Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Concordato preventivo e inibitoria cautelare del pagamento diretto ai subappaltatori


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Articolo

Sostenibilità, continuità aziendale e procedure di insolvenza: una prospettiva internazionale*


Stefania Pacchi

Data pubblicazione
08 novembre 2025

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Abstract

Il contributo propone un modello interpretativo delle procedure di insolvenza fondato sul paradigma della sostenibilità, intesa come categoria giuridica capace di connettere continuità aziendale, equità sociale e responsabilità ambientale. L’analisi, condotta in chiave comparata, mostra come la sostenibilità costituisca oggi un parametro imprescindibile per la valutazione della sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa, per la strutturazione delle procedure e per la definizione di una governance del credito improntata alla prudenza responsabile.

The paper proposes an interpretative model of insolvency proceedings based on the paradigm of sustainability, understood as a legal category capable of connecting business continuity, social equity, and environmental responsibility. The analysis, conducted from a comparative perspective, shows how sustainability today represents an essential parameter for assessing the economic and financial viability of the enterprise, for structuring insolvency procedures, and for defining a credit governance framework guided by responsible prudence.

Parole chiave: sostenibilità; diritto concorsuale; crisi d’impresa; ristrutturazione; continuità aziendale; credito sostenibile.



Sommario: 1. Verso un paradigma di insolvenza sostenibile. – 2. Fondamenti concettuali: sostenibilità, limite ed equilibrio. – 3. La dimensione interna: sostenibilità economico-finanziaria. – 4. La dimensione esterna: efficienza procedurale e giustizia distributiva. – 5. Il quadro europeo e le intersezioni normative. – 6. Esperienze comparate e linee di convergenza. – 6.1. Stati Uniti: dal Chapter 11 alla sustainable bankruptcy.-  6.2. America Latina: tra modernizzazione e inclusione. – 6.3. Asia: il laboratorio normativo di Singapore. – 6.4. Linee di convergenza globale. – 7. Governance della crisi e credito sostenibile. – 8. Dimensione transfrontaliera e PMI. - Conclusioni: la sostenibilità come criterio di giustizia concorsuale.


1.       Verso un paradigma di insolvenza sostenibile

Nel contesto contemporaneo, segnato da trasformazioni tecnologiche, climatiche e geopolitiche di portata globale, il diritto dell’insolvenza esige letture di ampio respiro. Non è più sufficiente limitarsi all’analisi di una disposizione codicistica o di un articolo di direttiva: occorre interrogarsi sul significato concreto di “sostenere” imprese, posti di lavoro e comunità in un sistema economico attraversato da crisi sistemiche, asimmetrie informative e shock ambientali.

La sostenibilità non rappresenta un orpello retorico, ma una categoria giuridica e operativa che sta progressivamente modificando la grammatica del diritto dell’impresa e della crisi.
Essa segna il passaggio dalla nozione tradizionale di continuità aziendale alla più ampia idea di sostenibilità sistemica dell’attività economica, in cui la capacità di sopravvivere finanziariamente si intreccia con quella di rigenerare valore nel tempo[1].

In questa prospettiva, la ristrutturazione non è soltanto uno strumento di risanamento patrimoniale, ma un processo di rigenerazione del valore complessivo, nel quale gli interessi dei creditori e dei soci si bilanciano con quelli dei lavoratori, delle comunità locali e dell’ambiente.

La sostenibilità diventa così una categoria “ponte” tra economia e diritto, che orienta la gestione della crisi d’impresa e la valutazione della sua fattibilità non solo economica, ma anche sociale e ambientale.

Essa permea la costruzione degli incentivi, la ponderazione dei costi collettivi della crisi e la definizione dei criteri di accesso e di successo delle procedure.

Come ricordato dal Rapporto Brundtland del 1987, lo sviluppo sostenibile consiste nel soddisfare i bisogni del presente senza pregiudicare quelli futuri. Trasposto al mondo dell’impresa, tale principio impone che l’attività produttiva non consumi risorse finanziarie, umane o naturali fino a intaccare la capacità di rigenerazione nel lungo periodo[2]. In questa chiave, la sostenibilità si configura come misura di equilibrio tra interessi presenti e futuri, tra continuità e trasformazione, tra liquidazione e rilancio[3].

Essa costituisce, per usare le parole di Tula Linna, «il paradigma del diritto concorsuale europeo contemporaneo», in cui il criterio della continuità è reinterpretato alla luce della resilienza e della responsabilità collettiva dei soggetti economici coinvolti[4].La sostenibilità, dunque, non sostituisce la logica della continuità, ma la trasforma in una prospettiva dinamica di adattamento e rigenerazione, capace di unire la sopravvivenza economica con la responsabilità sociale e ambientale dell’impresa.

 

2. Fondamenti concettuali: sostenibilità, limite
ed equilibrio

All’origine del paradigma sostenibile vi è l’idea di limite, intesa come consapevolezza della necessità di bilanciare crescita e responsabilità. Nella cultura giuridica romana, i termini segnavano il confine che non doveva essere oltrepassato, simbolo sacro della misura e della reciprocità dei diritti[5]. Nel diritto contemporaneo, quei limiti si traducono nei vincoli posti dai bilanci ecologici, dalla coesione sociale e dalla stabilità finanziaria, che rappresentano le soglie oltre le quali lo sviluppo economico perde la propria legittimazione.

La sostenibilità assume così un duplice significato: mantenere e bilanciare. Essa non coincide con la mera sopravvivenza dell’impresa, ma con la sua capacità di adattamento strutturale, ossia di proseguire l’attività economica mantenendo l’equilibrio tra conservazione e innovazione. Come è stato osservato in dottrina[6], la sostenibilità nel diritto concorsuale non costituisce un obiettivo esterno, ma un criterio interno di good governance, che misura la proporzionalità tra costi e benefici delle soluzioni adottate e orienta le scelte verso esiti socialmente efficienti.

Applicata all’impresa, la sostenibilità implica che la gestione non consumi risorse oltre la soglia che metterebbe a rischio la prospettiva di continuità aziendale e che ogni decisione gestionale sia valutata in un orizzonte temporale di lungo periodo.

