, 20 agosto 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa: sulla falcidiabilità dei crediti erariali e contributivi; 2. L’accordo transattivo con l’agenzia delle entrate nella composizione negoziata; 3. Il procedimento per la conclusione dell’accordo, il ruolo dell’esperto e le esenzioni; 4. Le alternative possibili in attesa di modifiche normative.
1. Premessa: sulla falcidiabilità dei crediti erariali e contributivi
Va sempre ricordato come le imposte e le tasse siano le risorse essenziali per il buon funzionamento dello Stato e come tutti siamo chiamati individualmente a contribuire alle spese pubbliche in misura proporzionale alle proprie capacità.
E’ da questo principio che discendono conseguenze normative anche rilevanti, come il reato di mancato pagamento fraudolento delle imposte, il principio dell’applicazione delle sanzioni (elevate) al ritardato o mancato assolvimento dell’obbligazione tributaria e l’intangibilità dell’imposta se non per disposizione di legge. Da quel principio discende anche l’erroneità di ogni intervento di natura condonistica sulla sorte capitale delle imposte, in quanto incentivante l’inadempimento del contribuente che è indotto ad attendere l’introduzione di tale strumento per poter beneficiare di uno sconto o di una dilazione delle imposte.
Questi comportamenti introducono nel sistema una concorrenza sleale tra contribuenti, laddove viene penalizzato il soggetto puntuale nei pagamenti a vantaggio degli inadempienti, contribuendo a diffondere nella società civile una sfiducia nel sistema tributario che induce al paradosso di giustificare comportamenti evasivi o quantomeno elusivi.
Tanto occorre fare ancora per introdurre nella società una cultura che consideri normale il puntuale ed integrale pagamento delle imposte: oltre ad una educazione civica da introdurre già nelle prime classi della formazione scolastica, occorre certamente pensare ad aliquote più aderenti al principio di proporzionalità, ma anche a sanzioni più disincentivanti per gli inadempienti oltre a riadeguare il sistema dei privilegi prevedendo una migliore posizione delle imposte e delle tasse nel ranking civilistico dei diritti di prelazione: la strada è ancora lunga.
A conferma dei principi su esposti la possibilità concessa dal legislatore di giungere ad un pagamento parziale delle obbligazioni tributarie è oggi permessa unicamente nell’ambito della crisi di impresa e delle sue regole: solo, infatti, in presenza di una accertata situazione di crisi[1] o di insolvenza e nella prospettiva anch’essa accertata ex lege di una convenienza della proposta transattiva rispetto all’alternativa liquidatoria, può darsi un adempimento limitato e dilazionato nel tempo.
L’adempimento limitato è poi sempre sorvegliato nella sua regolarità dalla giurisdizione: non può darsi infatti un assolvimento parziale o dilazionato delle imposte se non in presenza del giudice.
Questi principi appena enunciati sono rimasti stabili fin dall’introduzione della transazione fiscale e previdenziale nel 2006, quando fu abrogato l’art. 3, comma 3, del DL 138/2002 ed introdotto ex novo l’art. 182-ter della legge fallimentare, come procedimento per il trattamento dei debiti tributari e contributivi, possibile solo all’interno degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo, procedure sottoposte entrambe al vaglio della giurisdizione.
Con l’introduzione del codice della crisi nel 2019 si è assistito alla corsa all’ampliamento delle ipotesi di applicabilità della transazione fiscale e contributiva anche ad altri istituti medio tempore introdotti dal legislatore, non tutti andati a buon fine (si veda il tentativo abortito di applicare l’istituto transattivo anche al piano attestato o, da ultimo, al concordato semplificato e alla composizione negoziata), nell’intento di far decollare strumenti che senza il trattamento dei debiti tributari e contributivi, avrebbero avuto meno appeal (sic!).
E questo breve intervento vuole commentare proprio l’ultimo tentativo del legislatore che, nella fretta di ampliare l’attrattività dello strumento appena introdotto, ha costruito una norma, nell’ambito del procedimento di composizione negoziata, che non appare perfettamente in linea con i principi su esposti e che di conseguenza non dovrebbe permettere la transigibilità dei debiti erariali.
