Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Mancata accettazione dell’esperto e diniego di rinvio: dura lex, sed lex.


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Articolo

Debitore, soci e creditori nel concordato preventivo in continuità


Nicola Cadei

Data pubblicazione
08 maggio 2025

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Sommario: 1. Premessa; 2. Una breve e già nota premessa – 3. Debitore, creditori e soci – 4. Rapporti tra creditori e soci – 5. Rapporti interni tra creditori – 6. Conclusioni


1. Premessa

Le novità introdotte dal terzo correttivo[1] al D.Lgs. 12 gennaio 2019 n° 14 (d’ora in avanti anche “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenzaovvero “CCII”), unitamente ai contributi giurisprudenziali e dottrinali formatisi nel solco di una recentissima disciplina ispirata ad una Direttiva[2] – per certi versi – di matrice anglosassone[3] da applicarsi al diritto domestico, stanno consentendo agli operatori di settore una sempre maggiormente agevole interpretazione delle norme riferite al concordato preventivo.

Le incertezze applicative, tuttavia, risultano tutt’altro che risolte, in particolare rispetto agli innumerevoli differenti casi concretamente riscontrabili, comportando al contempo diverse questioni in termini di stabilità delle procedure di concordato in continuità, altresì con riferimento all’intersecazione dei diritti dei differenti portatori di interessi coinvolti.

Il presente elaborato ha la finalità, in prima battuta, di approfondire, sulla base dell’analisi della normativa e dei contributi dottrinali e giurisprudenziali inerenti al tema, come il Legislatore domestico abbia recepito la Direttiva Insolvency, con particolare riferimento alla categorizzazione delle posizioni dei vari portatori d’interessi coinvolti nell’ambito di un processo di ristrutturazione preventiva. Ad esito di tale disamina, verrà indagata l’eventuale esistenza di conflitti d’interessi – da considerarsi in termini di aspettative di soddisfazione economico / finanziarie – tra le posizioni dei principali attori – ovverosia debitore, creditori e soci – nell’ambito delle procedure interne di concordato preventivo in continuità[4], cercando altresì di comprendere l’effettiva portata applicativa degli articoli regolamentanti i principali rapporti tra i medesimi, ovverosia gli artt. 112 e 120-quater del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, anche in termini di stabilità delle procedure.

 

2. Una breve e già nota premessa

La Direttiva (UE) 2019/1023 ha definito quale obiettivo per i Paesi Membri il recepimento, negli ordinamenti interni[5], di una serie di postulati e paradigmi persino innovativi per il legislatore italiano.

In particolare, secondo la Direttiva, per i “debitori in difficoltà finanziarie” è prevista la possibilità di aderire ad un “quadro di ristrutturazione preventiva”, tale da consentire ai medesimi di adottare misure atte a “continuare a operare, in tutto o in parte, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle loro attività e delle loro passività o di una qualunque altra parte della loro struttura del capitale, anche mediante la vendita di attività o parti dell'impresa o, se previsto dal diritto nazionale, dell'impresa nel suo complesso, come anche apportando cambiamenti operativi[6]. In tale solco, la definizione di ristrutturazione di cui alla Direttiva risulta più ampia rispetto alla nozione domestica (prevalentemente impiegata nel CCII in termini nomenclativi delle procedure adottabili[7]) e ricalcata, seppur con la principale differenza della mancata previsione dell’ipotesi di riordino mediante cambiamenti operativi nel codice italiano, nella definizione di “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza” di cui all’art. 2, primo comma, lett. m-bis) CCII[8].

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, sembrerebbe infatti recepire di tali previsioni quasi esclusivamente l’associazione del concetto di ristrutturazione ovvero regolamentazione della crisi e dell’insolvenza all’astrazione di rinegoziazione ovvero riscadenziamento del debito societario, di allocazione di asset ovvero di effettuazione di interventi sul capitale, tralasciando quale soluzione l’apporto di cambiamenti operativi al fine di consentire al debitore in crisi di raggiungere quella discontinuità strategica – ad ogni modo richiamata come necessaria dalla dottrina e dai principi di attestazione[9] – al fine di conferire effettivo fondamento alla previsione che la futura gestione aziendale in continuità – diretta ovvero indiretta – non produrrà ulteriori perdite, come precedentemente avvenuto nell’ambito dell’iniziativa imprenditoriale entrata in crisi ovvero, persino, in una situazione di insolvenza.

Altra nota innovativa definizione della Direttiva è rappresentata dalla descrizione di “parti interessate[10], ricomprendenti sia i creditori, sia i detentori di strumenti di capitale[11], sui cui interessi deve incidere – direttamente – il piano di ristrutturazione[12]. Tale termine, nella presente analisi, risulta di fondamentale importanza al fine di comprendere le posizioni delle diverse categorie di stakeholders coinvolte nella ristrutturazione, il cui interesse potrebbe – anche solo apparentemente – divergere nell’ambito di procedure di regolamentazione della crisi in continuità.

 

3. Debitore, creditori e soci

La definizione di parti interessate risulta nondimeno dirimente al fine di comprendere l’intenzione del Legislatore comunitario in merito alla categorizzazione dei detentori di strumenti di capitale (ndr. soci/azionisti), notoriamente – in particolare nell’ordinamento italiano secondo la legge fallimentare – intendibili quali meri proprietari passivi ed “indifferenti” rispetto al processo di ristrutturazione in virtù della relativa posizione di residual claimants[13], mentre ora a tutti gli effetti ritenibili portatori di interessi incisi ed incidibili dalle previsioni della continuità – e dal buon esito della procedura – nell’ambito di un piano di concordato[14].

Ciò, in particolare, nel caso in cui il piano di concordato preveda l’attribuzione di un qualsivoglia valore[15] in capo ai soci anteriori alla presentazione della domanda, oltreché nel caso in cui la proposta preveda modificazioni che incidano direttamente sui diritti di partecipazione dei medesimi, circostanza nella quale il classamento degli stessi risulta obbligatoria ai sensi dell’art. 120-ter CCII. Ad avviso di chi scrive, tale classe di portatori di interessi risulta in ogni caso incisa ed incidibile dalle previsioni della continuità[16], sia nei casi di integrale fuoriuscita dei medesimi dalla compagine sociale per effetto delle previsioni della domanda di concordato – comportante la conseguente integrale perdita di eventuali prospettive recuperabilità dell’investimento –, sia ogniqualvolta il piano e la proposta non ne prevedano la integrale fuoriuscita dalla compagine societaria per effetto di interventi sul capitale sociale e quindi il mantenimento da parte dei medesimi di – anche minime – interessenze partecipative[17].