La logica della sostenibilità, dunque, trasforma il tempo in un fattore giuridico: non più semplice dimensione economica, ma parametro di valutazione della correttezza e dell’efficacia della condotta imprenditoriale.

Non a caso, l’art. 2086, comma 2, c.c. – nella formulazione introdotta dal d.lgs. 14/2019 – lega gli adeguati assetti organizzativi alla capacità dell’impresa di assicurare la propria continuità economico-finanziaria. In questa connessione tra assetti, rischio e tempo si riconosce la radice giuridica della sostenibilità.

La sostenibilità diviene, così, criterio funzionale di giudizio sull’idoneità delle soluzioni concorsuali e sull’effettività della continuità aziendale[7]: non più soltanto capacità di rimborsare, ma capacità di rigenerare valore, preservando al contempo equilibrio finanziario, coesione sociale e rispetto ambientale[8].

 

3. La dimensione interna: sostenibilità economico-finanziaria

Sul piano interno, la sostenibilità coincide con la sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa. Essa non si riduce alla mera solvibilità immediata, ma si identifica con la capacità di generare valore nel tempo, stabilizzare la struttura del capitale, preservare il capitale umano e tecnologico e mantenere relazioni di mercato strategiche.

La sostenibilità economico-finanziaria è inseparabile dalla resilienza organizzativa, ossia dalla capacità dell’impresa di adattarsi ai mutamenti normativi, tecnologici e ambientali senza disperdere il proprio potenziale produttivo[9]. La valutazione della sostenibilità deve quindi essere dinamica e prospettica: non un giudizio statico sui flussi di cassa, ma un’analisi della capacità dell’impresa di rispondere agli shock, di riorganizzarsi efficacemente e di riposizionarsi in modo competitivo nel medio periodo.

In questa prospettiva, la sostenibilità interna diviene criterio operativo di fattibilità dei piani di ristrutturazione. Come rilevato dal diritto concorsuale europeo, specie dopo la Direttiva (UE) 2019/1023, l’obiettivo delle procedure non è soltanto quello di evitare la liquidazione, ma di “trattenere le risorse esistenti” e di garantire la continuità delle imprese che, pur in crisi, possiedono ancora concrete prospettive di riequilibrio economico [10].

La ristrutturazione non rappresenta, dunque, una sospensione temporanea del fallimento, ma un vero e proprio laboratorio di sostenibilità economica, nel quale la fattibilità del piano si misura anche in termini di impatto sociale e di capacità rigenerativa.

Un’impresa può dirsi sostenibile quando, pur attraversando una fase di difficoltà, conserva la capacità di riorganizzarsi, proseguire e contribuire alla creazione di valore, garantendo l’equilibrio economico nel medio periodo e producendo benefici misurabili per il sistema produttivo complessivo.

È, allora, evidente che la sostenibilità economico-finanziaria non può essere separata dalla resilienza organizzativa[11]. La valutazione di tale sostenibilità deve essere quindi dinamica e prospettica: non più un giudizio statico sui flussi di cassa, ma una misurazione della capacità di adattamento ai mutamenti normativi, tecnologici e ambientali.

In questa visione, la sostenibilità economico-finanziaria non è un requisito formale, ma un principio di razionalità gestionale: essa impone che le decisioni di risanamento si fondino su dati verificabili, proiezioni realistiche e valutazioni di coerenza strategica tra le risorse disponibili e gli obiettivi perseguiti. Solo un’impresa capace di coniugare equilibrio interno e adattamento esterno può dirsi, in senso proprio, sostenibile.

 

4. La dimensione esterna: efficienza procedurale e giustizia distributiva

Sotto il profilo esterno, la sostenibilità interroga la struttura stessa del procedimento concorsuale, inteso non soltanto come sequenza di atti, ma come meccanismo di allocazione del valore e di redistribuzione del rischio.

Un sistema che disperde risorse in adempimenti inutili, prolunga eccessivamente i tempi o concentra i costi sui soggetti più vulnerabili — lavoratori, piccoli fornitori, comunità locali — è, per definizione, insostenibile, non solo economicamente, ma anche socialmente e istituzionalmente.

La sostenibilità procedurale coincide dunque con la proporzionalità tra mezzi e fini.

Il procedimento deve essere adeguato rispetto alle dimensioni, alla complessità e agli obiettivi dell’impresa in crisi poiché la sostenibilità non riguarda solo il risultato economico della ristrutturazione, ma anche il modo in cui il diritto processuale concorsuale distribuisce costi, tempi e oneri amministrativi tra gli attori coinvolti[12]. Un modello eccessivamente formalizzato, mutuato dai grandi gruppi societari, può tradursi in una barriera d’accesso per le micro e piccole imprese; viceversa, un eccesso di flessibilità rischia di compromettere la certezza e l’uniformità delle regole.

La sostenibilità procedurale richiede, dunque, un equilibrio dinamico tra efficienza ed equità: efficienza come riduzione dei costi di transazione e degli sprechi procedurali; equità come distribuzione non regressiva dei sacrifici. In questa prospettiva, la proporzionalità assume valore sistemico: diviene il principio che consente di graduare l’intensità degli adempimenti e delle garanzie in relazione alla funzione effettiva del procedimento e al valore sociale in gioco.

La giustizia concorsuale contemporanea non si esaurisce nel criterio quantitativo della soddisfazione dei creditori, ma richiede una legittimazione sostanziale fondata sulla trasparenza delle decisioni e sulla tracciabilità dei criteri di distribuzione del valore[13]. La prevedibilità degli esiti e la chiarezza delle regole rafforzano la fiducia collettiva nel sistema, riducendo il rischio di comportamenti opportunistici o speculativi e consolidando la cooperazione tra i soggetti coinvolti.

