Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Brevi note in tema di responsabilità dei sindaci alla luce del novellato art. 2407 c.c.*


Raffaele Del Porto
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Brevi note in tema di responsabilità dei sindaci alla luce del novellato art. 2407 c.c.*


Raffaele Del Porto

Data pubblicazione
22 ottobre 2025

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Sommario: 1. Premessa; 2. Le modifiche all’art. 2407 c.c. apportate con la legge 35/2025; 3. La (pretesa) retroattività della norma; 4. I nuovi limiti di responsabilità; 5. Il tema della solidarietà.; 6. Il nesso causale; 7. Possibili profili di incostituzionalità.


1. Premessa

Alcune delle novità normative introdotte dal C.C.I.I., anche mediante modifica di (preesistenti) norme del codice civile, rivelavano, a mio avviso, una marcata tendenza del legislatore alla valorizzazione del ruolo dell’organo sindacale, con conseguente maggiore responsabilizzazione dello stesso.

Nel più generale contesto della “sistematizzazione” dell’obbligo di dotare l’impresa, soprattutto se esercitata in forma collettiva o societaria, di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni della stessa, il legislatore ha difatti dettato nuove norme (o modificato norme preesistenti) dirette a rafforzare la funzione di controllo, incrementando, di conseguenza, compiti e responsabilità dei sindaci.

Il legislatore ha, in primo luogo, tentato di allargare l’area di obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo (o del revisore) per le società a responsabilità limitata, abbassando sensibilmente le soglie quantitative già stabilite dall’art. 2477 c.c.

Tale tentativo si è scontrato, come noto, con la forte opposizione – soprattutto del mondo imprenditoriale – che lo ha percepito come un inutile appesantimento degli obblighi – già gravosi – posti a carico di imprese di dimensioni medio-piccole.

Sono quindi seguiti vari interventi normativi, che, da un lato, hanno provveduto ad innalzare nuovamente le soglie quantitative di obbligatorietà della nomina e, dall’altro, differito – complice il disastroso impatto della pandemia Covid 19 – l’entrata in vigore delle nuove soglie, slittata, in definitiva, alla primavera del 2023 (con l’approvazione dei bilanci relativi all’esercizio 2022).

Il C.C.I.I. ha poi integrato la disciplina relativa alla nomina giudiziale del sindaco (o del revisore) per quelle società a responsabilità limitata che fossero risultate inadempienti all’obbligo di nomina, prevedendo che tale nomina potesse essere adottata, non solo, come già in precedenza, “su richiesta di qualsiasi soggetto interessato”, ma anche “su segnalazione del conservatore del registro delle imprese” (art. 2477, 5° comma, c.c.).  

Sempre in tema di valorizzazione del ruolo dell’organo di controllo, va ricordato l’art. 37, 2° comma, C.C.I.I., che, con notevole portata innovativa, contempla fra i soggetti legittimati alla proposizione della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, fra gli altri, gli organi e le autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa e perciò anche i sindaci.

Il primo comma dell’art. 25-octies C.C.I.I. attribuisce poi all’organo di controllo (ed ora – a seguito del c.d. decreto correttivo ter – anche al revisore) il compito di segnalare per iscritto all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui all’art. 17, prevedendo inoltre, al secondo comma, che la tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del primo comma e la vigilanza sull’andamento delle trattative sono valutate ai fini della attenuazione o esclusione della responsabilità prevista dall’articolo 2407 del codice civile o dall’articolo 15 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39.

Il medesimo comma stabilisce altresì che la segnalazione è in ogni caso considerata tempestiva se interviene nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza delle condizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), da parte dell’organo di controllo o di revisione.

 

2. Le modifiche all’art. 2407 c.c. apportate con la
legge 35/2025

In apparente controtendenza a questo indirizzo di valorizzazione (e, come detto, responsabilizzazione) della funzione di controllo sembrano muovere le recenti modifiche apportate, con la legge 35/2025, al testo dell’art. 2407 c.c., recante la disciplina della responsabilità dei sindaci.