2. L’accordo transattivo con l’agenzia delle entrate nella composizione negoziata
L’art 23 del codice della crisi, come sappiamo, tratta della conclusione del procedimento di composizione negoziata (rectius, della conclusione delle trattative) che può definirsi con un contratto, con una convenzione di moratoria, con un accordo, con un piano attestato di risanamento, con un accordo di ristrutturazione dei debiti, con un concordato semplificato o con uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal codice, e quindi anche con un concordato preventivo o con un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione.
Sempre l’art 23 al comma 2-bis prevede che:
«Nel corso delle trattative l'imprenditore può formulare una proposta di accordo transattivo[2] alle agenzie fiscali, all'Agenzia delle entrate-Riscossione che prevede il pagamento, parziale o dilazionato, del debito e dei relativi accessori. La proposta non può essere formulata in relazione ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea. Alla proposta sono allegate la relazione di un professionista indipendente che ne attesta la convenienza rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale per il creditore pubblico cui la proposta è rivolta e una relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali redatta dal soggetto incaricato della revisione legale, se esistente, o da un revisore legale iscritto nell'apposito registro a tal fine designato. L'accordo è sottoscritto dalle parti e comunicato all'esperto e produce effetti con il suo deposito presso il tribunale competente ai sensi dell'articolo 27. Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, l'accordo è sottoscritto dal Direttore dell'ufficio su parere conforme della competente Direzione regionale. Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli l'accordo è sottoscritto dal Direttore delle Direzioni territoriali, dal Direttore della Direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi dagli uffici delle Direzioni centrali, dal Direttore delle medesime Direzioni centrali. Il giudice, verificata la regolarità della documentazione allegata e dell'accordo, ne autorizza l'esecuzione con decreto o, in alternativa, dichiara che l'accordo è privo di effetti. L'accordo si risolve di diritto in caso di apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata o di accertamento dello stato di insolvenza oppure se l'imprenditore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti».
La questione che tenteremo di affrontare, senza peraltro avere l’ardire di risolverla, è quella che emerge dal confronto tra l’accordo disciplinato dal nuovo comma 2-bis dell’art.23 del codice della crisi, recentemente inserito dal c.d. correttivo-ter, rispetto all’accordo di cui al primo comma, lettera c) del medesimo articolo, provando ad indagare se le due figure siano sovrapponibili e se gli effetti dei due accordi siano o meno identici, soprattutto con riferimento alle esenzioni dalle azioni revocatorie e dalle conseguenze sul piano penale.
L’accordo di cui al primo comma dell’art. 23, infatti, rubricato “Conclusione delle trattative”, disciplina compiutamente gli effetti dell’accordo ivi previsto:
“1. (1) Quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all'articolo 12, comma 1, le parti possono, alternativamente:
a) concludere un contratto, con uno o più creditori oppure con una o più parti interessate all'operazione di risanamento, che produce gli effetti di cui all'articolo 25 bis, comma 1, se, secondo la relazione dell'esperto di cui all'articolo 17, comma 8, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
b) concludere la convenzione di moratoria di cui all'articolo 62;
c) concludere un accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori aderenti e dalle altre parti interessate all'operazione di risanamento che vi hanno aderito nonché dall'esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166, comma 3, lettera d), e 324. Con la sottoscrizione dell'accordo l'esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell'insolvenza(2).
Il confronto ictu oculi con l’innesto di cui all’art 23 bis e riferito all’accordo transattivo con l’agenzia delle entrate evidenzia immediatamente alcune differenze sostanziali.
L’accordo con l’erario non viene sottoscritto dall’esperto ma unicamente a lui comunicato, il che implica (i) che nelle trattative tra debitore e agenzia delle entrate l’esperto potrebbe addirittura non essere presente e (ii) che non essendo previsto un termine per detta comunicazione, il momento di effettiva trasmissione all’esperto dell’atto transattivo potrebbe compromettere il buon esito della composizione qualora la comunicazione avvenisse in tempi non compatibili con le trattative in corso e qualora le condizioni dell’atto dovessero modificare il piano.
