Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
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Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento” *


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
22 settembre 2021

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Sommario: 1. Il dibattito degli ultimi due anni in ordine all’opportunità di rinviare l’entrata in vigore del CCI. - 2. Il differimento di larga parte del CCI e l’intervento sulla legge fallimentare. - 3. Il più lungo rinvio della disciplina sulle misure di allerta: de profundis o spazio per una riconfigurazione? - 4. L’auspicio di un ulteriore ripensamento. - 5. Una proposta in tema di early warning.

(*) Il presente contributo è destinato agli Studi in onore di Sabino Fortunato (e, con alcune variazioni, ad altro volume collettaneo, a cura di Marcello Pollio).


1. Il dibattito degli ultimi due anni in ordine all’opportunità di rinviare l’entrata in vigore del CCI

La novità di maggiore rilevanza immediata sul piano pratico fra quelle contenute nel decreto n. 118/2021 è costituita dal duplice rinvio dell’entrata in vigore del codice della crisi.

Di differimento dell’efficacia della riforma organica si parla, per vero, sin dall’inizio del 2019 (e quindi ben prima della pandemia da “coronavirus”), quando si era posta in evidenza l’opportunità di differire di almeno un anno l’operatività della disciplina sulle misure di allerta, stante la presa d’atto che il “sistema” non era pronto ad affrontare e gestire un’innovazione di tale portata, foriera di effetti oggettivamente incerti, di là dalla bontà della scelta di fondo.

Con la drammatica situazione sanitaria venutasi a creare a partire dall’inizio del 2020 era più che lecito attendersi già all’epoca uno “slittamento” almeno di questa parte del codice; la scelta del legislatore del c.d. Decreto Liquidità[1] è andata – com’è noto – ben oltre, stabilendo il rinvio dell’intera riforma al settembre 2021.

Ad addivenire oltre un anno fa a questa corretta determinazione[2] avevano concorso vari, convergenti, ordini di considerazioni, in larga parte tuttora validi.

Il primo è derivato alla constatazione che era senz’altro preferibile affrontare un frangente emergenziale con uno strumentario normativo conosciuto e ampiamente collaudato qual è la legge fallimentare vigente[3], rispetto all’applicazione di una nuova disciplina che, in quella situazione, avrebbe rischiato di rappresentare un vero e proprio salto nel buio.

Il secondo ordine di considerazioni era riferito specificamente alle misure di allerta.

Come si legge nella Relazione illustrativa al Decreto Liquidità, infatti, il sistema dell’allerta “è stato concepito nell'ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all'interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi, e nel quale sia possibile conseguentemente concentrare gli strumenti predisposti dal codice sulle imprese che presentino criticità. In una situazione in cui l'intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.

Vi era poi un’ulteriore ragione, consistente nel dubbio (per non dire nella convinzione) che le disposizioni contenute nel codice non fossero ritenute le più idonee a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà e che esse, al contrario, potessero finire per renderlo, all’atto pratico, meno agevole[4]. E ciò, in qualche modo, a prescindere dall’emergenza epidemiologica.

Diversi autori, fra cui chi scrive, ritengono – non da oggi – che si trattasse (e si tratti) di un dubbio verosimilmente fondato, come appunto denotano le critiche mosse sia da numerosi esponenti della dottrina fallimentaristica (e aziendalistica), sia da moltissimi “addetti ai lavori”, alla legge delega del 2017 e ancor più, se possibile, al decreto delegato del 2019: basti pensare all’oggettiva “macchinosità” e all’eccessiva “invasività” della procedura di allerta, ad alcune serie criticità del procedimento unitario, all’eccessivo ridimensionamento del concordato preventivo, a previsioni contrastanti con il pur declamato favor per la continuità aziendale come il criterio della prevalenza di cui all’art. 84 del Codice, nonché ad alcune delle nuove disposizioni del codice civile in materia societaria.