Inoltre, sulla base dalla Direttiva Insolvency[18] e del Bankruptcy Code US[19], l’adozione di un piano di ristrutturazione non potrà essere subordinata all’accordo di detentori di strumenti di capitale che, in base ad una valutazione dell’impresa (la disciplina statunitense specifica “alla data di efficacia del piano”), non riceverebberoalcun pagamento o altro corrispettivo (la norma comunitaria specifica “se fosse applicato il normale grado di priorità della liquidazione”). Da tali assunti è quindi possibile sostenere, come peraltro osservato in dottrina[20], che per quanto riguarda la posizione dei soci risulta limpida la dissociazione tra la figura del “detentore di strumenti di capitale” (nel sistema US “equity security holder”) e del “debitore”, quest’ultimo non più da intendersi in senso ampio come la società in crisi, bensì come l’iniziativa imprenditoriale ed i complessi aziendali rinvenibili nella medesima, generanti le inefficienze e lo squilibrio economico, patrimoniale, finanziario ed operativo comportante la necessità di ristrutturazione.

Quanto sopra dovrebbe imprescindibilmente condurre al fondamentale presupposto secondo cui il “debitore”, ovvero colui che ha il diritto di presentare piani di ristrutturazione ai sensi dell’art. 9 della Direttiva e che, secondo la nozione domestica[21], è rappresentato da un “consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un'attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici”, solo incidentalmente[22] potrà coincidere con la posizione della compagine societaria, risultando in ogni caso la prima figura – del debitore, intendibile quale iniziativa imprenditoriale che ha portato allo stato di crisi ovvero di insolvenza – nettamente distinta dalla seconda, ovverosia dal mero detentore di capitale di rischio. Per le società, risulta infatti espressamente previsto dall’art. 120-bis CCII che l’“accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, anche con riserva di deposito della proposta, del piano e degli accordi, è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori o dai liquidatori, i quali determinano anche il contenuto della proposta e le condizioni del piano”, prevedendo dei doveri di informativa a favore dei soci in capo all’Organo amministrativo relativamente all’accesso ed all’andamento della procedura, con esplicita previsione dell’inefficacia della revoca degli amministratori[23] se non per giusta causa – che sia in ogni caso differente dalla presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza in presenza delle condizioni di legge[24].

La già chiara dissociazione tra la figura di debitore e di detentore di strumenti finanziari risulta peraltro confermata dalla previsione contenuta nell’art. 120-bis CCII secondo cui anche i soci (nella percentuale qualificata di almeno il 10% del capitale sociale)sono legittimati alla presentazione di proposte concorrenti (ndr. rispetto a quella elaborata dall’Organo amministrativo ovvero a quelle concorrenti eventualmente presentate dai creditori) ai sensi dell'articolo 90 CCII[25].

Non risulta quindi sostenibile[26], ad avviso di chi scrive, attribuire ai soci la responsabilità di aver condotto la società debitrice alla crisi ovvero all’insolvenza, con conseguente paventabile rimedio a tale addebito rappresentato dall’integrale espropriazione delle relative partecipazioni (anche per via del precedente mancato esercizio della relativa opzione call pre-money ex artt. 2447 e 2482-ter c.c.)[27],[28]. Ciò, anche in caso di contiguità dell’Organo amministrativo alla compagine sociale, soprattutto per i rimedi che sono consentiti ai soci in termini di facoltà di proposizione di proposte concorrenti[29].

Per quanto concerne la primaria e centrale posizione dei creditori, invece, il postulato del miglior soddisfacimento degli stessi (c.d. best interest of creditors test), rinvenibile sia nel Chapter 11Reorganization, §1129 del US Bankruptcy Code, sia all’art. 2, primo comma n. 6 della Direttiva Insolvency prevede, nella sostanza, la verifica che nessun creditore – in particolare dissenziente – debba risultare maggiormente svantaggiato dal piano di ristrutturazione rispetto a come lo sarebbe in caso di liquidazione. Tale assunto, di respiro sicuramente più ampio nell’impostazione anglosassone rispetto a quella domestica, parrebbe essere stato recepito nell’ordinamento italiano in modo molto rigido, prevedendo tale categoria di portatori di interessi quale – seppur logicamente maggiormente tutelata – unica destinataria delle utilità derivanti dal processo di ristrutturazione.

Lo sbilanciamento del legislatore italiano nel prevedere una gestione della crisi a preminente favore dei creditori[30] (e, residualmente, dei lavoratori) è rimasto tuttavia confermato, in particolare, dal disposto degli artt. 4, secondo comma, lett. c), 21, primo comma, 64-bis, quinto comma e 84, secondo comma del CCII, secondo cui il debitore ha il dovere di gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario (ovvero prevalente) dei creditori. Tale assunto, assolutamente logico e dovuto, risulta tuttavia di respiro più ristretto rispetto a quanto previsto nella Direttiva Insolvency, dove si esplicita che la ristrutturazione dovrebbe altresì impedire la perdita di posti di lavoro (interesse tutelato anche nell’ambito domestico per quanto concerne i concordati in continuità) nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori – rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano – così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso[31]. Tale definizione trova supporto nel Chapter 11Reorganization, §1129 del US Bankruptcy Code, nella parte in cui si prevede, per la conferma del piano da parte del Tribunale, che la nomina o la conferma dell’Organo apicale del debitore debba essere coerente con gli interessi dei creditori, dei titolari di titoli azionari e con l'ordine pubblico. Nella sostanza, la normativa di derivazione anglosassone ha sì – ovviamente – previsto come finalità primaria delle procedure di risanamento la massimizzazione del valore per i creditori sociali, tuttavia contemperando rispetto a tale obiettivo ulteriori interessi, anche derivanti dalla salvaguardia di realtà aziendali già avviate e che possano proseguire a mantenere livelli di occupazione, di conoscenze industriali e di indotto economico.