Ma la mancanza della sottoscrizione dell’atto, certamente non frutto di una mera dimenticanza, pone una differenza incolmabile tra le due fattispecie di accordi oggetto di questa indagine, dovendo concludere per una neutralità dell’esperto rispetto alle condizioni dell’accordo tra Agenzia delle entrate e debitore, facendo venire meno una verifica essenziale che, come vedremo infra, porterà ad una valutazione del giudice che non potrà fermarsi alla mera verifica di regolarità formale.
L’accordo è sottoscritto unicamente dalle parti, debitore e creditore erariale, senza una verifica preliminare relativa alle conseguenze che tale atto possa avere sulla complessiva operazione di risanamento: la relazione del professionista indipendente, infatti, attesta unicamente la convenienza rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale per il creditore pubblico e non anche la fattibilità potendo letteralmente non essere prevista una valutazione sulla compatibilità di questo accordo con le altre assunzioni.
D’altro canto anche la relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali redatta dal soggetto incaricato della revisione legale, se esistente, o da un revisore legale iscritto nell'apposito registro a tal fine designato, non include questa verifica di fattibilità che appare invece rilevante, proprio al fine di determinare la compatibilità dell’accordo con il fisco rispetto a tutto il progetto di piano presentato.
Sotto questo profilo appare ora di immediata percezione la difficoltà che potrà incontrare non solo il funzionario pubblico ma financo l’esperto il quale, una volta che gli sia stata comunicata la conclusione dell’accordo, dovrà pur valutare nella sua relazione la compatibilità complessiva della transazione con il progetto di ristrutturazione complessivo (valutazione che potrà spesso risultare tardiva in quanto inserita nella relazione finale).
Ed infine, anche la valutazione del giudice non sarà agevole in mancanza di elementi documentali (sottoscrizione dell’esperto e attestazioni anche sulla fattibilità) che possano permettergli anche quella semplice espressione di mero nulla osta all’accordo.
Ma proviamo ad entrare nel dettaglio della procedura.
3. Il procedimento per la conclusione dell’accordo, il ruolo dell’esperto e le esenzioni
Sotto il profilo procedimentale, il trattamento dei crediti erariali, intanto si potrà realizzare in quanto vi sia:
-un professionista indipendente che redige una relazione nella quale attesta la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale per il creditore pubblico e un soggetto incaricato della revisione legale, se esistente, o un revisore legale iscritto nell’apposito registro, a tal fine designato, che rediga una diversa e distinta relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali (negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel concordato preventivo questa figura è unificata nel professionista indipendente/attestatore);
-l’accordo sottoscritto con l’agenzia delle entrate e depositato presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 27 cci;
-la comunicazione di tale accordo all’esperto;
-un giudice che valuta la regolarità dell’accordo e lo autorizza, oppure ne dichiara l’inefficacia, con decreto.
La norma non parla anche di attestazione sulla fattibilità del Progetto di Piano ma siamo a conoscenza di Uffici che richiedono anche questa ulteriore verifica, direi a ragione, in quanto se la proposta dovesse, per esempio, prevedere anche una dilazione oltre allo stralcio dei tributi, allora diviene essenziale comprendere le capacità di assolvimento nel tempo delle obbligazioni scaturenti dall’accordo, essendo necessario comprendere le assunzioni alla base e la capacità dei futuri flussi di cassa in grado di onorare le rate.
