Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Società benefit e abuso del concordato nella recente giurisprudenza milanese


Luca Calò
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Società benefit e abuso del concordato nella recente giurisprudenza milanese


Luca Calò

Data pubblicazione
15 ottobre 2025

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Sommario: 1. Premessa. – 2. I fatti di causa e l’abuso dello strumento. – 3. Il cambio di professionisti non integra mutamento delle circostanze. – 4. Criteri per distinguere tra mutamenti della dimensione oggettiva dell'impresa e le scelte processuali. –  5. La distinzione rispetto alla scelta dello strumento di regolazione della crisi. – 6. Le implicazioni pratiche per i professionisti – 7. La manifesta inadeguatezza del piano. –8. La violazione dei doveri di correttezza e buona fede. –  9. La liquidazione giudiziale delle società benefit: un principio di parità di trattamento. – 10. Considerazioni conclusive.


1. Premessa

La sentenza n. 77 del 25 settembre 2025 del Tribunale di Milano rappresenta un importante precedente in materia di abuso dello strumento concordatario e di applicazione del principio del mutamento delle circostanze previsto dall'art. 47, comma 6, del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza. Il caso riguarda una Società Benefit, società operante nel settore della commercializzazione di articoli di abbigliamento, che ha reiteratamente tentato di accedere a strumenti di regolazione della crisi senza mai presentare una proposta concreta e realizzabile, in un contesto di manifesta insolvenza protrattasi per oltre due anni. 

 

2. I fatti di causa e l’abuso dello strumento

La vicenda processuale si caratterizza per una serie di iniziative dilatorie che hanno attraversato oltre un anno di procedimenti, dal giugno 2024 al settembre 2025. La società debitrice, già nel giugno 2024, aveva depositato una prima domanda di concordato preventivo con riserva, prospettando lo smobilizzo della merce ferma presso gli spedizionieri e la continuità indiretta mediante affitto d'azienda alla newco, con offerta irrevocabile di acquisto del ramo d'azienda (di poi ritirata). Tuttavia, alla scadenza del termine prorogato ad ottobre 2024, nessuna domanda piena venne depositata, determinando l'estinzione del procedimento.

Successivamente, nel gennaio 2025, diversi creditori promuovevano ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale. La debitrice, in risposta, depositava presso la Camera di Commercio domanda di CNC a marzo 2025, ottenendo la conferma delle misure protettive fino ad agosto 2025. Anche questo tentativo si concludeva con l'archiviazione del procedimento di CNC, a seguito di relazione negativa dell'esperto per mancanza di concrete prospettive di risanamento[1].

Infine, in data 16 settembre 2025, alla vigilia dell'udienza di pre-liquidazione, la società depositava una nuova domanda di concordato preventivo con riserva ex art. 44, comma 1, CCII, allegando il medesimo "piano aggiornato" già sottoposto all'esperto in sede di CNC e oggetto di valutazione negativa, offrendo come giustificazione -tra l’altro- la variazione degli advisors.

La decisione del Tribunale di Milano si inserisce in un orientamento giurisprudenziale consolidato che sanziona con l'inammissibilità l'abuso dello strumento concordatario[2].


3. Il cambio di professionisti non integra mutamento delle circostanze

Il Tribunale di Milano ha dichiarato l'inammissibilità della domanda ex art. 44 CCII, rilevando l'assenza di qualsiasi mutamento delle circostanze fattuali rispetto ai precedenti tentativi di regolazione della crisi. Come stabilito dall'art. 47, comma 6, CCII, la domanda può essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, "quando si verifichino mutamenti delle circostanze".

Il Collegio ha chiarito che tale disposizione deve essere interpretata in senso sostanziale, richiedendo cambiamenti fattuali intervenuti nella vita dell'impresa, non precedentemente prospettati o prospettabili, che rendano giustificabile una ripartenza nell'individuazione di una soluzione per la regolazione della crisi o dell'insolvenza. In questo senso, il Tribunale ha richiamato espressamente un proprio precedente[3], affermando che "non costituisce evidentemente elemento di novità, come da precedente citato, la costituzione in sede di presentazione della domanda al procedimento unitario di nuovi difensori che hanno sostituito i precedenti procuratori, ai quali è stato revocato il mandato e la revoca dell'incarico al precedente advisor finanziario".