 

4. Rapporti tra creditori e soci

Conclusioni Analizzando ulteriormente il tema e premessa l’argomentata cristallina dissociazione tra la figura del debitore e quella dei soci, la differenza maggiormente rilevante tra la posizione dei creditori e quella dei soci[32], dal punto di vista dei loro interessi ed aspettative patrimoniali in termini di diritti finanziari, impliciti ovvero espliciti, attuali ovvero futuri, risiede nel fatto che i primi – in modo differente rispetto al relativo grado di privilegio, al valore della relativa pretesa ed al valore dei beni sui quale eventualmente ne insiste la garanzia – ambiscono a conseguire la soddisfazione dei loro diritti di credito in termini sostanzialmente rapidi, mentre i secondi, quando la società non sia avviata alla liquidazione, aspirano a preservare – o meglio riottenere – in tutto o in parte il valore delle loro partecipazioni e la relativa redditività[33], con un orizzonte temporale di aspettative maggiormente esteso e quindi conciliabile con quello dei primi. La proposta della misura e dei termini di soddisfazione delle parti interessate alla ristrutturazione derivano infatti dal contenuto della domanda di concordato e del relativo piano – predisposte dal debitore ed oggetto di attestazione in termini di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità da parte di un professionista indipendente ai sensi dell’art. 87, terzo comma CCII, oltreché, ogniqualvolta la platea dei creditori comprenda posizioni privilegiate, ipotecarie o pignoratizie, ai sensi dell’art. 84, quinto comma CCII in termini di preferibilità di trattamento rispetto a quello in ipotesi di liquidazione giudiziale –, sia in termini di modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, sia di effetti sul piano finanziario delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Al riguardo, il piano di concordato risulta generalmente esteso in un orizzonte temporale di estensione dai tre ai cinque anni[34], salvo maggiore dilatazione da giustificarsi, anche per via dell’alea inevitabilmente correlata all’eventuale ulteriore allungamento delle previsioni. In tale orizzonte temporale “esplicito” di piano, nel corso del quale i flussi finanziari – previsti generarsi nel piano industriale esattamente secondo consistenze ivi indicate – dovrebbero verosimilmente essere destinati integralmente ai creditori, l’astratto conflitto tra le posizioni di soci e creditori sembrerebbe quindi non sussistere. Anche nel periodo post previsione “esplicita” di piano, qualora la proposta preveda il rimborso di residue posizioni creditorie (comunemente quelle maggiormente dilazionabili, ovverosia supportate da diritti reali di garanzia e remunerate per la dilazione in termini di tasso d’interesse), tale conflitto sembrerebbe non sussistere tenuto conto del fatto anche che i soci, anche al fine di (ri)ottenere il ripristino della remunerazione dell’investimento iniziale – eventualmente incrementato tramite l’immissione di nuovo capitale di rischio nell’ambito della procedura –, dovrebbero aspirare all’integrale esecuzione della proposta a favore del ceto creditorio.

Ad ogni modo, qualora anche dei conflitti d’interessi sussistessero, il legislatore ha previsto, tramite l’art. 90 CCII, per i creditori che rappresentino – singolarmente ovvero congiuntamente – una percentuale “qualificata” (di almeno il 5%[35]) dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore, la possibilità di presentare una proposta concorrente di concordato preventivo[36]. E si ribadisce nuovamente, la proposta ed il piano di concordato non sono predisposti dai soci, bensì dall’organo amministrativo societario e quindi, anche in caso di eventuale coincidenza nelle posizioni di titolarità della società e di gestione della medesima, sempre nell’interesse primario dei creditori.

Si aggiunga che, come espressamente previsto dal primo comma, lett. d) dell’art. 87 CCII, gli interessi di creditori e soci potrebbero addirittura convergere in termini di rischio, ogniqualvolta il piano e la proposta prevedano quale modalità di soddisfazione dei crediti l’attribuzione di azioni, quote, obbligazioni convertibili ovvero strumenti finanziari partecipativi (c.d. soddisfazione “carta su carta”) da parte del debitore[37]. Tale previsione di soddisfacimento dei crediti, nella prassi tutt’altro che infrequente, potrebbe altresì risultare “opportuna” al fine del superamento della prova di cui all’art. 120-quater CCII primo comma, ultimo periodo, nella misura in cui si creino posizioni antergate rispetto ai soci anteriori alla presentazione della domanda (normalmente prevedenti diritti patrimoniali maturanti post previsione analitica di piano) ovvero si verifichi una diluizione delle relative partecipazioni.

L’unico rilevante e non risolvibile conflitto tra soci e creditori – in apparenza solo per quelli dissenzienti ma nella sostanza per tutta la parterre dei medesimi – si potrebbe registrare, invece, nell’ipotesi in cui il concordato prevedesse delle attribuzioni ai soci in misura tale che (i) il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti non fosse almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo grado e più favorevole di quello proposto alle classi di grado inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci ovvero (ii) nel caso in cui non vi fossero classi di creditori di grado pari o inferiore a quella dissenziente, il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente non fosse superiore a quello complessivamente riservato ai soci[38].

Con riferimento a tali casistiche, risulta necessario premettere che la verifica di corretta attribuzione del valore ai soci è attuabile unicamente (i) rispetto ai soci anteriori alla domanda, (ii) ad esito delle votazioni espresse ovvero inespresse da parte dei creditori e (iii) nel caso di sussistenza di classi di creditori dissenzienti. Per quanto concerne il primo aspetto, esulando da considerazioni in merito alle metodologie di calcolo del valore riservato ai soci[39], non sussistono particolari osservazioni, se non ricordare che eventuali apporti da parte dei soci anteriori alla presentazione della domanda decrementerebbero l’aggregato e che l’integrale fuoriuscita dei medesimi dal capitale sociale per effetto di operazioni sul medesimo ad esito dell’omologazione del concordato escluderebbe la verifica. In merito al secondo e terzo aspetto, invece, risulta necessaria una valutazione ed un’analisi maggiormente approfondita. Come noto, il terzo comma dell’art. 85 CCII ha previsto l’obbligatorietà di classamento dei creditori nel caso di concordato preventivo in continuità, in cluster connotati da posizione giuridica ed interessi economici omogenei[40]. Come ricordato dalla dottrina già richiamata, per quanto concerne l’omogeneità di posizione giuridica (primo oggettivo criterio di distinzione tra i creditori), il driver di classificazione è riconducibile alle rigide previsioni del codice civile in termini di gerarchia dei creditori mentre, per quanto concerne l’omogeneità di interessi economici (secondo criterio impiegabile su creditori con medesima posizione giuridica), la regola concede maggiori margini di discrezione per la costruzione delle classi da parte il debitore. Nell’ambito della presente analisi, al fine di non indagare ulteriormente sulla corretta formazione delle classi e quindi sull’affidabilità nella composizione delle stesse, risulta importante sottolineare come, con riferimento a tale aspetto, l’art. 47 CCII ha previsto un primo vaglio da parte del Tribunale in sede di apertura del concordato[41] ed altresì – unitamente alla verifica della parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe – nell’ambito del giudizio di omologazione ai sensi dell’art. 112 CCII.

