, 17 settembre 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa. – 2. I tratti distintivi. – 2.1. Il “valore generato dal piano”. - 3. Interrogativi sulla natura concorsuale. – 4. La proposta. – 4.1. La transazione fiscale. – 4.2. Il trattamento dei creditori privilegiati. - 4. 3. La suddivisione dei creditori in classi. – 5. La natura. – 6. I presupposti soggettivo e oggettivo. – 7. La domanda. – 7.1. - Le misure protettive. – 7.2. La domanda “con riserva”. – 7.3. La domanda come atto strategico di regolazione della crisi. – 8. Le verifiche. 8.1. L’attestazione. – 8.2. La verifica di ritualità del tribunale. – 9. La gestione dell’impresa. 9.1. L’assenza di spossessamento e le misure compensative. - 9.1.1. La sfaccettata funzione del commissario giudiziale. – 9.2. Il meccanismo compensativo sugli atti di straordinaria amministrazione. - 9.2.1. Gli atti non “legalmente compiuti”. 9.2.1.1. L’esenzione da revocatoria. - 9.2.1.2. La prededuzione. - 9.2.1.3. I finanziamenti. - 9.2.1.4. Il pagamento di debiti anteriori. - 9.2.1.5. Il riconoscimento dei diritti di prelazione. - 9.3. I contratti in corso di esecuzione. – 9.4. Il regime della cessione d’azienda. – 9.5. La sospensione della disciplina societaria a tutela del capitale. – 10. L’assenza di esenzione dai reati di bancarotta. – 11. Il voto. – 12. Il giudizio di omologazione. – 13. La contestazione dei risultati della votazione. 14. Conversione del P.R.O. in concordato preventivo. – 15. 15. Conversione del concordato preventivo in P.R.O.
1. Premessa
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (di seguito, P.R.O.), disciplinato dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII, costituisce una novità - dirompente se letta alla luce delle “tradizionali” categorie del diritto concorsuale - introdotta nel sistema dal d.lgs. n. 83/2022 di recepimento della Direttiva 2019/1023 e successivamente ritoccata dal d.lgs. n. 136/2024.
La collocazione sistematica del nuovo istituto – nel capo I-bis del titolo IV[1] della Parte II del Codice – ne rivela la indubbia natura di strumento (se pur peculiare) di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 2, comma 1, lett. m-bis) che – come gli altri strumenti con i quali forma un ricco paniere[2] – può essere preceduto dalla composizione negoziata[3].
La sua genesi dichiarata andrebbe ricondotta alla direttiva (UE) 2019/1023 (c.d. Insolvency), in particolare agli artt. 9, 10 e 11, che disciplinano rispettivamente l’adozione del piano (in particolare il possibile contenuto), l’omologazione e la ristrutturazione trasversale.
Questa genesi, collocata in quelle norme unionali, veniva immediatamente contestata, oltre che dalla dottrina[4], dal Consiglio di Stato. Nella prospettiva della Direttiva 2019/1023, - osservava l’organo consultivo - alcuni richiami risultano impropri se riferiti al PRO. In primo luogo, l’art. 11 non può essere invocato, poiché disciplina esclusivamente la ristrutturazione trasversale dei debiti (cross-class cram down), istituto espressamente escluso dal piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. In secondo luogo, la regola dell’unanimità di cui all’art. 9 non si collega all’assenza di vincoli distributivi, bensì alla possibilità che il piano sia adottato anche senza intervento giudiziale. Infine, il rinvio all’art. 10 risulta inconferente, giacché il PRO presuppone comunque un provvedimento di omologazione da parte del tribunale.
Così, il Consiglio di Stato cogliendo nella disciplina del P.R.O. diverse criticità sollecitava "una riflessione sia sugli evidenziati profili di discontinuità con i principi della direttiva sia sui possibili profili di illegittimità costituzionale dell'articolo 64-bis, comma 1, in relazione all'articolo 76 della Costituzione per eccesso di delega, oltre che sui possibili profili di violazione del divieto di gold plating esposti nella parte generale sui quadri di ristrutturazione preventiva", non mancando, infine, di mettere in guardia contro il rischio di aggravare il sistema, moltiplicando strumenti già in parte sovrapponibili quando sarebbe stato sufficiente intervenire sugli istituti esistenti – concordato preventivo e accordi di ristrutturazione – adattandoli ai minimi europei, senza creare un ulteriore modello autonomo.
La Relazione illustrativa, in risposta ai rilievi del Consiglio di Stato, però chiariva che la ratio dell’introduzione del PRO non è soltanto quella di regolare il giudizio di omologazione, ma soprattutto di stabilire ex ante il contenuto del piano, così da guidare il debitore nella sua predisposizione. Un sistema che si limitasse ad attuare l’art. 11 della Direttiva, occupandosi soltanto del cram down in caso di dissenso, risulterebbe incompleto, perché mancherebbe di indicare al debitore quali regole distributive rispettare sin dalla fase di redazione del piano.
Così veniva difesa la scelta di introdurre la disciplina del P.R.O. in quanto coerente con la tradizione italiana, che già nella legge fallimentare (artt. 160 e 161) si preoccupava di regolare il contenuto del piano piuttosto che limitarsi a dettare criteri per l’omologazione e chiariva che gli artt. 64-bis e 64-ter CCII disciplinano il contenuto del piano quando il debitore ritenga di poter raggiungere l’unanimità delle classi, distinguendo tale ipotesi da quella in cui, al contrario, sia necessario confidare nei meccanismi di ristrutturazione trasversale previsti dalla Direttiva.
2. I tratti distintivi
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione si connota innanzitutto per la deroga ai principi cardine della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.) e della par condicio creditorum (art. 2741 c.c.), nonché alla disciplina della graduazione delle prelazioni: il “valore generato dal piano” può infatti essere ripartito secondo criteri funzionali al risanamento, anche in contrasto con l’ordine delle cause legittime di prelazione e con l’uguaglianza dei chirografari.
A controbilanciare questa libertà distributiva interviene però un requisito particolarmente rigoroso: l’unanimità delle classi di creditori, la quale rappresenta il fondamento consensuale che legittima la compressione dei diritti individuali.
Accanto a questo nucleo centrale, il PRO presenta ulteriori caratteri distintivi: da un lato, un regime di ampia libertà gestionale dell’imprenditore, che conserva il potere di compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione sotto la sola vigilanza del commissario giudiziale; dall’altro, una soglia minima di tutela per i creditori dissenzienti, ai quali deve comunque essere assicurato un soddisfacimento non inferiore a quello ricavabile da una liquidazione giudiziale alla data della domanda di omologazione. Ne emerge così un modello originale, che combina la flessibilità negoziale e la centralità dell’imprenditore con la garanzia di un consenso unanime e con un presidio minimo di protezione dei creditori, collocandosi a metà strada tra l’accordo privatistico e la procedura concorsuale maggioritaria.
2.1. Il “valore generato dal piano”
Un aspetto particolarmente significativo della disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione è rappresentato dal riferimento al “valore generato dal piano”, espressione che segna una netta discontinuità rispetto alla tradizionale centralità del patrimonio del debitore o dei flussi ordinari dell’impresa.
La norma, infatti, non àncora il soddisfacimento dei creditori al mero patrimonio esistente o alle risorse finanziarie che l’imprenditore riesce a produrre con la prosecuzione dell’attività, ma individua quale base distributiva il valore che scaturisce dall’attuazione stessa del piano.
Si tratta, dunque, di una nozione dinamica, che rinvia al surplus realizzabile grazie alla ristrutturazione e che si distingue tanto dal “going concern value” quanto dal valore di liquidazione.
Tale valore può avere origini molteplici: la continuità aziendale che preserva l’impresa come complesso produttivo unitario; le operazioni straordinarie (cessione di rami, aumenti di capitale, apporti di terzi investitori); le ristrutturazioni finanziarie, con conversioni di crediti in strumenti partecipativi o falcidie concordate; e, più in generale, le sinergie negoziali che solo un piano condiviso è in grado di produrre. In questo senso, il valore generato dal piano non coincide con una fotografia statica del patrimonio, ma con il risultato complessivo dell’ingegneria finanziaria e organizzativa delineata dal debitore.
La scelta terminologica del legislatore appare funzionale a sottolineare il carattere essenzialmente consensuale de lP.R.O.: la libertà di distribuire tale valore anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alla disciplina delle prelazioni è infatti bilanciata dalla regola dell’unanimità delle classi, la quale garantisce che l’allocazione delle risorse, proprio perché plasmata oltre i vincoli codicistici, sia comunque il frutto di un consenso generalizzato.
Ne risulta un modello che si colloca a metà strada tra il concordato preventivo, fondato sul rispetto di regole distributive cogenti e sull’approvazione a maggioranza, e il piano attestato ex art. 56 CCII, che resta sul piano privatistico e non implica un’omologazione giudiziale: nel PRO, invece, il valore non deriva né esclusivamente dal mercato né da un’imposizione autoritativa, ma è generato dall’attuazione condivisa di un progetto di ristrutturazione, entro i confini garantiti dalla soglia minima di tutela dei creditori dissenzienti, i quali non possono comunque ricevere meno di quanto otterrebbero in sede di liquidazione giudiziale.
La scelta del legislatore nazionale di ancorare la distribuzione delle risorse al “valore generato dal piano” si ricollega chiaramente alla Direttiva (UE) 2019/1023, che, pur non utilizzando espressamente questa formula, muove dall’idea che il piano di ristrutturazione debba costituire la sede di produzione e di allocazione di valore nuovo, distinto sia dal valore di liquidazione che dalla mera prosecuzione dell’attività senza interventi di ristrutturazione. In particolare, l’art. 9 della Direttiva, laddove prevede l’approvazione del piano da parte delle classi, e l’art. 10, che subordina l’omologazione alla verifica del rispetto di taluni requisiti di equità e proporzionalità, presuppongono che la distribuzione delle risorse tenga conto del surplus creato dalla ristrutturazione.
Ancor più rilevante è il collegamento con l’art. 11, che introduce il test del miglior interesse dei creditori (“best interest of creditors test”), imponendo che i creditori dissenzienti ricevano almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione: principio che nel nostro ordinamento è stato recepito, in chiave di tutela minima, dall’obbligo di garantire ai creditori non aderenti al PRO un trattamento non inferiore a quello della liquidazione giudiziale. In questa prospettiva, la formula “valore generato dal piano” riflette la trasposizione domestica di un’idea di valore “negoziale e dinamico”, che si origina dalle soluzioni di ristrutturazione concertate e che trova legittimazione proprio nel consenso unanime delle classi.
3. Interrogativi sulla natura concorsuale
Queste peculiarità hanno alimentato un dibattito sulla natura giuridica del P.R.O. Da un lato, si è osservato che la possibilità di derogare sia agli artt. 2740 e 2741 c.c. che all’ordine delle cause di prelazione lo allontani dalla nozione classica di procedura concorsuale[5]; dall’altro, la dottrina più recente propone la categoria della “concorsualità liquida”[6], per descrivere la progressiva attenuazione dei tratti tipici della concorsualità – universalità, par condicio, rigidità dell’ordine delle prelazioni – a favore di modelli più flessibili, capaci di coniugare elementi negoziali e giudiziali. In questa prospettiva, il P.R.O. rientrerebbe nel genus delle procedure concorsuali, seppure in una versione “ibrida”, adattata alle esigenze di ristrutturazione precoce e selettiva.
Il confronto con gli istituti preesistenti ne chiarisce la fisionomia: rispetto al concordato preventivo in continuità, il P.R.O. attribuisce al debitore maggiore libertà gestionale e riduce l’ingerenza giudiziale, pur richiamandone numerosi strumenti (giudice delegato, commissario giudiziale, autorizzazioni su finanziamenti prededucibili, effetto esdebitatorio). Rispetto agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, condivide la possibilità di incidere sui creditori dissenzienti e di derogare all’ordine delle cause di prelazione, ma se ne distingue per la centralità del voto assembleare delle classi, che sostituisce il consenso individuale.
In definitiva, il P.R.O. si configura – già è stato anticipato - come uno strumento intermedio, al crocevia tra concordato e accordi di ristrutturazione, con una propria autonomia funzionale[7]. La sua introduzione ha sollevato – e anche questa notazione si ritrova già nel primo paragrafo - interrogativi sulla coerenza del sistema e sulla necessità di moltiplicare i modelli di regolazione della crisi; tuttavia, rappresenta un banco di prova per misurare la propensione del diritto concorsuale italiano verso una concorsualità liquida e selettiva, sempre più distante dal rigore tradizionale.
In questa cornice, l’art. 64-bis CCII ne traccia i presupposti, le condizioni di accesso e i tratti essenziali: dalla formazione delle classi e dal loro voto unanime, alla deroga al principio della par condicio creditorum, fino alla soglia minima di tutela per i creditori dissenzienti, ancorata al parametro della liquidazione giudiziale. Qui si riflette la natura “ibrida” del P.R.O., a metà tra autonomia negoziale e cornice giudiziale, e si concentrano i principali profili problematici: l’innovatività rispetto agli strumenti già esistenti, la riconducibilità al paradigma concorsuale tradizionale e la legittimità sistematica alla luce dei vincoli della delega e del diritto europeo.
È su questo terreno, marcato da innovazioni significative generatrici di incertezze interpretative, che si gioca la piena comprensione del P.R.O. e, più in generale, la tenuta della nozione di concorsualità nell’attuale diritto della crisi.
4. La proposta
L’elemento “nevralgico” del P.R.O. è rappresentato dalla proposta[8].
Nel confezionare una proposta di P.R.O., l’imprenditore ha ampia libertà nella ripartizione del “valore generato dal piano” tra i creditori, pur nel rispetto di alcune regole strutturali. I creditori devono essere suddivisi in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, e la distribuzione del valore all’interno di ciascuna classe deve avvenire in modo paritario; tra le classi, invece, la distribuzione può essere libera, - con trattamenti in base a logiche selettive e negoziali, secondo quanto evidenziato dalla dottrina[9] - anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 c.c. e alle norme sulla graduazione delle cause legittime di prelazione (artt. 2777 e 2778 c.c.).
Questa flessibilità consente, ad esempio, che un creditore chirografario strategico possa ricevere una percentuale più elevata rispetto a un creditore privilegiato, o che una quota di attivo possa essere destinata al debitore stesso, senza che ciò violi la disciplina del piano. È importante sottolineare che, per i chirografari, la norma non prevede un livello minimo di soddisfacimento, né l’apporto di nuova finanza, né alcun vincolo collegato all’eventuale insufficienza del patrimonio a coprire interamente i crediti privilegiati.
Il principio di libertà nella distribuzione del valore è tuttavia bilanciato da due elementi: primo, tutte le classi devono esprimere un voto unanime delle classi per la validità del piano; secondo, ciascun creditore ha facoltà di opporre resistenza all’omologazione, vincolando il tribunale a verificare che la proposta non sia pregiudizievole rispetto al valore ottenibile in liquidazione giudiziale (l’assenza di pregiudizio).
Unicamente i crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1 c.c. esulano da questa libertà di distribuzione: essi devono essere soddisfatti integralmente in denaro entro trenta giorni dall’omologazione, a garanzia della tutela minima dei lavoratori.
In definitiva, - spostando l’asse sul consenso delle classi dei creditori e ampliando la portata delle deroghe ai principi concorsuali tradizionali[10]- il contenuto della proposta di P.R.O. si caratterizza per una flessibilità senza precedenti nel diritto concorsuale italiano, che consente deroghe al principio di par condicio e all’ordine delle prelazioni, ma sempre condizionata al voto unanime delle classi e alla possibilità per ciascun creditore di opporsi, strumenti che bilanciano il potere gestionale del debitore con la tutela dei creditori.
4.1. La transazione fiscale
L’art. 17 comma 1 lett. a) del Dlgs. 136/2024 ha introdotto il comma 1-bis all’art. 64 bis del codice, stabilendo che “prima della presentazione della domanda di omologazione del piano il debitore può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie e dei relativi accessori. Alla proposta è allegata la relazione di un professionista indipendente, che attesta, oltre alla veridicità dei dati aziendali, la sussistenza di un trattamento non deteriore di tali crediti rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. La proposta è depositata presso gli uffici indicati dall'articolo 88, comma 5[11] e si applicano le disposizioni di cui all'articolo 88, commi 5, terzo e quarto periodo, 6 e 7[12]. L'eventuale adesione dei creditori deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta. Nel caso in cui la proposta venga modificata, il termine è aumentato di sessanta giorni decorrenti dal deposito della modifica della proposta e se la modifica si sostanzia in una nuova proposta, il termine di cui al periodo precedente è aumentato a novanta giorni” [13].
È quindi adesso prevista anche per il P.R.O. la possibilità di procedere a transazione avente ad oggetto i debiti erariali e previdenziali[14].
A nostro avviso, la precedente disciplina si rivelava in generale non coerente col sistema. È ben vero infatti che, sebbene i crediti dovessero essere suddivisi in classi omogenee e i crediti tributari e contributivi potessero essere inseriti in una classe con altri crediti di maggiore entità, permettendo alla classe di votare favorevolmente anche senza l’adesione del fisco e degli enti previdenziali, tale classe non sarebbe stata considerata omogenea dal punto di vista giuridico ed economico, come richiesto dal comma primo dell’art. 64-bis CCII. E tuttavia, poiché le norme sul PRO non citavano espressamente le modalità di trattamento di questi crediti, neppure si poteva impedire al debitore di proporre un pagamento parziale o dilazionato. In realtà, non era tanto rilevante l’assenza di una norma che vietasse questa possibilità (essendo il principio della indisponibilità tributaria più enunciato che dimostrato), quanto piuttosto la mancanza di una disposizione che fornisse agli enti pubblici gli strumenti per approvare la riduzione dei crediti all'interno del PRO. In definitiva, la riduzione dei crediti fiscali e contributivi non era di per sè incompatibile con il PRO e ancor più risultava irragionevole escludere la transazione fiscale da questa procedura, vista la sua applicazione nell’accordo di ristrutturazione e nel concordato preventivo Pur essendo un istituto autonomo, il PRO è nella sostanza simile a questi strumenti, prevedendo la nomina di un commissario giudiziale, la relazione di un professionista indipendente e l’omologazione da parte del tribunale.
