, 25 novembre 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Crisi d’impresa e impresa in crisi: il diritto come spazio di regolazione. – 2. La categoria e la funzione sistemica degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. – 3. La composizione negoziata come percorso fisiologico e laboratorio della regolazione. – 4. La logica graduata del sistema degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. – 4.1. Il piano attestato di risanamento. – 4.2. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. – 4.3. Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO). – 4.4. Il concordato preventivo in continuità e liquidatorio. – 4.5. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. – 5. Il ruolo del giudice, dei professionisti e dei creditori pubblici qualificati. – 5.1. L’imprenditore e i professionisti: dalla gestione alla responsabilità. – 5.2. I creditori pubblici qualificati: dall’interesse fiscale alla cooperazione regolativa. – 5.3. Il giudice: dal dominio procedurale alla garanzia di legalità sostanziale. – 6. Dalla crisi alla regolazione: il diritto come metodo di equilibrio.
1. Crisi d’impresa e impresa in crisi: il diritto come spazio di regolazione
Il binomio “crisi d’impresa e impresa in crisi”, che dà titolo al convegno da cui muove questa riflessione, non è una semplice figura retorica, ma esprime due prospettive complementari e profondamente interconnesse.
La crisi d’impresa rappresenta la dimensione oggettiva del fenomeno: è la fase di disfunzione economico-finanziaria che mette alla prova la stabilità del sistema produttivo, la tenuta dell’azienda e la coerenza delle relazioni contrattuali.
L’impresa in crisi, invece, rappresenta la dimensione soggettiva e umana: è il soggetto concreto — con la sua storia, i suoi creditori, i suoi lavoratori e i suoi valori — che vive quella crisi, la subisce, ma che può anche governarla.
Queste due espressioni, solo apparentemente equivalenti, delineano l’ambito entro cui si colloca il diritto della crisi d’impresa contemporaneo: uno spazio di mediazione tra l’economia e la norma, tra la libertà di iniziativa e la necessità di regole.
La riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), specie nella versione marcatamente incisa dal d.lgs. 83/2022, rappresenta il compimento di questa trasformazione culturale. Il diritto non resta più alla soglia dell’impresa per giudicarne il fallimento, ma entra dentro l’impresa per accompagnarne il risanamento: non più diritto della patologia, ma diritto della regolazione; non più sanzione dell’insolvenza, ma governo della vulnerabilità.
In questa chiave, il titolo della sessione — “Strumenti
di regolazione della crisi d’impresa” — si colloca in perfetta continuità con
quello del convegno.
Se il primo (“Crisi d’impresa e impresa in crisi”) evoca il dualismo tra
fenomeno e soggetto, tra sistema e individuo, il secondo rappresenta il punto d’incontro
tra i due poli: il diritto che si fa metodo di regolazione, capace di tradurre l’esperienza
della crisi in procedure, percorsi e responsabilità.
La “regolazione”, infatti, non coincide con la procedura, né con l’intervento autoritativo: essa è, prima di tutto, una modalità di relazione giuridica che bilancia libertà e controllo, consenso e coazione, autonomia e tutela.
L’art. 2, comma 1, lett. m-bis CCII, nel definire gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (SRCI), esprime con chiarezza questa nuova architettura concettuale: essi sono le “misure, accordi e procedure che possono essere precedute dalla composizione negoziata”.
Questa formula, apparentemente descrittiva, ha invece una
forte carica sistematica.
Indica che il diritto della crisi è oggi costruito come un percorso graduale di
avvicinamento, in cui la dimensione dell’autonomia privata (la negoziazione) precede
e prepara quella della regolazione giudiziale (la procedura).
In altri termini, il legislatore non concepisce più la crisi come evento terminale da dichiarare, ma come processo da accompagnare, in cui l’ordinamento interviene con intensità crescente a seconda della gravità del dissesto, della composizione della massa debitoria, delle prospettive di risanamento e, quindi, della finanziabilità e della capacità dell’impresa di gestirlo.
La composizione negoziata diviene, così, la porta d’ingresso
del diritto nella crisi: il momento in cui la norma entra nell’impresa non per imporre,
ma per orientare.
È il punto in cui l’impresa in crisi — soggetto economico — incontra la crisi
d’impresa — fenomeno giuridico — e da questo incontro nasce la “regolazione”.
In questo senso, la composizione negoziata non è soltanto un istituto tecnico, ma un simbolo: rappresenta il modo in cui l’ordinamento sceglie di “abitare la crisi”, non come spettatore, ma come guida.