Questa affermazione contiene un principio di particolare rilevanza pratica: se si ammettesse che il semplice cambio di professionisti possa costituire mutamento delle circostanze rilevante ai fini della riproposizione della domanda, si aprirebbe la strada a un utilizzo strumentale e abusivo di tale facoltà. L'imprenditore potrebbe infatti aggirare le preclusioni temporali e procedimentali semplicemente sostituendo periodicamente i propri consulenti legali o finanziari, ottenendo così una sorta di "rimessione in termini" perpetua che vanificherebbe il sistema di tutela dei creditori delineato dal Codice della Crisi.

Questa conclusione si fonda su un principio fondamentale elaborato dalla giurisprudenza in materia di mutamento delle circostanze: la distinzione tra modifiche che attengono alla dimensione oggettiva dell'impresa e modifiche che riguardano mere scelte processuali o strategiche dei professionisti che assistono l'imprenditore.

 

4. Criteri per distinguere tra mutamenti della dimensione oggettiva dell'impresa e le scelte processuali

La ratio di questa distinzione risiede nella stessa finalità dell'art. 47, comma 6, CCII, che consente la riproposizione della domanda "quando si verifichino mutamenti delle circostanze". Come chiarito dalla sentenza n. 708/2024, "in generale, nella sistematica del codice, la disposizione indicata deve valutarsi funzionale a valorizzare quei cambiamenti fattuali intervenuti nella vita dell'impresa, non precedentemente prospettati o prospettabili, che rendono giustificabile una ripartenza nell'individuazione di una soluzione per la regolazione della crisi o dell'insolvenza".

Il mutamento delle circostanze deve quindi riguardare la situazione economico-patrimoniale e operativa dell'impresa, non le scelte strategiche o processuali relative alla conduzione del procedimento. Esempi di mutamenti rilevanti potrebbero essere:

L'acquisizione di nuovi ordini o contratti significativi non precedentemente disponibili

L'ingresso di nuovi soci o investitori con apporto di capitale fresco

La cessione di asset aziendali a condizioni più favorevoli rispetto a quelle precedentemente prospettabili

-Il raggiungimento di accordi transattivi con creditori rilevanti

-Modifiche normative o regolamentari che incidano sulla situazione dell'impresa

-Eventi esterni imprevedibili che modifichino sostanzialmente il contesto operativo

Al contrario, non costituiscono mutamenti rilevanti:

-La nomina di nuovi legali o advisor

-La revoca dell'incarico ai precedenti professionisti

-La scelta di uno strumento di regolazione della crisi diverso da quello precedentemente indicato

-La modifica della strategia processuale o delle modalità di presentazione della proposta

Questa impostazione trova conferma in altri orientamenti giurisprudenziali che hanno affrontato questioni analoghe[4].


5. La distinzione rispetto alla scelta dello strumento di regolazione della crisi

Il Tribunale di Milano ha inoltre precisato che "anche la prospettazione di introdurre – alla scadenza del termine - un concordato preventivo piuttosto che un accordo di ristrutturazione, come avvenuto nel precedente ricorso ex art. 44 CCII, non costituisce un mutamento delle circostanze. La scelta dello strumento di regolazione della crisi ben può cambiare anche nel termine concesso per l'integrazione della documentazione, e non attiene – di per sé -- all'operatività dell'impresa, ma alle scelte procedimentali dei professionisti che assistono l'imprenditore".

Questa affermazione è particolarmente significativa perché chiarisce che anche la modifica dello strumento prescelto (ad esempio, passare da un accordo di ristrutturazione a un concordato preventivo, o viceversa) non costituisce di per sé un mutamento delle circostanze rilevante. Tale scelta può infatti essere operata anche in corso di procedimento, come confermato dalla possibilità di conversione prevista dall'art. 64-quater CCII, che consente al debitore di modificare la domanda di piano di ristrutturazione formulando una proposta di concordato.

 

6. Le implicazioni pratiche per i professionisti

Questa interpretazione ha importanti implicazioni pratiche per i professionisti che assistono imprese in crisi. In primo luogo, evidenzia l'importanza di una scelta accurata e ponderata dei consulenti sin dall'inizio del percorso di regolazione della crisi. Il cambio di professionisti in corso di procedimento, pur essendo sempre possibile, non può costituire una giustificazione per ritardi o inerzie nella predisposizione della proposta e del piano.