Le modifiche apportate dalla novella sono molte e piuttosto eterogenee; per ragioni di tempo, mi limiterò ad alcune brevi riflessioni su quelle che hanno dato vita, sin dalle prime battute, a maggiori contrasti interpretativi.

 

3. La (pretesa) retroattività della norma

Nel totale difetto di una disciplina transitoria, il primo precedente giurisprudenziale edito[1] ha, come noto, ritenuto la natura retroattiva della norma che ha introdotto i nuovi limiti di responsabilità dei sindaci, osservando che “pur in assenza di una previsione di diritto intertemporale che preveda la retroattività della legge in generale e di tale previsione normativa, (…) si ritiene che il nuovo testo del comma 2 dell'art. 2407 c.c. si applichi anche ai fatti pregressi all'entrata in vigore della legge medesima, trattandosi di previsione lato sensu procedimentale poiché si limita ad indicare al Giudice un criterio di quantificazione del danno (tetto massimo), senza che una tale interpretazione incida sulla permanenza del diritto stesso al risarcimento, limitando solo il quantum rispetto a soggetti comunque responsabili in solido con gli amministratori”.   

Il provvedimento in esame attribuisce alla norma carattere “lato sensu procedimentale”, evocando, verosimilmente, quanto affermato da Cass. 8069/2024[2], che, nell’affrontare il tema – solo in apparenza analogo – della natura retroattiva (o meno) del disposto dell’art. 2486, 3° comma, c.c. nuovo testo, ha concluso in senso affermativo, evidenziando che “il terzo comma dell'art. 2486 cod. civ., aggiunto dall'art. 378 del D.Lgs. n. 14 del 2019, può essere definito come norma latamente (anche se non propriamente) processuale: essa si applica anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore perché rivolta a stabilire non un criterio (nuovo) di riparto di oneri probatori, ma semplicemente un criterio valutativo del danno, rispetto a fattispecie integrate dall'accertata responsabilità degli amministratori”.

La soluzione proposta dal Tribunale di Bari non appare convincente, dovendosi evidenziare la sostanziale differenza fra le due norme.

Ed infatti, il solo art. 2486, 3° comma, c.c. detta – effettivamente – nuovi criteri di liquidazione del danno cagionato dagli amministratori (e dai sindaci, quanto all’omesso controllo), quando risulti accertata la responsabilità di tali soggetti “a norma del presente articolo”.

Da rimarcare, inoltre, la valenza solo presuntiva dei criteri dettati dalla norma in esame, che fa in ogni caso “salva la prova di un diverso ammontare”.

Diversamente, l’art. 2407 c.c. nuovo testo si limita stabilire meri limiti quantitativi di responsabilità dei sindaci, senza dettare, in realtà, alcun criterio (anche meramente presuntivo) vincolante per il giudice nella liquidazione del danno cagionato.

Così, ad esempio, qualora fosse contestata ai sindaci la mancata vigilanza sull’operato degli amministratori che abbiano agito in violazione delle regole stabilite dai primi due commi dell’art. 2486 c.c., il giudice dovrà procedere prima alla liquidazione del danno facendo applicazione dei criteri (come detto presuntivi) stabiliti dal terzo comma dello stesso articolo e poi tener conto dei limiti stabiliti dall’art. 2407 c.c. quale tetto della responsabilità dei soli sindaci.

Superfluo rilevare come tali limiti non potranno assumere alcuna rilevanza qualora il danno liquidato mediante applicazione dei criteri dettati dall’art. 2486, 3° comma, c.c. risulti comunque inferiore ai nuovi limiti di legge.

Ne deriva che le due norme operano, in definitiva, su piani nettamente diversi: l’art. 2486, 3° comma, c.c. detta infatti al giudice una regola di giudizio, fornendo allo stesso criteri presuntivi per la liquidazione del danno risarcibile; l’art. 2407, 2° comma, c.c. stabilisce, di contro, il mero tetto massimo del quantum della responsabilità dei sindaci, al di sotto del quale la liquidazione del danno va comunque operata facendo applicazione degli ordinari criteri di legge.     