La diffusa impressione – si ribadisce anche in questa sede – è che sia risultata a ben vedere improvvida la scelta di discostarsi, talora marcatamente, dall’impianto congegnato dalla c.d. prima commissione Rordorf (a suo tempo incaricata di redigere il testo dei princìpi di delega) per abbracciare un approccio schiettamente dirigista sul piano dell’eterotutela del debitore, con conseguente, significativa, riduzione dei suoi margini di manovra: il tutto sull’altare della necessità di reprimerne gli abusi, la cui non infrequente verificazione nel recente passato, pur innegabile e giustamente repressa dalla giurisprudenza, sembra aver condizionato oltre misura il legislatore del codice, secondo alcuni addirittura non immune da un certo “pregiudizio anti-imprenditoriale”. Per di più senza essere questi riuscito a realizzare una riforma davvero organica del diritto della crisi, come denota, a tacer d’altro, la persistente “specialità” di trattamento (anche sotto il profilo della sedes materiae) dell’amministrazione straordinaria.

Come già altrove osservato [5], l’interrogativo di fondo, non da oggi, è se lo strumento migliore per affrontare il drammatico frangente attuale e i tempi a venire (e in generale le situazioni di crisi del sistema economico) sia rappresentato da una riforma – qual è il codice della crisi – creditor oriented, che completi il processo avviato con quella che in tanti hanno chiamato la “controriforma” del 2015, o se al contrario debba reputarsi preferibile una legge ispirata al preminente obiettivo di salvare le imprese in difficoltà tutelando realmente (e non solo “programmaticamente”) la continuità aziendale. 

Ad avviso di chi scrive,anche nella logica della concorrenza fra ordinamenti, la risposta sarebbe dovuta esserenel senso di una riforma debtor oriented, seppur meno “sbilanciata” e frammentaria di quanto sono risultate essere, a livello applicativo, le novelle del 2005 e del 2012, giacché questo è l’approccio che richiede non solo il contesto postpandemico, ma qualsiasi riforma realmente votata a perseguire con efficacia l’obiettivo del risanamento aziendale. E con precipuo riferimento all’allerta si è da ultimo assai efficacemente osservato che “occorre verificare come si adatti l’istituto ad una crisi che, per quanto riguarda interi settori della nostra economia, non deve essere scoperta, ma è già in atto[6].

La soluzione offerta dal recente decreto qui in commento mostra, con il doppio rinvio del codice della crisi e con una serie di disposizioni più debtor friendly (e dunque per alcuni aspetti in aperta controtendenza rispetto alle scelte adottate dal codice della crisi), di andare esattamente in questa direzione e, pur essendo in certi punti sicuramente perfettibile, va salutata, per l’appunto a livello di “filosofia” ispiratrice[7], con schietto favore[8].

La disciplina di recentissimo conio, a ben vedere, conferma poi il fatto che non sembrano esservi, quanto meno oggi, ma realisticamente neanche nel prossimo futuro, le condizioni politiche – oltre a quelle attinenti agli aspetti economici – per far entrare in vigore sic et simpliciter l’attuale codice della crisi, se non con alcune anticipazioni fortemente (e opportunamente) selettive, come non a caso è avvenuto: il tutto all’insegna, per così dire, di una nuova oscillazione del pendolo, da più parti invocata, a favore della valorizzazione dell’autonomia privata e della gestione negoziata della crisi. 

 

2. Il differimento di larga parte del CCI e l’intervento sulla legge fallimentare 

L’art. 1 del decreto qui in esame sancisce il differimento dell’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza al 16 maggio 2022 e quella delle misure di allerta addirittura al 31 dicembre 2023.

Le ragioni di questa scelta, come si diceva senz’altro condivisibile, sono focalizzate nella Relazione illustrativa, ove si afferma con chiarezza che l’opzione contraria non sarebbe risultata efficace rispetto alle attuali esigenze del sistema economico italiano.

