Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Articolo

I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
Articolo

Il concordato semplificato: primi appunti


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
23 settembre 2021

Scarica PDF

Articoli

TORNA INDIETRO

Sommario: 1. Premessa: la “rivincita” della liquidazione concordataria. – 2. Il concordato semplificato: elementi costitutivi e controllo del tribunale. – 3. La liquidazione del patrimonio. 4. La disciplina applicabile. – 5. Il concordato semplificato è un sottotipo di concordato preventivo o un tipo concorsuale autonomo? – 6. Cenno ai risvolti sul piano penale


1. Premessa: la “rivincita” della liquidazione concordataria

 Com’è ben noto, una delle “cifre” della disciplina del codice della crisi in tema di concordato preventivo è costituita da un forte ridimensionamento del concordato liquidatorio.

Per effetto del disposto dell’art. 84, u.c., CCI, infatti, il residuo spazio lasciato all’istituto è circoscritto al caso in cui l’apporto di risorse esterne incrementi di almeno il dieci per cento, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell’ammontare complessivo del credito chirografario[1].

Questa disposizione, tuttavia, al pari di quasi tutta la normativa codicistica in materia, non rientra fra le previsioni di cui al decreto n. 118/2021 che sono state fatte entrare immediatamente in vigore.

Ne deriva che, rispetto all’ipotesi di rapido declino del concordato liquidatorio quale si prospettava all’indomani del d.lgs. n. 114 del 2019, esso resta oggi regolato dall’art. 160, u.c. (recante la soglia minima del 20% di soddisfacimento dei chirografari), e dall’art. 182, l. fall., continuando quindi a rappresentare un’alternativa al concordato in continuità non troppo ardua da perseguire.

Dall’odierna opzione normativa si desume quindi il convincimento, da parte del legislatore, che non vi siano motivi di urgenza per accelerare il ridimensionamento del concordato preventivo liquidatorio; orientamento, questo, non a caso criticato già in passato, come linea di tendenza, da una parte della dottrina[2].

D’altronde, la sensazione che la tipologia liquidatoria sia stata un po’ troppo frettolosamente “archiviata” dal codice della crisi[3] trova conferma nella decisione, di segno opposto, adottata dal decreto qui in commento, il quale mira anzi a valorizzarla attraverso il disposto degli artt. 18 e 19, che ci si appresta ad analizzare nel presente contributo; sebbene, come si dirà, la nozione, da tali norme introdotta, di “liquidazione del patrimonio” sia ben più ampia di quella adottata dalla legge fallimentare, dove la cessione di azienda è notoriamente declinata come ipotesi di continuità aziendale (c.d. oggettiva) dall’art. 186-bis.

 

2. Il concordato semplificato: elementi costitutivi e controllo del tribunale

L’art. 18 del decreto qui in commento introduce un altro istituto di nuovo conio, oltre alla composizione negoziata della crisi: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio[4].

Esso risulta attivabile quando l’esperto, nella sua relazione finale, dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all’art. 11, 1° e 2° comma, non sono praticabili. In tal caso l’imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all’art. 5, 8° comma, una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell’art. 161, 2° comma, lett. a), b), c), d), l. fall.

La domanda, da depositarsi nella cancelleria del tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, ha ad oggetto l’omologazione del concordato.

Il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al 1° comma e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, non fa luogo alla nomina di un commissario, bensì di un ausiliario ex art. 68 c.p.c. Non è quindi prevista la redazione di un documento assimilabile alla relazione ex art. 172 l. fall. Con lo stesso provvedimento il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco depositato ai sensi dell’art. 5, 3° comma, lett. c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione e fissa la data dell’udienza per l’omologazione.

I creditori e qualsiasi interessato possono proporre opposizione all’omologazione, costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza.

Per quanto concerne il giudizio di omologazione, è stabilito che il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e la fattibilità (anche economica, alla luce delle verifiche effettuate dall’ausiliario e dall’esperto) del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore.

Come si vede, è precisamente dal combinato disposto delle suddette previsioni che si evincono le caratteristiche essenziali del nuovo istituto.