Infine, occorre circostanziare quale sia il significato di classe “dissenziente”, ovvero se il medesimo debba riferirsi ad un voto contrario espresso a maggioranza (o nei termini previsti dal CCII) nella singola classe oppure se anche il voto inespresso, equiparato nella sostanza a voto contrario, possa portare al riscontro di tale casistica. Da una lettura sistematica del quinto comma dell’art. 109 CCII, secondo cui, al fine dell’approvazione della proposta da parte di una classe deve aver votato favorevolmente “la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, […] i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”, sembrerebbe prevalere la seconda tesi. Ciò anche tenuto conto del fatto che la norma prevede una soluzione positiva in termini di approvazione del concordato da parte della singola classe e non risultando nel codice alcuna definizione di “classe dissenziente” [42]. Del resto, la circostanza per cui in una singola classe non mono-rappresentata si registrino contemporaneamente sia creditori votanti (positivamente o negativamente) sia creditori non votanti[43] ovvero solo non votanti ovvero, ancora, che in una singola classe mono-rappresentata possa non essere espresso alcun voto, è del tutto riscontrabile e non escludibile.

Postulando conseguentemente dalla correttezza nella formulazione delle classi effettuata da parte del debitore (ovvero dall’eventuale proponente di una proposta concorrente), dal rispetto dell’ordine delle prelazioni, dall’accezione di “classe dissenziente” sopra richiamata e dal fatto che non risulta possibile – per via delle innumerevoli differenti composizioni dei passivi concordatari – addivenire a regole generali, si ritiene necessario integrare l’analisi con un “esempio-limite” prima di approdare a delle conclusioni. Nella prassi risulta infatti frequente il caso in cui i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti integralmente – il tutto nel rispetto e sulla base delle previsioni di cui al quinto comma dell’art. 84 CCII –, con conseguente degrado a chirografario della quota residua del credito. Risulta altresì frequente che le posizioni degradate, tutte con la medesima posizione giuridica (ovverosia chirografaria), vengano poi categorizzate in classi differenti per via dei diversi interessi economici rappresentati nelle medesime (si pensi a declassi di crediti ipotecari di istituti finanziari e declassi di crediti privilegiati vantati da erario ed enti previdenziali), anche per importi irrisori – rispetto al monte-debiti complessivo –, con altresì previsione di differenti trattamenti tra le stesse. Infine, risulta ancor più frequente – anche sulla base delle risultanze empiriche che precedono – che la c.d. “infima” classe possa essere rappresentata non solo da un unico raggruppamento (per posizione giuridica ed interesse economico) di creditori chirografari, bensì da una moltitudine di classi, di rango chirografario sia ab origine sia per degrado.

Riepilogando lo scenario sopra descritto, rappresentato dalla contemporanea presenza di più classi di creditori chirografari sia ab origine sia per degrado derivante da incapienza e l’assenza di classi di creditori di grado inferiore alle medesime (per il momento esulando dall’eventuale differente trattamento delle medesime), si riporta un esempio numerico[44].

Si ipotizzi la presenza di 3 classi di creditori chirografari (“A” per un ammontare complessivo di 50, “B” per un ammontare complessivo di 80 e “C” per un ammontare complessivo di 2), tutte destinatarie di un grado di soddisfazione pari al 20% del relativo ammontare da corrispondersi entro un anno dalla data di ipotizzata omologazione del concordato e quindi, rispettivamente, per 10, 16 e 0,4, contro un valore riservato ai soci di 0,5 (come spesso accade, ricavabile unicamente dal valore attualizzato del ritorno dell’investimento post previsione analitica di piano e non da distribuzioni nell’arco del medesimo, tuttavia nel caso di specie ottenuto da un valore di 5 al netto di un valore di apporti a fondo perduto da parte dei soci per 4,5). In tal caso, il valore riservato ai soci (0,5) risulta di livello esiguo rispetto al valore destinato al soddisfacimento proposto complessivamente ai creditori chirografari (26,4). Tuttavia, il dissenso – anche semplicemente derivante dalla mancata espressione del voto, come sopra rappresentato – della sola classe “C”, potrebbe comportare il rigetto dell’omologazione del concordato.

Analizzando la lettera della norma, tuttavia, l’incipit per l’attivazione della verifica prevista dall’ultimo periodo del primo comma dell’art. 120-quater CCII“Se non vi sono classi di creditori di grado pari o inferiore a quella dissenziente” porta lo scrivente a ritenere che, come nell’esempio proposto, esistendo classi di grado pari a quella dissenziente, il test possa essere effettuato sulla base di due distinte interpretazioni. La prima, maggiormente rigida e forse meno in linea rispetto alla ratio della norma ma più aderente al dettato legislativo[45], escludendo tout court la verifica in caso di esistenza di classi di pari grado rispetto alla “infima” classe dissenziente. La seconda, preferibile ad avviso di chi scrive, considerando complessivamente (e quindi astrattamente equiparando, unicamente al fine in oggetto, come dissenzienti), tutti i creditori di pari “infimo” grado rispetto alla classe dissenziente. Nel caso di specie, il valore riservato ai soci di 0,5 risulterebbe inferiore rispetto al valore destinato al soddisfacimento complessivo di tutte le classi di ultimo pari grado di 26,4 (di cui una dissenziente), comportando la possibilità di omologazione del concordato. Tale lettura, ad avviso di chi scrive, potrebbe risolvere innumerevoli situazioni in cui un’unica classe di creditori dissenzienti di ultimo grado e di esiguo importo “trascini” nel baratro del rigetto dell’omologazione anche tutte le altre classi di pari grado dimostratesi invece favorevoli alla proposta, così come situazioni in cui i soci, per il timore di vedersi attribuito un qualsivoglia valore (ad ogni modo non immediatamente realizzabile ed incerto per via delle imprevedibili sorti dell’esecuzione del concordato), si trovino “obbligati” ad apportare sostanze al fine dell’azzeramento del medesimo.

 

5. Rapporti interni tra creditori

Passando all’ultimo – e sicuramente più rilevante – piano di potenziale conflitto di interessi – come indicato in premessa, in termini squisitamente economico / finanziari –, ovverosia quello interno tra i creditori, si sottolinea come, nel caso di voto unanime di approvazione della proposta da parte di tutte le classi, nessun problema in termini di formale approvazione della medesima potrebbe emergere. Tuttavia, il dissenso di una o più classi di creditori (chiaramente non di tutte) rispetto alla proposta di concordato potrebbe azionare dei meccanismi, previsti dalla Direttiva Insolvency e recepiti nell’ordinamento domestico, comportanti l’emersione di conflitti tra i creditori.

Secondo la Direttiva Insolvency, infatti, l’autorità giudiziaria può respingere un piano di ristrutturazione se è stato accertato che esso riduce i diritti dei creditori o detentori di strumenti di capitale dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere di ottenere in caso di liquidazione dell'impresa del debitore[46] (si rimanda alla definizione di best interest of creditors test sopra riportata). Inoltre, la Direttiva Insolvency prevede che il piano di ristrutturazione, in caso di ristrutturazione trasversale dei debiti, verrebbe respinto qualora le classi di voto dissenzienti di creditori interessati vengano ingiustamente pregiudicate, non ricevendo un trattamento tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori[47].