Ed invero, in linea con quanto sancito oltre un anno fa dal già citato Decreto Liquidità, si osserva che la “natura fortemente innovativa e la complessità dei meccanismi previsti dal Codice della crisi e dell’insolvenza [...] non consentirebbero quella necessaria gradualità nella gestione della crisi che è richiesta dalla situazione determinata dalla pandemia e rischierebbero di creare incertezze e dubbi applicativi in un momento in cui si invoca, da più parti, la massima stabilità nella individuazione delle regole.

Al tempo stesso, il legislatore denota la consapevolezza della necessità di “rimodernare” la legge fallimentare attraverso alcune anticipazioni di norme del codice della crisi orientate ad agevolare l’obiettivo del risanamento delle imprese in crisi.

La legge fallimentare contiene infatti – si osserva in proposito nella Relazione – “una disciplina risalente che, pur modificata dai numerosi interventi normativi susseguitisi nel tempo, è pensata e strutturata in relazione ad una situazione economica e industriale del tutto diversa dall’attuale. Essa inoltre, ruotando principalmente intorno agli istituti del concordato preventivo e del fallimento, non fornisce strumenti che incentivano l’emersione anticipata della crisi e, anzi, scoraggia l’imprenditore dal fare ricorso alle procedure in essa previste, aventi natura prevalentemente giudiziale. Senza considerare che il ricorso massiccio ad istituti concorsuali che impediscono il pagamento spontaneo dei creditori rischia di sottrarre risorse finanziarie al sistema delle imprese. Mantenere la disciplina della legge fallimentare infine espone lo Stato italiano alla procedura di infrazione di cui agli articoli 258 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in quanto si tratta di normativa non in linea con la direttiva (UE) 2019/1023, del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza). Le disposizioni della direttiva (UE) 2019/1023 devono essere recepite entro il termine del 17.7.2022 – prorogato su richiesta inoltrata alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, della medesima direttiva –, come previsto dalla legge 22 aprile 2021, n. 53, legge di delegazione europea 2019/2020”.

Il dilemma se attenersi allo status quo normativo, o stravolgerlo con l’immediata vigenza del codice della crisi, è stato quindi risolto, opportunamente, con l’emanazione di una disciplina che rinvia temporaneamente l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 14/2019, fornendo nel contempo agli imprenditori in difficoltà ulteriori strumenti, a cominciare dalla composizione negoziata assistita, per il risanamento di quelle attività che, pur ancora viables, rischiano concretamente l’espulsione dal mercato, con i conseguenti, devastanti, effetti sul piano economico e occupazionale. Ma è lungi dal potersi escludere che il rinvio sia ascrivibile anche alla persistenza, all’interno del codice, di disposizioni di cui da tempo si cerca di porre in luce l’incongruità rispetto agli obiettivi di salvataggio delle imprese non decotte e di tutela della continuità aziendale[9].

Quanto alla scelta della data – 16 maggio 2022 – essa tiene conto sia del termine entro il quale va recepita la Direttiva UE, sia del disposto dell’articolo 31, 1° comma, della legge 24 dicembre 2012, n. 234: si tratta quindi, come chiarito sempre nella Relazione, del “tempo necessario per la modifica di alcuni istituti ritenuti poco flessibili – che potrebbero portare a difficoltà applicative, soprattutto nell’attuale congiuntura economica – e per esercitare la delega conferita con la legge n. 53/2021 per il recepimento della disciplina comunitaria sui quadri di ristrutturazione”.

 

3. Il più lungo rinvio della disciplina sulle misure di allerta: de profundis o spazio per una riconfigurazione? 

Per quanto concerne il Titolo II del codice della crisi d’impresa, relativo alle procedure di allerta e la composizione assistita della crisi, il rinvio è stato congruamente fissato – come si diceva – al 31 dicembre 2023, nell’ottica di essere in grado di verificare “sul campo” l’efficacia della neoistituita composizione negoziata della crisi, che presenta caratteristiche sensibilmente diverse dalla disciplina codicistica dell’allerta.