Anzitutto, la facoltà di ricorrere al concordato semplificato è espressamente circoscritta all’ipotesi in cui, ad un tempo, (i) l’imprenditore abbia fatto ricorso alla composizione negoziata della crisi; (ii) la relazione finale dell’esperto chiarisca che le trattative non hanno avuto esito positivo; (iii) le soluzioni di cui all’articolo 11, commi 1 e 2, non risultino praticabili. Non appaiono pertanto configurabili altri casi di accesso a questo rimedio.

In secondo luogo, la domanda non è diretta, come nel concordato preventivo, all’ammissione alla procedura, bensì omisso medio all’omologazione del concordato, senza passare neppure attraverso la votazione dei creditori, che nella nuova disciplina non costituisce una fase né necessaria, né eventuale, della procedura, ravvisandosi invece proprio nella sua assenza uno degli aspetti salienti della semplificazione decisa dal legislatore (il che non rappresenta una novità assoluta per il nostro ordinamento: basti pensare al piano del consumatore o al concordato nell’ambito della liquidazione coatta amministrativa). E l’incentivo al buon fine, a monte, delle trattative in sede di composizione negoziata traspare anche da questa peculiarità. Com’è stato giustamente osservato, infatti, i creditori, consapevoli del possibile sbocco in una situazione che prescinde dalla loro manifestazione di voto, risultano, in occasione delle trattative di cui si diceva, “stimolati a recedere da posizioni attendiste o da pretese eccessive”[5].

In terzo luogo, non è prevista la nomina di un commissario giudiziale, ma quella di un semplice ausiliario, chiamato, come si si diceva, a rendere il proprio parere a supporto delle valutazioni del tribunale in sede di omologazione.

Con specifico riferimento, poi, al contenuto delle verifiche che il tribunale deve effettuare, non occorre che la soluzione concordataria risulti preferibile alle alternative concretamente praticabili, ma solo che non sia foriera di nocumento rispetto a quanto accadrebbe nel caso di liquidazione fallimentare: e ciò con un’impostazione analoga, mutatis mutandis, a quanto stabilito dalla legge fallimentare in tema di esercizio provvisorio.

La norma non precisa, a differenza degli artt. 47 e 48 del codice della crisi, che la fattibilità oggetto del controllo da parte del tribunale debba essere anche di natura economica. Nondimeno, il fatto che tale scrutinio si fondi sulla relazione dell’esperto e sul parere dell’ausiliario (entrambi i quali si occupano di fattibilità economica) depone in modo sufficientemente perspicuo nel senso che la verifica demandata al tribunale ai fini dell’omologazione non possa prescindere da questo aspetto.

A livello di prima impressione generale, si constata uno spostamento del baricentro dai creditori (non chiamati al voto e facoltizzati semplicemente a opporsi all’omologazione) al tribunale, deputato a concedere l’imprimatur al concordato senza che questo sia stato, per l’appunto, approvato dai creditori, e si registra quindi, da questo punto di vista, un rafforzamento delle prerogative giudiziali: il che pare giustificato dalle esigenze di celerità e semplificazione dichiaratamente perseguite dal legislatore.

 

3. La liquidazione del patrimonio

 Ai sensi del successivo art. 19, 1° comma, con il decreto di omologazione il tribunale nomina un liquidatore.

 In base al secondo comma, poi, quando il piano di liquidazione di cui all’art. 18 comprende un’offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione, dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni, il liquidatore giudiziale, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, dà esecuzione all’offerta; alla vendita si applicano gli artt. da 2919 a 2929 del codice civile.

Quando il piano di liquidazione prevede che l’offerta di cui al 2° comma debba essere accettata prima della omologazione – stabilisce il terzo comma – all’offerta dà esecuzione l’ausiliario, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, con le modalità di cui al 2° comma, previa autorizzazione del tribunale. E la terminologia utilizzata dalla norma rende palese la preferenza opportunamente accordata dal nuovo decreto a un percorso assai meno formale e procedimentalizzato rispetto a quanto statuito dall’art. 163-bis per il concordato preventivo.

