati, che cosa è legittimo e che cosa non lo è. Ebbene, con tali disposizioni il legislatore ha individuato due diverse situazioni di fatto, caratterizzate da un differente tasso di abusività: la prima ricorre quando i creditori diversi da quelli pubblici aderiscono agli accordi nella misura “qualificata” del 25 per cento e la seconda ricorre quando i creditori diversi da quelli pubblici aderiscono agli accordi in misura inferiore a quella “qualificata” del 25 per cento dell’esposizione debitoria complessiva. In questo secondo caso, cioè persino nella situazione più censurabile, essendo quella in cui l’accordo di ristrutturazione dei debiti è rivolto essenzialmente o addirittura esclusivamente all’Amministrazione finanziaria e agli enti previdenziali e assicurativi, è espressamente dichiarata legittima una dilazione di pagamento di dieci anni, mentre nessun limite temporale a tale durata è addirittura richiesto in caso di adesione “qualificata” dei creditori diversi da quelli pubblici. Di fronte a tanta chiarezza ciò che è illegittima non è dunque la previsione di una dilazione di pagamento decennale, ma la tesi con cui una simile durata della dilazione viene talvolta contestata, la quale peraltro contrasta con la prassi della generalità degli Uffici della stessa Agenzia delle Entrate.

Proprio in base a queste considerazioni, come si è anticipato, la tesi di controparte è radicalmente smentita dai principi di attestazione (par. 4 dell’appendice 3 dedicata al trattamento dei debiti tributari e contributivi), i quali affermano quanto segue: “Il riferimento al limite temporale di dieci anni di dilazione di pagamento a tale ipotesi (ndr: quella oggetto del citato comma 5 dell’art. 63 del Codice della crisi) comporta che in tutte le altre situazioni risulta ammissibile che la dilazione dei crediti degli enti fiscali-previdenziali possa essere ultra decennale”. Cioè: non più di dieci anni quando i creditori diversi da quelli pubblici aderiscono agli accordi in misura inferiore a quella “qualificata” del 25 per cento dell’esposizione debitoria complessiva e anche oltre dieci anni negli altri casi.

 

6. Il principio di convenienza della transazione fiscale
per l’Erario

Il principio diconvenienza della transazione fiscale per l’Erario costituisce pacificamente il fulcro di questo istituto, tant’è che, se i creditori pubblici non lo applicano correttamente (ad esempio rigettando proposte convenienti), il tribunale può imporre loro l’approvazione della transazione mediante cram down.

Infatti, a seguito della formulazione di una proposta di transazione fiscale, la valutazione principale che l’Amministrazione è chiamata ad effettuare è quella che consiste nella comparazione del risultato ottenibile all’esito della transazione con il gettito che deriverebbe dalla liquidazione giudiziale dell’impresa, effettuando, in ossequio al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., un contemperamento tra il primario interesse pubblico alla puntuale applicazione del tributo e altri interessi, fiscali ed extrafiscali, onde adottare quelle soluzioni che, pur nel rispetto dei principi di legalità e riserva di legge, tutelino, seppur in misura minore, un interesse erariale che con tutta evidenza non sarebbe in toto soddisfabile in considerazione dello stato di crisi o di insolvenza del contribuente.  A questo riguardo assume particolare rilievo quanto ha affermato la stessa Agenzia delle Entrate già con la circolare 16 aprile 2010, n. 20/E: “in presenza di situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può infatti rivelarsi decisivo per garantire l’effettivo introito di somme dovute all’Erario in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a quanto potrebbe avvenire con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di fallimento del contribuente.

Ne discende quindi che all’Amministrazione finanziaria è attribuito il potere-dovere di consentire - attraverso l’adesione alla proposta formulatale dal debitore - la riduzione di crediti tributari precedentemente sorti, purché ciò sia necessario per conseguire il miglior recupero degli stessi, in considerazione della situazione di crisi finanziaria in cui si trova il contribuente-debitore. A ben vedere non si tratta, quindi di una vera e propria discrezionalità, ma di una “discrezionalità vincolata” o, di una “discrezionalità controllata”, da cui deriva, a seconda del contenuto della proposta di transazione e della situazione patrimoniale del contribuente che la formula, non una libertà di scelta, ma il potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di respingere tale proposta, quando essa non è conveniente o non rispetta le previsioni del C.C.I.I. e di accettarla quando invece, oltre a rispettare tale previsioni, è più conveniente delle alternative possibili, sulla scorta dei criteri a tal fine stabiliti dal citato art. 63  del Codice  i quali delimitano, appunto, e rendono più oggettiva la decisione da assumere. 