La presenza di due soggetti certificatori/attestatori era stata fatta oggetto di critiche durante la formazione della norma, che fu scritta in tal modo, pare, unicamente al fine di contenere le spese professionali del soggetto proponente, in quanto la eventuale presenza di un revisore avrebbe potuto evitare al professionista nominato di provvedere anche alla parte relativa all’attestazione sui dati aziendali, competenza già inclusa nelle incombenze del revisore. Mi pare comunque che la soluzione non abbia risolto il problema, soprattutto rilevato, come detto, la richiesta dell’agenzia delle entrate di effettuare anche l’analisi sulla fattibilità’, che certamente farà lievitare i costi professionali. La norma non esclude comunque che si possa attribuire al medesimo professionista entrambi gli incarichi, ma solo qualora il soggetto designato non sia stato già revisore del debitore che accede alla composizione negoziata, onde evitare di minarne l’indipendenza.
L’esperto, pur non obbligato alla sottoscrizione, dovrebbe comunque avere anche l’ulteriore onere di verificare l’accordo proposto agli Uffici (qualora comunicato tempestivamente) e di segnalare all’organo di controllo e all’imprenditore se l’accordo non sia risolutivo della crisi evidenziando questa criticità nella relazione finale ex art. 21.
In mancanza di una attestazione sulla fattibilità potrebbe l’esperto supplire a questa incombenza? Credo di no, considerata la differente funzione di questo professionista e la mancata specifica attribuzione della legge di questo ulteriore e specifico obbligo.
Il giudice, sotto il profilo dell’analisi letterale della norma, dovrebbe accertare unicamente la regolarità formale e non anche la compatibilità dell’atto con il progetto di piano presentato.
E’ da ritenere che, quando il giudice è chiamato dalla legge a verificare anche «la regolarità dell’accordo» oltre che della documentazione allegata, esso non possa limitarsi ad un ruolo meramente notarile ma potrà e dovrà entrare nel merito, verificando appunto, anche sulla scorta della Relazione del professionista, se l’accordo produce il riequilibrio e contribuisce al risanamento.
Sempre in tema di comparazione tra i due “accordi”, emerge molto chiaramente il differente ruolo dell’esperto nei due diversi procedimenti.
Nell’accordo di cui al primo comma dell’art. 23 l’esperto non solo sottoscrive l’accordo ma deve anche motivare esplicitamente tale adesione dando atto che “il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Siamo di fronte ad una soluzione stragiudiziale che le parti liberamente hanno voluto concludere e sulla quale l’esperto offre il proprio consenso informato e adeguatamente motivato, dando atto che l’accordo raggiunto rappresenta senza dubbio un’assunzione decisiva per la soluzione della crisi o dell’insolvenza.
Ebbene, solo in presenza di queste condizioni l’accordo così sottoscritto potrà produrre gli effetti protettivi previsti dalla norma.
Di tutto ciò non v’è traccia nel nuovo articolo 23 bis e nell’accordo con l’agenzia delle entrate: non v’è la sottoscrizione dell’esperto, che non è obbligato a partecipare alle trattative e al quale l’accordo viene semplicemente comunicato senza una particolare tempistica, e non v’è di conseguenza nemmeno un obbligo esplicito dell’espressione di un giudizio di valore sull’accordo conseguito con l’agenzia delle entrate (laddove, come visto, l’intervento del giudice sembrerebbe limitato ad una valutazione di mera regolarità formale).
Tutto quanto fin qui indicato, insieme all’assenza totale di un richiamo alle esimenti previste al primo comma dell’art. 23, non potendo anche qui appellarsi ad una mera dimenticanza del legislatore, non può che far convergere l’interprete sull’idea di esser di fronte ad una fattispecie del tutto diversa rispetto all’accordo di cui al primo comma dell’art.23: l’accordo con l’agenzia delle entrate, di cui all’art. 23 bis cci, non potrebbe avere i medesimi effetti esonerativi da un’eventuale azione revocatoria o da rilievi di natura penale, entrambi nascenti dalla eventuale e successiva sentenza di liquidazione giudiziale.
D’altro canto l’art. 324 cci esplicita i casi nei quali gli atti compiuti all’interno di alcune procedure debbano risultare esenti dai reati di bancarotta, e tra essi non è indicata la procedura di composizione negoziata.