Il Legislatore domestico ha recepito tale previsione tramite l’art. 112 CCII[48], ai sensi del quale, in caso di mancato voto favorevole esercitato da parte della totalità delle classi di creditori (e quindi, in negativo, sussistendo una o più classi di creditori dissenzienti), il concordato può essere omologato al ricorrere di alcune condizioni ivi espressamente previste[49]. In particolare, la lettera b) del secondo comma dell’articolo in questione prevede che il valore eccedente quello di liquidazione (ovverosia il c.d. surplus concordatario rispetto a quanto ricavabile in ipotesi di liquidazione giudiziale, da tenere distinto ed al netto di eventuali apporti effettuati da parte dei soci o di terzi[50]) debba essere distribuito in modo tale che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti ricevano un trattamento almeno pari a quello delle classi di pari grado e più favorevole rispetto a quelle di grado inferiore. In tal solco, un importante approdo giurisprudenziale della Corte d’Appello di Milano[51] ha avuto modo di chiarire che, nell’ambito dell’omologazione di un concordato ai sensi dall’art. 112, comma 2 CCII, “la verifica della parità di trattamento è riservata dal sistema esclusivamente con riguardo alle classi dissenzienti, con la conseguenza che è ben possibile omologare un concordato in continuità aziendale in cui vi siano classi di creditori non dissenzienti che ricevano meno di quanto distribuito a classi di pari rango” e specificando che“Il trattamento differenziato tra classi previsto dall’art. 85 co. 1 CCII rimane dunque una possibile opzione da parte del debitore, da intendersi subordinata al conseguimento del voto favorevole di tutte le classi, secondo le dinamiche previste dall’art. 109 CCII”.

Nell’ambito delle posizioni dei creditori chirografari ab origine e per degradazione per incapienza dell’attivo, la Corte d’Appello di Milano[52] ha altresì affermato che la proposta che preveda un miglior trattamento delle classi composte da creditori aventi privilegio generale incapiente e quindi degradati al chirografo, rispetto alla classe dissenziente composta da creditori chirografari ab origine, non viola la regola di cui all’art. 112 lett. b). Secondo la citata ultima giurisprudenza, infatti, i creditori privilegiati che subiscono la degradazione al grado chirografario per incapienza dell'attivo non sono equiparabili né ai privilegiati non degradati né tantomeno ai creditori chirografari “ab origine”, poiché conservano una sorta di “privilegio attenuato”. Ad avviso di chi scrive, l’interpretazione giurisprudenziale sembrerebbe confliggere con l’impostazione normativa in tema di degradazione per incapienza, in particolare riferendosi sia all’ultimo periodo del quinto comma dell’art. 84 CCII secondo cui “La quota residua del credito [ndr. munito di privilegio, pegno o ipoteca soddisfatto non integralmente e sino al valore realizzabile in caso di liquidazione] è trattata come credito chirografario”, sia all’ultimo periodo del primo comma dell’art. 88 CCII, secondo cui – in merito alla proposta di trattamento dei crediti contributivi e tributari – è previsto che “Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”. Secondo tali previsioni, il credito sembrerebbe dover essere trattato indistintamente come chirografario – senza nessuna ulteriore differente caratteristica – nell’ambito di una proposta che potrebbe sì prevedere un trattamento differenziato tra le classi chirografarie, tuttavia a discrezione del debitore e senza che ciò rappresenti un obbligo normativamente previsto per il medesimo. Del resto, il degrado risulta espressamente[53] calcolato sulla base del grado di soddisfazione rinvenibile per i creditori con privilegio – nel caso in esame generale – in ipotesi di liquidazione giudiziale, circostanza nella quale, oltre alla quota capiente del privilegio, nessun’ulteriore utilità verrebbe garantita ai medesimi (non sussistendo alcun valore eccedente il valore di liquidazione), al pari dei creditori chirografari ab origine.

Di tutto quanto sopra, il debitore deve necessariamente tenerne conto nell’ambito della predisposizione della proposta e del piano di concordato, in particolare nella formazione delle classi e nel relativo trattamento. Ragionevolmente, infatti, non risultando facilmente aprioristicamente pronosticabili gli esiti delle votazioni (o delle non votazioni) da parte dei creditori componenti le singole classi – e così il raggiungimento dell’en plein delle classi approvanti la proposta –, l’indirizzo nella costruzione delle classi dovrebbe attenersi alla massima prudenza e quindi: (i) alla distribuzione del valore in ipotesi di liquidazione giudiziale secondo la rigida waterfall dell’absolute priority rule, (ii) alla distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione secondo la logica per cui tutti i creditori dello stesso rango, anche se appartenenti a più classi, ricevano il medesimo trattamento, migliorativo rispetto a quello delle classi di rango inferiore e peggiorativo rispetto a quello delle classi di rango superiore[54]. In altre parole, pur risultando possibile prevedere dei trattamenti differenziati tra le classi di rango chirografario, quale sarebbe la ratio di tale previsione stante l’impossibilità di prevedere, alla data di deposito della proposta, le risultanze delle votazioni?

Posto quanto sopra, la principale differenziazione nel trattamento tra le classi di pari rango potrebbe quindi derivare, a parità di soddisfazione in termini di valori economico / finanziari sostanziali, dalle diverse tempistiche di remunerazione, comunque da bilanciarsi tramite il riconoscimento della maturazione di interessi per i rimborsi maggiormente dilazionati ovvero, nel caso di attribuzione di strumenti di capitale da parte del debitore, da un’equivalente utilità economica. Il tutto, chiaramente, salvo che il debitore non voglia assumersi il rischio di vedersi non approvata la proposta da una o più classi a favore delle quali, rispetto a quelle di pari grado, la proposta preveda un trattamento differente (in termini peggiorativi).

Risulta evidente come, nel caso analizzato, i rapporti tra i creditori siano caratterizzati da un conflitto di interessi, sanabile unicamente nel caso di comunione di intenti in termini di volontà di approvazione della proposta da parte di tutte le classi aventi diritto di voto.

D’altronde, la mancata approvazione della proposta di concordato da parte di una classe di creditori – e quindi il relativo dissenso –, risulta in contrasto rispetto all’interesse – in termini economico / finanziari – della collettività dei creditori, tenuto conto del fatto che, al momento del voto, i medesimi sono in possesso di tutte le informazioni necessarie al fine dell’espressione del medesimo (per effetto dell’illustrazione ai creditori, da parte del Commissario Giudiziale, della propria relazione ai sensi dell’art. 107 CCII), in particolare della necessaria circostanza che il soddisfacimento proposto non risulti inferiore a quello ottenibile in caso di liquidazione giudiziale – pena inammissibilità della proposta. La proposta, infatti, dovrebbe prevedere il superamento del best interest of creditors test, rappresentando quindi per l’intero ceto creditorio la miglior soluzione in termini di possibilità di soddisfazione oltreché, ai sensi delle previsioni del CCII, la migliore chance di recovery per i medesimi.