Quanto, in particolare, al riferimento alla cessione di azienda o di rami di essa come possibile componente del piano di liquidazione, va precisato (sebbene sia forse superfluo) che esso non interferisce in alcun modo con il disposto dell’art. 186-bis e con l’istituto della continuità indiretta rientrante (ormai pacificamente) nel suo perimetro applicativo. Ciò significa che la cessione dell’azienda o di suoi rami, qui espressamente prevista come possibile nucleo del piano di liquidazione, continua a rappresentare un’ipotesi di continuità alla stregua della disciplina del concordato preventivo.

 

4. La disciplina applicabile

Dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese – sancisce il secondo comma dell’art. 18 – si producono gli effetti di cui agli artt. 111, 167, 168 e 169 della legge fallimentare.

Ciò significa che da quel momento (e non dal deposito in cancelleria, come avviene nel concordato con riserva) l’impresa può considerarsi “in procedura” con riguardo, in particolare, alla maturazione di crediti in prededuzione, al c.d. spossessamento attenuato (pur non essendo previsto un commissario giudiziale, bensì – come detto – un ausiliario) e al divieto di azioni esecutive e cautelari individuali.

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 18, poi, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 173, 184, 185, 186 e 236.

La prima norma richiamata è l’art. 173, relativamente al quale viene precisato che ai fini del primo comma di quest’ultimo il decreto che dispone la comunicazione della proposta (unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto) ai creditori è equiparato all’ammissione al concordato.

Il concordato può dunque essere revocato – sembrerebbe – sia nel caso di scoperta di pregressi atti di frode non rivelati dal debitore, sia nell’eventualità in cui questi compia atti di straordinaria amministrazione non autorizzati o atti comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, sia infine qualora risultino mancanti le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato (pur non essendo in realtà previsto un provvedimento di ammissione).

Come si diceva, sono inoltre rese oggetto di espresso richiamo le norme sugli effetti dell’omologazione, sull’esecuzione del concordato e sulle ipotesi di risoluzione o di annullamento dello stesso, nonché il precetto penale in tema di bancarotta (su quest’ultimo punto si dirà più ampiamente nell’ultimo paragrafo).

Al primo comma dell’art. 19, poi, si trova l’espresso rimando all’art. 182, con conseguente necessità per il tribunale di far luogo alla nomina del comitato dei creditori e di determinare le modalità di liquidazione; senza dire dell’applicazione degli artt. da 105 a 108-ter ove compatibili.

Quanto alle numerose norme che non sono richiamate dal decreto, si pone il tema della loro applicabilità in via interpretativa (che peraltro interferisce con la questione della natura del concordato semplificato, affrontata nel successivo paragrafo del presente contributo).

Ci si può interrogare, innanzitutto, circa la possibilità di costruire la proposta concordataria di cessione dei beni suddividendo il ceto creditorio in classi con trattamenti differenziati tra creditori, ma senza poter alterare l’ordine delle cause di prelazione[6], oppure individuando un assuntore. E rispetto a ciò occorre capire se possa essere considerato ostativo o meno il mancato richiamo dell’art. 160.

Assai poco agevole appare la configurabilità della c.d. fase prenotativa, stante l’assenza di qualsivoglia riferimento al sesto comma dell’art. 161, e lo svolgimento della “necessaria fase precedente”[7] rappresentata dalla composizione negoziata della crisi. E lo stesso dicasi relativamente alla (non) necessità di assicurare la percentuale minima del 20% ai creditori chirografari, ai quali, diversamente dal codice della crisi (art. 84, u.c.), non dev’essere neppure offerto alcun quid pluris rispetto al patrimonio del debitore.

Analogamente, non paiono applicabili le previsioni in tema di proposte e di offerte concorrenti[8], anche alla luce dell’opzione più deformalizzata opportunamente adottata dal legislatore, come poc’anzi ricordato.