E sulla esenzione della revocabilità degli atti compiuti, tra i quali sarebbe dovuto rientrare a pieno titolo anche l’accordo con l’agenzia delle entrate, valga il disposto dell’art. 24 del codice il quale al secondo comma evidenzia bene come non siano soggetti all’azione revocatoria gli atti….(omissis) “purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”.
Tale coerenza dovrà quindi essere senz’altro resa esplicita, e la legge dovrebbe essere chiara nell’individuare il soggetto e la modalità con la quale effettuare tale rilevante dichiarazione, deficit che allo stato della normativa in vigore appare purtroppo non ancora colmato.
In tale senso laddove la legge ha voluto espressamente attribuire i vantaggi esonerativi li ha sempre esplicitati: si veda a tal proposito le norme in tema di mantenimento delle linee di credito preesistenti o l’erogazione di nuova finanza (in tema di composizione negoziata gli artt. 16, quinto comma e 18 quinto comma CCI, e in tema di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo gli artt. 99 100 e 101, CCI).
Va sottolineato come nella composizione negoziata non possa essere introdotto il cram down, cioè la sostituzione del tribunale nel caso di mancato accordo o di inerzia dell’Agenzia che non risponde o risponde negativamente alla proposta di accordo in quanto, viene detto, la composizione negoziata è un procedimento di natura pattizia ove il Giudice interverrebbe unicamente per controllare la regolarità formale.
A tal proposito nella fase preliminare al terzo correttivo si era avanzata la proposta di introdurre il cram down anche in questa fase, laddove il giudice, con esplicita attribuzione del potere di deliberare anche il merito della proposta, debitamente assistito dalle attestazioni, ben avrebbe potuto intervenire in caso di mancata adesione o di diniego alla proposta da parte degli Uffici in presenza di vantaggi evidenti nella soddisfazione delle ragioni di credito rispetto alla liquidazione giudiziale, nella stessa modalità con la quale interviene decidendo in ordine alla misure protettive e cautelari, o negli accordi di ristrutturazione: l’introduzione di una altra fase a cognizione piena ben avrebbe potuto supplire alla eventuale inerzia degli uffici o ad immotivati dinieghi.
Ma ciò non è stato, lasciando la decisione e la responsabilità circa l’adesione alla proposta di accordo unicamente agli Uffici, senza il supporto dell’esperto e senza l’essenziale attestazione sulla fattibilità del piano e, a parere di chi scrive, senza nemmeno la piena esclusione del rischio di una revocabilità dell’atto e dalla commissione di reati di bancarotta[3], il che per un ente della pubblica amministrazione così rilevante come l’agenzia delle entrate, mi pare francamente un po' troppo.
4. Le alternative possibili in attesa di modifiche normative
Un’ultima questione riguarda la possibilità per il debitore di proporre una transazione fiscale nell’ambito di un accordo di ristrutturazione già nella fase iniziale della composizione negoziata.
La versione dell’art. 23 cci prima del terzo correttivo prevedeva che l’imprenditore il quale, all’esito delle trattative, non aveva individuato una soluzione alla crisi tra quelle previste dal comma 1 (contratto, moratoria, accordo) poteva, in alternativa, presentare un piano attestato, domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, proporre un concordato semplificato oppure accedere ad uno degli strumenti risolutivi della crisi e dell’insolvenza. La lettera della legge era inequivocabile: l’imprenditore poteva accedere agli istituti di cui al comma 2 SOLO ove non avesse trovato le soluzioni di cui al comma 1.
Sulla scorta di questa versione gli Uffici avevano per lo più impedito l’accesso diretto all’accordo di ristrutturazione dei debiti (unicamente per la ristrutturazione della Sampdoria fu permesso, ma con estremo clamore e con la conseguenza della stretta delle Clausole Anti Abuso, appunto), senza un previo serio tentativo di chiudere le trattative con un accordo/contratto/moratoria, ritenendo l’accesso diretto un aggiramento della norma, volto unicamente ad ottenere il cram down, che nella composizione è precluso.