Ad ogni modo, il dissenso potrebbe esser fatto valere, piuttosto che tramite il voto contrario ovvero astenuto da parte dei creditori, con la presentazione di una proposta concorrente da parte dei medesimi, consentendo comunque di evitare lo scenario – comunque non automatico – della liquidazione giudiziale, sicuramente non preferibile per il ceto creditorio oggetto di classamento rispetto alla proposta – pena inammissibilità della medesima in caso contrario – sulla base del disposto di cui al primo comma dell’art. 84 CCII secondo cui l’imprenditore in crisi o in stato di insolvenza può proporre un concordato che realizzi “il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale”.

 

6. Conclusioni

Dall’analisi effettuata sembra si possano trarre le seguenti considerazioni conclusive:

1.       la posizione del debitore, intendibile quale iniziativa imprenditoriale comportante una situazione di crisi ovvero di insolvenza, risulta pacificamente distinta dalla posizione dei soci, intendibili quali meri detentori di strumenti di capitale di rischio e “parti interessate” nell’ambito della procedura;

2.       tra soci e creditori non sembrerebbero sussistere ab origine conflitti d’interessi (per via delle differenti e compatibili aspettative di soddisfacimento). Tale conflitto potrebbe derivare unicamente nell’eventualità in cui, congiuntamente, esistano classi dissenzienti di creditori e la ristrutturazione preveda l’attribuzione di valore ai soci. In tale eventualità, la verifica di cui all’art. 120-quater CCII dovrebbe, nel caso di dissenso della c.d. “infima” classe, tenere conto dell’eventuale esistenza di una o più classi (anche approvanti la proposta) di pari grado rispetto alla medesima, rapportando il confronto del valore riservato ai soci al valore destinato al complessivo soddisfacimento delle classi di pari ultimo rango;

3.       la presenza (ovvero il non fugabile timore dell’esistenza) di classi di creditori dissenzienti, al fine dell’approvazione della proposta concordataria ai sensi dell’art. 112 CCII, presuppone, oltreché la basilare corretta attività di classamento dei creditori sulla base di posizione giuridica ed interessi economici omogenei da parte del debitore, un’attenta calibrazione delle proposte di soddisfacimento delle medesime in termini di trattamento delle classi di pari rango. Il debitore, qualora volesse evitare il rischio di rigetto della proposta per l’eventualità dell’esistenza di classi dissenzienti di pari rango trattate differentemente, dovrebbe quindi prevedere un analogo grado di soddisfazione – in termini sostanziali – tra le medesime;

4.       sulla base di una lettura sistematica ed organica delle disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza sopra richiamate, l’eventuale esistenza di classi di creditori dissenzienti sembrerebbe porsi in contrasto – in termini economico / finanziari – con l’interesse generale del ceto creditorio, tenuto conto del fatto che la proposta di concordato, predisposta nell’interesse primario dei creditori, risulta in ogni caso per i medesimi preferibile rispetto allo scenario di liquidazione giudiziale. Il rimedio principale garantito ai creditori al fine di dimostrare il relativo dissenso, piuttosto che il voto contrario o non espresso, risulterebbe invece rappresentato dalla possibilità di proposizione di una proposta concorrente.

Concludendo dunque in merito a quanto sopra argomentato, la lettura organica della normativa in tema di concordato preventivo in continuità sembrerebbe suggerire alcuni spunti interpretativi ed alcuni accorgimenti metodologici utili a rendere maggiormente “stabili” tali tipologie di procedure, lasciando comunque al debitore la flessibilità nella formulazione di una proposta non perfettamente allineata rispetto ai medesimi (in tale ultimo caso, tuttavia, lasciando pendere sul capo del medesimo una spada di Damocle retta sul sottile crine dell’integrale approvazione della proposta da parte di tutte le classi di creditori).

 



[1] D.Lgs. 13 settembre 2024 n° 136, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 27 settembre 2024, con riferimento al quale si richiama la Relazione Illustrativa in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.

[2] Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (d’ora in avanti anche “Direttiva Insolvency” ovvero “Direttiva”).

[3] Sul punto si rimanda a F. Carelli, L’influenza del Chapter 11 sulle legislazioni della crisi d'impresa e le differenze con gli strumenti previsti dal CCI, in Ristrutturazioni Aziendali, 2020.

[4] Nel seguito, il riferimento al termine concordato comprenderà altresì le procedure di gruppo in continuità ai sensi degli artt. 284 e ss. CCII.

[5] Per un’ampia disamina della normativa italiana di riferimento, oltreché dell’evoluzione della disciplina della crisi, si rimanda a S. Ambrosini, Evoluzione della disciplina della crisi e dell’insolvenza: dalla legge fallimentare al codice della crisi d’impresa (attraverso la direttiva UE del 2019 e l’emergenza epidemiologica), in S. Ambrosini, S. Pacchi, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna 2025, 1 ss. e M. Fabiani, Il sistema e i principi del diritto della crisi dell’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 11 ottobre 2024.

[6] Si rimanda ai Considerando nn. 1 - 4 ed all’art. 2, par. 1, n. 1) della Direttiva Insolvency.

[7] In particolare, (i) del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, (ii) degli accordi di ristrutturazione dei debiti e di (iii) ristrutturazione dei debiti del consumatore. Inoltre, sussistono richiami a tale definizione negli artt. 85, 87, 112, 120-bis e 120-quater CCII.

[8] Ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. m-bis) del CCII, per strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si intendono “le misure, gli accordi e le procedure, diversi dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata volti al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.

[9] Sul punto si rimanda a P. Bastia, La sostenibilità economica nel concordato in continuità aziendale, in Ristrutturazioni Aziendali, 2023; A. Zuliani, Continuità diretta e continuità indiretta: presupposti, regole, criticità, in Dirittodellacrisi.it, 2 marzo 2022 e S. Ambrosini, La continuità aziendale tra diritto contabile e nuovo concordato preventivo: profili ricostruttivi e disciplina, in Giur. comm., 2025, I, 39 ss. Si rimanda altresì all’ultimo contributo dottrinale citato per un’ampia disamina in merito alla continuità indiretta nel codice della crisi.

[10] Si rimanda ai Considerando nn. 44 e ss. ed all’art. 2, par. 1, n. 2) della Direttiva Insolvency.