Una conferma della conclusione testé esposta - circa la natura “vincolata” dell’azione dell’Amministrazione finanziaria concernente la proposta della transazione fiscale - proviene dalla Legge 27 novembre 2020, n. 159 (che ha convertito l’art. 3, comma 1 bis,  del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125), e dai commi 4 e 5 dell’art. 63, nonché dai commi 3 e 4 dell’art. 88, del Codice della crisi e dell’insolvenza, i quali hanno attribuito al tribunale il potere/dovere di omologare l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo, stabilendo che tale omologazione può avvenire  anche in mancanza di adesione dell’Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione fiscale, a condizione che questa sia più conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale  dell’impresa debitrice e tale adesione risulti determinante al fine del raggiungimento  delle maggioranze e delle adesioni previste dalla legge, ferma restando la necessità di rispettare le soglie introdotte con l’art. 1-bis del d. l. n. 69/2023 e ora previste dai citati commi 4 e 5 dell’art. 63 del Codice della crisi (si vedano al riguardo anche le ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 35954 del 22 novembre 2021 e n. 8054 del 23 marzo 2021).

Come si è visto, in forza del sopra citato principio della “discrezionalità vincolata”, se la proposta di transazione fiscale è più conveniente per l’Erario di qualsiasi altra soluzione, l’Agenzia delle Entrate è tenuta ad approvarla, indipendentemente dall’entità del pagamento offerto, perché in caso contrario non perseguirebbe l’interesse dello Stato; così come, per il medesimo motivo, è tenuta  a respingerla nell’ipotesi opposta, indipendentemente dall’entità dell’offerta, e quindi anche in presenza della previsione di un rilevante pagamento in valore assoluto, qualora questo non costituisca il miglior risultato conseguibile.

Ciò posto, è di tutta evidenza che la transazione è per l’Erario tanto più conveniente quanto maggiore è la durata della dilazione di pagamento, se il soddisfacimento dei debiti tributari e contributivi, come il più delle volte accade, avviene mediante utilizzo dei flussi finanziari generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. Infatti, a parità dell’importo di tali flussi prodotti annualmente, il soddisfacimento dell’Erario è direttamente proporzionale alla durata della dilazione, salvo il caso in cui tali flussi siano destinati a impieghi diversi dal soddisfacimento dei creditori (ad esempio vengano utilizzati per la distribuzione di utili o per rimborsare prestiti dei soci); conseguentemente una dilazione decennale consente un soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi doppio rispetto a quello consentito da una dilazione quinquennale. Non vi è dubbio che l’affidabilità delle previsioni che costituiscono il contenuto del piano è inversamente proporzionale all’arco temporale oggetto delle stesse, ma escludere la possibilità di una dilazione superiore a cinque anni significa, per i creditori pubblici, rinunciare a priori al maggior soddisfacimento che può derivare da una dilazione di pagamento che eccede tale periodo. Non può quindi essere revocato in dubbio che, ove escludessero la possibilità di una dilazione ultra-quinquennale, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali e assicurativi porrebbero in essere una condotta contraria al suddetto principio di convenienza. Va da sé che percepire la medesima somma in cinque è per i creditori meglio che recuperarla in dieci anni, ma il fatto è che, quando la provvista necessaria per pagare i creditori proviene dai flussi gestionali, non avendo l’impresa debitrice la capacità di modificare l’importo annuale di detti flussi a seconda della durata della dilazione di pagamento, la misura del soddisfacimento dei creditori è direttamente proporzionale alla durata della dilazione.


7. Conclusioni

I fattori normativi e interpretativi sopra esaminati conducono tutti univocamente alla conclusione che una dilazione di pagamento dei debiti tributari pari a dieci anni, e anche maggiore a seconda dei casi, è pienamente legittima, oltre che conveniente per l’Amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali e assicurativi.