Sotto questo profilo, la sostenibilità procedurale si connette direttamente alla giustizia distributiva. Il procedimento concorsuale, quale forma di amministrazione collettiva del patrimonio, deve assicurare una ripartizione dei costi della crisi coerente con la gerarchia dei diritti e con la funzione sociale dei soggetti partecipanti. La distribuzione dei sacrifici non può essere affidata a meccanismi casuali o meramente cronologici, ma deve rispondere a una logica di bilanciamento proporzionale tra la posizione giuridica dei creditori, il loro grado di esposizione e il valore sistemico dell’impresa.

La sostenibilità procedurale si esprime anche nella tempestività e nella prevedibilità delle decisioni. Tempi eccessivi di omologazione o di liquidazione producono erosione del valore, dispersione di competenze e perdita di fiducia; tempi irragionevolmente brevi compromettono invece la qualità dell’istruttoria e la partecipazione informata dei creditori. L’efficienza procedurale deve essere misurata non soltanto in termini di rapidità, ma anche di capacità di generare esiti economicamente e socialmente stabili nel tempo”[14].

In definitiva, la sostenibilità esterna si fonda su tre pilastri: proporzionalità, trasparenza e legittimazione. Essa rappresenta il volto procedurale della sostenibilità sostanziale, poiché consente di tradurre in prassi giuridica l’idea di un diritto concorsuale che non distrugge valore ma lo redistribuisce in modo ordinato e socialmente responsabile.

 

5. Il quadro europeo e le intersezioni normative

Le più recenti direttive europee hanno introdotto nel diritto dell’insolvenza elementi strutturali di sostenibilità, segnando una trasformazione culturale profonda che investe l’intero diritto dell’impresa.

Il legislatore dell’Unione ha infatti progressivamente spostato l’asse della disciplina dalla mera gestione della crisi finanziaria alla preservazione della continuità economica sostenibile, in un’ottica di integrazione tra competitività, coesione sociale e tutela ambientale.

La Direttiva (UE) 2019/1023, relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, all’esdebitazione e alle misure per accrescere l’efficacia delle procedure, rappresenta il primo tassello di questo nuovo paradigma. Essa non solo promuove la ristrutturazione precoce delle imprese in difficoltà, ma riconosce il valore sistemico di tale intervento nella conservazione del tessuto produttivo europeo. Il considerando n. 2 sottolinea che “le imprese sane, ma in difficoltà finanziaria, dovrebbero poter accedere a quadri di ristrutturazione efficaci per prevenire l’insolvenza e limitare le perdite di posti di lavoro e di know-how”.

La logica sottostante è quella di un diritto concorsuale orientato alla prevenzione e alla rigenerazione, che concepisce la ristrutturazione non solo come soluzione economica, ma come leva di stabilità macro-sociale.

In questa prospettiva, la direttiva “ha spostato il baricentro del diritto concorsuale verso una dimensione funzionale e relazionale”, in cui la continuità aziendale non è più un obiettivo contingente, ma un elemento strutturale di politica economica e di sostenibilità sistemica[15].

Il diritto dell’insolvenza diviene così parte integrante dell’ecosistema europeo della sostenibilità, poiché la sopravvivenza delle imprese economicamente solide ma temporaneamente in crisi è considerata una condizione essenziale per l’attuazione del Green Deal e della transizione giusta.

Accanto a questa riforma, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) (Direttiva (UE) 2022/2464) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) (Direttiva (UE) 2024/3018) hanno esteso la prospettiva della responsabilità d’impresa, imponendo obblighi di rendicontazione e di diligenza lungo l’intera catena del valore. La CSRD introduce standard comuni di reporting di sostenibilità (European Sustainability Reporting Standards – ESRS), che comprendono parametri ambientali (E), sociali (S) e di governance (G), promuovendo una visione integrata del valore d’impresa. La CSDDD, invece, obbliga gli amministratori a predisporre procedure di due diligence ambientale e sociale volte a prevenire, mitigare o porre rimedio agli impatti negativi delle attività aziendali sui diritti umani e sull’ambiente.

Questi obblighi, sebbene concepiti per la corporate governance, incidono direttamente sulla struttura concettuale del diritto dell’insolvenza[16]. Le imprese in crisi non possono più considerare i doveri di sostenibilità come elementi estranei alla logica del risanamento: essi diventano parametri determinanti nella valutazione della fattibilità del piano e della credibilità dell’impresa risanata. Il mancato rispetto delle regole di sostenibilità può tradursi non solo in un rischio reputazionale, ma in un rischio giuridico e finanziario, capace di compromettere l’omologazione giudiziale o la fiducia dei creditori.

Il collegamento tra sostenibilità e ristrutturazione si manifesta, pertanto, su due livelli complementari. Da un lato, nella dimensione oggettiva della fattibilità giuridico-economica del piano, che deve tener conto dei costi e degli obblighi derivanti dalla compliance ESG; dall’altro, nella dimensione soggettiva della condotta degli amministratori, il cui dovere di gestione diligente (art. 2086, comma 2, c.c.) si estende alla considerazione dei fattori di sostenibilità come componenti del rischio d’impresa.

In questa prospettiva, la sostenibilità non è un parametro esterno, ma una condizione intrinseca della continuità aziendale.

Un piano di ristrutturazione che ignori gli obblighi di sostenibilità rischia di risultare inattuabile, tanto sul piano regolatorio quanto su quello economico e reputazionale. Al contrario, l’integrazione dei criteri ESG nella fase di diagnosi e nella redazione del piano può rafforzare la credibilità dell’impresa, agevola l’accesso al credito, migliora la trasparenza informativa e riduce i conflitti con le autorità di vigilanza.

La sostenibilità nel diritto concorsuale europeo assume, così, una duplice funzione: “strumentale”, quale requisito di legittimazione e fattibilità del piano, e “valoriale”, quale principio di coerenza sistemica tra le diverse politiche dell’Unione — ambientale, sociale, concorrenziale e industriale[17].

Essa diventa un criterio di fattibilità giuridico-economica e un indicatore di affidabilità sistemica trasformando la continuità aziendale in un obiettivo compatibile con i principi di trasparenza, responsabilità e competitività leale[18].