Secondo la nuova disposizione il debitore può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali nonché dei contributi previdenziali e assistenziali prima della presentazione della domanda di omologazione del piano.
La norma rinvia alla disciplina procedurale del concordato in materia di trattamento dei crediti tributari e contributivi (articolo 88, commi 5, 6 e 7). Non vien fatto, data la natura “negoziale” dello strumento, alcun riferimento alle norme sul cram down (commi 3 e 4) allorché vi sia il dissenso determinante, ai fini dell’omologazione del P.R.O., da parte di un creditore pubblico.
In generale, tuttavia, deve osservarsi che si è optato per uno schema maggiormente assimilabile a quello previsto per la transazione tributaria nella negoziazione assistita, stante la peculiare natura dello strumento (non di tipo concorsuale in senso classico, come visto sopra), al cui interno si svolgono trattative fra l’impresa debitrice ed i creditori, dirette ad individuare una strategia per il risanamento dell’impresa e quindi per la continuità della stessa. Anche in questo caso, un ruolo centrale è svolto dal professionista indipendente rispetto alle parti, il quale ha il compito di attestare la veridicità dei dati aziendali e la legittimità del trattamento riservato ai creditori, siccome giammai peggiorativo rispetto a quello ricavabile in caso di liquidazione.
Attualmente, dunque, anche nel P.R.O. il debitore può proporre il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi e dei contributi, nonché di sanzioni e interessi, depositando agli uffici territorialmente competenti delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali un’apposita proposta, a cui deve essere allegata la relazione di un professionista indipendente che attesta, oltre alla veridicità dei dati aziendali, anche la sussistenza di un trattamento non deteriore di tali crediti rispetto all’alternativa liquidatoria. Va da sé che tale proposta debba prevedere un trattamento dei crediti tributari e contributivi non inferiore a quello che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale e che ciò rileva, rispetto a tali crediti, come condizione di efficacia della proposta, che sarebbe altrimenti inammissibile, e non solo in caso di opposizione del creditore dissenziente, come prevede il comma 8 del citato art. 64-bis con riguardo alla generalità di creditori.
È tuttora esclusa, di contro, la possibilità di cram down fiscale, ancorché la omologazione forzosa sia consentita nell’accordo di ristrutturazione e nel concordato preventivo, ancora una volta in considerazione della natura del P.R.O., fondato sul voto favorevole di tutte le classi di creditori[15]. Non sono mancate critiche a questa scelta del legislatore, dal momento che essa “…rischia…di rivelarsi un serio ostacolo per la concreta praticabilità di questo istituto”[16]. In effetti, laddove il debitore abbia maturato debiti di natura erariale o previdenziale, il piano ne dovrà prevedere la relativa “classazione”, ma soprattutto dovrà essere prestata adesione da parte dell’amministrazione o degli enti preposti: una condizione, questa, che ben difficilmente potrà realizzarsi, come peraltro confermato dalle indicazioni provenienti dalla prassi.
4.2. Il trattamento dei creditori privilegiati
Il trattamento dei creditori privilegiati nel P.R.O. che peraltro non risulta da una norma a ciò dedicata (o richiamata) bensì dal comma 7 dell’art. 64-bis dedicato al voto, rappresenta uno degli aspetti più eversivi dell’istituto.
Storicamente, il sistema italiano, fin dalla legge fallimentare del 1942, garantiva ai privilegiati una tutela quasi “intoccabile”: essi erano soddisfatti integralmente in base all’ordine delle cause di prelazione, indipendentemente dalla distribuzione agli altri creditori.
Con la riforma del 2006 e l’introduzione della legge sul concordato preventivo in continuità, si delineò un approccio più realistico: i privilegiati potevano essere soddisfatti in misura pari al valore reale del bene che assiste il credito, stimato in sede di liquidazione, anticipando l’ammontare effettivamente ricavabile in una vendita sul mercato.
Il P.R.O., invece, segna un ulteriore passo verso la massima flessibilità del debitore. I creditori privilegiati, pur conservando il diritto al voto e alla prelazione, possono ricevere un trattamento inferiore rispetto a creditori chirografari strategici, e la distribuzione può avvenire indipendentemente dal valore reale del bene che assiste il credito, senza necessità di attestazioni specifiche sul valore[17]. Inoltre, il pagamento può essere dilazionato fino a 180 giorni o più dall’omologazione, fatto salvo il termine ridotto a trenta giorni per i crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1 c.c. (tipicamente crediti di lavoro).
Rispetto al concordato preventivo in continuità, dove il giudice verifica il rispetto del principio di corretto trattamento dei privilegiati sulla base del valore dei beni e delle garanzie, nel P.R.O. tale controllo è più limitato: prevale la logica di approvazione unanime delle classi e la possibilità per ciascun creditore di opporsi all’omologazione solo se il trattamento prospettato risulti palesemente deteriore rispetto al valore realizzabile in liquidazione.
Le conseguenze pratiche di questo approccio sono significative:
· Si accentua la libertà negoziale del debitore, che può allocare il valore generato dal piano in modo strategico, persino a favore di creditori chirografari “chiave” o del proprio patrimonio residuo.
· Si riduce la certezza del trattamento dei privilegiati, tradizionalmente considerati inviolabili, introducendo una maggiore discrezionalità e potenziali conflitti tra classi di creditori.
· Si consolida la natura ibrida del P.R.O., intermedio tra procedura concorsuale tradizionale e accordo negoziale, dove la tutela minima dei creditori è garantita solo dal principio di unanimità delle classi e dalla possibilità di opposizione individuale, piuttosto che da regole inderogabili sulla graduazione e sulle garanzie.
In particolare, per quanto riguarda i crediti privilegiati ipotecari e pignoratizi, il P.R.O. prevede regole specifiche che incidono sul loro diritto di voto e sulla composizione della classe. I creditori ipotecari o pignoratizi non votano se il loro credito è soddisfatto integralmente in denaro entro 180 giorni dall’omologazione, purché la garanzia reale che assiste il credito resti vincolata fino alla liquidazione dei beni o diritti che ne costituiscono oggetto. Qualora queste condizioni non ricorrano, tali creditori votano e, per la parte del credito non coperta dalla garanzia reale, sono collocati in una classe distinta (sul voto, infra).
Rispetto ai chirografari, questa disciplina comporta che i privilegiati ipotecari o pignoratizi conservino una tutela specifica legata alla garanzia reale: il loro credito può essere protetto fino all’intero ammontare realizzabile sui beni vincolati, ma il piano può comunque prevedere una distribuzione strategica del valore generato, che non necessariamente rispetta il principio della par condicio tra classi[18].
Rispetto ai privilegiati speciali ex art. 2751-bis c.c., per i quali il termine per il pagamento in denaro è ridotto a 30 giorni dall’omologazione, gli ipotecari e pignoratizi godono di un arco temporale più lungo (180 giorni), e il loro trattamento può essere modulato sulla base della composizione della classe e delle garanzie residue.
Il confronto con il concordato preventivo in continuità mostra analogie e differenze: nel concordato, il giudice verifica che il trattamento dei privilegiati sia coerente con il valore reale dei beni, mentre nel P.R.O. tale sindacato è più limitato, in quanto prevale la logica di approvazione unanime delle classi e la possibilità per il creditore di opporsi solo in caso di deterioramento rispetto al valore liquidatorio.
Ne consegue una maggiore discrezionalità gestionale per il debitore, che può utilizzare le garanzie reali in modo strategico e allocare il valore del piano tra classi diverse, anche a favore di creditori chirografari, mantenendo però un livello minimo di tutela per i privilegiati, subordinato al rispetto delle condizioni di pagamento e delle garanzie residuali.
La frase “purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione” va interpretata come un vincolo sul trattamento della garanzia reale: anche se il piano prevede un pagamento dilazionato o parziale del credito, la garanzia non può essere liberata o escussa anticipatamente dal debitore.
Essa garantisce che il creditore ipotecario o pignoratizio mantenga un diritto concreto su un bene specifico fino alla sua liquidazione, a differenza dei chirografari che non hanno garanzie reali. Inoltre, questa condizione regola il diritto di voto e la collocazione in classe: se le condizioni sono rispettate, il creditore è escluso dal voto; in caso contrario, deve votare e può essere inserito in una classe separata per la parte non coperta dalla garanzia.
In sintesi, il legislatore ha bilanciato la massima flessibilità gestionale e negoziale del debitore con una tutela minima per i privilegiati garantiti, mantenendo intatta la funzione della garanzia reale fino al momento della liquidazione e assicurando che, pur in un contesto di deroghe radicali, sia rispettato un livello minimo di sicurezza economica per i creditori privilegiati.
4.3. La suddivisione dei creditori in classi
La disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione si caratterizza per l’attribuzione di un ruolo centrale alla suddivisione dei creditori in classi[19], istituto che l’art. 64-bis, primo comma, impone come elemento imprescindibile della procedura, indipendentemente dal contenuto del programma che, pur potendo assumere natura meramente liquidatoria, deve comunque rispettare tale regola.
In ciò si coglie la continuità sistematica con l’impostazione che il legislatore ha adottato in materia di concordato preventivo in continuità, ove la classificazione dei creditori non rappresenta un accessorio eventuale, bensì un presupposto strutturale della proposta.
Il fondamento della suddivisione in classi si lega in maniera diretta al riconoscimento del diritto di voto dei creditori e al loro conseguente coinvolgimento nel procedimento decisionale. È il settimo comma dell’art. 64-bis a chiarire tale legame[20], con la conseguenza che il perimetro dei soggetti chiamati a votare coincide con quello dei creditori tecnicamente “coinvolti”. Da ciò deriva che, pur permanendo l’obbligo di articolare la massa passiva in classi, non vi è ragione di includervi coloro che, non essendo muniti del diritto di voto, rimangono estranei alla dinamica deliberativa.
Non esistono categorie predeterminate o obbligatorie[21]: la classificazione, pur indispensabile, resta affidata all’autonomia del debitore, che può scegliere i criteri più funzionali alla strategia di gestione della crisi.
Tale discrezionalità, che in dottrina è stata efficacemente definita di natura quasi “contrattuale”, non si configura tuttavia come arbitraria, poiché trova un limite imprescindibile nel principio della duplice omogeneità – giuridica ed economico-finanziaria –scolpito in via generale all’art. 2, comma 1, lett. r) e richiamato dall’art. 64-bis. Sarà compito del tribunale, ai sensi del quarto comma, lettera a), della medesima disposizione, verificare che la suddivisione sia stata effettuata (correttamente) in conformità a tale criterio, nel contesto di un controllo di ritualità in sede di ammissione[22].
La portata generale del regime delle classi risulta, del resto, confermata dall’art. 120-ter, che lo estende a ogni strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. In questa prospettiva, anche i soci, ove tecnicamente “coinvolti” e pertanto titolari del diritto di voto, devono essere collocati in classi distinte e partecipare alla formazione dell’unanimità richiesta dal primo comma dell’art. 64-bis per l’approvazione del piano.
La disciplina che regola il loro trattamento, tuttavia, si discosta significativamente da quella del concordato preventivo, giacché, in virtù della deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., i soci non sono soggetti al regime dell’art. 120-quater e possono pertanto ricevere un trattamento del tutto libero.
La vera peculiarità del P.R.O., rispetto al concordato preventivo, emerge però nell’efficacia della suddivisione in classi: essa, infatti, non vincola né condiziona il contenuto del trattamento economico riservato ai creditori.
Al debitore viene riconosciuta la più ampia libertà nella distribuzione delle risorse concordatarie con l’unico limite del rispetto dei crediti assistiti da privilegio generale ex art. 2751-bis, n. 1. In tale contesto, la gerarchia delle cause di prelazione ed i principi dell’Absolute Priority Rule e della Relative Priority Rule non operano.
Le classi non assumono, dunque, la funzione sostanziale di modellare la graduazione dei diritti economici, ma piuttosto quella, più strettamente procedimentale, di rafforzare la legittimazione del principio maggioritario.
La validità della decisione espressa dalla maggioranza dei creditori appartenenti a ciascuna categoria dipende, infatti, dall’omogeneità di interessi che li accomuna e dalla conseguente prevedibilità della loro tendenza al voto: sotto questo profilo, le classi costituiscono l’ultimo presidio di razionalità del meccanismo maggioritario, applicato secondo quanto disposto dal settimo comma dell’art. 64-bis.
È allora evidente come le classi, originariamente introdotte nella disciplina fallimentare per consentire deroghe al principio di parità di trattamento dei creditori, si trasformino nel P.R.O. in uno strumento volto a garantire, all’interno di ciascuna di esse, il rispetto della regola dell’eguale trattamento dei creditori similmente posizionati [23].
5. La natura
Uno dei profili più delicati e dibattuti dell’art. 64-bis CCII riguarda l’individuazione dell’ambito applicativo del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (P.R.O. ), e in particolare la questione se esso possa assumere natura liquidatoria oppure debba essere imprescindibilmente orientato alla continuità aziendale, diretta o indiretta.
La norma, come noto, non contiene una presa di posizione esplicita sul punto, lasciando un significativo margine interpretativo, che ha generato un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Da un lato, parte della dottrina inizialmente ha sostenuto che il P.R.O. fosse uno strumento tipicamente finalizzato alla continuità, in ragione di una serie di indici sistematici che avrebbero escluso la compatibilità con piani di mera liquidazione[24]. Questa impostazione valorizza la funzione innovativa dello strumento come “ponte” tra accordo negoziale e concordato in continuità, mantenendo però la distinzione dalla logica liquidatoria.
Dall’altro lato, un orientamento più inclusivo che ritiene ammissibile anche un P.R.O. di natura liquidatoria, unitario o atomistico[25].
Tale lettura si fonda sul dato letterale della norma: il richiamo dell’ultimo comma dell’art. 64-bis all’art. 84, co. 8 CCII, che disciplina il piano liquidatorio nel concordato, e all’art. 87, co. 1, lett. d), che consente la ristrutturazione dei debiti e il soddisfacimento dei creditori “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni”, sembrerebbe aprire all’utilizzabilità del P.R.O. anche per piani liquidatori. Inoltre, la generica espressione “valore generato dal piano” è compatibile sia con la prosecuzione dell’attività sia con la dismissione dei cespiti.
In questa prospettiva, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto al P.R.O. una veste “a maglie larghe”, capace di perseguire finalità conservative, attraverso la continuità diretta o indiretta dell’impresa, ma anche finalità liquidatorie, comprendendo programmi pluriennali di dismissione dei cespiti aziendali. In giurisprudenza sono stati omologati P.R.O. fondati su logiche liquidatorie, precisando che l’attivo doveva essere liquidato conformemente alle modalità dettate dal richiamo all’art. 114 CCII, così come aggiornato dal d.lgs. 136/2024[26].
Tuttavia, un significativo mutamento di prospettiva si registra in una recente pronuncia, che ha affermato che il P.R.O. è tipicamente uno strumento finalizzato alla continuità aziendale[27]. Secondo tale decisione, la ratio della norma è quella di rafforzare il risanamento in ottica going concern, differenziando il P.R.O. dal concordato liquidatorio, strumento tradizionale per la dismissione dell’attività.
La sentenza ribadisce la coerenza sistematica dell’istituto con le finalità di politica legislativa della riforma, ossia privilegiare la conservazione dell’impresa rispetto alla sua dissoluzione. Tale orientamento riduce la flessibilità dello strumento, limitandone l’utilizzo alle situazioni in cui sia concretamente possibile la prosecuzione dell’attività.
Con il d.lgs. 136/2024, il legislatore ha aggiornato la disciplina applicabile al P.R.O., modificando il co. 9 dell’art. 64-bis CCII sostituendo il richiamo all’art. 114 con quello all’art. 114-bis e al Capo I del titolo VI, riferito alla liquidazione di beni nel concordato in continuità. La Relazione illustrativa chiarisce, tuttavia, che tale modifica non impedisce la dismissione di beni non strategici, purché tali operazioni siano compatibili con la continuità e finalizzate al buon esito del piano. Inoltre, il nuovo co. 9-bis dell’art. 64-bis disciplina la cessione d’azienda: il tribunale può autorizzare, anche prima dell’omologazione, il trasferimento dell’azienda o di un ramo d’azienda senza che l’acquirente risponda per obbligazioni pregresse, con applicazione dell’art. 2112 c.c.
L’autorizzazione è subordinata alla verifica della funzionalità dell’atto per la continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori, nonché al rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente. Tale previsione appare coerente con l’art. 22, co. 1, della composizione negoziata della crisi e mira a prevenire abusi in fase pre-omologazione.
Il P.R.O., anche quando prevede la liquidazione di cespiti, non impone vincoli specifici sul trattamento dei creditori: non vi è obbligo di soddisfare chirografari in misura minima né di apporto di risorse esterne.
La norma consente deroghe alla par condicio e alla graduazione delle cause di prelazione. Il limite all’arbitrio del debitore è costituito dall’obbligo di suddivisione dei creditori in classi, al fine di garantire la parità di trattamento all’interno di ciascuna classe e il controllo del tribunale sulla conformazione del classamento.