Riterrei quindi che, alla luce del principio generale di irretroattività della legge stabilito dall’art. 11 delle preleggi (pur privo di rango costituzionale in materia civile e perciò derogabile dalla legge ordinaria), del difetto di una norma ad hoc, che stabilisca l’efficacia retroattiva delle norme in esame, e della natura sostanziale di dette norme (che, per la parte che qui interessa, si limitano a stabilire un limite quantitativo della responsabilità risarcitoria dei sindaci), vada esclusa la retroattività delle stesse, che troveranno applicazione per i soli fatti di responsabilità risarcitoria che si siano perfezionati dopo la loro entrata in vigore.

 

4. I nuovi limiti di responsabilità

Il secondo comma dell’articolo 2407 c.c. introduce, come accennato, un limite (di natura quantitativa) alla responsabilità dei sindaci, che viene fissato in “un multiplo del compenso annuo percepito” (locuzione che deve ritenersi verosimilmente coincidente con quella di “retribuzione annuale dei sindaci” contemplata dall’art. 2402 c.c.).   

Il legislatore non ha – opportunamente – demandato la fissazione di tale multiplo a successive fonti normative, ma lo ha determinato direttamente in tre scaglioni: 15 volte per i compensi fino a € 10.000, 12 volte per i compensi da € 10.000 a € 50.000, 10 volte per i compensi superiori a € 50.000.

Soluzione che è stata condivisa dalla dottrina che ha evidenziato come si sia “optato, convenientemente, per multipli che decrescono al crescere dell’ammontare dei compensi”[3].

Il meccanismo – piuttosto rudimentale – di mera applicazione dei multipli genera tuttavia alcune perplessità: il sindaco che si veda attribuita una retribuzione annuale pari a € 10.500,00 si gioverà difatti di una limitazione di responsabilità (pari ad € 126.000,00) discretamente inferiore a quella prevista per il collega cui sia riconosciuto il minor compenso di € 10.000,00, trovando applicazione per quest'ultimo il “tetto” di € 150.000,00.

La norma suscita pertanto ulteriori dubbi di legittimità costituzionale (che si aggiungono a quelli di cui si dirà infra), che sarebbero stati agevolmente evitati prevedendo la “ultrattività” del limite massimo di responsabilità fissato per gli scaglioni inferiori, da ritenersi in ogni caso applicabile quale limite minimo per gli scaglioni successivi.

Al di là di questi dettagli applicativi (forse superabili attraverso una lettura della norma costituzionalmente orientata, che ne forzi il tenore letterale), si deve in ogni caso riconoscere che la nuova norma viene incontro a una esigenza fortemente rappresentata dalle categorie professionali alle quali appartengono normalmente i sindaci di società, categorie che sollecitavano da tempo una mitigazione del regime di responsabilità previsto dal codice civile per gli incarichi sindacali.

Un regime considerato troppo rigoroso e tale da esporre i sindaci a rischi eccessivi e, soprattutto, del tutto sproporzionati alla entità dei compensi normalmente riconosciuti, con ulteriori ricadute in termini di entità – eccessivamente elevata – dei costi assicurativi.

Di qui l’accoglienza favorevole, sostanzialmente unanime, riservata alle nuove norme.

La formulazione non ineccepibile della norma ha però sollevato inevitabili interrogativi.

La norma stabilisce, come ricordato, il limite di responsabilità fissandolo in “un multiplo del compenso annuo percepito”, locuzione che sembra fare riferimento all’ammontare della retribuzione che venga concretamente corrisposta al sindaco.

E ciò perché, sul piano squisitamente letterale, l’espressione adoperata risulta obiettivamente diversa da altre quali “riconosciuto”, “deliberato” o “previsto”.

È stato tuttavia correttamente rilevato[4] come l’interpretazione letterale della norma finirebbe per agevolare condotte elusive della responsabilità da parte di quei sindaci che, rinunciando a percepire il compenso loro spettante, risulterebbero, per ciò solo, esenti da responsabilità (e ciò perché, come ovvio, qualunque multiplo di zero risulterebbe pari a zero).