In questa chiave, il diritto dell’insolvenza si colloca al centro della transizione verso un’economia europea più resiliente, inclusiva e sostenibile.

 

6. Esperienze comparate e linee di convergenza

L’analisi comparata mostra una convergenza crescente tra i principali ordinamenti nella costruzione di un diritto dell’insolvenza orientato non più alla mera liquidazione, ma alla preservazione del valore complessivo dell’impresa, economico, occupazionale, relazionale e ambientale.

Questa tendenza riflette il passaggio, ormai consolidato, da una “cultura della sanzione” a una cultura del risanamento, fondata sulla tempestività dell’intervento, sulla cooperazione fra gli attori e sulla sostenibilità delle soluzioni adottate.

 

6.1. Stati Uniti: dal Chapter 11 alla sustainable bankruptcy

Negli Stati Uniti, il Chapter 11 del Bankruptcy Code continua a rappresentare il modello paradigmatico delle ristrutturazioni in continuità, grazie alla flessibilità del quadro normativo, alla protezione giudiziale degli atti negoziali e alla possibilità di preservare l’impresa come going concern.

Negli ultimi anni, tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza hanno avviato un ampio dibattito attorno al concetto di sustainable bankruptcy, che sposta il baricentro del sistema dal mero recupero economico al riequilibrio scomplessivo degli impatti sociali e ambientali dell’insolvenza.

La sostenibilità, applicata al diritto fallimentare statunitense, implica la necessità di valutare gli effetti extra-finanziari dei piani di ristrutturazione, includendo nel test di fattibilità non solo la capacità di rimborso dell’impresa, ma anche la compatibilità con i parametri ESG e con gli obiettivi di corporate responsibility[19].

In questa prospettiva, la sostenibilità diventa una metrica di legittimità del processo di ristrutturazione: un piano che produce gravi esternalità negative — in termini di licenziamenti di massa, abbandono di territori o danni ambientali — può perdere la propria validità economica e politica, anche se formalmente conforme ai requisiti di legge.

Parallelamente, la prassi del pre-packaged plan e del pre-negotiated plan ha reso il sistema statunitense un modello di efficienza sostenibile, capace di ridurre i costi di transazione e le asimmetrie informative, con effetti positivi sulla fiducia dei creditori e sulla conservazione dell’occupazione. Il risultato è un diritto dell’insolvenza che tende a internalizzare la dimensione ESG, pur in assenza di un obbligo normativo espresso, attraverso il comportamento strategico dei tribunali, degli advisor e degli investitori istituzionali.

 

6.2. America Latina: tra modernizzazione e inclusione

In America Latina, l’evoluzione del diritto concorsuale ha seguito un percorso di modernizzazione coerente con gli obiettivi di sostenibilità sociale ed economica[20].

Paesi come Cile, Messico e Brasile hanno introdotto, negli ultimi due decenni, riforme orientate alla mediazione, alla flessibilità e alla conservazione delle imprese ancora in grado di generare reddito e occupazione. Il Cile, con la Ley 20.720 del 2014, ha sostituito il tradizionale sistema fallimentare con un Procedimiento Concursal de Reorganización fondato su logiche negoziali e di continuità aziendale, introducendo una forma di amministrazione collaborativa ispirata ai principi europei del rescue law[21].

In Brasile, la riforma del 2020 della Lei de Recuperação Judicial e Falência ha rafforzato il ruolo dei creditori, ampliato le forme di mediazione preventiva e previsto strumenti di plan liquidation sales finalizzati alla conservazione dei complessi produttivi[22]. Il Messico, infine, ha riformato la Ley de Concursos Mercantiles in chiave di semplificazione e accessibilità per le PMI, riconoscendo la necessità di preservare l’impresa come nodo del tessuto sociale e produttivo nazionale[23].

Queste esperienze convergono nel delineare un modello latinoamericano di diritto concorsuale orientato alla giustizia economica e sociale, nel quale la sostenibilità assume un duplice ruolo: obiettivo di policy e criterio interpretativo. L’obiettivo non è soltanto il recupero del valore economico, ma la protezione del capitale umano e la riduzione degli effetti sistemici delle insolvenze sul mercato del lavoro e sulle comunità locali[24].

 

6.3. Asia: il laboratorio normativo di Singapore

Nell’area asiatica, Singapore si è affermata come uno dei laboratori più avanzati in materia di ristrutturazione e insolvenza. Con l’adozione dell’Insolvency, Restructuring and Dissolution Act (IRDA) del 2018, il legislatore singaporiano ha elaborato un modello ispirato al Chapter 11, ma adattato al contesto regionale, combinando rapidità procedurale, trasparenza e professionalizzazione degli operatori[25].

Il sistema incoraggia l’uso di strumenti di mediazione e moratoria control; prevede il riconoscimento di piani transfrontalieri e introduce un regime di super priority financing per attrarre nuovi capitali nelle fasi di risanamento.

Si tratta di un modello di “smart sustainability”, nel quale la sostenibilità non è imposta come obbligo giuridico, ma perseguita attraverso la qualità istituzionale, la certezza del diritto e la fiducia nel sistema [26].

Questo approccio, fondato sull’integrazione tra rapidità e rigore, costituisce oggi un punto di riferimento per altri ordinamenti asiatici — tra cui Corea del Sud, Giappone e Malesia — che guardano al diritto dell’insolvenza come strumento di competitività, attrazione di investimenti e stabilità economica interna.

 

6.4. Linee di convergenza globale

Dall’analisi dei diversi ordinamenti emergono linee di convergenza strutturale.

In primo luogo, la tendenza a privilegiare procedure tempestive e negoziali, in grado di intercettare la crisi prima che essa degeneri in insolvenza irreversibile.

In secondo luogo, la diffusione di quadri ibridi che combinano elementi di risanamento e di liquidazione ordinata, superando la tradizionale dicotomia tra procedure preventive e liquidatorie.
Infine, la crescente valorizzazione dell’impresa come soggetto relazionale, portatore di interessi pubblici e privati e fattore di coesione sociale.