I creditori privilegiati, muniti di pegno o ipoteca, possono essere falcidiati senza limite minimo: non si applica il trattamento minimo garantito previsto per il concordato preventivo (art. 84, co. 5 CCII). Analogamente, non vi sono vincoli di soddisfacimento per crediti fiscali e previdenziali, salvo la possibilità di transazione preventiva. Tuttavia, i crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1, c.c., devono essere soddisfatti integralmente entro trenta giorni dall’omologazione, in linea con l’attenzione ai diritti dei lavoratori introdotta dalla Direttiva Insolvency.
In conclusione, il P.R.O. si configura come uno strumento flessibile, capace di contemperare esigenze di continuità aziendale e, in una certa misura, liquidazione dei cespiti non strategici, garantendo al contempo il coinvolgimento dei creditori mediante il voto di classe e la supervisione del tribunale su operazioni patrimoniali significative.
I recenti interventi legislativi e giurisprudenziali orientano chiaramente l’interprete verso una funzione tipicamente continuativa, riducendo la possibilità di utilizzare il P.R.O. come strumento liquidatorio, confermando così la distinzione rispetto al concordato liquidatorio e rafforzando la coerenza sistematica dell’istituto all’interno del nuovo assetto concorsuale.
6. I presupposti soggettivo e oggettivo
L’art. 64-bis individua il soggetto destinatario del P.R.O. nell’ «l’imprenditore commerciale che non dimostra il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d) e che si trova in stato di crisi o di insolvenza»[28].
Tale disposizione è generalmente interpretata come riferita alle imprese commerciali “non minori” e anche a quelle di grandi dimensioni (sottoponibili ad amministrazione straordinaria), escludendo quindi le cosiddette imprese minori e quelle agricole, entrambe escluse dall’accesso al P.R.O. e destinatari, invece, di strumenti alternativi quali il piano ex art. 56 CCII o gli accordi di ristrutturazione[29]. L’elemento dimensionale costituisce un criterio di selezione funzionale, non meramente formale, a garantire la coerenza con il meccanismo di conversione verso il concordato preventivo, previsto dal legislatore (sulla conversione infra, par. ).
La norma fa riferimento a un onere probatorio a carico dell’imprenditore che dovrebbe, appunto, «dimostrare il possesso congiunto «dei requisiti che configurano la sua attività come impresa minore. Come è stato segnalato, però, tale onere a carico del debitore si registra soltanto quando egli sia soggetto passivo di una domanda di liquidazione giudiziale[30].
Dobbiamo allora intendere che per utilizzare lo strumento l’imprenditore deve dimostrare la sua assoggettabilità alla liquidazione giudiziale sia per natura (commerciale) che per dimensioni (non «sotto soglia» con riferimento ai parametri rilevanti).
La norma contempla, inoltre, l’accesso da parte di gruppi di imprese, richiamando gli artt. 284-bis e 64-bis in combinato disposto con gli artt. 284, 285 e 286 CCII, che disciplinano la responsabilità solidale dei soggetti appartenenti al gruppo e le specificità dei procedimenti coordinati[31]. Tale previsione consente di armonizzare l’accesso al P.R.O. con la disciplina dei gruppi, assicurando che anche le controllate o collegate possano beneficiare delle medesime modalità di ristrutturazione.
Dal confronto con altri strumenti negoziali della crisi emerge che il P.R.O., sia sul piano soggettivo sia su quello oggettivo, si allinea al concordato preventivo, mentre accordi di ristrutturazione e piani attestati ex art. 56 presentano uno spettro di applicazione più ampio, includendo imprese minori o agricole[32]. Questa selettività, apparentemente restrittiva, è giustificata dalla necessità di garantire la “passerella” tra P.R.O. e concordato preventivo, operazione riservata solo a soggetti compatibili con la disciplina del concordato, e riflette la coerenza sistemica e la compatibilità con l’architettura complessiva della normativa concorsuale e para-concorsuale.
Oltre al presupposto soggettivo, il P.R.O. richiede la verifica di uno stato di crisi o insolvenza dell’impresa. La norma rinvia implicitamente all’art. 2 CCII, secondo cui la crisi è la situazione in cui l’imprenditore non è più in grado di assicurare la continuità aziendale, mentre l’insolvenza si configura quando il debitore non può far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. La verifica dello stato di crisi o insolvenza si fonda su indicatori patrimoniali, finanziari e gestionali: squilibri significativi, perdite ricorrenti, ritardi sistematici nei pagamenti e difficoltà di reperire nuovi finanziamenti.
Il legislatore bilancia così due esigenze: da un lato, consentire l’accesso anticipato a uno strumento preventivo compatibile con la continuità aziendale; dall’altro, evitare l’uso improprio del P.R.O. in assenza di reale rischio di insolvenza.
L’accertamento spetta inizialmente all’imprenditore nella predisposizione del piano, mentre il commissario giudiziale e il tribunale verificano la correttezza della valutazione e la sussistenza dei requisiti rispettivamente il primo nella relazione particolareggiata sulle cause della crisi (art. 105) e il secondo in sede di ammissione.
Diversamente dagli accordi di ristrutturazione o dai piani ex art. 56, il P.R.O. richiede una crisi già manifestata: non è uno strumento di pianificazione preventiva, ma una procedura vincolante per modulare il soddisfacimento dei creditori e consentire la continuità aziendale. Il presupposto oggettivo si integra funzionalmente con quello soggettivo: solo un’impresa commerciale “non minore” o di rilevanti dimensioni, già in crisi o insolvente, può attivare il P.R.O., con possibilità di conversione in concordato preventivo.
7. La domanda
La denominazione dell’istituto non deve indurre in equivoco: il debitore è onerato di presentare una domanda articolata in forma di ricorso, nella quale espone una proposta ai creditori basata su un piano. In altre parole, l’accesso al P.R.O. è vincolato a un atto processuale con contenuto programmatorio e operativo.
Pertanto, l’imprenditore commerciale che superi i requisiti dell’impresa minore e che si trovi in stato di crisi o insolvenza può accedere al P.R.O., attraverso una domanda veicolata tramite ricorso ex art. 40 CCII, che apre il procedimento unitario di accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza (ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 46).
Il procedimento prende avvio con il deposito del ricorso, che deve, ai sensi dell’art. 40, comma 2, contenere:
1. l’indicazione dell’ufficio giudiziario, dell’oggetto, delle ragioni della domanda e delle conclusioni;
2. la sottoscrizione del difensore munito di procura.
Per le società, la domanda deve essere approvata e sottoscritta secondo le modalità previste dall’art. 120-bis CCII.
È il tribunale in composizione collegiale l’organo competente a conoscere della domanda. L’art. 27, comma 2, CCII individua quale foro territorialmente competente quello nel cui circondario si trova il centro degli interessi principali (COMI) dell’imprenditore.
La presentazione della domanda produce una serie di effetti immediati, espressamente richiamati dall’art. 64-bis, comma 9. In primo luogo, applicandosi l’art. 89 CCII, si produce l’automatica sospensione degli effetti che il codice civile collega alla riduzione o alla perdita del capitale sociale.
In secondo luogo, la domanda può contenere la richiesta – formulata dal debitore ai sensi dell’art. 54, comma 2 – di misure protettive (sulle quali amplius infra): la loro efficacia, tuttavia, necessita della successiva conferma del tribunale in composizione monocratica.
La domanda è trasmessa al pubblico ministero e comunicata dal cancelliere al registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito, con iscrizione eseguita entro il giorno successivo. Se la domanda contiene la richiesta di misure protettive, il conservatore del registro delle imprese ne fa espressa menzione al momento dell’iscrizione.
Alla domanda devono essere allegati proposta, piano, documentazione prevista dall’art. 39, commi 1 e 2 CCII (richiamato dall’art. 64-bis, comma 2) e la relazione di un professionista indipendente che attesti la fattibilità del piano sulla base della veridicità dei dati aziendali (sulla relazione attestativa amplius infra).
La domanda deve riportare alcune indicazioni di particolare rilievo visto che il P.R.O. è strutturato sul voto unanime delle classi. Così l’art. 87, comma 1, lett. i) e n) richiede che siano puntualmente indicate le parti interessate dal piano e quelle non interessate, con la descrizione dei motivi che giustificano l’esclusione. L’art. 87, comma 1, lett. m), impone, inoltre, di specificare i criteri di formazione delle classi, il valore dei crediti inclusi e gli interessi sottesi a ciascuna classe. Queste informazioni sono decisive, poiché un’errata o arbitraria delimitazione delle classi potrebbe compromettere la possibilità di raggiungere l’unanimità necessaria all’approvazione.
Ulteriore qualificante indicazione è quella relativa al principio del “creditor no worse off”, ossia il debitore deve indicare le ragioni per cui la proposta è preferibile aòlla liquidazione giudiziale. Tale principio, espressione della direttiva Insolvency e già recepito in via generale nel Codice, trova un riscontro puntuale nell’art. 87, comma 1, lett. c), così come modificato dal decreto correttivo.
La norma impone che il piano indichi il valore di liquidazione del
patrimonio alla data della domanda, comprensivo del maggior valore realizzabile
da una cessione in esercizio dell’azienda e delle prospettive di realizzo delle
azioni giudiziali esperibili, al netto delle spese. In tal modo, il tribunale
può comparare la convenienza del piano con quella della liquidazione
giudiziale, assicurando una tutela sostanziale dei creditori.
7.1.Le misure protettive
Il deposito della domanda consente di richiedere sia le misure protettive che le misure cautelari. Quanto a queste ultime, l’art. 54, comma 1, chiarisce espressamente che il tribunale, in pendenza del procedimento per l'accesso agli strumenti di regolamentazione della crisi e dell'insolvenza, può emettere provvedimenti cautelari, specificando che i provvedimenti possono includere, tra l’altro, la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, purché risultino – secondo le circostanze – i più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di omologazione dello strumento di composizione della crisi o dell’insolvenza[33].
Quanto alle misure protettive, l’art. 54, comma 2, stabilisce che, nei casi in cui sia stata proposta domanda ex art. 40 CCII, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio e sui beni e diritti con i quali si esercita l’attività di impresa.
Contestualmente, dalla medesima data restano sospese le prescrizioni e non maturano decadenze; inoltre, non può essere pronunciata la sentenza dichiarativa di insolvenza o di apertura della liquidazione giudiziale. Inoltre, ulteriori misure temporanee possono essere richieste dal debitore con successiva istanza, al fine di evitare che determinate azioni di uno o più creditori pregiudichino, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte (art. 54, comma 2, terzo periodo).
Il decreto correttivo ha puntualizzato che tali misure aggiuntive possono essere richieste solo dopo il deposito della proposta e del piano, oltre che della documentazione ex art. 39 CCII, escludendo quindi la possibilità di attivarle in caso di domanda con riserva priva di contenuti.
Ai sensi dell’art. 54, comma 4, l’imprenditore può chiedere misure protettive già prima della presentazione della domanda di apertura del P.R.O. Tale possibilità è stata riformulata dal decreto correttivo, precisando che la domanda preventiva può avere ad oggetto solo le misure di cui al primo e secondo periodo del comma 2 (quelle “automatiche” a seguito della domanda di apertura). In questa ipotesi, la domanda può essere presentata esclusivamente ai sensi degli artt. 17 e 18 CCII, cioè nell’ambito della composizione negoziata, e sempre che ne ricorrano le condizioni. Le misure protettive sono così collocate in continuità tra composizione negoziata e P.R.O., a presidio della possibilità di trasformare la fase negoziale in procedimentale.
Il raffronto tra art. 54 e art. 18 rivela una differenza significativa: l’art. 54 non contempla il divieto di acquisire diritti di prelazione senza consenso dell’imprenditore, divieto che invece l’art. 18, comma 1, espressamente prevede.
Ciò dipende dal fatto che l’art. 54 presuppone la già avvenuta presentazione della domanda di apertura, cui consegue, ex art. 64-bis, comma 2, e art. 46, comma 5, l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori e il divieto di acquisire diritti di prelazione con efficacia erga omnes senza autorizzazione del tribunale. Ne deriva che, pur nella diversità letterale, la ratio del divieto di nuove prelazioni permane anche nell’ambito del P.R.O., benché attraverso rinvii normativi diversi.
L’art. 54, comma 4, consente inoltre la richiesta di misure protettive anche nell’ambito della domanda con riserva ex art. 44, comma 1 CCII. Anche in questo caso, il combinato disposto dell’art. 64-bis, comma 2, e dell’art. 46, comma 5, produce il divieto di nuove prelazioni e l’inefficacia delle ipoteche giudiziali anteriori.
7.2.La domanda “con riserva”
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione può essere presentato anche nelle forme della domanda “con riserva”, secondo quanto stabilito dall’art. 64-bis, comma 2, in combinato disposto con l’art. 44 CCII. Quest’ultimo, come novellato dal d.lgs. correttivo 136/2024, disciplina in maniera puntuale la scansione procedimentale, attribuendo al tribunale il compito di fissare un termine, compreso tra trenta e sessanta giorni, entro il quale il debitore è tenuto a depositare la proposta di omologazione del piano, unitamente alla documentazione prevista dall’art. 39, commi 1 e 2. Tale termine può essere prorogato, fino a ulteriori sessanta giorni, solo in presenza di giustificati motivi, che devono risultare comprovati dalla predisposizione di un progetto di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Dalla data di deposito della domanda e sino alla scadenza del termine concesso, si producono gli effetti di cui all’art. 46, cioè la sospensione delle azioni esecutive e cautelari individuali, con l’ulteriore effetto che gli atti di straordinaria amministrazione restano soggetti al regime autorizzatorio del tribunale, pena la loro inefficacia.
L’art. 44, comma 1-quater, introduce tuttavia un’importante possibilità: il debitore, qualora abbia predisposto un progetto di regolazione conforme al P.R.O., può domandare di giovarsi del regime più favorevole previsto per questo strumento, che consente di compiere senza autorizzazione anche gli atti di straordinaria amministrazione, salva la vigilanza del commissario giudiziale. Si tratta però di una facoltà subordinata a un’apposita autorizzazione del tribunale, poiché la norma utilizza la formula “può chiedere di giovarsi”, escludendo quindi qualsiasi automatismo.
Il tribunale, con il provvedimento che concede il termine, nomina contestualmente il commissario giudiziale, attribuendogli funzioni di vigilanza accentuate rispetto alla fase ordinaria (sul commissario giudiziale, amplius infra)
La disciplina contempla, poi, un meccanismo di revoca del termine, che può essere attivato su segnalazione del commissario, di un creditore o del pubblico ministero, e che è preceduto dal contraddittorio con il debitore e con gli eventuali creditori istanti per la liquidazione giudiziale.
Le ipotesi tipiche di revoca riguardano la scoperta di atti in frode non dichiarati, la grave violazione degli obblighi informativi, il mancato versamento della somma necessaria per le spese della procedura o condotte del debitore che rendano improbabile una soluzione efficace della crisi.
Il regime della domanda con riserva nel P.R.O. deve inoltre essere coordinato con il disposto dell’art. 64-bis, comma 6, che richiama le regole del concordato preventivo in materia di atti di straordinaria amministrazione (su cui infra).
In conclusione, la disciplina attuale del P.R.O. con riserva appare caratterizzata da un equilibrio delicato: da un lato, assicura al debitore un’immediata protezione dagli assalti dei creditori; dall’altro, rafforza i meccanismi di vigilanza e controllo, così da prevenire condotte abusive e garantire che l’accesso anticipato agli effetti protettivi non si traduca in un pregiudizio per il ceto creditorio.
Il legislatore, attraverso questa impostazione, sembra aver inteso contemperare l’esigenza di tempestività dell’intervento con la necessità di evitare che la domanda con riserva si traduca in uno strumento dilatorio, privo di effettiva capacità regolatoria.
Dalla presentazione della domanda unitamente a proposta, piano e documentazione ex art. 39, comma 3, si applicano le disposizioni degli articoli 145 e da 154 a 162 CCII (art. 64-bis, comma 9, ultimo periodo, introdotto dall’art. 17, comma 1, lett. d) D.Lgs. 136/2024), relative a formalità non opponibili ai creditori se eseguite dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, nonché a crediti pecuniari e non, compensazione, crediti infruttiferi, obbligazioni e titoli debitori, rendite perpetue e vitalizie, obbligazioni solidali (anche parziali), coobbligazioni e fideiussioni con diritto di garanzia.
7.3. La
domanda come atto strategico di regolazione
della crisi
La domanda di accesso al P.R.O. costituisce il primo momento sostanziale e procedurale della procedura e va considerata non solo come adempimento formale, ma come vero e proprio atto strategico di regolazione della crisi.
La struttura della domanda non ha soltanto valenza processuale in quanto introduce lo strumento attraverso il quale il debitore definisce il perimetro delle trattative con i creditori, esponendo l’offerta di ristrutturazione e predisponendo i presupposti per la valutazione del tribunale e del commissario.
L’accesso al P.R.O. si fonda su un duplice equilibrio:
1. Selettività dei presupposti: solo imprese commerciali “non minori” o di rilevanti dimensioni, già in stato di crisi o insolvenza, possono accedervi. Questo filtro consente di indirizzare lo strumento verso realtà che necessitano di ristrutturazioni complesse e evita che imprese minori o agricole ricorrano a un meccanismo pensato per trattamenti differenziati delle classi di creditori e per la possibilità di conversione in concordato preventivo.
2. Bilanciamento tra libertà negoziale e controllo giudiziale: il debitore dispone della possibilità di strutturare la proposta e il piano secondo criteri di efficacia economica e continuità aziendale, ma la procedura prevede un presidio attivo del tribunale e del commissario giudiziale (su questo tema infra)[34].