In secondo luogo, la sentenza sottolinea come i professionisti debbano essere in grado di garantire continuità nell'assistenza all'impresa, evitando rinunce o revoche di mandato che possano compromettere il rispetto dei termini procedimentali. Persino l'impossibilità dell'advisor per problemi di salute non giustifica l'inerzia della società quando questa non abbia provveduto tempestivamente a sostituirlo[5].

In terzo luogo, la decisione conferma che la responsabilità della tempestiva predisposizione della proposta e del piano ricade in ultima analisi sull'imprenditore, che deve attivarsi diligentemente per assicurare che i professionisti incaricati siano in grado di adempiere ai propri compiti nei termini assegnati dal tribunale.

Infine, un aspetto correlato riguarda la nomina dell'attestatore, che secondo la giurisprudenza deve essere operata "nell'immediatezza della concessione del termine, se non contestualmente o antecedentemente alla proposizione della proposta prenotativa", come affermato dalla già citata sentenza del tribunale pistoiese. La tempestiva nomina dell'attestatore costituisce infatti un indice della "diligente attivazione dell'imprenditore nella prospettiva della individuazione di un valido strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza".

La sentenza del Tribunale di Milano si inserisce in un orientamento consolidato secondo cui il favor del legislatore per gli strumenti negoziali di soluzione della crisi di impresa, pur costituendo un principio cardine del Codice della Crisi, non può tradursi nella possibilità per il debitore di proporre continuamente nuove domande mediante il semplice espediente del cambio di professionisti.

 

7. La manifesta inadeguatezza del piano

Oltre all'assenza di mutamento delle circostanze, il Tribunale ha rilevato la manifesta inadeguatezza del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, ai sensi dell'art. 7, comma 2, lett. b), CCII. Tale disposizione stabilisce che il tribunale esamina in via prioritaria la domanda diretta a regolare la crisi con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, a condizione che "il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati".

Le criticità del piano erano molteplici e insuperabili:

Irrealizzabilità delle tempistiche: il piano prevedeva la distribuzione della merce presso i punti vendita entro il 15 settembre 2025, data già spirata al momento dell'udienza, senza che fosse stato raggiunto alcun accordo con gli spedizionieri per lo svincolo della merce.

Assenza di impegni contrattuali: le prospettate vendite non erano supportate da contratti vincolanti, ma da mere comunicazioni interlocutorie prive di efficacia giuridica.

Mancanza di accordi con gli spedizionieri: elemento cruciale, considerato che la merce era ferma da oltre due anni con maturazione di ulteriori oneri di deposito e doganali mai quantificati.

Assenza di finanza esterna formalizzata: nonostante i generici riferimenti a finanziamenti da parte del socio, nessuna garanzia o cauzione era stata prestata.

Carenze documentali: mancanza di un piano mensile dei flussi e di dettagli sulla transazione fiscale prospettata.

 

8. La violazione dei doveri di correttezza e buona fede


Un profilo particolarmente rilevante della decisione riguarda la violazione dei doveri imposti dall'art. 4 CCII, che stabilisce che "nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, il debitore, i creditori e ogni altro soggetto interessato devono comportarsi secondo buona fede e correttezza".

In particolare, l'art. 4, comma 2, lett. b), CCII impone al debitore di "assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all'articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza prescelto, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori".

Il Tribunale ha rilevato come la condotta della debitrice si sia tradotta in un aggravio del passivo e in una procrastinazione ingiustificata della messa in liquidazione giudiziale, facendo maturare ulteriori oneri. La società, infatti, è rimasta inattiva dal 2023, senza generare alcun fatturato, mentre la merce ferma presso gli spedizionieri continuava a deprezzarsi e ad accumulare costi di giacenza.


9. La liquidazione giudiziale delle società benefit: un principio di parità di trattamento

Un aspetto di particolare rilevanza della sentenza riguarda l'espressa affermazione della sottoponibilità delle società benefit alla liquidazione giudiziale. Il Tribunale ha chiarito con nettezza che "la circostanza che si tratti di 'società benefit' non è ostativa alla dichiarazione di apertura della liquidazione, non essendo prevista normativamente alcuna deroga".

Questa affermazione merita un approfondimento, considerato che le società benefit rappresentano una forma societaria relativamente recente nell'ordinamento italiano, introdotta con i commi 376-384 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016). Le società benefit sono società che, nell'esercizio di un'attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.