[11] Definiti dall’art. 2, par. 1, n. 3) della Direttiva Insolvency come persone che detengono una partecipazione al capitale di un debitore o di un'impresa del debitore, compreso un azionista, nella misura in cui le medesime non siano delle creditrici. Nel prosieguo, salvo diversa indicazione, per soci si intenderanno i detentori di strumenti di capitale anteriori alla presentazione della domanda di concordato.

[12] Definizione, in negativo, altresì rinvenibile nel Chapter 1General Provisions, §101, Par. 14del US Bankruptcy Code, secondo il quale per “disinterested person” deve intendersi un soggetto che (A) non sia un creditore, un titolare di equity ovvero un insider, (B) non sia ovvero non sia stato, nei due anni precedenti il deposito della petition, un amministratore, un funzionario ovvero un dipendente del debitore e (C) non possieda un interesse sostanzialmente contrario a quello del patrimonio o di qualsiasi classe di creditori o titolare di equity, a causa di qualsiasi relazione diretta o indiretta, connessione con o interesse nel debitore, o per qualsiasi altro motivo.

[13] Sul punto si rimanda a N. Micheli, Il ruolo dei soci nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, in Riv. Società, 2021 e R. Rordorf, I Soci di società in crisi, in Le Società, 2023, 10, p. 1138 ss.. Per un’ulteriore interessante disamina del ruolo di residual claimants, tuttavia riferito alla posizione dei creditori sulla base dell’attivo in ipotesi di liquidazione e del differente rango, si rimanda a M. Conforto, L’adozione della relative priority rule per la riforma del Chapter 11 statunitense: il redemption option value come valore da garantire ai residual owners, in Il diritto degli affari, n. 1/21, 2021.

[14] Sul punto si richiama la chiara e condivisibile lettura di M. Fabiani e S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 18 dicembre 2024.

[15] Secondo G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Il Fallimento, 2022, p. 1223 ss., “per “valore” si intende convenzionalmente il valore ricavabile dal piano di ristrutturazione o di liquidazione, oppure dalla procedura. Esso comprende quello che viene definito il “valore di liquidazione”, ossia l’attivo ricavabile dalla liquidazione, atomistica o in blocco, del patrimonio del debitore, ed il c.d. plusvalore da continuità, ossia le risorse ricavabili dalla prosecuzione dell’attività nel periodo di piano. […] Nelle procedure concordatarie l’assetto è sempre incentrato sulla prevalenza delle pretese dei creditori rispetto al debitore/soci, ma vi è spazio per consentire che, a determinate condizioni, parte del valore possa rimanere al debitore o ai soci (art. 120- quater, comma 1,CCII)”.

[16] Con tutti i conseguenti rimedi sia in termini di possibilità di proporre proposte concorrenti ai sensi dell’art. 120-bis CCII, sia di classamento di cui all’art. 120-ter CCII, sia in termini di opposizione all’omologazione ai sensi dell’art. 120-quater CCII.

[17] Sul punto si richiama l’interessante e condivisibile argomentazione di M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 12 dicembre 2022, richiamante G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, in Riv. Soc., 2019, in merito all’ostacolo che l’applicazione rigida dell’APR risulti in grado di frapporre al coinvolgimento dei soci nella ristrutturazione (e quindi ad eventuali loro disincentivi ad attivazione di procedure), derivante dalla relativa impossibilità di mantenere interessi e posizioni patrimoniali nell’impresa riorganizzata.

[18] Considerando n. 57 della Direttiva Insolvency.

[19] House Report no. 95-595 del Chapter 11Reorganization, §1124 del US Bankruptcy Code ai sensi del quale “Under this paragraph, the plan […], in the case of an equity security, must pay the greatest of any fixed liquidation preference to which the terms of the equity security entitle its holder, any fixed price at which the debtor, under the terms of the equity security may redeem such equity security, and the value, as of the effective date of the plan, of the holder's interest in the debtor. The value of the holder's interest need not be determined precisely by valuing the debtor's business if such value is clearly below redemption or liquidation preference values. If such value would require a full-scale valuation of the business, then such interest should be treated as impaired. But, if the debtor corporation is clearly insolvent, then the value of the common stock holder's interest in the debtor is zero, and offering them nothing under the plan of reorganization will not impair their rights. “Value, as of the effective date of the plan,” […], indicates that the promised payment under the plan must be discounted to present value as of the effective date of the plan. The discounting should be based only on the unpaid balance of the amount due under the plan, until that amount, including interest, is paid in full.”.

[20] Su tutti B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 27 febbraio 2023 e M. Fabiani e S. Leuzzi, op. cit..

[21] Ai sensi dell’art. 1, primo comma CCII, il Decreto legislativo norma le situazioni “di crisi o insolvenza del debitore”, così come nel seguito definito.

[22] Sicuramente nel caso di persone fisiche, professionisti e ditte individuali, integralmente o parzialmente nel caso di società di persone mentre non necessariamente in caso di società di capitali. Nell’ambito del presente elaborato, il riferimento sarà principalmente rivolto alle società di capitali che, secondo Unioncamere ed Infocamere, Osservatorio Unioncamere Crisi d’impresa, seconda edizione – febbraio 2025, con riferimento alle 762 procedure di concordato preventivo aperte nell’esercizio 2024, hanno rappresentato l’88,7% del campione (ovverosia 676 casi).

[23] Sul tema si richiama G. Fauceglia, Osservazioni sull’art. 120-bis, comma 4°, CCII e su qualche pericolosa aporia interpretativa, in Ristrutturazioni Aziendali, 2024 e S. Leuzzi, L’impatto sistematico dell’art. 120 bis CCII e la revoca degli amministratori dopo l’accesso allo strumento, in Dirittodellacrisi.it, 2025.

[24] Sul punto si richiama S. Ambrosini, Il sacrificio dei soci sull’altare della ristrutturazione: definitivo tramonto della shareholder’s primacy, in Dir. fall. on line, 2025.

[25] Il tutto, oltre ai rimedi ordinari azionabili nei confronti degli amministratori previsti dall’art. 2395 c.c.. Sulle proposte concorrenti presentabili da parte dei soci, S. Ambrosini, op. ult. cit..

[26] Chiaramente, salvo l’accertamento in sede giudiziale di condotte illegittime dell’Organo amministrativo a favore dei soci ovvero direttamente da parte di questi ultimi.

[27] Sul punto si rimanda all’efficace contributo di A. Rossi, Il concordato di Schrödinger (ovvero: del concordato preventivo con attribuzioni ai soci), in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, n. 3, 2025 ed a E. Ricciardiello, La ristrutturazione trasversale nel concordato con classamento dei soci, in Le Società, n. 12, dicembre 2024.