Dal punto di vista sistemico, la concorsualità liquida (supra richiamata) si manifesta nella possibilità, offerta al debitore, di modulare i trattamenti dei creditori in funzione del piano, superando parzialmente le rigidità della concorsualità tradizionale, quali l’universalità del patrimonio e la par condicio creditorum. La flessibilità della procedura si combina con presidi giudiziali mirati: la verifica dei presupposti, la nomina del commissario e il controllo periodico sulle informazioni e sulla gestione finanziaria dell’impresa costituiscono meccanismi di contenimento del rischio di abuso, senza imporre la rigidità della liquidazione giudiziale.
La relazione attestativa del professionista indipendente, prevista dall’art. 64-bis richiamando l’art. 87 CCII, rappresenta un ulteriore elemento di semplificazione mirata: l’oggetto della relazione è limitato a verificare la veridicità dei dati aziendali e la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale, senza entrare nel merito della sostenibilità in continuità, che resta implicitamente affidata al consenso delle classi di creditori. Questo approccio rafforza il carattere negoziale e condiviso del P.R.O., conferendo efficacia alla procedura attraverso il voto favorevole delle classi, piuttosto che attraverso una valutazione preventiva rigidamente tecnica.
L’integrazione con la normativa europea (Direttiva 2019/1023, artt. 9-11) è evidente: il legislatore italiano recepisce la ratio unionale sui quadri ristrutturazione precoce e partecipativa, prevedendo meccanismi di coinvolgimento dei creditori e di gestione dei dissensi tra classi, pur senza adottare il cross-class cram down. In tal senso, la domanda di accesso al P.R.O. diventa lo strumento attraverso il quale il debitore costruisce il terreno negoziale condiviso, compatibile con la tutela delle parti interessate e la continuità aziendale.
In sintesi, la domanda di accesso al P.R.O. non è un semplice atto “amministrativo”, ma un vero e proprio momento di coordinamentotra diritto sostanziale, organizzazione della procedura e tutela dei creditori.
La selettività dei presupposti, la strutturazione della proposta e del piano, il ruolo attivo del commissario e il collegamento con i principi della concorsualità liquida convergono a definire un modello ibrido: formalmente procedura concorsuale, ma sostanzialmente negoziale, flessibile e calibrata sulla reale necessità di intervento per preservare la continuità e il valore dell’impresa.
8. LE VERIFICHE
8.1. L’attestazione
Riguardo all’attestazione che dovrà accompagnare la domanda di omologazione, l’art. 64-bis, comma 3 stabilisce che «un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano».
A differenza di quanto previsto dall’art. 87 comma 3 in caso di concordato preventivo, l’art. 64-bis, comma 3 non prevede espressamente che il professionista indipendente si esprima anche sulla convenienza della proposta di P.R.O. , certificando che la stessa assicuri ai creditori un trattamento non inferiore a quello che gli stessi riceverebbero in caso di apertura della liquidazione giudiziale.
Attenendosi quindi al dato letterale sembrerebbe doversi concludere nel senso di escludere, dall’ambito del P.R.O. , una “valutazione terza” in tema di convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Cionondimeno, una attestazione che formuli considerazioni anche in tema di convenienza della proposta rispetto allo scenario alternativo liquidatorio è, nella prassi, un elemento di indubbia utilità sia per gli organi della procedura (in primis, il tribunale in sede di opposizione all’omologazione; come appresso si dirà), sia, e soprattutto, per i creditori chiamati a votare la proposta presentata dal debitore.
Rispetto ai creditori, difatti, l’espressione del consenso (o del diniego) sulla proposta del debitore passa necessariamente attraverso lo svolgimento di valutazioni circa la convenienza della proposta rispetto allo scenario di liquidazione giudiziale; considerazioni che gli stessi creditori potranno svolgere solo a fronte di informazioni e documenti che il debitore dovrà mettere a disposizione della procedura e che dovranno consentire, a ciascun creditore, di valutare adeguatamente se la proposta assicuri, in concreto, un trattamento migliorativo rispetto a quello prospettabile in caso di apertura di una liquidazione giudiziale.
In tal senso, una relazione del professionista indipendente che incorpori anche una analisi rispetto all’alternativa liquidatoria, seppur non espressamente richiamata dalla disciplina normativa, non potrà che agevolare tali valutazioni da parte dei creditori.
Resta, invece, esclusa dal campo di indagine dell’attestazione nel P.R.O. il degrado dei creditori muniti di privilegio pegno e ipoteca ai sensi dell’art. 84, comma 5, non essendo tale norma richiamata espressamente dall’art. 64-bis, comma 9.
In dottrina[35], il mancato richiamo all’attestazione per il degrado è stato positivamente accolto, dal momento che una contraria previsione potrebbe porsi come una potenziale contrazione della libertà con cui soddisfare i creditori attraverso il valore generato dal piano e, quindi, distonica rispetto ai principi ispiratori dell’istituto.
A rafforzamento della non obbligatorietà dell’attestazione per il degrado è stata rilevata, peraltro, la possibilità per il creditore, sia pur privilegiato, di accettare un trattamento in misura inferiore al valore di liquidazione. Tale manifestazione di volontà rende, così, priva di ogni senso e utilità l’attestazione circa il rispetto del limite alla falcidia, proprio in ragione della natura negoziale del P.R.O. [36].
8.2. La verifica di ritualità del tribunale
A seguito della presentazione del ricorso, il Tribunale, ai sensi dell’art. 64-bis, comma 4 CCII, è chiamato a svolgere una duplice verifica: la “ritualità della proposta” e la correttezza dei criteri di formazione delle classi di creditori.
Per quanto riguarda la ritualità della proposta, il tribunale deve effettuare un controllo di legittimità volto a far emergere eventuali vizi del procedimento, in particolare con riferimento alla competenza per territorio, all’esistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi, ai requisiti formali della domanda e al bagaglio documentale richiesto. Deve altresì verificare il rispetto dei limiti imposti per il contenuto della proposta, inclusi i crediti assistiti da privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c.
Per quanto concerne invece la corretta formazione delle classi, il tribunale verifica che siano rispettati i criteri di omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici e che il trattamento dei creditori sia inderogabilmente paritario all’interno di ciascuna classe[37].
È esclusa, in questa fase, qualsiasi valutazione del tribunale circa la convenienza della proposta per i creditori o la fattibilità del piano, come desumibile dalla lettera dell’art. 64-bis, comma 4, lett. a), e dal mancato richiamo alla previsione dell’art. 47, comma 1, lett. b), fissata per il concordato preventivo in continuità, che richiede, oltre alla ritualità, anche la verifica della non manifesta inidoneità del piano a soddisfare i creditori e a conservare i valori aziendali.
Se le verifiche del tribunale danno esito negativo, viene emanato un decreto con cui la proposta è dichiarata inammissibile, cessando così ogni effetto prodotto dalla domanda. In caso di esito positivo, il tribunale pronuncia il decreto di apertura della procedura, designando il giudice delegato e nominando o confermando il commissario giudiziale, stabilendo inoltre le modalità di svolgimento delle operazioni di voto e la costituzione del fondo per le spese della procedura.
Il decreto di apertura deve essere registrato, a cura del commissario giudiziale, nei pubblici registri, qualora il debitore possieda beni immobili o beni soggetti a registrazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 64-bis, comma 9, e 93 CCII.
Il termine “ritualità”, già presente nell’art. 125 della previgente legge fallimentare, è stato interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come un controllo di pura legittimità, finalizzato a far emergere eventuali vizi procedurali relativi alla sua competenza per territorio[38], all’esistenza dei presupposti (soggettivo ed oggettivo), ai requisiti formali della domanda e al bagaglio documentale richiesto, nonché il rispetto dei limiti posti per il contenuto della proposta (relativi ai crediti assistiti dal privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c.).
Pare, invece, esclusa in questa fase un’indagine del tribunale sulla convenienza della proposta per i creditori e sulla fattibilità del piano[39]. Ciò si desume, da una parte, dalla lettera della disposizione [art. 64-bis, comma 4, lett. a)], che parla di valutazione della ritualità della proposta e, dall’altra, dal mancato richiamo alla norma (art. 47, comma 1, lett. b), fissata per il concordato preventivo in continuità, nel quale è prevista, oltre alla verifica della ritualità, anche quella della non manifesta inidoneità del piano al soddisfacimento dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali.
Si rileva, a titolo comparativo, che nell’ambito del concordato preventivo in continuità l’art. 47, comma 1, lett. b), richiede non solo la ritualità della proposta, ma anche la verifica della non manifesta inidoneità della stessa alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, requisiti assenti nella disciplina del P.R.O.
9. La gestione dell’impresa
9.1. L’assenza di spossessamento e le misure compensative
L’ampia libertà gestionale costituisce uno dei caratteri distintivi del P.R.O.[40]. Nessuna forma anche lieve di spossessamento si riscontra nello strumento in esame[41] nonostante che ciò che l’imprenditore chiede al tribunale non sia, sic et simpliciter, “l’omologazione di un piano” (come ne discorre il comma 1, lett. a) dell’art. 44), bensì l’ammissione a un procedimento che si snoda attraverso successivi passaggi nel mentre la gestione dell’impresa prosegue nelle mani dell’imprenditore.
Prima ancora di scendere all’esame della disciplina specifica, osserviamo che nel l’attuale diritto della crisi l’assenza dello spossessamento non implica però l’assenza di un monitoraggio sull’attività del debitore[42] o, quanto meno, di ricadute che si ricollegano al compimento di attività in contrasto con il programma per il superamento della crisi.
Strumenti di monitoraggio a carico del debitore sono scolpiti negli artt. 3 e 4 CCII e sono calati per un verso nel dovere di una gestione organizzata in adeguati assetti “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”, per un altro nel dovere di un comportamento negoziale di buona fede, corretto (art. 4, comma 1) e trasparente, improntato all’informazione completa e veritiera nonché funzionale alla tutela dei creditori (art. 4, comma 2).
Il CCII assume, infatti, l’informazione quale cardine di un necessario monitoraggio, salvo poi dare indicazioni specifiche nei percorsi per la ristrutturazione dove la prosecuzione dell’impresa costituisce il dato tanto normale quanto delicato per il potenziale pregiudizio agli interessi dei creditori.
Il dovere di rendere le informazioninecessarie sullo stato dell’impresa (ma anche – nonostante il silenzio della norma - del patrimonio) e sui risultati di gestione in progress incombe sull’imprenditore nei confronti sia dei creditori, affinché possano compiere scelte consapevoli, sia dell’interlocutore professionale (autonomamente scelto – come advisor e attestatore - o nominato – come esperto o commissario giudiziale[43]) che sia incaricato di valutazioni e pareri o di presiedere alle negoziazioni o di verificare fattibilità del piano e vigilare sullo svolgimento della procedura.
Un diritto/dovere di stimolare il debitore a rendere un’informazione esauriente incombe, però, anche sui diretti interessati (i creditori) che potranno richiedere al debitore tutte le informazioni che consentano loro un controllo sul piano.
Anche i creditori sono tenuti a rendere le informazioni necessarie per la negoziazione. Oltre al dovere di buona fede e correttezza nell’esecuzione degli accordi (art. 4, comma 1), i creditori incontrano un vincolo di collaborazione leale con il debitore (art. 4, comma 3) durante lo svolgimento delle tappe di soluzione della crisi.
Al debitore, però, è imposto anche un canone gestionale. A tal fine, la norma di cui all’art. 4, comma 2, lett. c) stabilisce che il debitore nel corso dei procedimenti per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza (concordato preventivo, P.R.O. e accordi di ristrutturazione, tutti strumenti che possono essere utilizzati in presenza sia di crisi che d’insolvenza) ha il dovere di gestire il patrimonio e l'impresa nell'interesse prioritario dei creditori.
Nel corso del procedimento instaurato per l’omologazione del P.R.O. – con un repêchage dei presidi gestori coniati per la composizione negoziata[44] - due doveri incombono sull’imprenditore: a) di gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori e b) di informare preventivamente il commissario, per iscritto: 1) del compimento di atti di straordinaria amministrazione e 2) dell’esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto al piano di ristrutturazione.
Nel P.R.O., pur nella libertà gestionale dell’imprenditore anche rispetto agli atti di straordinaria amministrazione[45], è presente un monitoraggio sull’attività che prosegue che, a differenza di quello rafforzato da un sistema autorizzatorio che rinveniamo nel concordato preventivo, si caratterizza per un flusso informativo tra il debitore e l’organo di nomina giudiziaria che vaglia le comunicazioni, interagisce con il gestore e, se del caso, censura determinando conseguenze interruttive dello strumento.
Questi obblighi costituiscono il fulcro del sistema di monitoraggio e garantiscono che, pur nell’ampia libertà gestionale riconosciuta all’imprenditore, le operazioni “straordinarie” siano compatibili con gli obiettivi del P.R.O. In questo quadro si inserisce l’attività del commissario giudiziale.
9.1.1. La sfaccettata funzione del commissario giudiziale
Nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione il commissario giudiziale costituisce l’organo centrale, svolgendo funzioni di vigilanza, supporto e garanzia della trasparenza nell’intero iter di risanamento.
La sua nomina è disposta dal tribunale mediante decreto, emesso a seguito della valutazione della “ritualità della proposta” e della verifica della “correttezza dei criteri di formazione delle classi”.
La nomina, però, può già avvenire qualora l’imprenditore presenti una domanda con riserva. In tal caso, il tribunale, nel decreto di fissazione del termine, nomina il commissario giudiziale disponendo che questi riferisca immediatamente su qualsiasi atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda o su qualsiasi circostanza o condotta del debitore suscettibile di pregiudicare una soluzione efficace della crisi.
I poteri attribuiti al commissario giudiziale comprendono, ai sensi dell’art. 49, comma 3, lett. f), l’accesso a banche dati sensibili quali l’anagrafe tributaria e l’archivio dei rapporti finanziari, nonché la possibilità di acquisire atti assoggettati a imposta di registro e di estrarne copia. Inoltre, il commissario può ottenere: 1) l’elenco dei clienti e dei fornitori contenuti nelle trasmissioni telematiche previste dal d.lgs. 127/2015; 2) la documentazione contabile in possesso delle banche e di altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti; 3) le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l’impresa debitrice.
Già nella fase prenotativa, tali poteri consentono al commissario di concentrare la propria attenzione sia sul passato – rilevando atti in frode non dichiarati – sia sul presente – monitorando circostanze o condotte del debitore e l’adempimento degli obblighi informativi periodici – con un rafforzamento ulteriore nella fase piena del procedimento[46].
L’art. 64-bis, comma 9, rinvia, in quanto compatibile, all’articolo 92 CCII, che attribuisce al commissario giudiziale funzioni generali di vigilanza, informazione[47], segnalazione e collaborazione[48].
Quest’ultimo aspetto, quello collaborativo, si concretizza in modo particolarmente rilevante nella fase di redazione del piano, quando il commissario coadiuva debitore e creditori, facilitando il flusso informativo e il dialogo tra le parti.
Tale intervento, che può risultare determinato dall’emersione di difficili contrapposizioni di interessi, apre un momento, tipicamente riservato al debitore, alla condivisione e al confronto con gli altri soggetti coinvolti nella procedura. Questa previsione (di cui all’art. 92) di eventuale collaborazione del commissario con le parti non pare essere incompatibile con il P.R.O. dove possono sorgere – come nel concordato preventivo in continuità - esigenze che inducano le parti a richiederla[49].
Il compito collaborativo del commissario - in armonia a quanto previsto dalla Direttiva Insolvency [50]- si configura come limitato e temporalmente circoscritto: è previsto principalmente nelle procedure in continuità [51], in conformità all’articolo 44, e può essere attivato su richiesta o in caso di concessione delle misure protettive di cui all’articolo 54, comma 2, relativamente alla negoziazione del piano. In tale contesto, il commissario può formulare suggerimenti per la redazione del piano, decidendo autonomamente come, quando e fino a che punto intervenire (art. 92, comma 3). Questa presenza funge da facilitatore (indicata dallo stesso tenore dell’art. 92) e consente di evitare la dispersione del tempo di trattative protette, garantendo un controllo ravvicinato sull’avanzamento della redazione del piano e assicurando l’effettività dei poteri di vigilanza che l’organo esercita nella fase prenotativa.
La partecipazione del commissario può estendersi anche a proposte concrete di soluzioni operative, sempre con finalità di mediazione tra le parti. Sebbene il termine “suggerimenti” attenui l’impatto dell’intervento, esso rappresenta un’espansione significativa del ruolo dell’organo, giustificata dalla necessità di predisporre supporti al debitore per la continuità aziendale e con implicazioni rilevanti per creditori e altri soggetti coinvolti. Una forma analoga di collaborazione si applica anche in caso di modifiche al piano o alla proposta, consentendo al commissario di intervenire autonomamente quando ravvisi l’esigenza di facilitare la negoziazione tra le parti.
Parallelamente, la funzione del commissario include attività istituzionalmente proprie, tra cui la verifica della correttezza e completezza delle informazioni fornite dal debitore, con particolare riguardo alla situazione economico-finanziaria e alle cause della crisi, nonché il controllo degli atti di straordinaria amministrazione e la vigilanza sull’adempimento degli obblighi informativi periodici.
La redazione dell’inventario, non incompatibile con l’assenza dello spossessamento[52], costituisce parte integrante di questo controllo, in quanto strumento per accertare la consistenza del patrimonio e l’assenza di atti in frode dei creditori.