È stata poi tenuta debitamente in considerazione la necessità di rivedere i meccanismi di allerta al fine di allineare l’entrata in vigore dell’allerta esterna ai tempi di rinvio disposti con la modifica dell’art. 15 dello stesso codice disposta con la legge n. 69/2021.

Ciò comporta che il destino delle misure di allerta come originariamente concepite e disciplinate sia oggi avvolto da oggettiva incertezza e possa essere, in futuro, suscettibile di un più generale ripensamento, anche e soprattutto – si ripete – alla luce dei risultati che, alla prova dei fatti, sortirà il nuovo rimedio della composizione negoziata. Il rinvio di oltre due anni della disciplina codicistica, per vero, suona già di per sé come inequivoco segnale in tal senso.

Detto in altri termini, sembra arduo immaginare che l’introduzione della composizione negoziata sia compatibile con il mantenimento dello status quo normativo in tema di misure di allerta.

Tuttavia, la definitiva archiviazione di queste ultime potrebbe risultare di dubbia opportunità, anche se parrebbe necessaria, in prospettiva, una loro profonda “riconfigurazione”, a partire dal presupposto stesso dell’istituto: non più, in ipotesi, strumento per far emergere tempestivamente lo stato di crisi (obiettivo, questo, affidato nel nuovo assetto a strumenti più soft), bensì per impedire l’aggravamento della condizione di conclamata insolvenza dell’impresa. 

Si tratterebbe – com’è chiaro – di una vera e propria “mutazione genetica” dell’allerta quale pensata e strutturata dal codice, che potrebbe peraltro consentire di non rinunciare tout court a un istituto che risponde pur sempre a esigenze reali, tenuto conto delle patologie che in misura non infrequente connotano, specie in certi contesti, l’attività d’impresa; senza con ciò dimenticare, tuttavia, che nel contesto attuale la priorità sul piano politico-economico non è rappresentata – come si diceva – dall’emersione precoce della crisi, ma dal salvataggio delle imprese ancora viables (pur tenendosi, in parte, le due cose insieme).

 

4. L’auspicio di un ulteriore ripensamento 

L’impostazione adottata dall’odierno decreto autorizza gli interpreti – almeno alcuni di essi – a (ri)formulare un auspicio sulle linee di tendenza del diritto concorsuale italiano.

Molti infatti, fra cui chi scrive, si augurano apertamente che il rinvio dell’entrata in vigore del codice costituisca l’occasione per un ripensamento di alcune previsioni del CCI troppo marcatamente creditor oriented e, in certi casi, inutilmente afflittive per il debitore, nell’ottica di offrire alle imprese, più che mai in affanno (anche nel prossimo futuro), un contesto normativo più favorevole al prioritario perseguimento del recupero di una condizione di equilibrio, oltre che di tenere maggiormente in conto le previsioni contenute nella Direttiva UE, notoriamente sopravvenuta rispetto al varo del nostro Codice (alla quale esso non è del tutto allineato).

D’altronde, la reazione che ha avuto il mondo produttivo di fronte al codice della crisi – aperto scetticismo di molte associazioni di imprenditori e di larga parte del ceto professionale, sostanziale indifferenza del settore bancario – dovrebbe anch’essa indurre un supplemento di riflessione, per quanto possibile scevro da apriorismi e “attaccamenti” rispetto al – pur per molti aspetti pregevole – lavoro svolto in tempi brevissimi dalla seconda Commissione Rordorf, peraltro astretta dai vincoli di una legge delega per vari aspetti discutibile.

E a ben vedere, la maggior parte delle “storture” del codice della crisi sono riconducibili proprio ai corrispondenti principi della legge delega, in tema non solo di misure di allerta ma anche (a tacer d’altro) di procedimento unitario e di concordato preventivo[10]: si pensi, esemplificativamente, al principio di delega sull’improvvido criterio della prevalenza, ma anche all’eccesso di delega in cui è incorso il legislatore delegato nel formulare l’art. 84 sul punto della continuità indiretta[11].