In senso opposto, è stata anche respinta la lettura “secondo la quale la mancata percezione del compenso renderebbe inoperante la limitazione di responsabilità: e ciò per via delle conseguenze manifestamente illogiche e chiaramente contra rationem legis cui essa condurrebbe[5].

Tale soluzione penalizzerebbe difatti ingiustificatamente il sindaco che, in un contesto di grave crisi della società, rinunciasse a percepire il proprio compenso in considerazione delle condizioni di deficit finanziario in cui la stessa dovesse versare.

Ne deriva la necessaria forzatura della lettera della norma, sostituendo al vocabolo “percepito” quelli più corretti di “deliberato dall’assemblea” o “stabilito dalla statuto”.

La norma in esame non chiarisce poi se il limite di responsabilità stabilito mediante i noti moltiplicatori costituisca un limite assoluto, indipendente dal numero delle condotte censurate, o se, viceversa, risulti fissato per ogni singola condotta illecita e vada quindi moltiplicato per ciascuna di esse, laddove accertate.

Il precedente del Tribunale di Bari già ricordato ha optato, come noto, per tale ultima soluzione, facendo leva, soprattutto, su un argomento di carattere letterale che appare tuttavia poco convincente.

Il tribunale osserva difatti che “il limite previsto dalla norma vada riferito a ogni singolo evento dannoso causato dal sindaco, nel senso che l'indicazione del tetto massimo non riguarda cumulativamente tutte le condotte dannose, ma ciascuna delle condotte dalle quali deriva un danno, come si evince anche dalla lettera della norma (…) che fa riferimento alla violazione dei doveri dai quali deriva un danno, manifestando, quindi, la necessità di un nesso tra ciascuna violazione ed il danno. D'altronde, non si tratta di un'esimente della responsabilità del sindaco, ma solo di una limitazione quantitativa della sua responsabilità in relazione al danno conseguente ad una sua condotta colposa”.

In realtà, premessa l’intrinseca debolezza di soluzioni interpretative che facciano leva sul mero argomento letterale, va rilevato come, anche su tale piano, la norma stabilisca i nuovi limiti di responsabilità contemplando, al plurale, “i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi …”.

Il limite di responsabilità sembra perciò fissato considerando i danni complessivamente cagionati (e non la singola voce di danno).

Scartata pertanto l’ipotesi – per la verità non così frequente – di condotte plurioffensive, appare preferibile la tesi secondo cui il limite di responsabilità stabilito dal legislatore operi con riferimento a tutti i danni cagionati dal sindaco, anche per effetto di plurime condotte illecite, qualora le stesse risultino poste in essere nel triennio di permanenza in carica.

In alternativa, valorizzando il tenore della norma che stabilisce il limite di responsabilità in un multiplo del compenso percepito annualmente dal sindaco, potrebbe ritenersi che detto limite operi con riferimento a tutte le condotte che risultino poste in essere in ciascun esercizio.

La soluzione qui proposta (ossia quella dell’operatività del limite di responsabilità con riferimento a tutte le condotte poste in essere nel triennio o, meglio, nell’esercizio) trova conforto nell’esperienza maturata nell’esame di numerosi casi di azioni di responsabilità proposte nei confronti di amministratori e sindaci di società anche recenti, ove si è di frequente riscontrato come condotte plurime, caratterizzate da specifici profili di illiceità, abbiano contribuito alla causazione di un unico danno, insuscettibile di duplicazione risarcitoria.

Ancora oggi, infatti, la censura mossa più di frequente agli amministratori della società (e ai sindaci, quanto alla omessa vigilanza) è, indubbiamente, quella relativa alla mancata tempestiva rilevazione della perdita del capitale sociale, mancata adozione dei rimedi di legge e prosecuzione indebita dell’attività di impresa (caratterizzata da risultati economici negativi) con conseguente aggravio del deficit.

Tant’è che il legislatore ha ritenuto di dedicare a tale ipotesi una specifica norma (l’art. 2486, 3° comma, c.c. introdotto proprio dal C.C.I.I.), che fornisce i criteri di liquidazione del danno risarcibile.