Inoltre, il commissario deve predisporre una relazione dettagliata sulle cause del dissesto, da depositare telematicamente almeno quarantacinque giorni prima della data iniziale fissata per il voto dei creditori e da trasmettere al pubblico ministero. La relazione illustra lo stato di crisi o insolvenza dell’impresa, la condotta del debitore, le proposte di concordato e le garanzie offerte, evidenziando, se del caso, l’utilità delle azioni risarcitorie, revocatorie o recuperatorie in caso di liquidazione giudiziale.
La relazione potrà essere aggiornata in caso di nuove informazioni o proposte concorrenti, così da consentire al tribunale e ai creditori di valutare il rispetto del principio di “non deteriorità” rispetto all’alternativa liquidatoria.
Infine, tutti gli adempimenti previsti dall’articolo 105, commi 3, 4 e 5, ricadono anche sul commissario del P.R.O., confermando il duplice ruolo di vigilanza e collaborazione. La partecipazione del commissario alla negoziazione, oltre a favorire il dialogo tra debitore e creditori, garantisce l’effettività del controllo sulla gestione dell’impresa e il rispetto degli obblighi informativi periodici, assicurando così la corretta conduzione della procedura.
Spetta, inoltre, al commissario giudiziale (punto b) il monitoraggio sugli atti di straordinaria amministrazione e la vigilanza sull’adempimento degli obblighi informativi periodici da parte del debitore.
Questo duplice ruolo – di supporto alla negoziazione e di tutela della legalità – consente di prevenire abusi, garantire trasparenza e favorire l’adozione di un piano realistico e fattibile, senza interferire indebitamente nella gestione dell’impresa, che resta in capo all’imprenditore, mantenendo l’equidistanza rispetto alle parti.
Il rapporto tra il debitore e il commissario è chiarito dal comma 5 dell’art. 64-bis CCII, secondo cui dalla data di presentazione della domanda fino all’omologazione l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, orientata al prevalente interesse dei creditori, sotto il controllo del commissario secondo quanto previsto dal comma 6. Così, il commissario svolge una funzione di tutela preventiva e correttiva, garantendo legalità, trasparenza e fattibilità del piano, pur preservando la flessibilità gestionale che costituisce uno dei tratti distintivi del P.R.O. e assicurando che le decisioni del debitore siano orientate al prevalente interesse dei creditori.
9.2. Il meccanismo compensativo sugli atti di straordinaria amministrazione
In tale contesto, il debitore deve comunicare preventivamente al commissario gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti non coerenti con il piano. Se il commissario ritiene tali atti pregiudizievoli per i creditori o incompatibili con il piano, può inoltrare una segnalazione al debitore e all’organo di controllo, se presente. Qualora l’atto venga comunque compiuto, il commissario informa il tribunale “ai fini dell’art. 106” [53].
Il riferimento all’art. 106, rubricato “Atti in frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura”, va interpretato alla luce del contesto: esso concerne atti che generano pregiudizio per i creditori disattendendo l’avviso del commissario. In tale prospettiva, il richiamo riguarda prevalentemente il primo comma, secondo cui il tribunale, a seguito della segnalazione, decide secondo l’articolo 44, secondo comma, con decreto non soggetto a reclamo, sentito il debitore e i creditori richiedenti la liquidazione giudiziale [54].
9.2.1. Gli atti non “legalmente compiuti”
9.2.1.1. L’esenzione da revocatoria
Applicato al P.R.O., l’art. 106 comporta l’annullamento del decreto di avvio della procedura di omologazione previsto dall’art. 64-bis, quarto comma, e l’apertura della liquidazione giudiziale in presenza di istanze, senza tuttavia incidere sulla validità degli atti già compiuti dal debitore.
Infatti, nel P.R.O. l’imprenditore non è spossessato, e gli atti realizzati in dispregio del dissenso del conservano validità ed opponibilità̀nei confronti dei terzi, siano essi pagamenti – compresi quelli per crediti anteriori – o atti costitutivi di prelazioni di carattere «preferenziale» (il richiamo del principio dettato dall’art. 46, comma 5, interdice la costituzione di ipoteche «giudiziali»,non già di ipoteche volontarie ovvero di altre garanzie condivise dall’imprenditore).
Il dissenso può però determinare conseguenze sulla procedura, come l’interruzione con possibile apertura della liquidazione, o sull’efficacia di specifici strumenti di protezione, quali la revocatoria e la prededuzione.
In questa logica, il legislatore ha previsto, all’art. 166, comma 3, lett. e), l’esenzione dalla revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere per l’esecuzione del piano, a condizione che siano indicati nel piano stesso.
Diversamente, non rientrano tra le esenzioni gli atti, i pagamenti e le garanzie legittimamente effettuati dal debitore successivamente al deposito della richiesta di accesso al P.R.O. , in quanto il commissario giudiziale non può, anche se in disaccordo, impedire il compimento dell'atto.
9.2.1.2. La prededuzione
L’altro supporto sul quale può ripercuotersi il compimento di atti compiuti in dispregio del dissenso del commissario, è quello della prededuzione.
Un elemento centrale nel P.R.O. riguarda la prededucibilità dei crediti sorti in occasione di atti compiuti dall’imprenditore durante il procedimento.
Per effetto del rinvio all’art. 46, comma 4, contenuto nel medesimo art. 64-bis, comma 2, – creando, così, un incentivo per chi «sostiene» l’operazione – i crediti di terzi, sorti sulla base di atti legalmente compiuti (id est quando sono stati condivisi dal commissario giudiziale) saranno assistiti dalla prededuzione sia durante la procedura – per cui saranno soddisfatti alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto (art. 98, reso applicabile dall’art. 64-bis, comma 9)– sia nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali.
Tale richiamo amplia la platea dei crediti prededucibili, includendo tutti quelli derivanti da atti legalmente compiuti, comprese le operazioni di gestione straordinaria.
L’articolo 46, quarto comma, fa riferimento agli atti compiuti “legalmente”, richiamando così il principio già delineato dall’articolo 6, primo comma, lettera a) del Codice, secondo cui i crediti sorti successivamente alla domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi sono prededucibili se riferiti alla gestione del patrimonio del debitore e alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale.
Il secondo comma dell’articolo 6 precisa che la prededucibilità permane anche in presenza di procedure concorsuali successive, secondo quanto modificato dal d.lgs. 136/2024.
Sebbene tale richiamo possa generare incertezza nel P.R.O., che deroga alle regole ordinarie del concorso, una lettura sistematica suggerisce che la prededucibilità sia pienamente operativa durante il P.R.O. e possa estendersi a procedure successive basate sul concorso, ad esempio nel caso di conversione in concordato preventivo o di apertura della liquidazione giudiziale.
Va chiarito che la prededuzione non tutela il debitore da responsabilità per atti compiuti: la sua funzione è garantire ai creditori una priorità di soddisfacimento dei propri crediti, conferendo certezza e prevedibilità agli interventi necessari alla prosecuzione dell’attività o alla gestione del patrimonio durante il procedimento di ristrutturazione. In tal senso, rappresenta uno strumento di tutela degli interessi dei creditori e dell’efficacia del programma.
Particolare attenzione meritano gli atti compiuti dal debitore in violazione degli obblighi di comunicazione o in presenza del dissenso del commissario. Pur rimanendo formalmente validi, in quanto l’ordinamento non limita la capacità gestionale dell’imprenditore, tali atti non possono essere considerati “legalmente compiuti”, poiché non rispettano il modello procedurale fissato dalla legge.
Ne consegue che non possono beneficiare della prededuzione, in quanto manca la dimostrabilità della loro utilità per la massa dei creditori. In questa prospettiva, la prededuzione non rappresenta un privilegio del debitore, ma uno strumento che lega la protezione del patrimonio alla correttezza procedurale e all’effettiva utilità degli atti per i creditori, rafforzando la sicurezza e la credibilità del P.R.O.[55].
9.2.1.3. I finanziamenti
Il rinvio operato dal nono comma dell’art. 64-bis agli artt. 99, 101 e 102 CCII determina l’applicazione, anche nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, della disciplina relativa ai finanziamenti temporanei, ai finanziamenti destinati alla presentazione della domanda di omologazione e ai finanziamenti occorrenti per l’attuazione del programma, anche se provenienti dai soci, con conseguente riconoscimento della prededucibilità nei limiti e alle condizioni stabilite dalle disposizioni richiamate.
La tecnica del rinvio consente di cogliere la precisa opzione sistematica del legislatore: il P.R.O., pur non essendo propriamente procedimento concorsuale, viene nondimeno attratto nel perimetro delle regole che presiedono all’immissione di nuova finanza, sicché l’accesso al beneficio della prededuzione risulta subordinato all’autorizzazione del tribunale, che opera come condizione necessaria per assicurare che l’operazione finanziaria risponda ad esigenze funzionali e non si traduca in uno strumento di alterazione della par condicio.
L’assenza di autorizzazione non incide sulla validità né sull’efficacia negoziale dei contratti stipulati dal debitore – il quale conserva la pienezza dei poteri di gestione – ma determina unicamente l’esclusione dal regime di prededuzione, secondo una logica di bilanciamento che, da un lato, non paralizza la fisiologia dell’attività imprenditoriale e, dall’altro, esclude che possano riconoscersi vantaggi processuali in difetto di un vaglio giudiziale.
9.2.1.4. Il pagamento di debiti anteriori
Nello stesso ordine di idee si spiega la mancata inclusione, tra le norme richiamate, dell’art. 100 CCII in materia di pagamenti dei debiti pregressi: la sua esclusione discende dalla differenza strutturale tra concordato preventivo e P.R.O., giacché nel primo vige un generale divieto di pagamenti anteriori funzionale alla cristallizzazione della massa passiva, mentre nel secondo la persistente solvibilità dell’imprenditore e la conservazione della sua autonomia gestionale rendono tali pagamenti compatibili con l’assetto normativo, pur sempre nei limiti del controllo del commissario giudiziale. In tale prospettiva, il rinvio all’art. 94-bis in tema di clausole ipso facto si colloca come presidio di equilibrio sistematico: esso, infatti, consente al debitore di eseguire pagamenti anteriori quando coerenti con il piano, ma al tempo stesso impedisce ai creditori di esigerli coattivamente, con ciò preservando l’assetto di controllo e la funzionalità del procedimento.
9.2.1.5. Il riconoscimento dei diritti di prelazione
Completa il quadro il richiamo all’art. 46, quinto comma, che, mediante il rinvio al primo comma della stessa disposizione, estende al P.R.O. la regola per cui il riconoscimento di nuovi diritti di prelazione in favore dei creditori è subordinato all’autorizzazione giudiziale. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti – salvo che il tribunale o il giudice delegato abbiano concesso l’autorizzazione - e le ipoteche giudiziali, iscritte nei novanta giorni che precedono la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori (sulla base del combinato disposto degli artt. 64-bis, comma 2, e 46, comma 5).
La scansione delle competenze, attribuite al tribunale prima della pronuncia di apertura e al giudice delegato successivamente, mostra la volontà del legislatore di replicare il sistema di vigilanza già previsto per il concordato preventivo, pur senza snaturare la non concorsualità del procedimento.
In questa cornice si inserisce la disciplina dell’art. 106, secondo comma, che sanziona con l’inopponibilità gli atti privi di autorizzazione, riaffermando che, pur nella pienezza dei poteri del debitore, il riconoscimento di effetti protettivi e processuali richiede il necessario innesto del controllo giudiziale, quale strumento di garanzia per l’interesse collettivo dei creditori.
In sintesi, il P.R.O. configura un equilibrio sofisticato tra libertà gestionale e controllo mirato: l’imprenditore continua a gestire l’impresa, anche nelle operazioni straordinarie, ma sotto la supervisione del commissario giudiziale e in funzione della tutela dei creditori. La disciplina assicura flussi informativi costanti, verifica della coerenza delle operazioni con il piano e protezione degli interessi delle parti coinvolte, consentendo al contempo di contemperare la continuità aziendale con eventuali operazioni di liquidazione parziale di cespiti non strategici, nel quadro di un sistema concorsuale flessibile e coordinato.
9.3.I contratti in corso di esecuzione
Un ulteriore profilo di rilievo riguarda la disciplina dei contratti pendenti, ambito nel quale il legislatore ha inteso predisporre un regime coerente con la finalità di continuità che connota il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. In tale prospettiva, la presentazione della domanda non può di per sé costituire causa di scioglimento o di alterazione unilaterale del sinallagma contrattuale: i creditori non sono legittimati a rifiutare l’adempimento delle obbligazioni ancora in corso, né a provocare la risoluzione del rapporto, né tantomeno ad anticiparne la scadenza o modificarne le condizioni in danno del debitore.
Si tratta di una regola che si inscrive in un più generale favor per la conservazione dei rapporti in corso di esecuzione, volto ad evitare che il solo avvio del procedimento determini una disgregazione del tessuto contrattuale indispensabile al funzionamento dell’impresa e, in ultima analisi, al successo della ristrutturazione.
Tale logica di protezione viene ulteriormente rafforzata quando si tratta dei contratti essenziali, vale a dire di quei rapporti la cui interruzione comprometterebbe la stessa possibilità di prosecuzione dell’attività imprenditoriale. In questo caso, l’art. 64-bis richiama l’art. 94-bis, che vieta al contraente in bonis di rifiutare l’esecuzione o di alterare le condizioni contrattuali per il solo fatto del mancato pagamento di crediti sorti anteriormente al deposito della domanda di accesso.
La disciplina, dunque, opera un bilanciamento delicato: da un lato preserva la stabilità dei rapporti contrattuali essenziali per la continuità, dall’altro non priva il creditore della possibilità di reagire a veri e propri inadempimenti sostanziali successivi, che restano disciplinati dal diritto comune.
Il sistema si inserisce nel quadro più ampio di tutele contro le cosiddette clausole ipso facto, cioè quelle previsioni negoziali che condizionano la sopravvivenza del rapporto all’apertura di una procedura concorsuale o all’emersione dello stato di crisi.
Nel P.R.O., come nel concordato e negli altri strumenti concorsuali orientati alla continuità, tali clausole vengono neutralizzate, in quanto ritenute incompatibili con la funzione dell’istituto. Ne risulta un assetto normativo che mira a garantire la prosecuzione dei rapporti contrattuali vitali, scongiurando comportamenti opportunistici dei creditori e consentendo all’imprenditore di contare su un quadro di rapporti stabili durante la fase di ristrutturazione.
9.4.Il regime della cessione d’azienda
Un’innovazione di rilievo è stata introdotta dal d.lgs. n. 136/2024, con l’inserimento del comma 9-bis all’art. 64-bis, che disciplina espressamente la cessione d’azienda nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.
La norma segna una rottura rispetto all’impianto previgente: viene meno, infatti, il rinvio all’art. 84, comma 8, che nel concordato preventivo affidava a un liquidatore la gestione delle operazioni di trasferimento nei casi di mancata individuazione dell’offerente, secondo regole di pubblicità e trasparenza.
Nel P.R.O., invece, il legislatore ha scelto un approccio differente, svincolando l’operazione da un meccanismo di liquidazione eterodiretta e mantenendo l’asse del potere dispositivo in capo all’imprenditore, sia pure sotto il controllo autorizzatorio del tribunale.
Quest’ultimo, anche prima dell’omologazione, può consentire la cessione dell’azienda o di suoi rami “in qualunque forma e a qualunque titolo”, purché l’atto risulti funzionale alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori.
Dal punto di vista sistematico, la nuova disciplina appare modellata per rafforzare la funzione di continuità del P.R.O., attribuendo rilievo primario al profilo finalistico delle operazioni.
L’esonero dell’acquirente dalla responsabilità ex art. 2560 c.c. rappresenta, in questo senso, una misura di chiaro favor per l’acquisizione di aziende in crisi, in linea con il più ampio disegno legislativo di favorire la circolazione dell’impresa e la tutela dell’avviamento.
Il tribunale assume un ruolo di garanzia, non sostituendosi all’imprenditore nella gestione, ma verificando la conformità dell’atto agli interessi protetti: continuità e soddisfacimento dei creditori.
In questa funzione, l’organo giudiziale è chiamato a bilanciare esigenze potenzialmente confliggenti, dettando misure idonee a tutelare le parti coinvolte e, soprattutto, assicurando il rispetto del principio di competitività nella scelta dell’acquirente, che rappresenta l’elemento sistemico di raccordo con il modello delle offerte concorrenti disciplinato dall’art. 91.
È significativo, tuttavia, che il legislatore abbia escluso espressamente l’applicabilità al P.R.O. dell’art. 114-bis, dettato per il concordato in continuità, il quale prevede un articolato meccanismo procedurale volto a garantire pubblicità e trasparenza nella selezione dell’offerente.
La differenza non è di dettaglio, ma segna una precisa opzione di politica legislativa: nel P.R.O. il baricentro rimane sull’autonomia imprenditoriale e sulla snellezza delle operazioni, mentre nel concordato in continuità prevale una logica di amministrazione controllata, che mira a tutelare la concorrenzialità delle offerte e a massimizzare il valore di realizzo in un’ottica più marcatamente liquidatoria.
Nonostante la Relazione governativa insista su una sostanziale omogeneità con altri strumenti concorsuali, è evidente che nel P.R.O. il legislatore ha privilegiato un modello flessibile e meno formalizzato, idoneo a coniugare la salvaguardia del valore aziendale con la necessità di garantire, attraverso l’intervento autorizzatorio del tribunale, la protezione degli interessi collettivi dei creditori.
Resta ferma, infine, l’applicazione dell’art. 2112 c.c., a presidio della continuità dei rapporti di lavoro, segnale della volontà del legislatore di contemperare l’esigenza di favorire le cessioni con quella di non comprimere le garanzie del personale dipendente.