La qualifica di società benefit non modifica la natura giuridica della società, che rimane una società di capitali o di persone secondo la forma prescelta (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a., società cooperativa, ecc.), ma aggiunge agli scopi lucrativi tradizionali anche finalità di beneficio comune. Questa duplice natura – lucrativa e di beneficio comune – non comporta tuttavia alcuna esenzione dall'applicazione della disciplina concorsuale.

Il Tribunale di Milano ha motivato questa conclusione affermando che "la gestione aziendale che prediliga obiettivi di sostenibilità o attuazione di progetti eco-friendly, al pari di quanto avviene per le restanti imprese operanti sul mercato, ben potrà, come nella specie, registrare un impatto negativo sull'organizzazione e sull'equilibrio economico finanziario di un'impresa con declaratoria, come nella specie, di insolvenza, dovendosi pertanto tutelare le ragioni dei creditori e la disciplina dettata dal CCII a prescindere dal conseguimento o meno di questi obiettivi 'sociali'".

Questa affermazione si fonda su un principio fondamentale di parità di trattamento tra tutti gli operatori economici che operano sul mercato. La scelta di perseguire finalità di beneficio comune accanto agli scopi lucrativi non può tradursi in un privilegio che consenta di sottrarsi alle conseguenze dell'insolvenza quando l'attività d'impresa non sia più sostenibile. I creditori che entrano in rapporto con una società benefit hanno il diritto di fare affidamento sull'applicazione delle regole ordinarie in materia di crisi d'impresa, senza che la qualifica "benefit" possa costituire uno schermo protettivo rispetto alle procedure concorsuali[6].

Questa interpretazione trova conferma nella stessa ratio della disciplina delle società benefit, che non mira a creare una categoria privilegiata di imprese sottratte alle regole del mercato, ma piuttosto a incentivare comportamenti virtuosi attraverso la trasparenza e la rendicontazione delle attività di beneficio comune. La relazione annuale che le società benefit sono tenute a redigere, descrivendo gli obiettivi specifici, le modalità e le azioni attuate dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune, costituisce uno strumento di accountability verso gli stakeholder, ma non modifica la natura imprenditoriale dell'attività svolta né sottrae la società alle conseguenze dell'eventuale insolvenza[7].

Del resto, l'art. 121 CCII stabilisce che "le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza", senza prevedere alcuna eccezione per le società benefit. Analogamente, l'art. 120-bis CCII, che disciplina l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi per le società, si applica indistintamente a tutte le forme societarie, senza distinguere tra società ordinarie e società benefit.

La giurisprudenza ha inoltre chiarito che anche enti con finalità non lucrative possono essere sottoposti a liquidazione giudiziale quando esercitino in via prevalente attività commerciale. Così come avviene anche per "le fondazioni sono soggette alla liquidazione giudiziale quando esercitano attività commerciale in misura prevalente, indipendentemente dal loro scopo non lucrativo statutario, in quanto la compatibilità tra finalità non lucrative e svolgimento di attività economica ex art. 2082 c.c. non esclude l'applicabilità delle procedure concorsuali"[8]. A maggior ragione, le società benefit, che mantengono comunque uno scopo lucrativo accanto alle finalità di beneficio comune, non possono sottrarsi all'applicazione della disciplina concorsuale.

Questa interpretazione è coerente con l'evoluzione del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, che ha ampliato la nozione di debitore assoggettabile alle procedure concorsuali. Come evidenziato dalla Corte d'Appello di Bologna, "il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza amplia la nozione di debitore includendo l'imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, con esclusione unicamente dello Stato e degli enti pubblici".

 

10. Considerazioni conclusive

La sentenza del Tribunale di Milano offre importanti spunti di riflessione sui limiti dell'utilizzo degli strumenti di regolazione della crisi e sulle responsabilità che gravano sull'imprenditore in stato di insolvenza.

Anzitutto, emerge con chiarezza che il favor legislativo per le soluzioni negoziali della crisi non può tradursi in una possibilità illimitata per il debitore di proporre continuamente nuove domande, eventualmente previa rinuncia di quelle precedenti inammissibili. Come evidenziato dal Tribunale di Lagonegro[9], ciò comporterebbe la vanificazione del sistema delineato dal Codice e dei connessi obblighi di buona fede e correttezza imposti dall'art. 4 CCII.