La maggior parte delle azioni di responsabilità (soprattutto se promosse dagli organi di procedure concorsuali) ruota attorno a tale contestazione fondamentale, aggiungendosi, solo eventualmente ad essa, ulteriori contestazioni relative a specifici atti di mala gestio (si pensi, ad esempio, all’amministratore che venda un bene della società a un soggetto compiacente a prezzo vile o concluda un nuovo contratto “sotto costo”, in violazione delle più elementari regole dell’“agire informato” o di ragionevolezza).

Tali atti, qualora posti in essere in epoca successiva alla perdita del capitale sociale, contribuiscono, come ovvio, alla formazione dell’ulteriore perdita, e perciò all’aggravio del deficit.

Di qui l’impossibilità di considerarli quale fonte di un autonomo danno, che si aggiunge a quello calcolato facendo applicazione dei noti criteri dettati dall’art. 2486, 3° comma, c.c., onde evitare un’inammissibile duplicazione del risarcimento dovuto.

Accade quindi che una pluralità di condotte illecite contribuisca, in realtà, alla causazione di un unico danno, risultando ancor più ingiustificata l’opzione interpretativa che ritiene che i nuovi limiti di responsabilità operino con riferimento a ciascuna specifica condotta caratterizzata da autonoma illiceità.

Quanto al resto, va sottolineato che la limitazione di responsabilità non opera – opportunamente – nell’ipotesi di dolo dei sindaci, che risulterebbero, in tale ipotesi, del tutto immeritevoli del beneficio.

La limitazione opererà, di contro, là dove l’operato dei sindaci sia caratterizzato da colpa grave (non contemplata dalla norma) o integri gli estremi di un reato di natura meramente colposa.

La soluzione adottata dal legislatore, pur oggettivamente asimmetrica rispetto ad altre previsioni normative (o pattizie) che, di norma, accorpano le ipotesi di “dolo o colpa grave”, appare condivisibile, perché consente d’evitare valutazioni, naturalmente opinabili, di gravità della colpa ai fini dell’applicazione dei nuovi limiti di responsabilità.

La limitazione non potrà tuttavia operare ove sia ravvisato il dolo eventuale dei sindaci, situazione psicologica che “che ha talora registrato applicazioni connotate da una latitudine francamente eccessiva[6]; inconveniente questo a fronte del quale appare raccomandabile l’opportuna prudenza del giudice (civile o penale) chiamato a valutare l’operato dei sindaci.

La norma prevede infine, espressamente, che la limitazione di responsabilità opera anche quando sia affidata ai sindaci la revisione legale.      

 

5. Il tema della solidarietà

Il nuovo testo dell’art. 2407, 2° comma, c.c. afferma la responsabilità dei sindaci “che violano i propri doveri” per i danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori e ai terzi, senza fare più espressa menzione della natura solidale di tale responsabilità con quella (eventualmente concorrente) degli amministratori e ci si è chiesti da subito se la espunzione – verosimilmente consapevole – del riferimento al vincolo di solidarietà con gli amministratori costituisse espressione della volontà del legislatore di recidere definitivamente detto vincolo.

In realtà, anche al di fuori dello specifico campo della responsabilità degli organi di società di capitali, l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza è concorde nell’affermare che “Ai fini della responsabilità solidale di cui all'art. 2055, comma 1, c.c., norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell'art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità - contrattuale ed extracontrattuale -, in quanto la norma considera essenzialmente l'unicità del fatto dannoso, e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l'evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni” (così Cass. SS.UU. 13143/2022, da cui è tratta la massima)[7].

Principio già affermato, proprio con riferimento a un’ipotesi di responsabilità concorrente di amministratori e sindaci, da Cass. 16050/2009, secondo cui “La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, ai sensi dell'art. 1292 cod. civ., e tale vincolo sussiste - tanto quando la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale - anche se l'evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo, restando irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale […]” e che appare del tutto coerente al disposto degli artt. 1294 e 2055 c.c.