9.5.La
sospensione della disciplina societaria a tutela
del capitale
Sempre nella prospettiva di supportare la ristrutturazione, il legislatore ha previsto anche una significativa deroga alla disciplina civilistica in tema di tutela del capitale sociale: in virtù del richiamo dell’art. 89 CCII, dal deposito della domanda e sino all’omologazione non trovano applicazione le disposizioni del codice civile che impongono la riduzione del capitale per perdite.
La sospensione di tali regole si giustifica in funzione del favor per la continuità aziendale, evitando che la fisiologica erosione del capitale nel corso della crisi determini effetti destabilizzanti sull’assetto societario proprio mentre è in corso il tentativo di ristrutturazione. In tal modo, la disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione non solo tutela i creditori attraverso il controllo del commissario giudiziale e del tribunale, ma assicura anche la salvaguardia della struttura societaria, consentendo che la compagine rimanga intatta fino all’esito della procedura.
10. L’assenza di esenzione dai reati di bancarotta
L’art. 324 CCII, nel disciplinare l’esenzione dai reati di bancarotta per gli atti compiuti in esecuzione di determinati strumenti di regolazione della crisi, prevede un catalogo tassativo che include il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e il piano attestato. Non è invece menzionato il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che rimane pertanto escluso dal beneficio della non punibilità.
La lacuna desta perplessità sotto un duplice profilo.
Da un lato, il P.R.O. è un istituto che, a differenza del piano attestato, comporta non solo la verifica da parte di un professionista indipendente in ordine alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano (art. 64-bis, comma 3, CCII), ma anche un controllo giudiziale di omologazione, che rafforza ulteriormente le garanzie di correttezza e affidabilità dello strumento.
Dall’altro lato, risulta difficilmente comprensibile che il legislatore abbia voluto accordare tutela penale ad atti compiuti nell’ambito di strumenti meno garantiti, negandola invece a quelli per i quali richiede una più stringente validazione.
Potrebbe da un lato proporsi una lettura estensiva o analogica dell’art. 324, tale da ricomprendere anche il P.R.O., valorizzando la ratio legis e il principio di favor per gli strumenti di regolazione negoziale della crisi, ribadito anche dalla Direttiva 2019/1023.
In questa prospettiva, l’esclusione della punibilità si giustificherebbe a fortiori, poiché l’imprenditore opera in conformità a un programma sottoposto sia a verifica tecnica sia a giudizio di omologazione, elementi che riducono sensibilmente il rischio di condotte fraudolente o abusive.
D’altra parte, l’estensione dell’analogia in bonam partem alle cause di non punibilità in senso stretto può trovare un punto di partenza nella giurisprudenza di legittimità più autorevole (Cass. S.U., 10381/2020), che con motivazione convincente l’ha sinora ritenuta applicabile alle cause di giustificazione[56]. In effetti, se si parte dalla considerazione che in realtà quella delle cause di non punibilità è anch’essa una categoria generale, ispirata ai principi della extrema ratio e della sussidiarietà penale, l’estensione appare non soltanto possibile, quanto dovuta[57].
Potrebbe, inoltre, prospettarsi la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, richiamando gli artt. 3 e 41 Cost. La disparità di trattamento rispetto al piano attestato e l’effetto potenzialmente disincentivante nei confronti dell’utilizzo del P.R.O. rischiano infatti di minare la coerenza interna del sistema, introducendo un’irragionevole disparità tra strumenti che perseguono la medesima finalità di regolazione della crisi.
Ciononostante, la questione resta, allo stato, aperta e controversa. In mancanza di una riforma normativa, l’imprenditore che si avvalga di un P.R.O. non gode della copertura penale riconosciuta dall’art. 324 CCII, con la conseguenza che le operazioni poste in essere in esecuzione del piano potrebbero, in ipotesi, dar luogo a responsabilità per bancarotta.
11. Il voto
Il voto dei creditori nel Piano di Ristrutturazione Omologato (P.R.O.) costituisce il momento cruciale attraverso cui si misura l’accettazione della proposta da parte della massa passiva e si attua concretamente il principio di partecipazione dei creditori alla formazione della decisione collettiva.
L’unanimità delle classi, così intesa, non richiede che tutti i creditori votino a favore, ma che in ogni classe si raggiunga la maggioranza prevista dall’art. 64-bis, comma 7. Tale configurazione consente di contemperare l’esigenza di effettiva approvazione collettiva con la praticabilità del procedimento, evitando il blocco del piano per l’assenza o l’astensione di pochi creditori.
La maggioranza nelle classi, dunque, assume una funzione procedimentale primaria, distinta dalla determinazione del trattamento economico dei creditori, che resta affidata alla discrezionalità del debitore nei limiti imposti dalla legge.
Ai sensi dell’art. 64-bis, comma 7, CCII, la proposta è approvata se in ciascuna classe viene raggiunta la maggioranza prevista: in alternativa, se non si ottiene tale maggioranza, è sufficiente che abbiano votato favorevolmente i due terzi dei creditori votanti, purché questi rappresentino almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe. Tale meccanismo, pur introducendo una soglia più flessibile, non riduce la centralità della logica di classe, che rimane il perno della procedura e lo strumento principale per garantire omogeneità di trattamento dei creditori similmente posizionati.
Il legislatore ha disciplinato le modalità di voto richiamando numerose disposizioni della sezione V del capo III del titolo IV del Codice relative al concordato preventivo, con adattamenti specifici per le peculiarità del P.R.O. Ai sensi dell’art. 107 CCII, il voto si esprime tramite modalità telematiche, mediante invio di posta elettronica certificata (PEC) al commissario giudiziale.
Le votazioni si svolgono secondo le date stabilite dal decreto del tribunale che apre il procedimento e seguono l’ordine temporale dei depositi delle eventuali proposte concorrenti, sebbene nel P.R.O. non siano ammesse proposte alternative, rendendo la procedura più lineare rispetto al concordato tradizionale.
Il commissario giudiziale, almeno quindici giorni prima della data iniziale di voto, presenta ai creditori e al debitore la relazione e le proposte definitive, depositandole telematicamente. L’elenco dei legittimati al voto è allegato, con indicazione dell’ammontare dei crediti.
Dieci giorni prima della data di apertura del voto, il debitore, i coobbligati e gli altri soggetti legittimati possono formulare osservazioni o contestazioni a mezzo PEC. Il commissario comunica quindi a tutti i soggetti interessati tali contestazioni e deposita la relazione definitiva almeno sette giorni prima della votazione, mentre due giorni prima sono comunicati i provvedimenti assunti dal Giudice Delegato. Tutti i termini sono non soggetti a sospensione feriale, a sottolineare la celerità procedurale del P.R.O.
L’art. 108 CCII conferma che i crediti contestati possono essere provvisoriamente ammessi al voto, garantendo la formazione delle maggioranze, senza pregiudicare eventuali pronunce definitive sul riconoscimento del credito o sulla sua collocazione nelle classi. I creditori esclusi possono opporsi all’omologazione qualora il loro credito sia idoneo a influenzare il risultato del voto.
Tale regime si affianca a una disciplina differenziata per i creditori privilegiati: questi non votano se soddisfatti integralmente entro determinati termini (180 giorni per crediti ipotecari o pignoratizi; 30 giorni per i privilegi speciali di cui all’art. 2751-bis, n. 1, c.c.), con la restante parte incapiente inserita in una classe distinta. Questa soluzione, pur facilitando l’approvazione del piano, può generare profili di disparità tra creditori e potenzialmente questioni di legittimità costituzionale ex art. 3 Cost.
Il P.R.O. richiama espressamente, laddove compatibile, l’art. 109 CCII, che disciplina il meccanismo di votazione nel concordato preventivo. Il richiamo consente di estendere al P.R.O. regole fondamentali quali:
· il computo dei crediti ammessi al voto, inclusi quelli contestati e provvisoriamente ammessi dal giudice delegato (art. 108);
· le esclusioni per conflitti di interesse o legami societari tra debitore e creditori (commi 6 e 7 art. 109);
· le regole specifiche relative ai creditori privilegiati: questi non partecipano al voto se soddisfatti integralmente entro termini prefissati (180 giorni, 30 per i crediti ex art. 2751-bis, n. 1 c.c.), salvo che per la parte incapiente, che viene inserita in classe distinta e trattata come chirografaria (art. 109, comma 4);
· l’assenza di ammissibilità di proposte concorrenti: il P.R.O., a differenza del concordato, è uno strumento esclusivamente del debitore, eliminando la disciplina prevista per piani concorrenti (art. 109, comma 5-bis).
All’esito delle votazioni, il commissario giudiziale redige la relazione finale, riportando nominativamente tutti i voti espressi, i creditori assenti e l’ammontare dei rispettivi crediti. La relazione, accompagnata dalla documentazione elettronica dei voti, è depositata in cancelleria entro tre giorni e comunicata al debitore.
Solo a seguito della verifica della formazione delle maggioranze e del rispetto delle procedure di voto può il tribunale avviare il giudizio di omologazione. Ai sensi dell’art. 110 CCII, qualora emergano mutamenti nelle condizioni di fattibilità del piano successivamente al voto, il commissario avvisa i creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza, modificando eventualmente il proprio voto.
Questo iter evidenzia come il P.R.O. contemperi efficienza procedurale, tutela dei creditori e continuità aziendale, integrando il voto delle classi con un controllo giudiziale post-votazione, e come l’approvazione delle classi rappresenti il momento fondativo della legittimazione collettiva del piano.
La ratio unionale, secondo la Direttiva (UE) 2019/1023, viene rispettata nel senso che tutte le parti interessate, incluse quelle privilegiate, hanno diritto di partecipare al voto quando il trattamento previsto dal piano differisce da quello altrimenti spettante, rafforzando la coerenza con gli obiettivi di inclusione e partecipazione della disciplina europea.
12. Il giudizio di omologazione
La fase di omologazione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione costituisce l’approdo naturale del percorso di approvazione del piano da parte delle classi dei creditori e segna il passaggio dalla dimensione negoziale a quella esecutiva. Questa fase si colloca così come punto di equilibrio tra il principio di libera distribuzione del valore, che caratterizza il P.R.O., e le esigenze di tutela dei creditori, in un quadro normativo plasmato dalla Direttiva (UE) 2019/1023 e in costante dialogo con la disciplina del concordato preventivo.
Qualora la proposta sia stata approvata da tutte le classi o se il debitore abbia chiesto, con successo, la verifica dell’esito della votazione, si apre la fase dell’omologazione (art. 64-bis, comma 8) il cui iter procedimentale è regolato dall’art. 48, commi 1, 2 e 3, – in tema di concordato preventivo – richiamato dall’art. 64-bis, comma 9.
L’art. 64-bis, comma 9, CCII rinvia infatti, per la disciplina processuale, alla Sezione VI sull’omologazione del concordato, con due rilevanti eccezioni: restano esclusi l’art. 112 (giudizio di omologazione del concordato) e l’art. 114-bis (liquidazione nel concordato in continuità), mentre è applicabile l’art. 114 relativo al concordato liquidatorio. Il comma 8 dello stesso articolo stabilisce che, una volta verificata l’approvazione unanime delle classi, il tribunale omologa il piano con sentenza. Ne risulta un sindacato giudiziale tendenzialmente formale, che non si estende alla valutazione della fattibilità, come confermato dai primi provvedimenti applicativi.
Approvato il piano da parte di tutte le classi, il tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento sia iscritto presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale e se questa differisce dalla sede effettiva anche presso l’ufficio del luogo in cui la procedura è stata aperta. Il provvedimento deve essere notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori che hanno espresso il loro dissenso.
I creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono proporre le opposizioni con memoria depositata nel termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell’udienza[58]. Deve anche essere depositato, almeno cinque giorni prima dell’udienza, il parere motivato del commissario giudiziale. Fino a due giorni prima dell’udienza il debitore può depositare memorie.
La disciplina dell’omologazione del P.R.O., a differenza di quella del concordato preventivo - per il quale è stato specificato il sindacato attribuito al tribunale in sede di omologazione (art. 112, comma 1) - non si esprime circa il perimetro valutativo affidato all’autorità giudiziaria.
In questa fase, il controllo del tribunale deve, quindi, ritenersi circoscritto – anche per l’espressa esclusione tra le norme richiamabili dell’art. 112 che sigla una serie di puntuali verifiche in fase di omologazione del concordato preventivo– alla votazione, in quanto deve risultare l’approvazione da parte di tutte le classi, condizione indefettibile per l’emanazione del relativo provvedimento.
Nonostante l’unanimità delle classi, il creditore dissenziente può,
però, eccepire il difetto di convenienza della proposta ai sensi dell’art.
64-bis, comma 8.
In questa prospettiva, il legislatore affida all’opposizione per “difetto di
convenienza” la tutela del singolo creditore.
In tal caso, il tribunale omologa il piano quando dalla proposta il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto a quanto potrebbe ricevere nel caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data della domanda di omologazione (art. 64 bis comma 8, come modificato dall'art. 17 comma 1 lett. c) Dlgs. 136/2024)[59].
Tale giudizio viene formato all’esito di un percorso valutativo che il tribunale è chiamato a compiere, che presuppone anche la verifica della fattibilità del piano.
Il tribunale, anche sulla base delle risultanze dell’attestazione e della relazione del commissario giudiziale, svolge il giudizio di convenienza, comparando – in una sorta di simulazione – la proposta con l’alternativa possibilità di soddisfacimento che il credito potrebbe ricevere nel caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data della domanda di omologazione, inclusa una valutazione delle azioni revocatorie e di responsabilità esercitabili con successo. Quindi, il tribunale raffronta le diverse opzioni satisfattive del credito sulla base dell’assenza del pregiudizio.
Ai fini del giudizio di “non deteriorità” due sono le novità più rilevanti introdotte dal D.lgs. 136/2024.
La prima è quella del comma 8 dell’art. 64-bis con cui il legislatore ha chiarito che la verifica sul trattamento prospettabile in caso di liquidazione dovrà essere condotta prendendo a riferimento la situazione alla data della domanda di omologazione. Il confronto con l’alternativa liquidatoria va quindi svolto adottando un c.d. criterio “statico” necessariamente riferito al momento del deposito della domanda di omologazione.
La seconda è quella relativa all’articolo 87, comma 1, lettera c) CCII, che definisce il valore di liquidazione come «il valore realizzabile in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensiva dell’eventuale maggior valor economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell’azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese».
Si tratta quindi di una grandezza controfattuale, che richiede una stima dell’intero attivo ricavabile dalla liquidazione, sia in chiave atomistica sia “in blocco”, del patrimonio del debitore, in cui dovranno essere ricomprese le azioni revocatorie, risarcitorie e recuperatorie, nonché la vendita dell’azienda in esercizio provvisorio (sempre se percorribile), nel caso in cui si aprisse la liquidazione giudiziale alla data di deposito della domanda di omologa del P.R.O.
Ferma la determinazione del valore di liquidazione nei termini anzidetti, la valutazione sottesa al giudizio di convenienza che il tribunale dovrà svolgere non potrà però limitarsi alla sfera “quantitativa”, ovvero ad un raffronto algebrico tra le diverse percentuali di rimborso prospettabile nel caso di P.R.O. e nell’alternativa liquidatorio, ma dovrà considerare ogni ulteriore aspetto che possa determinare un surplus per il rimborso del creditore, concorrendo quindi a delineare un trattamento “migliorativo” rispetto all’alternativa liquidatoria.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui la proposta di P.R.O. preveda per il creditore (dissenziente) un ristoro sulla base di un incasso certo, ovvero un rientro del credito secondo tempistiche notevolmente ridotte rispetto a quelle ipotizzabili nella liquidazione giudiziale, ovvero ancora riconosca la concessione di garanzie ulteriori, che non troverebbe altrettanta realizzazione nel caso di apertura della liquidazione giudiziale. Anche di tali aspetti, di natura prettamente qualitativa, il tribunale dovrà tener conto nel valutare la convenienza della proposta, senza limitarsi ad una comparazione algebrica tra percentuali di rimborso.
Quando venga rilevato il pregiudizio per l’opponente, il tribunale rigetta l’omologazione. In questa ipotesi, sussistendo il ricorso di uno dei soggetti legittimati e accertati i presupposti soggettivo e oggettivo, il tribunale dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.
Entro quindici giorni dal deposito della relazione del commissario giudiziale che riporta il mancato raggiungimento dell’unanimità delle classi (art. 64-ter), il debitore, se ritiene di avere ottenuto l’approvazione di tutte le classi (ad esempio, contestando il computo dei voti o l’espressione del voto da parte di qualche creditore), può chiedere, però, al tribunale di accertare l’esito della votazione attraverso il ricalcolo dei voti che, se a lui favorevole, condurrebbe all’omologazione. Altrimenti, il debitore può modificare la domanda (come diremo tra breve più in dettaglio).
Se debitore non sfrutta alcuna delle possibilità (sopra esposte) che gli sono concesse, il giudice delegato riferisce circa la mancata approvazione del P.R.O. al Tribunale il quale, ove sia stato presentato ricorso da parte di uno dei soggetti legittimati, accertati i presupposti, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.
Ove invece il tribunale verifichi la presenza delle condizioni per l’omologazione del P.R.O., pronuncia sentenza contro la quale è ammesso reclamo alla corte d’appello. Contro la decisione della corte d’appello è proponibile ricorso per cassazione.
Con l’omologazione ha inizio la fase esecutiva. Gli atti, i pagamenti e le garanzie su beni del debitore, posti in essere in esecuzione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e in esso indicati, sono esenti dalla revocatoria della liquidazione giudiziale e da quella ordinaria art. 166, comma 3, lett. d).