È, infatti, conforme alle disposizioni di legge che disciplinano la rateazione dei medesimi debiti al di fuori degli strumenti di regolazione della crisi (l’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 relativamente alle imprese in bonis, con riguardo ai debiti iscritti a ruolo, e l’art. 25-bis, comma 4, CCII relativamente a quelle che hanno avuto accesso alla composizione negoziata della crisi, con riguardo ai debiti non ancora iscritti a ruolo), nonostante non sussistano in tali contesti le garanzie previste in detti strumenti al fine di poter considerare ragionevolmente certo il pagamento offerto e legittima la proposta (attestazione della veridicità dei dati aziendali, della fattibilità del piano e della convenienza per l’Erario, vaglio del tribunale, ecc.). Sarebbe pertanto contraddittorio ammettere la possibilità di una dilazione di pagamento decennale laddove non siano previste specifiche tutele a beneficio dei creditori ed escluderla ove tali tutele siano invece espressamente necessarie.

Una dilazione di pagamento dei debiti tributari pari a dieci anni è, inoltre, conforme alle disposizioni recate dal comma 5 dell’art. 63 CCII, che consentono una dilazione decennale anche in presenza di condotte patologiche e abusive dell’impresa debitrice, ed è a maggior ragione conforme alle disposizioni stabilite dal comma 4 del medesimo articolo, che non prevedono alcuna limitazione temporale della dilazione di pagamento in presenza di condotte connotate da un minor tasso di abusività.

Così come tale dilazione risulta perfettamente legittima in base ai principi di redazione e ai principi di attestazione dei piani di risanamento, che enunciano espressamente tale legittimità in un’apposita sezione e distinguono nettamente la durata del piano da quella della dilazione di pagamento dei debiti oggetto della ristrutturazione aziendale. È, infatti, sufficiente che nell’arco temporale oggetto del piano l’impresa riacquisisca il proprio equilibrio finanziario, economico e patrimoniale e non anche che provveda all’integrale pagamento dei suoi debiti, se, grazie a tale equilibrio, il suo residuo debito è sostenibile, in quanto può essere assolto mediante i flussi finanziari derivanti dalla prosecuzione dell’attività. Ciò posto, pare con tutta evidenza incorsa nell’equivoco di confondere l’ampiezza temporale del piano di risanamento con la durata della dilazione di pagamento dei debiti quella giurisprudenza (Tribunale di Roma, sent. 24 aprile 2023, n. 271) secondo cui una rateazione dei debiti che superi il periodo di cinque anni si porrebbe in contrasto con i principi di redazione e i principi di attestazione dei piani di risanamento statuiti dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, che, come si è visto, affermano invece proprio il contrario. Sono del resto numerosi i decreti e le sentenze con cui lo stesso Tribunale, oltre che molti altri tribunali, hanno omologato accordi di ristrutturazione che prevedevano dilazioni di pagamento pari e anche superiori a dieci anni, seppur in assenza sia di garanzie sia di circostanze che rendessero la probabilità di adempimento più elevata che nella generalità dei casi.

Una dilazione decennale è conforme, infine, al principio di convenienza che costituisce il fulcro dell’istituto della transazione fiscale quando, come generalmente accade, il soddisfacimento dei debiti tributari e contributivi avviene mediante utilizzo deli flussi finanziari generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, poiché, a parità dell’importo dei flussi gestionali prodotti annualmente, il soddisfacimento dell’Erario è in questo caso direttamente proporzionale alla durata della dilazione.

Non a caso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate che meglio conoscono e applicano l’istituto della transazione fiscale hanno generalmente approvato, nell’interesse dell’Erario, proposte che prevedevano, oltre alla falcidia dell’importo da pagare, dilazioni di pagamento di dieci anni, talvolta dilazioni superiori a dieci anni e, seppur raramente e in presenza di adeguate garanzie, dilazioni persino superiori a venti anni.

 

Bibliografia essenziale

Stefano Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Zanichelli, 2022

Giulio Andreani – Angelo Tubelli, La transazione fiscale, Wolters Kluwer, 2024

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Principi di redazione dei piani di risanamento

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Principi di attestazione dei piani di risanamento

Filippo Lamanna (a cura di), Società e soci nel diritto della crisi, Giuffrè Francis Lefebvre, 2025

Stefania Pacchi – Stefano Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Zanichelli, 2022

Salvatore Sanzo – Diana Burroni (a cura di), Il nuovo Codice della crisi dopo il Correttivo ter, Zanichelli, 2024