Con il correttivo ter il legislatore ha modificato il comma due dell’art. 23 che ora indica come l’imprenditore possa accedere agli altri strumenti senza condizioni: «Oltre ai contratti o agli accordi di cui al comma 1, l’imprenditore PUO’ anche alternativamente…»
D’altro canto, la tesi contraria di molti Uffici non permetteva comunque l’accesso all’accordo di ristrutturazione ex comma 2 dell’art. 23 in quanto sarebbero mancati i tempi tecnici per ricevere l’assenso, il silenzio o il diniego da parte degli Uffici, in quanto l’istanza di transazione fiscale poteva essere presentata solo dopo la chiusura della composizione negoziata con un allungamento dei tempi del tutto incompatibile con la tempestività del risanamento.
Questa interpretazione è oggi confortata anche dall’ulteriore innesto di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 23che prevede come la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere presentata sino a sessanta giorni dopo il deposito della Relazione finale dell’esperto (art. 17 comma 8), non potendo certamente prefigurarsi una domanda di omologazione in presenza di debiti tributari che possa essere presentata unicamente all’esito del deposito della Relazione negativa, potendo l’agenzia delle entrate disporre dei novanta giorni previsti dall’art. 63 del CCI.
Da ciò discende come l’istanza di transazione fiscale che comporti l’accesso all’accordo di ristrutturazione, ed anche al cram down ove necessario, possa essere presentata nel corso delle trattative e financo ab initio del procedimento, al momento della richiesta di nomina dell’esperto, onde permettere il rispetto della tempistica prevista.
Da ultimo, a tacitare ulteriori diverse interpretazioni, anche l’innesto di cui al comma 2-ter conferma questo orientamento laddove prevede che le soluzioni di cui ai commi 1 e 2 (incluso quindi l’accordo di ristrutturazione dei debiti) «possono intervenire DURANTE le trattative o a conclusione della composizione negoziata e la sottoscrizione dell’esperto, quando prevista, potrà essere apposta successivamente».
Quanto sopra pone delle dirette conseguenze operative nel caso in cui l’Agenzia delle entrate non voglia aderire ad una proposta di accordo che risulti comunque vantaggiosa per l’erario nel rispetto delle condizioni legali: il debitore può scegliere in alternativa lo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti che comporta due immediati vantaggi: il cram down e la possibilità di inserire nella proposta transattiva anche i debiti previdenziali che nell’attuale formulazione dell’art. 23 bis non possono essere trattati.
Le pronunzie dei tribunali di merito (che allo stato non paiono sussistere) sulla questione posta in questo breve intervento potranno senz’altro porre rimedio allo iatus normativo o quantomeno dettare linee guida idonee ad offrire agli operatori indicazioni essenziali per poter procedere linearmente sull’intento previsto dal legislatore.
In mancanza si dovrà porre urgentemente mano ad una correzione della legge onde impedire lo stallo che già si prefigura nella pratica attuazione dell’istituto e nell’atteggiamento degli Uffici.
A parte gli interventi normativi presenti e futuri, sotto il profilo sostanziale c’è da augurarsi un veloce cambio di marcia degli Uffici preposti, i quali hanno fino ad ora compiuto passi da gigante nel valutare piani e proposte nell’ambito degli accordi e nei concordati, ma che, in tema di composizione negoziata, considerata la veloce tempistica ed i ritmi serrati imposti dalla legge, dovranno compiere un ulteriore balzo in avanti: l’impresa in composizione negoziata che vede la proposta di accordo rifiutata in presenza di un parere favorevole dell’esperto, potrà agevolmente tentare la strada dell’accordo di ristrutturazione dei debiti con cram down, magari con una soddisfazione inferiore a quella prevista dalla composizione o, caso ancora deteriore, giungere direttamente ad un concordato semplificato ove la soddisfazione del creditore erariale sarà limitata dalla porzione di patrimonio disponibile del debitore, con un danno certo alle casse erariali pari al mancato introito delle maggiori risorse che erano prevedute nella proposta di accordo ex art. 23 bis.
Bibliografia essenziale:
S. Ambrosini, Il trattamento dei crediti fiscali e previdenziali, in S. Pacchi, S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2025, 265 ss.