Un processo realmente virtuoso di ripensamento dell’approccio adottato in certe materie dal codice, dunque, dovrebbe necessariamente passare per un’articolata modifica della legge delega. Di qui l’auspicio di una celere presa d’atto del problema in sede politica.

 

5. Una proposta in tema di early warning 

 Focalizzando ora l’attenzione sul tema dell’emersione tempestiva della crisi e allargando lo sguardo alla legislazione eurounitaria, viene in rilievo il fatto che, ai sensi dell’art. 4, comma 8 della Direttiva n. 1023/2019, gli Stati membri possono “prevedere che il quadro di ristrutturazione preventiva previsto a norma della presente direttiva sia disponibile su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo del debitore”. Questa importante disposizione facoltizza quindi gli ordinamenti nazionali a configurare l’accesso agli strumenti di prevenzione della crisi da parte dei creditori, subordinandolo tuttavia al fatto che il debitore abbia prestato il proprio assenso. La norma prosegue stabilendo che tale assenso può essere prescritto limitatamente “ai casi in cui il debitore è una PMI”.

Al successivo articolo 5, 3° comma, la Direttiva dispone che gli Stati membri devono far luogo alla “nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione per assistere il debitore e i creditori”, quando, tra l’altro, ne facciano richiesta “la maggioranza dei creditori”. All’art. 9, comma 1, la Direttiva, dopo aver stabilito che gli Stati membri “provvedono affinché, a prescindere da chi richiede una procedura di ristrutturazione preventiva conformemente all'articolo 4, i debitori abbiano il diritto di presentare piani di ristrutturazione per adozione da parte delle parti interessate”, precisa che gli Stati membri “possono altresì disporre, precisandone le condizioni, che i creditori e i professionisti nel campo della ristrutturazione abbiano il diritto di presentare piani di ristrutturazione”.

La conferma della centralità del ruolo dei creditori (pur nel quadro di un sistema di pesi e contrappesi rispetto alla tutela di diritti e opportunità del debitore) emerge altresì dal disposto dell’art. 6, il quale statuisce che gli Stati membri possono “revocare una sospensione delle azioni esecutive individuali” quando, fra l’altro, la sospensione comporti l’insolvenza di un creditore: con ciò mirando opportunamente, attraverso la creazione di una sorta di gerarchia fra interessi protetti, a scongiurare il c.d. effetto domino dell’insolvenza. In ottica analoga, la lettera d) dell’articolo 26, 1° comma, sancisce il dovere degli Stati membri di provvedere che “al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi, i debitori e i creditori abbiano la facoltà di opporsi alla scelta o alla nomina del professionista, o di chiedere la sostituzione del professionista”, delineando, con il ricorso a tale potere interdittivo, un perimetro di intervento più ampio del nostro art. 37-bis, l. fall., seppur connotato dall’esclusiva finalità di scongiurare – come detto – situazioni di conflitto d’interessi.

Orbene, queste e altre previsioni della Direttiva, considerate nel loro insieme, sollevano l’interrogativo se il nostro codice della crisi possa considerarsi realmente aggiornato ai precetti del legislatore unionale e del tutto coerente rispetto ad essi.

In particolare, per quanto attiene al tema specifico che qui ci occupa, vi è da domandarsi se sia oggi possibile – e comunque opportuno – sottrarsi all’indicazione, di matrice appunto sovranazionale, per cui il “quadro di ristrutturazione preventiva” debba essere reso disponibile anche ai creditori e ai rappresentanti dei lavoratori. Il che sembra riferirsi, quanto all’ordinamento italiano, anzitutto e precisamente all’istituto del concordato preventivo, con riguardo al tema della legittimazione all’iniziativa in capo ai creditori.