In tutti questi contesti, la linea di confine tra risanamento e liquidazione tende a sfumare: la distinzione formale cede il passo alla capacità sostanziale di conservare valore.

Una cessione unitaria o un affitto d’azienda ben strutturati possono generare maggiore ricchezza di una liquidazione frammentaria, mentre un piano che integri obiettivi ambientali e sociali può assicurare una stabilità più duratura dei ritorni economici. La sostenibilità, così intesa, non coincide con la mera sopravvivenza dell’impresa, ma con la sua capacità di rigenerare valore economico e sociale.

Essa si configura come nuovo criterio ordinatore di un diritto dell’insolvenza globale, capace di unire efficienza e responsabilità, e di trasformare la continuità aziendale in uno strumento di coesione, innovazione e giustizia economica.

 

7. Governance della crisi e credito sostenibile

La sostenibilità introduce nel diritto concorsuale una nuova agenda di governance, nella quale i comportamenti degli amministratori, dei finanziatori e dei professionisti vengono reinterpretati alla luce di un principio di responsabilità condivisa.

Le decisioni assunte nella prossimità della crisi — vendita di attivi, assunzione di nuovo debito, priorità nei pagamenti — non possono più essere considerate meri atti di gestione straordinaria: esse rappresentano snodi di bilanciamento tra rischio, valore e fiducia, e richiedono standard di condotta coerenti con la logica della sostenibilità.

Come è stato osservato in dottrina, la sostenibilità non è un attributo ornamentale, ma un criterio ordinante che accompagna e, in parte, ridefinisce la funzione del diritto della crisi[27].

Essa traduce nel linguaggio giuridico la nozione economica di resilienza, spostando l’attenzione dalla neutralizzazione della crisi alla sua gestione produttiva: la crisi diventa così una fase di riassetto e di apprendimento, capace di rigenerare valore a condizione che le scelte siano trasparenti, proporzionate e orientate al lungo periodo.

In questa prospettiva, la sostenibilità si configura come principio di governance sostanziale, che impone agli amministratori di privilegiare la ristrutturazione tempestiva rispetto alla procrastinazione del dissesto, ma al tempo stesso di non criminalizzare il rischio imprenditoriale.
Il diritto della crisi, infatti, deve saper distinguere tra rischio patologico e rischio fisiologico: il primo genera distruzione di valore, il secondo alimenta innovazione e crescita sostenibile.

Il legislatore, consapevole della necessità di incoraggiare la gestione anticipata della crisi, ha introdotto — tanto a livello europeo quanto interno — safe harbors per la finanza-ponte, volti a proteggere i finanziatori che sostengono imprese potenzialmente risanabili, purché la loro condotta sia informata, diligente e proporzionata. Si afferma, così, un modello di responsabilità ex ante, fondato sulla conservazione del valore e sulla verifica della sostenibilità economico-finanziaria del piano, piuttosto che sulla punizione retroattiva del rischio.

L’obiettivo è costruire un ambiente normativo che favorisca l’intervento tempestivo, mitigando l’inerzia e riducendo i costi sistemici del fallimento.

Parallelamente, la sostenibilità si estende alla funzione creditizia. Nel contesto europeo, essa è ormai divenuta un “aggettivo giuridico del credito”[28], che qualifica la liceità delle scelte degli intermediari e incide sulla legittimazione stessa dell’erogazione.

Il credito sostenibile[29] non comporta un allentamento delle regole prudenziali, ma una ridefinizione del concetto di rischio in senso qualitativo e temporale: la valutazione non riguarda più solo la capacità di rimborso immediata, ma anche la resilienza dell’impresa ai rischi ambientali, sociali e di governance (ESG). Ignorare tali fattori equivale, oggi, a violare il principio di sana e prudente gestione, compromettendo la credibilità dell’intermediario e la solidità complessiva del sistema finanziario.

Le recenti linee guida dell’Autorità Bancaria Europea (EBA, 2020; 2022) hanno rafforzato questa impostazione, imponendo agli istituti di credito di integrare i fattori ESG nella fase di concessione e monitoraggio dei prestiti, e di garantire un’adeguata disclosure informativa in coerenza con la logica del credito responsabile.

In questa cornice, la prudenza bancaria non coincide più con l’evitare il rischio, ma con la capacità di governarlo in modo sostenibile: accompagnare le imprese dotate di prospettive di continuità, valorizzando il capitale umano e relazionale, diventa parte della missione prudenziale stessa.

La prudenza, dunque, non si traduce nell’inerzia, ma nella gestione consapevole della qualità e della durata del rischio”[30].

Il credito sostenibile è, in questa prospettiva, un credito responsabile: tutela la stabilità del sistema finanziario senza rinunciare alla sua funzione sociale. Esso unisce la prospettiva di chi riceve con la responsabilità di chi eroga, riducendo le asimmetrie informative e costruendo fiducia reciproca tra impresa e finanza[31].

In tale reciprocità risiede la sua vera portata trasformativa: il finanziamento sostenibile non è una categoria etica, ma un principio operativo di legittimazione del credito e di coerenza sistemica tra finanza, impresa e diritto.

Il decreto correttivo del 2024 al Codice della crisi ha recepito questa evoluzione, imponendo agli intermediari finanziari di motivare le scelte di revoca o sospensione delle linee di credito e di ancorarle a valutazioni prudenziali fondate sui rischi ESG.

Si realizza così un equilibrio dinamico tra vigilanza e sviluppo, nel quale la sostenibilità diventa il linguaggio comune della governance della crisi: un criterio di giustificazione delle decisioni economiche, di responsabilità nella condotta e di trasparenza nei rapporti tra impresa, finanza e istituzioni.

 

8. Dimensione transfrontaliera e PMI

La sostenibilità deve essere considerata anche nella dimensione transfrontaliera del diritto dell’insolvenza, che costituisce oggi un banco di prova decisivo per la coerenza e l’effettività dei principi di cooperazione giudiziaria e di tutela del valore.