Va ricordato, in chiave sistematica e comparata, che l’art. 64-bis, comma 8, si limita a prevedere l’omologazione in caso di approvazione unanime delle classi, mentre il successivo comma 9 richiama la disciplina del concordato preventivo, con la sola esclusione dell’art. 112 CCII.
Ne discende che il contenuto del sindacato giudiziale proprio dell’omologazione del concordato (in continuità o liquidatorio) non si applica al P.R.O.. Questo assetto è coerente con la Direttiva Insolvency (artt. 10 e 11), la quale prevede che, qualora tutte le classi abbiano approvato, non sia necessario un controllo giudiziale pieno, imponendolo soltanto in ipotesi di approvazione a maggioranza o tramite cross-class cram down.
Inoltre, la stessa Direttiva circoscrive il controllo del giudice a condizioni specifiche, tra cui – se vi è contestazione – la verifica che il piano assicuri ai creditori dissenzienti un trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
Da ciò deriva che il sindacato giudiziale nel P.R.O. assume carattere prevalentemente formale, limitandosi alla verifica dell’approvazione e, in caso di opposizione per difetto di convenienza, alla valutazione del miglior soddisfacimento, senza estendersi, salvo riflesso indiretto, alla piena verifica della fattibilità economica del piano.
In conclusione, la disciplina italiana del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione si colloca in una posizione intermedia tra la Direttiva (UE) 2019/1023 e il concordato preventivo.
La Direttiva distingue chiaramente tra i casi di approvazione unanime, che non richiedono necessariamente un controllo giudiziale (art. 11, par. 1), e i casi di approvazione a maggioranza o di cram down, che impongono il vaglio dell’autorità giudiziaria (art. 10). Il legislatore nazionale, con l’art. 64-bis CCII, ha recepito questa impostazione, limitando il sindacato del tribunale al profilo della convenienza in caso di opposizione dei creditori dissenzienti.
Si delinea così un controllo giudiziale circoscritto ma sostanziale, volto a garantire che il piano non determini per i creditori un trattamento deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria e che la ristrutturazione si realizzi in condizioni di equilibrio tra la tutela dell’impresa e quella dei creditori.
13. La contestazione dei risultati della votazione
Nei casi in cui il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione non ottenga l’approvazione unanime di tutte le classi, come evidenziato nella relazione del commissario giudiziale ai sensi dell’art. 110 CCII, l’art. 64-ter CCII prevede un rimedio specifico a favore del debitore. Il legislatore consente all’imprenditore, entro quindici giorni dal deposito della relazione, di contestare il risultato della votazione e di chiedere al tribunale di accertarne l’esito, prima che si avvii la fase di omologazione vera e propria.
Si tratta di una tutela straordinaria forse “anomala” visto che l'esito delle votazioni è già stato verificato dal commissario giudiziale che ha redatto l'apposita relazione ex art 110 CCII, con l'indicazione nominativa dei votanti e dei creditori che non hanno esercitato il voto, nonché dell'ammontare dei rispettivi crediti. Inoltre, se da questa relazione risulta che le maggioranze non sono state raggiunte, il giudice delegato ne riferisce al tribunale ex art 111, con la conseguenza che anche il giudice debba verificare il mancato raggiungimento delle maggioranze prima di procedere all'apertura della liquidazione giudiziale ai sensi del richiamato art 49, comma 1, CCII”[60].
Questa tutela riconosciuta al debitore si sostanzia nella contestazione del procedimento di voto e quindi verosimilmente consente di correggere eventuali errori nel calcolo delle maggioranze, irregolarità nel computo dei voti o altre anomalie procedurali, senza interrompere il percorso della procedura e preservando la possibilità di omologare il piano se l’esito corretto della votazione dovesse risultare favorevole[61].
Questa possibilità costituisce un momento interlocutorio tra la conclusione della votazione e l’eventuale avvio dell’omologazione: il tribunale, infatti, non fissa ancora l’udienza ai sensi dell’art. 64-bis, in quanto il requisito dell’unanimità delle classi non è soddisfatto. Solo una volta accertato positivamente l’esito della votazione, o dopo che il debitore abbia eventualmente modificato la domanda di P.R.O. in conformità all’art. 64-quater CCII, può avviarsi la fase di omologazione vera e propria.
L’art. 64-ter non chiarisce le modalità del giudizio di omologazione in questa ipotesi; tuttavia, in assenza di riferimenti ad altre norme, è ragionevole ritenere applicabile la disciplina dei primi tre commi dell’art. 48, richiamati, come già osservato, dall’art. 64-bis, comma 9[62].
Secondo questa impostazione, il tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio, alla quale devono comparire il debitore, i creditori che intendano costituirsi e il commissario giudiziale. Il provvedimento di fissazione dell’udienza deve essere iscritto nel registro delle imprese.
Poiché in questo caso l’opponente è il debitore, spetta a quest’ultimo presentare la propria istanza mediante deposito di memoria, rispettando il termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell’udienza. Il commissario giudiziale deposita il proprio parere motivato almeno cinque giorni prima, mentre i creditori e gli altri interessati possono presentare memorie fino a due giorni prima dell’udienza.
Il tribunale, oltre a decidere sulle istanze istruttorie e a disporre eventuali mezzi istruttori d’ufficio, può impartire ulteriori disposizioni volte a garantire il pieno svolgimento del contraddittorio, assicurando che tutte le posizioni coinvolte siano adeguatamente rappresentate e valutate nel corso del giudizio.
Se il debitore non esercita tale facoltà entro il termine di quindici giorni, oppure se dal riconteggio emerga che l’unanimità non è stata raggiunta, si applica l’art. 111 CCII. In tal caso, il giudice delegato riferisce al tribunale il mancato consenso unanime delle classi e quest’ultimo, verificati i presupposti soggettivi e oggettivi, procede a disporre l’apertura della liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 49 CCII.
In questo modo, l’art. 64-ter integra organicamente il sistema delineato dall’art. 64-bis, rafforzando la protezione del debitore senza compromettere la certezza procedurale: si consente infatti un intervento correttivo prima dell’omologazione, ma, al contempo, si preserva la tutela dei creditori evitando che il piano possa proseguire in assenza del requisito imprescindibile dell’unanimità delle classi o della modifica della domanda di P.R.O.
La norma contribuisce così a mantenere l’equilibrio tra continuità dell’impresa e salvaguardia dei creditori, coerentemente con la logica graduale della procedura di ristrutturazione soggetta ad omologazione.
14. Conversione del P.R.O. in concordato preventivo
Qualora il P.R.O. non ottenga l’approvazione di tutte le classi di creditori, secondo quanto risultante dalla relazione del commissario giudiziale ai sensi dell’art. 110 CCII, il debitore può, in luogo di chiedere al tribunale di pronunciarsi comunque sulla domanda di omologazione ai sensi dell’art. 64-ter, comma 1, modificare la domanda formulando una proposta di concordato e chiedere l’apertura della procedura ai sensi dell’art. 47 CCII (art. 64-quater, comma 1). La stessa facoltà gli è riconosciuta qualora un creditore abbia presentato osservazioni ai sensi dell’art. 107, prima dell’avvio del voto, contestando la convenienza della proposta.
L’art. 64- quater, comma 2, consente al debitore di modificare la domanda in qualsiasi momento della procedura, formulando la proposta di concordato preventivo.
La conversione può anche essere utilizzata per neutralizzare contestazioni dei creditori relative alla presunta difformità del trattamento previsto dal piano rispetto a quanto spettante in liquidazione giudiziale (artt. 64-bis, c. 8°, e 107, c. 4° CCII).
Il debitore può modificare il piano originario, che conteneva eventuali deroghe agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle norme sulla graduazione delle cause legittime di prelazione, trasformandolo in proposta concordataria soggetta alle regole di distribuzione del plusvalore di cui all’art. 84, c. 6° CCII[63]. La conversione non opera automaticamente: è necessaria la presentazione di una memoria contenente la modifica della domanda e un provvedimento giudiziale di apertura della procedura di concordato, facendo seguire cronologicamente quest’ultima alla domanda di P.R.O. e salvaguardando gli effetti della prima[64].
La modifica della domanda determina l’applicazione integrale delle norme che regolano il procedimento di concordato: la memoria deve essere pubblicata nel registro delle imprese, dal giorno della pubblicazione decorrono gli effetti sugli atti di straordinaria amministrazione previsti dall’art. 46, commi 1-3, e le disposizioni dell’art. 47, comma 2, lett. c), che impongono al tribunale di adottare i provvedimenti necessari per la votazione dei creditori, fissando le date iniziali e finali per l’espressione del voto. Trovano inoltre applicazione tutte le norme del capo III del titolo IV CCII (artt. 84 e ss.).
L’art. 64-quater, comma 3, prevede che i termini per l’approvazione della proposta siano ridotti alla metà, in considerazione dell’appesantimento procedurale derivante dalla conversione.
La procedura è diretta a ovviare a situazioni in cui appare evidente l’impossibilità di ottenere l’approvazione della maggioranza in tutte le classi; nel concordato in continuità, la conversione consente di ottenere l’approvazione anche tramite la ristrutturazione trasversale (cross-class cram down), ove sia sufficiente il voto favorevole di una sola classe, purché siano rispettate le condizioni dell’art. 112 CCII. In caso di proposta a contenuto liquidatorio, le maggioranze richieste sono quelle dell’art. 109, comma 1, con la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, se viene mantenuta la classificazione, la maggioranza delle classi.
A nostro parere, la disposizione è utile anche a costituire una “leva” finalizzata ad incentivare il raggiungimento del consenso delle parti rispetto a quei piani che siano oggettivamente convenienti rispetto all’alternativa liquidatoria.
Infatti, chiedendo la conversione della domanda di P.R.O. in concordato preventivo stante il mancato accordo, il debitore potrà coltivare il piano originario in tale diverso contesto, attraverso una procedura semplificata, con la richiesta di omologa forzosa della proposta mediante cram down (commi 3 e 4 dell’art. 88 c.c.i.i.), anche in caso di dissenso dei creditori pubblici.
In questo caso, qualora la mancata approvazione del P.R.O. derivasse dal voto determinante, all’interno della rispettiva classe, di un creditore pubblico insoddisfatto, anche nel caso in cui il piano rispettasse sia la regola della absolute priority rule che quella della relative priority rule, il debitore potrebbe comunque ricorrere al cram down ai sensi dell’art. 88, commi 3 e 4, c.c.i.i.
Ebbene, in tale contesto il giudice, su richiesta del debitore e previa verifica della regolarità della domanda, dovrebbe convertire il P.R.O. in concordato preventivo e, qualora sussistano i requisiti previsti dall’art. 88 c.c.i.i., ammettere il cram down erariale e previdenziale. Il che comporterebbe appunto l’imposizione forzosa del piano di risanamento proposto dal debitore, poiché considerato non peggiorativo rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
15. Conversione del concordato preventivo in P.R.O.
Viceversa, il debitore che abbia presentato domanda di concordato preventivo può, fino all’inizio delle operazioni di voto, modificare la propria istanza chiedendo l’omologazione di un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, realizzando ulteriormente la flessibilità tra strumenti di regolazione della crisi.
Questa possibilità riguarda esclusivamente i casi in cui il debitore abbia presentato sia la proposta sia il piano; nell’ipotesi di domanda con riserva, l’art. 44, c. 1, lett. a) CCII consente di formulare indifferentemente una proposta di concordato, un P.R.O. o accordi di ristrutturazione[65].
[1] Il Titolo IV, in seguito al d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, è rubricato – in armonia con il presupposto oggettivo fissato per gli strumenti ivi regolati - “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.
[2] Paniere, a detta di parte della dottrina, ricco di un Codice molto complesso: AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa. e una (non lieve) criticità, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 19 agosto 2022; STANGHELLINI, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva", in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 luglio 2022; SPIOTTA, Un labirinto di Cnosso chiamato Codice della crisi: Quale via per il moderno Teseo, in Giur.it., 6, 2023, 1425 ss. Sull’attuazione della Direttiva che “non ha portato ad una minor complessità degli strumenti a dispetto dell’idea di semplificazione dei quadri di ristrutturazione della Direttiva Insolvency” perché con questo nuovo strumento si è voluto evitare che un piano privo di vincoli di distribuzione rappresentasse la base di un concordato sovvertendo una procedura la cui rigida impostazione appartiene alla nostra tradizione concorsuale, FABIANI-PAGNI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fallimento, 2022, 1025 ss.
[3] BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022 che, partendo da una valutazione negativa dello strumento (soluzione “fortemente sbilanciata a favore del debitore”. Per una diversa valutazione del concordato semplificato come “epilogo ragionevole”, PACCHI, Il concordato semplificato un epilogo ragionevole della composizione negoziata, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 ottobre 2023 ) e dal considerare gli sbocchi della composizione negoziata prospettabili nel caso in cui non sia stato possibile giungere ad una ristrutturazione negoziata – in particolare concordato semplificato e P.R.O. – immagina “la pressione che subiranno i creditori nel corso delle trattative sapendo di questi possibili exit della composizione”.
[4] BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, cit.
[5] La risposta è strettamente legata alla nozione di concorsualità che si accoglie come messo in evidenza da AMBROSINI, il catalogo degli strumenti normativi: caratteri e presupposti, inPacchi -Ambrosini, Diritto della crisi ecc., cit., 38 ss.; per ampi obiter dicta sul tema v. C.civ. s, u. 21/42093;).
[6] D’ATTORRE, La concorsualità “liquida” nella composizione negoziata, in Fallimento, 2022, 301. In giurisprudenza per ampi obiter dicta sul tema v. Cass. S.U., 31 dicembre 2021, n.42093.
[7] In tal senso, PLATANIA, Piano di ristrutturazione soggetto a omologa, in Fallimentarista, 12 aprile 2022; FABIANI-PAGNI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fallimento, 2022, 1025 ss.; FABIANI, L’avvio del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022, 10ss.; PACCHI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in PACCHI-AMBROSINI, Diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2025, 156. Ritiene tale collocazione "forse un po' pleonastica", RICCIARDIELLO, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in IRRERA e CERRATO (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il correttivo ter, Bologna, 2024, 1114. In tal senso pare anche BONFATTI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022, dove nel par. 17 parla di “nuova procedura di crisi che pare collocarsi a metà tra i già disciplinati Accordi di Ristrutturazione e Concordato preventivo”. In senso contrario ad una collocazione intermedia, affermando, invece, che avrebbe le caratteristiche tipiche del concordato preventivo, BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 6 (collocandolo in seno al concordato in continuità); AMBROSINI, Sub art. 64-bis, in MAFFEI ALBERTI – SPERANZIN, Commentario breve alle leggi su Crisi d’impresa ed Insolvenza, Milano, 2025, 458; STANGHELLINI, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022 ecc., cit.; PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O.), in CAGNASSO e PANZANI, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2025, 1533.
[8] FABIANI-PAGNI, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, cit.
[9] PACCHI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in PACCHI-AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2025, 156; AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell'impresa, in Quaderni ristrutturazioni aziendali, 2, 2022, 133.
[10] RICCIARDIELLO, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in IRRERA e CERRATO (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il correttivo ter, Bologna, 2024, 1117; MATTEI, Sub art. 64-bis, in VALENSISE – DI CECCO – SPAGNUOLO, Il Codice della crisi. Commentario, Torino, 2024, 416.
[11] “Copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, è presentata agli uffici competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore. La documentazione di cui al primo periodo, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici nonché delle
dichiarazioni integrative presentate fino alla data di presentazione della domanda di trattamento dei crediti tributari e contributivi, è presentata, per l'Agenzia delle entrate, alla competente Direzione provinciale o regionale, per l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, alle competenti Direzioni territoriali e alla competente Direzione territoriale interprovinciale, ovvero alla Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi e, infine, per gli enti previdenziali e assicurativi, alla competente Direzione provinciale”.
[12] “L'agente della riscossione, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. Gli altri uffici indicati nei precedenti periodi, nello stesso termine, devono procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, di accertamento, di liquidazione e di addebito, unitamente a una certificazione attestante l'entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati ma non ancora consegnati all'agente della riscossione”. “Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate il voto sulla proposta è espresso ai sensi dell'articolo 107 dalla competente Direzione, su parere conforme della relativa Direzione regionale ove competente sia una Direzione provinciale. Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli il voto sulla proposta è espresso ai sensi dell'articolo 107 dalle competenti Direzioni territoriali, dalla competente Direzione territoriale interprovinciale ovvero da ciascuna Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi. Per i contributi previdenziali amministrati dall'Istituto nazionale della previdenza sociale e per i premi amministrati dall'Istituto nazionale dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro il voto sulla proposta è espresso ai sensi dell'articolo 107 dalla competente Direzione territoriale su decisione del Direttore regionale”. “Il voto è espresso dall'agente della riscossione limitatamente agli oneri di riscossione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112”.
[13] Sul punto, cfr. ANDREANI, Accordi di ristrutturazione e piano di ristrutturazione soggetto ad omologa e fisco, in AMBROSINI-PACCHI (a cura di), Crisi d’impresa, fisco e finanziamenti pubblici, Pisa, 2025, 261 ss.; POLLIO, Trattamento dei crediti tributari e contributivi negli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza, in CAGNASSO e PANZANI (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Tomo I, Milano, 2025, 1952 e ss, spec. 1994 e ss.