Ed infine, trattandosi di concordato liquidatorio, non sembrano applicabili quelle disposizioni rientranti nel c.d. statuto del concordato in continuità aziendale[9]. Il punto è piuttosto quello di appurare se nel perimetro della nuova norma rientri il caso dell’azienda “in esercizio”, come in effetti pare doversi ritenere nonostante il mancato ricorso a questa espressione (a differenza dell’art. 186-bis). Una lettura di segno diverso, a ben vedere, condurrebbe a un’applicazione ingiustificatamente limitata della norma, anche se un chiarimento in sede di conversione in legge, attraverso la precisazione “anche in esercizio”, sarebbe verosimilmente opportuno.

 

5. Il concordato semplificato è un sottotipo di concordato preventivo o un tipo concorsuale autonomo?

Al cospetto della nuova disciplina qui in esame, sorge spontaneo l’interrogativo se l’istituto integri un sottotipo di concordato preventivo, ovvero un tipo concorsuale a sé.

L’utilizzo del termine “concordato” e il richiamo a una parte rilevante della disciplina del concordato preventivo sembrano indurre, prima facie, a rispondere al quesito nel primo senso, come pure il passo della Relazione illustrativa ove si afferma che “viene introdotta una nuova tipologia di concordato preventivo”.

A un’analisi più meditata, tuttavia, emergono elementi, sia testuali che “strutturali”, che potrebbero deporre in senso contrario.

 Va invero rilevato che l’istituto di cui trattasi è regolato da una legge diversa da quella fallimentare, che non parla di concordato preventivo bensì di concordato tout court.

Da questo punto di vista, l’esigenza stessa del legislatore di richiamare selettivamente le disposizioni sul concordato preventivo applicabili anche alla nuova fattispecie potrebbe confermare l’ipotesi che non si tratti di un sottotipo di concordato preventivo, per il quale andrebbero semmai menzionate, a rigore, le previsioni non applicabili (potendo ritenersi che al sottotipo di un istituto siano tendenzialmente applicabili tutte le norme proprie del tipo, ad eccezione per l’appunto di quelle oggetto di deroga).

Quanto al profilo, per così dire, strutturale, i tratti distintivi fra i due istituti sono davvero eclatanti: la norma di nuovo conio, infatti, prescinde da un provvedimento di ammissione alla procedura, non contempla la presenza di un giudice delegato e di un commissario giudiziale chiamato a relazionare ai sensi dell’art. 172, l. fall., e non prevede la fase della votazione dei creditori, che notoriamente costituisce un proprium dei concordati preventivo e fallimentare.

Orbene, gli elementi sopra enucleati sembrano tali, unitamente ai rilievi testé esposti, da far premio sui profili di comunanza (a partire dall’effetto esdebitatorio dell’omologazione) e quindi tali da far dubitare, a dispetto di quanto detto dalla Relazione illustrativa, che il nuovo concordato liquidatorio sia riconducibile sic et simpliciter al tipo del concordato preventivo quale regolato dalla legge fallimentare, costituendo verosimilmente un tipo normativo dotato di autonome specificità.

A ciò si aggiunga un ulteriore, rilevante, elemento distintivo del concordato semplificato: esso non può rappresentare il rimedio scelto in prima battuta dall’imprenditore per la soluzione della crisi, ma deve necessariamente far seguito all’attivazione della composizione negoziata; laddove è a tutti noto che il concordato preventivo ben può essere presentato tout court dal debitore, senza il previo ricorso a strumenti quali il piano attestato di risanamento o l’accordo di ristrutturazione. Ed anche questo peculiare aspetto distingue ulteriormente il nuovo istituto dal ceppo del concordato preventivo, rafforzandone l’autonomia tipologica.

Com’è chiaro, peraltro, il nodo potrebbe essere sciolto gordianamente, all’atto di convertire il decreto in legge, inserendo nella rubrica e nel testo dell’art. 18 l’aggettivo “preventivo”.

Nulla quaestio, invece, sulla natura di procedura concorsuale propria dell’istituto[10], in considerazione, a tacer d’altro, del controllo del tribunale sulla proposta, del necessario rispetto della par condicio creditorum e dell’indefettibilità del giudizio di omologazione. Ne deriva la configurazione di una procedura concorsuale al di fuori del perimetro della legge fallimentare.