A ben vedere, una siffatta previsione verrebbe incontro a quelle plurime, concorrenti, istanze che in altra sede si sono partitamente enucleate[12], mentre quella dei rappresentanti dei lavoratori costituirebbe una delle possibili modalità di attuazione del principio della collaborazione dei lavoratori “alla gestione delle aziende” sancito dall’articolo 46 della nostra Costituzione: tanto più in un momento storico in cui desta crescente attenzione il fenomeno del workers buyout.

Allo stato, soltanto l’ordinamento spagnolo, con l’art. 315 del Texto refundido de la Ley Concorsual, ha dato attuazione ai suddetti principi, con la sancita legittimazione a presentare il concordato da parte di una percentuale qualificata (il 20%) dei creditori, ma l’auspicio è che gli sviluppi normativi a livello unionale possano indurre anche il legislatore italiano, in una prospettiva non più condizionata dagli effetti della pandemia da Covid-19, a una riflessione circa l’opportunità di prevedere, pur con tutte le necessarie cautele e limitazioni, la legittimazione dei creditori a presentare domanda di concordato preventivo; e che il tenore della Direttiva ponga il tema del presupposto oggettivo (solo insolvenza o anche semplice crisi?) in presenza del quale ipotizzare tale legittimazione.

D’altronde, anche dalle recenti evoluzioni di alcuni ordinamenti stranieri – come quelli spagnolo, francese e tedesco – emerge la tendenza a superare, in qualche modo, il rigido monopolio dell’iniziativa risanatoria che la legge italiana riserva al debitore. E se a ciò si aggiunge, come in precedenza illustrato, l’opzione adottata dalla Direttiva UE, può oggi dirsi che una prima breccia è stata aperta e che un possibile percorso è stato tracciato anche, auspicabilmente, a beneficio del nostro legislatore.

Come ipotetica previsione nell’ambito dell’ordinamento italiano, un “punto di caduta” delle contrapposte istanze potrebbe, invero, essere rappresentato dal provocare, all’atto della presentazione della domanda da parte del terzo (anche al cospetto di uno stato di semplice crisi), il contraddittorio con il debitore, consentendo a quest’ultimo di opporsi a detta domanda, eventualmente per far luogo egli stesso, ravvisandone i presupposti, all’iniziativa concordataria: il che consentirebbe di ritenere integrato il requisito della Direttiva del “previo accordo del debitore”.

Al riguardo, un segnale di interesse sembra cogliersi, anche alla luce di recenti interlocuzioni in argomento, presso ambienti del mondo bancario e persino di Confindustria, la quale, a fronte di un ripensamento delle misure di allerta, potrebbe non essere pregiudizialmente ostile a un’opzione del genere.

E proprio un’innovazione siffatta, unitamente all’auspicato successo della composizione negoziata della crisi di cui al decreto qui in commento, potrebbe forse indurre il legislatore a riconsiderare la necessità delle misure di allerta come oggi disciplinate, quando non la loro stessa ratio essendi.



[1]Decreto legge n. 23/2020, convertito nella legge n. 40/2020: in argomento cfr., anche per riferimenti, Ambrosini-Giannelli, L’impatto del “decreto liquidità” sulla continuità aziendale delle imprese e sulle procedure concorsuali pendenti, in Dir. fall., 2020, I, pp. 519 ss., cui adde, per un “taglio” ad un tempo giuridico e aziendalistico, AA.VV., Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, a cura di Ambrosini e Pacchi, Bologna, 2020.