La crescente interconnessione dei mercati, la frammentazione delle catene globali di fornitura e la diffusione dei gruppi multinazionali impongono di superare la tradizionale concezione territoriale della competenza e dell’esecuzione concorsuale.

I gruppi societari transnazionali operano, infatti, in una pluralità di giurisdizioni, e la conservazione del valore complessivo richiede un elevato grado di cooperazione effettiva tra autorità, professionisti e tribunali.

In tale contesto, gli strumenti elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale (UNCITRAL) rappresentano un quadro di riferimento essenziale.

Il Model Law on Cross-Border Insolvency del 1997 ha introdotto un linguaggio normativo comune volto a facilitare il riconoscimento delle procedure straniere e la cooperazione diretta tra corti, riducendo il rischio di conflitti di giurisdizione e di dissipazione del valore.

Ad esso si è aggiunto, nel 2019, il Model Law on Enterprise Group Insolvency, che ha introdotto la figura del group coordinator per consentire la gestione unitaria e coordinata delle crisi dei gruppi societari, nel rispetto delle autonomie nazionali e dei principi di efficienza e proporzionalità.

Un ulteriore passo è stato compiuto con l’adozione, nel luglio 2021, del UNCITRAL Model Law on the Insolvency of Micro and Small Enterprises (MSEs), elaborato dal Working Group V (Insolvency Law).

Tale strumento risponde a un’esigenza cruciale di sostenibilità economica e istituzionale: garantire alle micro e piccole imprese procedure accessibili, rapide e proporzionate, concepite per salvaguardare il valore produttivo residuo senza imporre oneri amministrativi eccessivi.
Il Model Law del 2021 si fonda su tre pilastri:

1. la semplificazione procedurale, attraverso modelli digitalizzati e riduzione delle formalità;

2. la proporzionalità dei costi e dei requisiti informativi;

3. la promozione della ristrutturazione informale e consensuale, quale alternativa alla liquidazione.

L’obiettivo dichiarato è evitare che l’insolvenza delle piccole imprese si traduca in una distruzione netta di capitale economico e sociale, ponendo le basi di un approccio autenticamente sostenibile anche nella dimensione microeconomica.

In parallelo, il Regolamento (UE) 2015/848 sull’insolvenza transfrontaliera ha recepito la logica dei modelli UNCITRAL, introducendo il criterio del centro degli interessi principali (centre of main interests – COMI) come parametro di competenza e promuovendo forme di cooperazione diretta e trasparente tra giudici e amministratori della crisi.

Come rilevato in dottrina, tale assetto realizza una forma di “sostenibilità giurisdizionale”, poiché riduce duplicazioni e costi, previene la dispersione del valore e orienta le decisioni verso l’efficienza complessiva del gruppo, piuttosto che verso la tutela di interessi parziali.

La sostenibilità transfrontaliera si fonda, dunque, su tre coordinate interdipendenti:

– la cooperazione istituzionale, che assicura la circolazione delle informazioni e la coerenza delle decisioni;
– la trasparenza informativa, condizione di fiducia reciproca tra giurisdizioni;
– la conservazione del valore unitario dell’impresa o del gruppo, come parametro di efficienza economica e giustizia sistemica.

Un riferimento specifico meritano le micro, piccole e medie imprese (MPMI), che costituiscono la spina dorsale delle economie europee e ibero-americane, oltre a un fattore di resilienza sociale nei contesti di crisi diffusa.

Per queste imprese, la sostenibilità si traduce in semplicità procedurale, proporzionalità dei costi e accesso effettivo all’assistenza qualificata.

La SME Insolvency Agenda promossa dalla Commissione europea nel 2023 — in attuazione dell’art. 4, par. 11, della Direttiva (UE) 2019/1023 — ha sottolineato la necessità di modelli calibrati sulla dimensione organizzativa e finanziaria delle PMI, evidenziando che la complessità procedurale costituisce di per sé un fattore di insostenibilità economica.

Analogamente, la Banca Mondiale, nei Principles for Effective Insolvency and Creditor/Debtor Regimes (edizione rivista 2021), ha ribadito che “le piccole e micro imprese rappresentano un segmento strutturalmente vulnerabile, che richiede regole accessibili e prevedibili per assicurare la sopravvivenza del valore produttivo e la reintegrazione dell’imprenditore onesto nell’economia legale” (Principle C14).

In linea con l’UNCITRAL, la World Bank raccomanda che i sistemi nazionali adottino procedure semplificate, digitali e proporzionate, e che la politica pubblica consideri la continuità delle PMI un bene pubblico economico, poiché esse svolgono una funzione essenziale di stabilità occupazionale e territoriale.

L’imposizione di apparati procedurali eccessivamente onerosi o di oneri informativi sproporzionati produce, invece, un effetto sistemico negativo: disincentiva la prevenzione, accelera la liquidazione informale e impoverisce il tessuto produttivo.

Le esperienze più recenti — come quelle di Spagna, Portogallo, Francia e Cile — dimostrano che i sistemi che hanno introdotto modelli digitalizzati e standardizzati di ristrutturazione semplificata, accompagnati da mediatori specializzati in materia economico-finanziaria, hanno ridotto sensibilmente i costi di accesso e incrementato il tasso di successo delle procedure di continuità.

In questa prospettiva, la sostenibilità per le PMI si identifica con la proporzionalità istituzionale, intesa come adeguamento delle regole e delle strutture procedurali alla scala economica dell’impresa.

La proporzionalità non è un principio derogatorio, ma un criterio di giustizia sistemica: solo un diritto dell’insolvenza capace di differenziare può dirsi realmente equo e sostenibile.
Semplificazione, digitalizzazione e assistenza specializzata costituiscono, pertanto, strumenti essenziali di una sostenibilità inclusiva, che preserva il valore economico e sociale anche nella crisi delle imprese minori.

In definitiva, la sostenibilità transfrontaliera e quella delle PMI rappresentano due dimensioni convergenti di un medesimo principio: un diritto dell’insolvenza cooperativo, proporzionato e adattivo, capace di preservare il valore come bene comune — sia esso distribuito tra più Stati o radicato in un singolo territorio.