La responsabilità dei sindaci è, come ovvio, solo eventualmente concorrente con quella degli amministratori, conoscendo il nostro ordinamento ipotesi di responsabilità esclusiva dei sindaci, svincolata dalla omessa vigilanza sull’operato dell’organo gestorio (si pensi, soprattutto, alla responsabilità dei sindaci per violazione degli obblighi di verità e segretezza posti a loro carico dall’art. 2407, 1° comma, c.c.).

Appare perciò convincente la tesi secondo cui la nuova formulazione della norma non vuole escludere – in radice – la sussistenza del vincolo di solidarietà fra amministratori e sindaci là dove ne sussistano i presupposti, limitandosi piuttosto a dettare la disciplina generale della responsabilità dei sindaci “che violano i propri doveri”, che regola anche le ipotesi – già ricordate, contemplate dal primo comma dell’articolo – di responsabilità esclusiva dei sindaci[8].

Si è d’altronde osservato come “le ipotesi di responsabilità plurisoggettiva parziaria siano del tutto eccezionali nel nostro ordinamento e, in ogni caso, suffragate da espliciti e inequivoci riferimenti testuali”, di talché, in difetto di una espressa previsione normativa in tal senso, deve ritenersi operante la regola generale della natura solidale della responsabilità[9].

Si aggiunga che la regola della responsabilità parziaria risulterebbe, in definitiva, eccessivamente favorevole per i sindaci, che si gioverebbero della doppia limitazione, cumulando a detta responsabilità parziaria gli ulteriori limiti quantitativi “per multipli”[10]. 

Sussistendo poi i presupposti della responsabilità solidale fra amministratori e sindaci, troveranno applicazione le regole specifiche dettate dagli artt. 1300 e segg. c.c.

Troverà quindi applicazione, con riferimento all’ipotesi di transazione conclusa da uno (o alcuni) dei sindaci coobbligati, il disposto dell’art. 1304 c.c. e, in particolare, l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui “L'art. 1304, comma 1, c.c., si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l'intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata, poiché è la comunanza dell'oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene pur non avendo partecipato alla sua stipulazione. Se, invece, la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l'ha stipulata, occorre distinguere: nel caso in cui il condebitore che ha transatto ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all'importo pagato; nel caso in cui, invece, il pagamento è stato inferiore, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto” (fra le altre, Cass. 23418/2016, da cui è tratta la massima; conformi Cass. 13877/2020 e 20107/2015).

Con la precisazione che, qualora la transazione avente ad oggetto la sola quota del condebitore che l'ha stipulata sia stata conclusa da un sindaco che si giovi del nuovo regime di “responsabilità limitata”, la quota ideale di debito che gli altri condebitori potranno portare in detrazione dovrà ritenersi, in ogni caso, non superiore al limite di responsabilità operante in favore del sindaco in applicazione dei noti multipli di legge.

 

6. Il nesso causale

Il nuovo testo dell’art. 2407, 2° comma, c.c. non ripete la vecchia formula che affermava la responsabilità dei sindaci “per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.

Non va tuttavia dimenticato che l’azione di responsabilità esercitata anche nei confronti dei sindaci è un’azione risarcitoria, ossia diretta a ottenere il ristoro di un danno patito, e che, come tale, si fonda sulla necessaria compresenza di tre elementi: la condotta illecita, il danno e il nesso di causalità fra l’una e l’altro.

Facendo applicazione delle regole generali in tema di responsabilità per condotta omissiva, la responsabilità dei sindaci potrà quindi essere affermata, anche nel nuovo contesto normativo, solo quando, ipotizzando uno “scenario controfattuale” caratterizzato dalla condotta diligente dei sindaci, risulti ragionevole ritenere (secondo criteri necessariamente probabilistici) che quel danno non si sarebbe verificato.