[28] Per alcune riflessioni in merito alla legittimità di una proposta concordataria in continuità aziendale che consenta all’imprenditore di mantenere la proprietà dell’azienda dopo una ristrutturazione del debito che preveda la soddisfazione solo parziale dei creditori si richiama P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 26 gennaio 2024.

[29] Sul tema, S. Ambrosini, La continuità aziendale tra diritto contabile e nuovo concordato preventivo: profili ricostruttivi e disciplina, op. cit., 47, sottolinea opportunamente che “Ed invero, la circostanza che il debitore, anziché “passare la mano”, si proponga di porre lui stesso rimedio alla crisi della propria impresa comporta un’attenzione in qualche modo “rafforzata” agli strumenti e alle strategie che egli intende mettere in campo a tal fine; e questo perché è la sua gestione ad avere condotto l’impresa nella situazione in cui si trova all’attualità”.

[30] In senso conforme, M. Fabiani e S. Leuzzi, op. cit.

[31] Considerando n. 2 della Direttiva Insolvency.

[32] Esulando da eventuali ulteriori utilità valutabili economicamente ma non di tipo monetario. Sul punto si rimanda a R. Rordorf, op. cit. e N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120-quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione, in Ristrutturazioni Aziendali, 2024.

[33] Per un’ulteriore disamina sul raffronto tra le posizioni dei creditori e di “mantenimento di interessi” da parte dei soci, si rimanda a G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022.

[34] CNDCEC, FNC, Principi per la redazione dei piani di risanamento, 26 maggio 2022, p. 21.

[35] Percentuale decrementata dalla precedente soglia del 10% per effetto del correttivo.

[36] Sul punto si rimanda all’esaustiva disamina di M. Aiello, Le nuove proposte e offerte concorrenti, in Ristrutturazioni Aziendali, 15 gennaio 2024. Ai sensi del quinto comma dell’art. 90 CCII, si sottolinea, non saranno ammissibili proposte concorrenti da parte dei creditori qualora dall’attestazione del professionista indipendente ai sensi dell’art. 87, terzo comma CCII risulti che la proposta del debitore assicuri il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari. Tale soglia minima, ad avviso del legislatore, dovrebbe quindi rappresentare quel grado minimo di soddisfazione tale per cui la proposta del debitore garantisce ai creditori chirografari una gratificazione congrua rispetto al relativo grado di privilegio.

[37] Rappresentando pacificamente tale forma di soddisfazione, quindi, un’utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile ai sensi del terzo comma dell’art. 84 CCII.

[38] Ai sensi dell’art. 120-quater CCII. Nel prosieguo verrà analizzata, in particolare, la casistica di cui all’ultimo periodo del primo comma di tale articolo.

[39] Sul punto si rimanda a A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023, M. Fabiani e A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, in Il Fallimento, 2024, R. Ranalli, Con il Codice della crisi il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per chi li pregiudica, in Dirittodellacrisi.it, 18 luglio 2023 e N. Cadei, op. cit.

[40] Ai sensi della lettera r), primo comma dell’art. 2 del CCII. Sul classamento dei creditori si rimanda all’esaustiva disamina ed alle condivisibili conclusioni di M. Fabiani, Revisione critica dei principi in tema di classi dei creditori, in Dirittodellacrisi.it, 3 febbraio 2025. Sull’argomento si rimanda altresì a G. D’Attorre, Classi “interessate e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 24 maggio 2023 e S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 30 novembre 2023.

[41] Verifica giudiziale altresì prevista, prima della comunicazione ai creditori, in caso di proposte concorrenti ai sensi dell’art. 90 CCII.

[42] Si rimanda all’ordinanza della Corte suprema di Cassazione – prima sezione civile n. 27345/2024 e G. D’Attorre, Il voto nel concordato preventivo, in il Fallimento 10/2020, 2020.

[43] Questi ultimi per i più disparati motivi, tra cui la mancanza di interesse tenuto conto dell’esiguità del credito, la precedente derecognition dal bilancio per messa a perdita del medesimo ovvero, semplicemente, la tacita intenzione di non voler approvare la proposta.

[44] Per ulteriori chiari esempi in merito alla verifica di cui all’art. 120-quater CCII, anche della casistica in cui rispetto alla classe dissenziente esistano classi di grado inferiore, si rimanda a M. Fabiani e S. Leuzzi, op. cit..

[45] Tenuto conto che l’articolo non si limita a prevedere unicamente l’esistenza di classi di rango inferiore rispetto all’ultima dissenziente, bensì anche di classi di “grado pari” alla stessa.

[46] Considerando n. 49 della Direttiva Insolvency.

[47] Art. 11, primo comma, lett. c) della Direttiva Insolvency.

[48] Sul punto, tra i vari contributi, M. Fabiani e S. Leuzzi, op. cit..

[49] Ai sensi del secondo comma dell’art. 112 CCII, “Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti il tribunale […], omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) il valore di liquidazione, come definito dall'articolo 87, comma 1, lettera c), è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7; c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito; d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza dell'approvazione a maggioranza delle classi, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori: 1) ai quali è offerto un importo non integrale del credito; 2) che sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l'ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.”.

[50] Con riferimento a tali utilità (c.d. risorse esterne), escluse dall’obbligo di distribuzione secondo l’obbligo della par condicio creditorum, si rimanda a S. Ambrosini, La continuità aziendale tra diritto contabile e nuovo concordato preventivo: profili ricostruttivi e disciplina, op. cit..

[51] Corte d’Appello di Milano, Sezione quarta civile, sentenza del 7 novembre 2024 pubblicata l’8 novembre 2024 Pres. Distefano, Est. Vullo in Dirittodellacrisi.it. Il dispositivo affronta altresì l’apparente contrasto tra l’art. 112, primo comma, lett. b) e l’art. 120-quater CCII in merito all’utilizzo dei termini grado e rango, concludendo che l’utilizzo della locuzione “grado” nell’art. 112 CCII debba essere inteso, in armonia con la Direttiva Insolvency in senso atecnico, facendo riferimento al “rango”. Conformemente, Tribunale di Busto Arsizio, Seconda Sezione Civile, sentenza del 23 maggio 2024 richiamante Cass. Sez. Un. n. 24214/2011.

[52] Corte d’Appello di Milano, 24 marzo 2025 Pres. Mantovani Est. Brena, Concordato in continuità aziendale: non equiparabilità dei creditori privilegiati degradati a quelli chirografari ab origine ai fini dell'applicazione dell'art. 112, co. 2 lett. b) c.c. in Giurisprudenza, Ristrutturazioni Aziendali.

[53] Ai sensi del quinto comma dell’art. 84 CCII.

[54] Sul tema si rimanda a M. Fabiani, Revisione critica dei principi in tema di classi dei Creditori, op.cit..