 

6. Cenno ai risvolti sul piano penale

 La questione trattata nel paragrafo precedente presenta un delicato risvolto in ambito penale, atteso che l’art. 236 è bensì richiamato dall’art. 18 del decreto, ma, non essendo stato da quest’ultimo modificato, non menziona ovviamente il concordato semplificato. Il che pone un tema di adeguatezza del presidio penale rispetto alla nuova fattispecie.

 Non a caso, si è rilevato in proposito che l’estensione al concordato semplificato delle fattispecie di bancarotta fraudolenta “diverrebbe problematico in quanto le stesse non sono espressamente richiamate in via diretta e il doppio rinvio non sembrerebbe una tecnica idonea a perseguire tutte le possibili condotte depauperatorie che si dovessero riscontrare in una fase di mera crisi”[11].

 La ricerca di una soluzione al problema, meritevole – com’è chiaro – di ben altro approfondimento, passa a mio avviso per la modifica delle disposizioni penali della legge fallimentare con l’inserimento delle fattispecie di nuovo conio, unitamente, però, alla contestuale integrazione delle norme richiamate dall’odierno decreto con l’espressa menzione dell’art. 217-bis, stante la rilevanza delle esimenti ivi contemplate.



[1] In argomento v., tra gli altri, Bozza, Il concordato liquidatorio, in Fallimento, 2020, pp. 1223 ss; Macagno, Il concordato preventivo liquidatorio, in AA.VV., Le crisi dell’impresa e del consumatore. Liber amicorum di Alberto Jorio, a cura di Ambrosini, di prossima pubblicazione per i tipi della Zanichelli.

[2] Cfr., in luogo di altri, Jorio, Orizzonti prevedibi­li e orizzonti improbabili del diritto concorsuale, in Trattato delle Procedure Concorsuali, diretto da Jorio e Sassani, V, Milano, 2017, pp. 1330 ss.

[3] E si vedano al riguardo le lucide riflessioni di Jorio, op. cit., p. 1331: “se si pone mente alle percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografari realizzate normalmente dalle procedure fallimentari si comprende come il legislatore, allontanandosi dal criterio di fondo della riforma introdotta dieci anni or sono (l’autonomia, appunto, dei creditori nella scelta della soluzione della crisi ritenuta da essi più conveniente, e pur con il limite, occorre ricordarlo ancora, del cram down, ora anche in sede di omologazione), ritenga ora, sulla base dell’esperienza maturata in questi due lustri, che sotto determinate soglie di soddisfacimento sia preferibile il fallimento al concordato. Sarebbe interessante conoscere i dati sui quali sia maturata questa esperienza, tenuto anche conto che i fallimenti sono stati ormai privati del ricorso alla revocatoria quale classico strumento per aumentare l’attivo distribuibile ai creditori, che con il fallimento gli intangibles perdono ogni significato economico e che le azioni di responsabilità sono divenute, a seguito di alcune pronunce della Cassazione, più difficili e destinate normalmente a dare risultati modesti per i creditori”.

[4] In argomento si vedano Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 8 settembre 2021; Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, nonché, per un primo, veloce, commento alla relativa disciplina, Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, ivi, 9 agosto 2021.

[5] Panzani, op. cit., p. 37.

 

[6] Questo requisito è richiesto esplicitamente dal quinto comma dell’art. 18, là dove viene delineato il perimetro del controllo giudiziale in sede di omologazione.

[7]Guidotti, op. cit., p. 22.

[8] Nello stesso senso Guidotti, op. cit., p. 24.

[9] Per la loro elencazione, riferita al codice della crisi, v. da ultimo Ambrosini, Concordato preventivo fra vecchio e nuovo: continuità normativa, interessi protetti e soddisfacimento dei creditori, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5 agosto 2021, pp. 12-13 (pubblicato anche in AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, cit., pp. 13-14).

[10] Conforme Bottai, op. loc. cit., per il quale “la soppressione del filtro di ammissibilità e della votazione non alterano la natura concorsuale e procedurale del nuovo istituto”.

[11] Bottai, op. cit., p. 3. Con la precisazione, tuttavia, che il rilievo sembra attagliarsi anche alle ipotesi di bancarotta semplice.