In secondo luogo, la decisione sottolinea l'importanza di una valutazione sostanziale del mutamento delle circostanze. Non sono sufficienti modifiche formali o processuali (come il cambio di professionisti o la scelta di uno strumento diverso), ma sono necessari effettivi cambiamenti nella dimensione oggettiva dell'impresa che giustifichino una nuova opportunità di accesso agli strumenti di regolazione della crisi.

Ancora, il provvedimento evidenzia come l'utilizzo dilatorio degli strumenti concordatari possa configurare una violazione dei doveri di correttezza e buona fede, con conseguente responsabilità dell'imprenditore per l'aggravamento del dissesto. Nel caso di specie, la reiterazione di domande prive di concrete prospettive di successo ha determinato un ulteriore deprezzamento degli asset aziendali (la merce ferma da oltre due anni) e la maturazione di ulteriori oneri a carico della massa dei creditori.

Infine, la decisione conferma l'orientamento secondo cui il controllo del Tribunale nella fase di ammissibilità non si limita a una verifica meramente formale, ma deve necessariamente includere la valutazione della percorribilità operativa del piano e della sua coerenza con il dichiarato fine di risanamento dell'impresa[10].

A ciò si aggiunga la considerazione secondo cui la natura di società benefit non rilevi ai fini della emersione dei segnali di crisi, poiché gli obblighi di tempestiva rilevazione e gestione previsti dal CCII si applicano con la medesima intensità che per le società ordinarie.

Gli amministratori di società benefit, infatti, hanno il dovere di valutare con realismo la sostenibilità dell'attività d'impresa e di accedere tempestivamente agli strumenti di regolazione della crisi quando necessario, senza illudersi che la natura "benefit" della società possa costituire un elemento di favore nella valutazione giudiziale.

A maggior ragione rispetto alla tutela dei creditori che intrattengono rapporti con società benefit e possono fare pieno affidamento sull'applicazione delle regole ordinarie in materia di tutela del credito e di procedure concorsuali. La qualifica "benefit" non modifica in alcun modo i diritti dei creditori né le modalità di tutela degli stessi in caso di crisi o insolvenza del debitore.



[1] Ai sensi dell’art. 17, comma 5 CCII

[2] La Corte d'Appello di Potenza, con sentenza n. 111 del 22 aprile 2025, ha affermato che la proposizione di una domanda di concordato con riserva avvenuta in prossimità dell'udienza fissata per la trattazione dei ricorsi di liquidazione giudiziale e a distanza di pochi giorni dalla rinuncia a identico ricorso, senza che siano stati prospettati mutamenti delle condizioni economiche e finanziarie, integra abuso del processo quando appare finalizzata esclusivamente a dilazionare la richiesta di liquidazione giudiziale con possibile pregiudizio per gli interessi dei creditori.

Analogamente, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 2670 dell'11 ottobre 2024, ha stabilito che il Tribunale può dichiarare inammissibile la domanda di concordato preventivo applicando i principi generali desumibili dagli articoli 4, 7, 40 e 47 CCII quando l'imprenditore, dopo aver rinunciato ad una prima proposta concordataria senza aver inteso integrare la stessa per superare le criticità rilevate dal Commissario Giudiziale, presenti una nuova domanda di concordato in bianco in assenza di significative modifiche sia nell'attivo che nel passivo patrimoniale.

[3] Il Tribunale meneghino ha richiamato espressamente un proprio precedente, la sentenza n. 708 del 17 ottobre 2024, che aveva affrontato una fattispecie del tutto analoga. In quella decisione, il Collegio aveva chiarito che "la nomina di nuovi legali o advisor non integra affatto il presupposto indicato, in quanto attiene ad una scelta processuale e non alla dimensione oggettiva dell'impresa. Paradossalmente, aderendo alla tesi della proponente, continuando a cambiare professionisti l'imprenditore potrebbe essere rimesso periodicamente in termini".

[4] La sentenza del Tribunale di Lagonegro n. 17 del 18 dicembre 2024 ha affermato che la mera nomina di un nuovo amministratore non integra il presupposto del mutamento delle circostanze quando la misura interdittiva che ha colpito il precedente amministratore è intervenuta durante la pendenza dei termini del primo ricorso, evidenziando come la società avrebbe avuto il tempo sufficiente per depositare il piano nei termini del primo ricorso.