Continuerà pertanto a trovare applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “L'accertamento della responsabilità del sindaco per omessa vigilanza sull'operato degli amministratori di società di capitali richiede, non solo la prova dell'inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo e del danno conseguente alla condotta dell'amministratore, ma anche che l'attore dimostri il nesso causale tra inerzia e danno, poiché l'omessa vigilanza rileva solo quando l'attivazione del controllo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato il pregiudizio. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità ex art. 2407 c.c., in un caso in cui, fallita la società, non erano state rinvenute nel conto sociale le somme incassate dal liquidatore e ivi versate, pochi giorni prima delle dimissioni del sindaco)” (fra le altre, Cass. 23857/2020, da cui è tratta la massima).

 

7. Possibili profili di incostituzionalità

Il nuovo regime di limitazione della responsabilità opera, ad oggi, per i soli sindaci, creando una – sopravvenuta – ingiustificata disparità di trattamento con organi sociali aventi funzioni sostanzialmente analoghe[11].

Innanzitutto, i componenti del comitato per il controllo interno sulla gestione nel sistema monistico, ossia l’organo che presenta maggiori affinità, in ragione dei compiti affidati, con il collegio sindacale.

Altrettando deve poi dirsi per i componenti del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, ove l’art. 2409-quaterdecies c.c. richiama numerose norme relative al collegio sindacale, fra le quali non è tuttavia compreso l’art. 2407.

Considerazioni di tenore analogo valgono poi quanto ad altri componenti di organi della società o soggetti esterni alla stessa.

Si pensi, in particolare, alla responsabilità degli amministratori c.d. non esecutivi, per i quali la riforma del 2003 aveva pacificamente optato per un opportuno contenimento della loro responsabilità e, infine, dei soggetti esterni incaricati della revisione legale.

Soggetti che dispongono di strumenti di controllo (e poteri) addirittura inferiori a quelli attribuiti ai sindaci e che, tuttavia, non si giovano, allo stato, di alcuna limitazione di responsabilità.

Si aggiunge la ricordata anomalia che segue all’applicazione tout court del meccanismo degli scaglioni.

È perciò auspicabile, in definitiva, un intervento del legislatore che preveda un opportuno allineamento della disciplina delle responsabilità, onde evitare ingiustificate disparità di trattamento, del tutto incompatibili col criterio di ragionevolezza fissato dall’art. 3 della Costituzione.

 

(*) Il contributo riprende, con l'aggiunta delle note, il contenuto della relazione svolta al convegno di Rimini del 26 settembre 2025.

[1]  Trib. Bari 24 aprile 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.

[2] Cass., Ord. 25 marzo 2024, n. 8069, in Società, 2024, 943 ss., con nota di A. Simionato, L’onere della prova della responsabilità e del danno ex art. 2486 c.c.

[3] S. Ambrosini, Vincolo di solidarietà, danno risarcibile e prescrizione nel nuovo art. 2407 c.c., in Società, 2025, 655 ss.

[4] Fra gli altri: R. Rordorf, La responsabilità dei sindaci alla luce del novellato art. 2407 c.c., in Società, 2025, 625 ss. e S. Ambrosini, Op. cit

[5] Sempre S. Ambrosini, Op. cit.

[6]  Così S. Ambrosini, Op. cit.

[7] In argomento si veda anche la recente Cass., Ord. 1° marzo 2024, n. 5519 (in CED Cassazione, rv. 670558-01) che estende il vincolo di solidarietà anche a obbligazioni di natura non risarcitoria, affermando che “Sussiste la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale ex art. 41 c.p., a produrre il medesimo eventus damni, anche ove la pluralità delle distinte condotte dannose sia riferibile a soggetti giuridici diversi ed alcune siano sanzionate con la responsabilità civile - contrattuale o extracontrattuale - mentre altre, sebbene lecite, obblighino alle restituzioni, purché vi sia un'effettiva coincidenza tra l'oggetto della restituzione e il danno risarcibile, ovvero la continenza del primo nel secondo”.

[8] Ancora R. Rordorf, Op. cit.

[9] F. Murino, La “nuova” responsabilità dei sindaci limitata e parziaria (o ancora solidale?), in Orizzonti del diritto commerciale, 2025, 645 ss.

[10] Sempre F. Murino, Op. cit.

[11] Per considerazioni analoghe a quelle espresse nel prosieguo S. Ambrosini, Op. cit., 661 s.