 

9. Conclusioni: la sostenibilità come criterio di
giustizia concorsuale

La sostenibilità non sostituisce i principi classici del diritto concorsuale — parità di trattamento dei creditori, trasparenza, proporzionalità e tutela dell’affidamento — ma li integra in una dimensione più ampia di giustizia economica.

Essa offre al diritto della crisi una grammatica aggiornata, capace di tradurre i valori della stabilità, della continuità e della responsabilità collettiva in parametri operativi e verificabili[32].

Come ogni principio giuridico, la sostenibilità deve essere oggetto di prova e di verifica, non di mera proclamazione.

I programmi di efficientamento energetico, i piani di riqualificazione del personale, i sistemi di compliance ambientale e di governance dei dati devono essere accompagnati da indicatori misurabili, da cronoprogrammi realistici e da obblighi di rendicontazione verificabili.

In mancanza di tali elementi, la sostenibilità si riduce a retorica di legittimazione, priva di efficacia trasformativa.

Occorre, tuttavia, evitare il rischio del cosiddetto greenwashing concorsuale, nel quale la sostenibilità diventa un’etichetta decorativa senza sostanza.

Un piano di ristrutturazione o di liquidazione può dirsi sostenibile solo se gli investimenti riducono rischi materiali, accrescono produttività e generano valore netto per la collettività; se gli indicatori ESG adottati sono pertinenti rispetto all’attività dell’impresa; e se gli obiettivi sociali e ambientali risultano concreti, quantificabili e monitorabili.

Il valore aggiunto della sostenibilità risiede, in altri termini, nella sua capacità di disciplinare il linguaggio della responsabilità e di imporre al giurista, al giudice e al professionista della crisi un approccio fondato sull’evidenza, non sulla dichiarazione.

La sostenibilità deve inoltre confrontarsi con una tensione strutturale che attraversa l’intero diritto della crisi: quella tra continuità e concorrenza.

Salvare un’impresa attraverso vantaggi regolatori indebiti, proroghe ingiustificate o trattamenti fiscali preferenziali significa alterare il mercato e penalizzare i soggetti virtuosi.

La continuità aziendale è giustificabile solo quando il valore sociale netto prodotto dal mantenimento dell’attività risulta superiore al costo collettivo del suo sostegno.
In questo senso, la sostenibilità non legittima la sopravvivenza dell’inefficienza, ma valorizza la rigenerazione delle capacità produttive quando essa genera esternalità positive per il sistema economico e sociale.

Come osserva la dottrina più recente, la sostenibilità opera come criterio di selezione: distingue tra imprese recuperabili, la cui ristrutturazione è nell’interesse generale, e imprese che devono essere accompagnate verso un’uscita ordinata e tempestiva dal mercato, in modo da favorire una riallocazione efficiente delle risorse[33].

Essa non è, dunque, un principio indulgente, ma un criterio di responsabilità sistemica che misura la legittimità economica e sociale della continuità[34].

In questa prospettiva, il diritto dell’insolvenza si conferma non come pena né come condono, ma come politica del diritto: uno strumento ordinato per gestire il fallimento parziale e favorire la rigenerazione economica e istituzionale.

La sua funzione non è punire l’insuccesso, ma governarlo in modo trasparente e socialmente utile, consentendo alle risorse produttive di essere reintegrate in circuiti vitali dell’economia.

Quando la procedura riesce a bilanciare gli interessi dei creditori, la tutela dei lavoratori e la conservazione delle capacità produttive, essa realizza la sua vocazione originaria: preservare la sostenibilità economico-finanziaria delle imprese e il valore sociale che esse rappresentano per il territorio e per il mercato.

In definitiva, un sistema concorsuale può dirsi sostenibile solo quando governa il rischio anziché subirlo, conserva valore anziché distruggerlo e trasforma la crisi in un’occasione di responsabilità condivisa e di rinascita collettiva.

È in questo equilibrio dinamico tra efficienza, equità e responsabilità che la sostenibilità trova la sua piena cittadinanza giuridica, trasformandosi da categoria etica in principio ordinante del diritto concorsuale del XXI secolo.

 

(*) Il saggio è destinato ad essere pubblicato sulla Rivista Diritto fallimentare e delle società commerciali.

[1] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in Studi Senesi, 2023, I fasc., 117 ss. ove anche ulteriori riferimenti dottrinali.

[2] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[3] «Sostenibilità [...] diviene sinonimo di lungo termine, ovvero della necessità di approntare sin dal momento costitutivo dell’impresa strumenti idonei a garantire la continuità aziendale quale attitudine dell’impresa a restare sul mercato nel tempo» (E. RICCIARDIELLO, Sustainability and Going Concern, in Ristrutturazioni Aziendali, 13 ottobre 2021, p. 6).

[4] T. LINNA,Business Sustainability and Insolvency Proceedings — The EU Perspective, inJ. Sustain. Res., 2020, e200019.

[5] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[6] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law. Are “Sustainable Insolvency Proceedings” possible?, in J. Corp. Law Stud., 2022, p. 1 ss.

[7] Sul rapporto tra sostenibilità e continuità aziendale come presupposto strutturale del moderno diritto della crisi v. E. RICCIARDIELLO, Sustainability and Going Concern, cit.,

[8] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[9] T. LINNA,Business Sustainability and Insolvency Proceedings — The EU Perspective, inJ. Sustain. Res., 2020, e200019.

[10] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[11] T. LINNA,Business Sustainability and Insolvency Proceedings, cit.

[12] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law. Are “Sustainable Insolvency Proceedings” Possible?, cit.

[13] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[14] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law. Are “Sustainable Insolvency Proceedings” Possible?, cit.

[15] S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[16] T. LINNA,Business Sustainability and Insolvency Proceedings, cit.

[17] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law. Are “Sustainable Insolvency Proceedings” Possible?, cit.; S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, cit.