Analogamente, la sentenza del Tribunale di Pistoia n. 37 del 9 aprile 2025 ha chiarito che non costituisce giustificato motivo per la concessione della proroga del termine ex art. 44 CCII "la rinuncia all'incarico da parte dell'avv…." quando "parte ricorrente è difesa anche dall'avv. …. (che non risulta aver rinunciato all'incarico e che anzi ha partecipato alla riunione con il CG del 10.2.2025)" e quando "nessun ulteriore incarico è stata conferito dalla società debitrice ad altri advisors legali, sicché anche sotto tale profilo l'inerzia si profila ingiustificata".

A contrario: Corte d'appello civile Firenze sentenza n. 1380 del 29 luglio 2024,
La domanda di concordato preventivo proposta entro il termine di decadenza previsto dall'art. 40, comma 10 CCII non può essere dichiarata inammissibile per abuso dello strumento quando sia stata tempestivamente depositata il giorno antecedente alla prima udienza del procedimento di liquidazione giudiziale, anche se presentata a distanza di circa tre mesi dalla precedente domanda con riserva ex art. 44 CCII con termine scaduto e non prorogato. Il sindacato preliminare del tribunale nella fase di valutazione di ammissibilità ex art. 47 CCII deve limitarsi alla verifica della ritualità della proposta e alla non manifesta inidoneità del piano alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, senza eccedere in valutazioni di merito che appartengono alla fase di omologa. L'assenza di un piano industriale specifico della società controllata, pur costituendo elemento di criticità, non determina automaticamente l'inammissibilità della domanda quando il professionista indipendente abbia comunque rilasciato attestazioni positive sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, avendo potuto valutare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della controllata. Il tribunale deve considerare la possibilità di assegnare un termine per integrazioni ex art. 47, comma 4 CCII quando le criticità rilevate possano essere superate mediante deposito di documentazione aggiuntiva, specialmente quando l'incertezza sulla continuità della controllata derivi dalla pendenza di istanza di liquidazione giudiziale successivamente rigettata. La valutazione circa l'applicabilità del cram down fiscale ex art. 88, comma 2 bis CCII non può essere anticipata nella fase di delibazione preliminare di ammissibilità, dovendo essere operata esclusivamente in sede di omologa all'esito della mancata adesione dell'amministrazione finanziaria, con applicazione della disciplina vigente al momento della decisione. L'accoglimento del reclamo ex art. 47, comma 5 CCII comporta la restituzione degli atti al tribunale per nuova valutazione di ammissibilità e, quale necessaria conseguenza, la revoca della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale in applicazione del principio di priorità delle domande dirette a regolare la crisi con strumenti diversi dalla liquidazione ex art. 7 CCII. La società cooperativa svolgente attività commerciale rimane soggetta sia a liquidazione giudiziale che a liquidazione coatta amministrativa ex art. 2545 terdecies c.c., ma può sempre essere ammessa al concordato preventivo ex art. 296 CCII. Il controllo al 99% di una società agricola non modifica la natura commerciale della controllante quando questa svolga autonomamente attività di prestazione di servizi e attività turistica-ricreativa e ristorativa, come pacificamente riconosciuto nelle domande presentate dalla stessa parte.
 

[5] Come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Lecco n. 36 del 30 luglio 2024.

[6] Come evidenziato dalla Corte d'Appello di Bologna nella sentenza n. 972 del 3 giugno 2025, riferita alle fondazioni ma applicabile per analogia anche alle società benefit, operando all'interno del mercato attraverso l'esercizio di un'attività commerciale, l'ente si espone ai medesimi rischi degli altri operatori economici, inclusi quelli legati alla domanda, alla concorrenza, alle fluttuazioni economiche e alle scelte imprenditoriali errate. La Corte bolognese ha affermato che "l'esenzione dalla liquidazione giudiziale delle fondazioni esercenti in via prevalente attività commerciale contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e con la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno dello stesso mercato con identiche forme e modalità".

[7] ai sensi dell'art. 1, comma 382, della legge n. 208/2015

[8] Ai sensi della già citata sentenza della Corte d'Appello di Bologna n. 972/2025

[9] Tribunale di Lagonegro, sentenza n. 17 del 18 dicembre 2024.

[10] come affermato dalla sentenza del Tribunale di Grosseto n. 27 del 5 agosto 2024.