[14] In precedenza, i debiti tributari e previdenziali dovevano essere soddisfatti integralmente, potendo il debitore fruire, per il loro pagamento, solo delle dilazioni previste in via ordinaria per la generalità delle imprese (fatte salve quelle introdotte in via straordinaria da eventuali definizioni agevolate). Sicchè sarebbe stata possibile l’approvazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate e degli Enti di previdenza, di un piano che avesse previsto il pagamento integrale dei debiti tributari e contributivi, sebbene non potesse escludersi che anche tali creditori potessero esprimere un voto favorevole a una proposta che avesse escluso stralci e dilazioni diverse da quelle già consentite dalla legge per la generalità dei contribuenti. I creditori pubblici non potevano tuttavia approvare la falcidia e la dilazione straordinaria dei loro crediti, non previste dall’art. 64-bis CCII. Ne discendeva che ogniqualvolta il piano di ristrutturazione avesse previsto il soddisfacimento parziale di tali debiti, esso non poteva essere approvato dalle agenzie fiscali e dagli enti previdenziali e, poiché la sua omologazione non poteva essere disposta senza l’adesione di tutte le classi di creditori, il piano era in tal caso destinato a non essere omologato.
[15] Secondo LAMANNA, Il terzo correttivo al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2025, 253 secondo il quale l’esclusione sembra giustificarsi alla luce della natura di questo strumento che, essendo fondato sull’adesione unanime delle classi, appare incompatibile con forme di adesione forzosa di creditori.
[16] BARACHINI, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologa e le nuove regole di distribuzione del valore dell’impresa in crisi, in Nuove Leggi Civ.Comm., n. 2, 2024, 267.
[17] Tra i requisiti richiesti non figura, infatti, quello relativo alle condizioni di falcidiabilità dei creditori privilegiati (apparso “fugacemente” nell’elaborato della commissione di riforma per il d.lgs. 83/2024). Ne discende che non essendovi quel limite alla falcidiabilità, rinvenibile invece nel concordato preventivo, e rappresentato dal valore realizzabile in caso di liquidazione dei beni oggetto di prelazione e quindi calcolato al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti a tali beni e della quota parte delle spese generali, i privilegiati possono essere soddisfatti anche in misura inferiore a quel valore, AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato ecc., cit 7.
[18] PANZANI, Piano di ristrutturazione ecc., cit., osserva che al creditore ipotecario può essere offerto un pagamento in misura inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione, così come un creditore strategico chirografario può essere assegnatario di una percentuale migliore di quella che spetta ad un creditore privilegiato. In definitiva, le prerogative riconosciute in ordine all’utilizzo del patrimonio (si parla di “valore generato dal piano”) consentono perfino che una quota di attivo possa essere destinata al debitore invece che ai creditori. In tal senso anche PACCHI, in PACCHI-AMBROSINI, Diritto della crisi ecc., cit., 157. AMBROSINI, Piano di ristrutturazione ecc., cit., 6. Questa possibilità consegnata al debitore viene criticata da BOZZA, op. cit., 7 ss., 10.
[19] Per una ricostruzione storica delle “classi” nel nostro Ordinamento mettendo in luce l’evoluzione dell’istituto e, quindi, della funzione della classe nel concordato preventivo in continuità e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, FABIANI, Revisione critica dei principi in tema di classi dei creditori, in dirittodellacrisi.it, 2 febbraio 2025.
[20] La norma riproduce sostanzialmente, senza citarlo, quanto già previsto dal quinto comma dell’art. 109, A. ROSSI, Le nuove classi negli strumenti di regolazione della crisi, in dirittodellacrisi.it, 17 marzo 2025
[21] Il legislatore ha volutamente omesso ogni rinvio all’art. 85 CCII.
[22] PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O.), cit., 1543, richiamando la Relazione illustrativa ricollega il controllo del tribunale alla previsione della Direttiva 2019/1023 che predica come imprescindibile la verifica giudiziale sulla regolare suddivisione dei creditori in classi.
[23] In dottrina è stata prospettata anche una lettura più radicale, secondo cui la deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., contenuta nel primo comma dell’art. 64-bis, potrebbe spingersi sino a consentire differenziazioni di trattamento anche all’interno della stessa classe, A. ROSSI, Le nuove classi negli strumenti di regolazione della crisi, cit., che tuttavia conclude affermando una simile ricostruzione, pur astrattamente compatibile con il dato normativo, risulta difficilmente conciliabile sia con la nozione stessa di categoria, definita per comunanza di status giuridico e interessi economici, sia con l’art. 10, paragrafo 2, lettera b), della Direttiva europea, che subordina l’omologazione del piano al rispetto del principio dell’uniformità del trattamento dei creditori appartenenti alla medesima classe.
[24] BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, cit.
[25] AMBROSINI, Piano di ristrutturazione ecc., cit., 8; PAGNI e FABIANI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit. affermando che” Il richiamo integrale al 1° comma dell'art. 87 è importante perché la disposizione contempla le diverse forme di piano concordatario, a dimostrazione del fatto che il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione può avere finalità conservative del valore, oppure finalità liquidatorie e di dismissione dei cespiti e dell'attività.
La precisazione è importante perché il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione che si regge su un piano di liquidazione potrà si convertirsi in concordato preventivo (art. 64- quater CCII) ma non potrà aspirare alla ristrutturazione trasversale, limitata ai concordati preventivi con piani di continuità”.
[26] Trib.Milano, 24 ottobre 2024; Trib. Vicenza, 17 febbraio 2023; Trib. Roma, 3 luglio 2024.
[27] Trib. Roma, 25 marzo 2025.
[28] Il P.R.O. è destinato agli imprenditori assoggettabili alla liquidazione giudiziale, V. LENOCI, sub art. 64-bis, in F. DI MARZIO (diretto da), Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2022, 275. Dopo le momentanee incertezze provocate dall’incipit dell’art. 64-bis risultante dallo “Schema di d.lgs. di recepimento della direttiva (UE) 2019/1023”, approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 marzo 2022, che faceva riferimento al “debitore che si trova in stato di crisi o d’insolvenza” e che, ad un confronto con la disposizione fissata per il concordato preventivo di cui all’art. 84 (che ancorava il presupposto soggettivo all’imprenditore di cui all’art. 121), poteva portare ad estendere la fruibilità dello strumento anche a quei soggetti (imprenditori o meno) che sono esclusi dalla liquidazione giudiziale (G. BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit. 14;. (In senso contrario, S. BONFATTI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 3, per il quale “il termine generico utilizzato in esordio non pareva in condizione di contraddire il principio affermato dall’art. 65, comma 1, valorizzando la possibilità di conversione in concordato preventivo) sul tema del presupposto soggettivo è stata fatta chiarezza dal d.lgs. 83/2022.
[29] L’istituto si attaglia alle sole imprese commerciali di “rilevanti dimensioni” (PANZANI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in AMBROSINI (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 680.), melius non minori (DI MARZIO, Diritto dell’insolvenza, cit., 634).
[30] “In sostanza si chiede al debitore (che, tra l’altro, è l’unico soggetto legittimato a proporre il piano) di provare di non avere i requisiti per non proporlo (!); distonia che, (…) non viene eliminata neppure ora dal Correttivo-ter”, F. LAMANNA, Il terzo correttivo al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2025, 246.
[31] L’apertura del P.R.O. ai gruppi è adesso possibile grazie all’intervento ad opera del d.lgs. 136/2024 sull’art. 284-bis CCII e 64-bis.
[32] AMBROSINI, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima) ecc., cit., 3; L. PANZANI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in S. AMBROSINI (a cura di), Crisi e insolvenza ecc., cit., 680.
[33] PANZANI Piano di ristrutturazione ecc., cit., 1555, osserva che la formula dell’art. 54, comma 1, volutamente ampia, trova una giustificazione evidente nel contesto del concordato preventivo, nel quale l’omologazione può condurre alla nomina dei liquidatori e alla prosecuzione della vigilanza del commissario giudiziale sull’attuazione della proposta e del piano. Diverso è il caso del P.R.O., poiché, durante la procedura, l’imprenditore mantiene la pienezza dei poteri gestori, potendo compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, e, una volta omologato il piano, non soggiace a vincoli particolari.
[34] Intanto vale la pena di anticipare in sintesi ciò che sarà trattatto amplius infra. Il commissario verifica la correttezza delle informazioni, la veridicità dei dati aziendali, la completezza della documentazione e la coerenza della proposta, suggerendo modifiche e raccomandazioni laddove emergano criticità. In questo senso, il ruolo del commissario non è meramente formale: egli rappresenta il punto di equilibrio tra autonomia gestionale del debitore e tutela dei creditori, assicurando che la negoziazione non si traduca in abuso o in alterazione dei diritti minimi delle parti interessate.
[35] Cfr. Pellecchia, “La valutazione di convenienza nel giudizio di omologa del P.R.O.” in Ristrutturazioni Aziendali, 24 ottobre 2023.
[36]Cfr. ancora I. Pellecchia, op. cit.
[37]Circa l’obbligatoria suddivisione dei creditori in classi nel P.R.O. e il fondamentale controllo su di essa da parte del tribunale, Trib. Monza, 5 gennaio 2024, in Ilfallimentarista, 26 gennaio 2024.
[38] v. BOZZA, op. cit., 23; LENOCI, op. cit., 276
[39] Prima dell’intervento del d.lgs. 136/2024 la dottrina riteneva che tale conclusione fosse rafforzata dall’uso dell’aggettivo “mera” (espunto dall’intervento correttivo), AMBROSINI, D. fall. 22, I, 842), riducendo all’osso la fase di apertura della procedura (PANZANI, op. cit., 692).
[40] PANZANI, Le novità in materia di piano attestato, P.R.O. e accordi di ristrutturazione, in Procedure concorsuali e crisi d'impresa, 2025, 49.
[41] Dal punto di vista gestionale, il P.R.O. si distingue per l’ampia libertà del debitore, sia nella fase con riserva sia in quella piena, che conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa sotto il controllo del commissario, secondo il principio del prevalente interesse dei creditori previsto dall’art. 64-bis, comma 5. Tale impostazione segna una netta differenziazione rispetto al concordato preventivo, dove la gestione straordinaria richiede autorizzazione del tribunale ex art. 46 CCII, e rispetto agli strumenti di composizione negoziata, dove esistono regole operative distinte a seconda della presenza di crisi o insolvenza.
[42] Sotto questo aspetto la disciplina si muove sulla stessa linea della Composizione negoziata anche se il P.R.O. differisce per essere uno strumento di regolazione della crisi e non un percorso deputato a contenere trattative come la prima. Sulla gestione dell’impresa nella composizione negoziata, CONCA, Il ruolo dell’esperto e la gestione dell’impresa, in Dirittogiustiziaecostituzione.it, 31 maggio 2022; BONFATTI, La gestione dell'impresa nella procedura di composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 26 settembre 2023; PLATANIA, La gestione dell’impresa nella ristrutturazione aziendale, in LAMBERTINI e PLATANIA, Il diritto commerciale della crisi, Milano, 2023, 219; PACCHI, I canoni per la gestione dell’impresa nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 26 aprile 2023.
[43] Va da sé che identico dovere informativo sussiste a carico del debitore nella liquidazione giudiziale nei confronti del curatore.
[44] Da ciò, DI MARZIO, Diritto dell’insolvenza, cit., 637, desume che “la disciplina è conseguente al carattere non concorsuale della procedura e alla conservazione del potere gestorio in capo al debitore. Si spiegano proprio così, in definitiva, i numerosi contatti con le regole della composizione negoziata”. Secondo l’Autore con questo strumento siamo dinanzi a un procedimento deliberativo senza concorso.
[45] Parlano di “vantaggio” rispetto al concordato preventivo, BELTRAMI e CARELLI, La gestione dell’impresa nel Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, del 17 novembre 2022, 9.
[46] Sul tema del commissario giudiziale, tuttavia, circoscritto al concordato prenotativo con alcuni cenni agli accordi di ristrutturazione, T. NIGRO, Il Commissario Giudiziale nella fase prenotativa nel contesto del Codice della Crisi (e con uno sguardo al futuro “correttivo”), in Dirittodellacrisi.it, 14 Ottobre 2024. Con attenzione anche al P.R.O., GRIECO, Il nuovo ruolo del commissario giudiziale nel codice della crisi d’impresa e d’insolvenza, in cortedeiconti.it, 2024, I, 30 ss., ivi alla p.34 ss.
[47] Da escludere per il P.R.O. il compito di informazione per la presentazione di proposte concorrenti (art. 90) opportunità espunta dall’art. 64-bis ad opera del d.lgs.136/2024.
[48] Le funzioni del commissario giudiziale nel P.R.O. presentano analogie con quelle previste nel concordato preventivo dovendosi però tener presente che nel primo strumento, a differenza del secondo, non si produce alcun tipo di spossessamento e non vige, quindi, un sistema autorizzatorio per gli atti di straordinaria amministrazione. In entrambi i casi, il commissario esercita un controllo sulla gestione dell'impresa, ma con differenze sostanziali. Nel concordato preventivo, l'art. 94, comma 1, CCII stabilisce che l'imprenditore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa sotto la vigilanza del commissario, con l'obbligo di ottenere l'autorizzazione del giudice delegato per compiere atti di straordinaria amministrazione. Tale controllo preventivo mira a evitare atti che possano pregiudicare i creditori e a garantire la coerenza con il piano concordatario. Nel P.R.O., invece, pur mantenendo la gestione dell'impresa, l'imprenditore è sottoposto a un dovere di informazione ed il commissario giudiziale ha il potere di intervenire preventivamente sugli atti di straordinaria amministrazione e sui pagamenti, segnalando eventuali incoerenze con il piano e potendo informare il tribunale in caso di atti dannosi. Sulla maggior pregnanza delle segnalazioni del commissario giudiziale nel P.R.O. rispetto a quelle dell’esperto nella composizione negoziata, RICCIARDIELLO, Il piano di ristrutturazione omologato: un caso di concorrenza sleale ecc., cit., 34.
[49] In tal senso anche PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O), inCAGNASSO e PANZANI, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2025, 1560.
[50]La Direttiva Insolvency, all'art. 5, comma 3, prevede che la nomina del professionista nel campo della ristrutturazione con funzioni di assistenza al debitore ed ai creditori nel negoziare e redigere il piano, sia obbligatoria in almeno tre casi: a) quando una sospensione generale delle azioni esecutive individuali è concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa e detta autorità decide che il professionista è necessario per tutelare gli interessi delle parti; b) quando il piano di ristrutturazione deve essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa mediante ristrutturazione trasversale dei debiti (cross class cram down); c) quando la nomina è richiesta dal debitore o dalla maggioranza dei creditori, purché, in quest’ultimo caso, i creditori si facciano carico del costo del professionista.
[51] Non è da escludersi infatti l’ipotesi di un piano liquidativo (sul tema infra).
[52] PANZANI, op. cit., 1559.
[53] La disciplina riproduce i principi della composizione negoziata ma con differenze operative significative: la segnalazione al tribunale relativa ad atti di straordinaria amministrazione o pagamenti non coerenti con il piano sostituisce l’iscrizione nel registro delle imprese prevista dalla composizione negoziata. PANZANI, op.cit., 1546, osserva che le conseguenze della “disobbedienza” sono assai più gravi nel P.R.O. che nella composizione negoziata.
[54] PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O.), cit., 1545, il quale osserva anche che il primo comma dell'articolo 106 menziona la revoca del decreto che concede i termini per depositare la proposta e il piano nelle procedure di riorganizzazione ma, che, nel caso si intende fare riferimento non a tale ipotesi specifica, ma alla procedura stabilita dalla norma stessa.
[55] PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O.), cit., 1546.
[56] Per una trattazione completa ed aggiornata dell’argomento con esauriente bibliografia, cfr. D’ANDREA, L’analogia in bonam partem nel diritto penale. Una riflessione sulla natura “eccezionale” delle norme penali di favore, in www.sistemapenale.it.,2023.
[57] Vedi infatti sul punto DONINI, Diritto penale, Parte generale, Milano, 2024, 747, il quale opportunamente evidenzia che non esiste il principio nullum crimen sine poena.
[58] Non sono mancate critiche alla brevità del termine di cinque giorni decorrenti dal deposito della relazione del commissario (art. 107, co. 3), cui è stato replicato (Fabiani–Pagni) che l’annuncio può essere anche sintetico e che gli elementi essenziali sono comunque desumibili dalla relazione ex art. 105, co. 1, già depositata 45 giorni prima dell’avvio delle votazioni.
[59] La disposizione sembra introdurre, seppur in via indiretta, un limite alla libertà del debitore nella distribuzione del valore: il valore di liquidazione del bene oggetto di garanzia diventa infatti il minimo inderogabile di soddisfazione dei creditori prelatizi (Bozza). Ne deriva una tensione sistematica con la cifra caratterizzante del P.R.O., ossia l’assenza di regole distributive: la piena operatività della libera allocazione delle risorse dipende, di fatto, dalla mancata proposizione di opposizioni (Fabiani–Pagni), con conseguenti incertezze sul piano della certezza del diritto.
[60] ADDAMO, Sub. Art. 64-ter, in BONFATTI, Commentario al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Pisa, 2025, 331, citando BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022, 33.
[61] Per questa ampia lettura della norma – anche se La Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo”, approvato nel giugno 2022, afferma che la norma tende a disciplinare ipotesi in cui l’imprenditore crede che vi sia stato un errore nel computo dei voti e delle maggioranze ed è quindi convinto di avere ottenuto l’unanimità necessaria per l’omologazione del piano - PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ecc., cit., 1567.; ADDAMO, Sub art. 64-ter, cit., 331. In senso contrario BONFATTI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022, par. 15.
[62] PANZANI, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ecc., cit., 1567.
[63] GALLETTI, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in ilFallimentarista.it, 6 aprile 2022; MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. l plusvalore da continuità, in D. crisi, 6 Aprile 2022; LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla "distribuzione" del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa, in D. crisi, 25 Febbraio 2022 D'ATTORRE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallimento, 2020, 1072.
[64] BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022, 39.
[65] PANZANI, 192-193.