S. Ambrosini e S. Pacchi, Crisi d’impresa, fisco e finanziamenti pubblici, Pisa, 2025, 229 ss.
G. Andreani, La variabile fiscale nella crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 7 marzo 2025.
Id., L’introduzione della “transazione fiscale” nella composizione negoziata della crisi in Diritto della crisi, 30 settembre 2024.
R. Coviello, Transazione fiscale e applicabilità del cram down: dalla legge fallimentare agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal nuovo Codice, in Dir. fall., 2024, I, 1155 ss.
L. D’Orazio, Le novità del D.Lgs. n. 136/2024 in materia tributaria, in Proc. conc. crisi impr., 2025, 113 ss.
F. Grieco, Il Cram Down e la transazione fiscale negli strumenti di regolazione della crisi alla luce del correttivo: sarà vera gloria?, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 1 ottobre 2024.
A. M. Manco, Le possibili interazioni fra ristrutturazione trasversale dei debiti e transazione tributaria nel concordato in continuità, alla luce del decreto correttivo al Codice della crisi (D.Lgs. n. 136 del 13/09/2024), in dirittodellacrisi.it., 2 dicembre 2024.
M. Monteleone, La storia del cram-down fiscale, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 1° ottobre 2024.
[1] È chiaro come l’introduzione del concetto di crisi ad opera del codice, accanto a quello di insolvenza, concetto ormai univoco e stabilizzato da lustri di giurisprudenza e dottrina, ha reso l’individuazione dello stato oggettivo del debitore più labile ed incerto. Ciò comporta conseguenze di non poco conto nella legittimazione all’utilizzo di strumenti solutivi i quali possono permettere financo uno stralcio rilevante di crediti anche a soggetti che in crisi non sono. La verifica puntuale di tale status comporta il possedere adeguate competenze di natura aziendale\finanziaria idonee alla lettura di bilanci, situazioni economico-patrimoniali e finanziarie, non sempre adeguatamente presenti nei soggetti coinvolti nelle ristrutturazioni.
[2]Con riferimento alla riproposizione del termine transazione da parte del legislatore in tema di composizione negoziata, laddove è stato espunto con riferimento all’art. 88 inerente il concordato preventivo, l’art. 1965 del c.c. definisce la transazione come il contratto con il quale le parti, facendoci reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può insorgere tra loro: mentre tale definizione ben può attagliarsi all’accordo con l’Erario inserito in una composizione negoziata o in un accordo di ristrutturazione dei debiti, difficilmente possiamo riconoscerne i tratti quando l’accordo con gli enti è inserito in un concordato preventivo. In questo istituto, infatti, vige la regola del voto a maggioranza per cui non si può mai parlare di un accordo civilisticamente inteso. Anche l’introduzione del cd cram down negli accordi di ristrutturazione (pur con molte limitazioni come vedremo) e nel concordato preventivo allontana di molto la possibilità di utilizzare la figura della transazione nelle fattispecie inerenti gli accordi con l’erario e l’INPS. Il cram down, infatti, è un istituto di derivazione anglosassone che implica la sostituzione del creditore erariale e contributivo qualora esso non voglia concludere l’accordo in presenza di una manifesta vantaggiosità dell’offerta di pagamento rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale o sia del tutto inerte rispetto alla proposta stessa (ADR) oppure voti contrario alla proposta di concordato preventivo o, anche in questo caso, non si pronunzi e rimanga assente.
[3] Nel procedimento di composizione negoziata mancherebbe anche l’obbligo di depositare la dichiarazione ai sensi dell’art. 47 DPR 28 dicembre 2000, n. 445 circa la rappresentazione fedele ed integrale della situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio, obbligo invece imposto negli accordi di ristrutturazione, con la conseguenza di non poter applicare l’art. 341 CCI che prevede sanzioni penali all’imprenditore che si sia attribuito attivo inesistente al solo scopo di ottenere l’accesso ad una procedura di risanamento.