[2] Nello stesso senso Panzani-Corno, I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, in www.ilcaso.it, 25 marzo 2020, p. 3; Abriani-Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in www.osservatorio-oci.org, 25 marzo 2020, p. 13; Fabiani, Il Codice della crisi al tempo dell’emergenza Coronavirus, in Quotidiano giuridico, 27 marzo 2020, p. 2; Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in www.ilcaso.it, 21 aprile 2020, p. 2; Panzani-Arato, Il codice della Crisi: un rinvio o un addio?, in www.ilcaso.it, 5 ottobre 2020, pp. 9-10; contra Rordorf, Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia, in www.giustiziainsieme.it, 8 aprile 2020, pp. 2-3; Ferro, Riapertura dei concordati e degli accordi di ristrutturazione: le proroghe eccezionali del DL 23/2020, in Quotidiano giuridico, 14 aprile 2020, p. 1.

[3] Cfr. Panzani-Corno, I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, cit., p. 4. Contra, forse un po’ottimisticamente, Rordorf, Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia, cit., p. 3: “La difficoltà di applicare una nuova normativa non mi pare un ostacolo davvero rilevante, ove si consideri l’ampia vacatio legis che ha già consentito agli studiosi ed agli operatori di riflettere a lungo sulle disposizioni del codice e di assimilarne i principi ispiratori”.

[4] Pur muovendo da un angolo visuale parzialmente diverso, e giungendo a conclusioni opposte, Rordorf, op. loc. ult. cit., osserva: “Non posso nascondere l’impressione che queste istanze di rinvio sottintendano un certo scetticismo, se non proprio una netta ostilità, nei confronti del nuovo codice”.

[5] Ambrosini, Introduzione, in Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, pp. 9 ss.

[6] Maffei Alberti, Prefazione ad Ambrosini (a cura di), Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, Torino, 2021, p. XV (corsivi aggiunti).

[7] Sul punto la Relazione illustrativa allo schema di decreto legge chiarisce quanto segue: “Il Capo I del presente schema interviene nella attuale situazione di generalizzata crisi economica causata dalla pandemia da SARS-CoV-2 per fornire alle imprese in difficoltà nuovi strumenti per prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi o per affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico- patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili [...] Molte delle imprese che non saranno in grado di garantire la propria continuità aziendale una volta venute meno tali misure non hanno, ad oggi, idonei mezzi o strumenti per analizzare e comprendere la situazione in cui si trovano né per evitare che la crisi degeneri in dissesto irreversibile. Tale constatazione è particolarmente evidente per le micro, piccole e medie imprese, che rappresentano il substrato del sistema produttivo nazionale e che possono essere efficacemente sostenute se le si accompagna in un processo di presa di coscienza della situazione aziendale esistente e delle soluzioni prati- cabili per prevenire la crisi o per raggiungere il risanamento aziendale in caso di crisi, o di insolvenza, già esistente”.

[8] In argomento cfr., tra gli altri, Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021; Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 7 settembre 2021; Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021; Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2021, a cui può aggiungersi Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 agosto 2021; Id., La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, pp. 901 ss.

[9] Cfr. Ambrosini, Osservazioni e proposte sullo schema di decreto delegato: allerta, procedimento unitario e concordato preventivo, in www.osservatorio-oci.org, settembre 2018; Id., La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, cit., pp. 4 ss.

[10]Jorio, Orizzonti prevedibili e orizzonti improbabili del diritto concorsuale, in AA. VV., Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretto da Ambrosini, Bologna, 2017, pp. 19 ss.; Ambrosini, Osservazioni e proposte sullo schema di decreto delegato: allerta, procedimento unitario e concordato preventivo, cit.

[11] Arato, Il concordato con continuità nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, pp. 860 ss.; D’Angelo, Il concordato preventivo con continuità aziendale nel nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, in Dir. fall., 2020, 1, pp. 27 ss.; Ambrosini, Concordato preventivo fra vecchio e nuovo: continuità normativa, interessi protetti e soddisfacimento dei creditori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5 agosto 2021, p. 11.

[12] Ambrosini, L’emersione tempestiva della crisi e il concordato preventivo del terzo: dall’idea del “progetto Rordorf” alle previsioni del legislatore europeo, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 27 giugno 2021.