[18] Sul versante sistemico e comparato, cfr., S. PACCHI, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni Aziendali, 3 settembre 2022, spec. p. 3 ss., la quale evidenzia che la sostenibilità «non rappresenta un principio ornamentale, ma un criterio operativo di governo della crisi», capace di coniugare continuità aziendale, efficienza procedurale e responsabilità sociale, in una prospettiva di rigenerazione del valore economico e collettivo.

[19] G. R. WARNER, Sustainable bankruptcy, (March 24, 2025). 33 Am. Bankr. Inst. L. Rev., St. John's Legal Studies Research Paper No. 25-0011, Leggibile in SSRN:https://ssrn.com/abstract=5191636orhttp://dx.doi.org/10.2139/ssrn.5191636.

[20] A. Gurrea-Martinez, Sustainability and Corporate Governance in Latin America, ECGI Blog, 10 May 2022; Reforming Insolvency Systems in Latin America (M. Rowat), World Bank Note No. 187, June 1999.

[21] M. INOSTROZA SÁEZ, “Chilean Law’s New Debtor Reorganization System”, in Arizona Journal of International and Comparative Law, vol. 33, 2016, pp. 287-299; J. L. GOLDENBERG SERRANO, Los créditos legalmente pospuestos en la Ley 20.720, in Investigaciones, n.2/2015, pp. 137-167; G. LOTITO - A. I. LAFUENTE QUIROZ, Chile: Recent Changes Made to Restructuring Proceedings under Law No. 20,720, in Global Restructuring Review, 27 novembre 2023. Sullo stesso orientamento sistemico, v. M. SPIOTTA, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 31 marzo 2025, p. 1, la quale osserva come si assista «a un upgrading della continuità aziendale da scopo-mezzo a scopo-fine, coerente con la progressiva funzionalizzazione del diritto della crisi alla salvaguardia dei valori produttivi e occupazionali».

[22] A. ARAUJO, R. FERREIRA, F. MORAES, P. PEIXOTO, “The 2020 Bankruptcy Law Reform in Brazil: An Analysis of the First Three Years of Implementation”, Working Paper FGV/EPGE, agosto 2024.

[23] T.S. HEATHER - C. DORANTES PICAZO, Recent Restructuring Reforms in Mexico, Latin Lawyer, 20 ottobre 2023.

[24] In senso analogo, M. SPIOTTA, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi ecc., cit., p. 4, secondo cui «l’impresa ha una funzione sociale oltre che economica e l’ordinamento deve favorirne il mantenimento nel tempo per la tutela degli stakeholders, la preservazione del know-how e la salvaguardia dell’occupazione».

[25] KEI‑JIN CHEW & CLARE LEE, Recent case law developments in Singapore’s restructuring and insolvency laws show balancing between pro-rehabilitation policies and pro-creditor policies, Q2 2022; SHEM KHOO, MIMI AHN & VERONICA TEO, Singapore’s insolvency and restructuring developments, 30 luglio 2025.

[26] T. LINNA,Business Sustainability and Insolvency Proceedings, cit.

[27] S. PACCHI, Il finanziamento sostenibile all’impresa in crisi, in Ristrutturazioniaziendali.Ilcaso.it, 6 ottobre 2025.

[28] S. PACCHI, Il finanziamento sostenibile all’impresa in crisi, cit.

[29] Sul tema, amplius, si rinvia a S. PACCHI, Il finanziamento sostenibile all’impresa in crisi, cit.

[30]G. R. WARNER, Sustainable Bankruptcy, cit., p. 468.

[31] S. PACCHI, Il finanziamento sostenibile all’impresa in crisi, cit.

[32]G. D’ATTORRE,Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacris.it, 13 aprile 2021,§ 2, dove l’autore individua nella sostenibilità un criterio di integrazione della logica economica e della funzione sociale dell’impresa, ponendo in relazione il principio di continuità con quello di responsabilità collettiva. In senso critico rispetto alla tesi che attribuisce alla sostenibilità una funzione ordinante del diritto della crisi, cfr. G. FAUCEGLIA, Sostenibilità e crisi di impresa tra opzioni ideologiche e finalità delle procedure, in Ristrutturazioni Aziendali, 5 settembre 2025, spec. p. 15 ss., secondo cui la sostenibilità — nelle sue dimensioni sociale e ambientale — non può tradursi in un principio prevalente o ideologico idoneo a comprimere la funzione propria delle procedure, che resta quella del soddisfacimento dei creditori. L’autore sottolinea il rischio di un “politeismo dei valori” capace di destabilizzare l’assetto concorsuale, ove si ammetta la prevalenza di interessi ulteriori, non normativamente tipizzati, rispetto a quelli dei creditori e del mercato.

[33] In particolare da: G. R. WARNER, Sustainable Bankruptcy, cit. che elabora il concetto di sustainable bankruptcy come criterio per valutare se il salvataggio produca benefici sociali netti.; A. LINNA, Business Sustainability and Insolvency Proceedings, cit., che collega la sustainability al principio di viability, inteso come capacità di adattamento e resilienza, non come mera sopravvivenza; S. PACCHI, Il finanziamento sostenibile all’impresa in crisi, cit. che propone un’interpretazione della sostenibilità come principio ordinante del diritto concorsuale, fondato sulla conservazione del valore e sulla selezione efficiente delle imprese vitali. Secondo questa dottrina la sostenibilità opera come criterio di selezione razionale: essa consente di distinguere tra imprese suscettibili di recupero, la cui ristrutturazione è giustificata dall’utilità sociale ed economica, e imprese che devono essere avviate a una liquidazione ordinata, per evitare il mantenimento di inefficienze e la distorsione della concorrenza. G. D’ATTORRE,Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, cit., dove l’A. sottolinea che la sostenibilità “non coincide con la sopravvivenza dell’impresa a ogni costo”, ma con la capacità di distinguere le imprese recuperabili da quelle che devono essere accompagnate verso un’uscita ordinata dal mercato.

[34] G. D’ATTORRE,Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, cit. in cui l’autore qualifica la sostenibilità come “criterio di responsabilità sistemica” che misura la legittimità economica e sociale della continuità e della conservazione del valore produttivo.