Essa incarna l’idea di un diritto che si fa metodo di cooperazione, un diritto “dialogico” che non sostituisce l’impresa, ma la responsabilizza, creando le condizioni per un confronto leale e tempestivo tra debitore e creditori.
Gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che da essa possono derivare — contratti, piani attestati, accordi di ristrutturazione, piani soggetti ad omologazione, concordati in continuità o liquidatori, e concordato semplificato — costituiscono le diverse forme di traduzione giuridica di questo dialogo.
Essi segnano il passaggio dall’autonomia privata alla dimensione
pubblicistica, lungo una linea di crescente intensità dell’intervento giudiziale,
ma senza mai recidere il filo della negoziazione.
In questa prospettiva, gli SRCI non sono un insieme di procedure alternative, ma
un sistema coerente di percorsi: una grammatica della crisi che consente di passare
dal conflitto alla cooperazione, dal rischio alla responsabilità, dalla crisi all’ordinata
regolazione.
2. La categoria e la funzione sistemica degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza
Con l’introduzione dell’art. 2, comma 1, lett. m-bis, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha compiuto un passo concettuale di grande rilievo, istituendo per la prima volta una categoria unitaria di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (SRCI)[1].
L’innovazione non è solo terminologica, ma sostanziale. Il legislatore abbandona l’idea di una pluralità disordinata di procedure, per sostituirla con un sistema coordinato di strumenti fondato su una logica di proporzionalità e progressività.
La formula utilizzata — “le misure, gli accordi e le procedure, diversi dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata, volti al risanamento dell’impresa (…) che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi” — non è neutra: essa esprime l’intento di concepire il diritto della crisi come una sequenza funzionale di passaggi, in cui la composizione negoziata costituisce la soglia di accesso e gli strumenti successivi rappresentano gradi via via più intensi di intervento giuridico ed economico.
Si passa, così, da una logica di reazione a una logica di regolazione: l’ordinamento non interviene più ex post, ma struttura un processo di accompagnamento ex ante, calibrato in base alla tipologia della crisi e alla capacità dell’impresa di gestirla autonomamente.
L’introduzione degli SRCI risponde, dunque, alla medesima filosofia che ispira la direttiva (UE) 2019/1023, centrata sul principio dell’early warning e sul diritto alla second chance. La direttiva impone agli Stati membri di favorire la ristrutturazione precoce delle imprese, evitando che l’insolvenza degeneri in liquidazione. Il legislatore italiano recepisce tale logica, ma la sviluppa in chiave interna, costruendo una scala di strumenti che consente all’imprenditore di scegliere la soluzione più adatta, senza essere vincolato a un modello unico.
Si tratta di una flessibilità regolata, nella quale l’autonomia dell’impresa è bilanciata dalla garanzia giudiziale e, quindi, dalla tutela dei creditori.
La portata sistemica della categoria degli SRCI si coglie anche sotto un altro profilo: essa riordina l’intero diritto della crisi attorno a un principio di continuità, non solo economica ma anche giuridica. Il passaggio da uno strumento all’altro non avviene per cesure, ma per osmosi: il piano attestato può evolvere in accordo, l’accordo in PRO, e il PRO — nei casi di fallimento della negoziazione — può sfociare in concordato preventivo.
L’ordinamento costruisce così una progressione coerente, in cui la scelta dello strumento diviene l’atto tecnico e morale della responsabilità imprenditoriale.
Un’immagine efficace per descrivere questa architettura è quella dell’“incrocio di Shibuya”[2]: un sistema aperto, in cui molte vie si intersecano e il movimento degli attori deve essere coordinato, non gerarchico.
In questo incrocio, ogni strumento risponde a una diversa
configurazione del rapporto tra debitore e creditori: dalla cooperazione pura (piani
attestati) alla cooperazione assistita (accordi), alla cooperazione controllata
(PRO), fino alla sostituzione regolata dell’autonomia (concordati).
L’unità del sistema non risiede nell’identità delle procedure, ma nella comune finalità
di regolazione, che consiste nel contenere la crisi entro limiti giuridicamente,
economicamente e socialmente sostenibili[3].
Dal punto di vista metodologico, ciò implica che la “regolazione” non coincide con la “procedura”.
La procedura è la forma; la regolazione è la funzione, l’attività di coordinamento e mediazione che il diritto esercita per trasformare la crisi in percorso ordinato.
È in questo senso che il CCII si colloca, anche lessicalmente, nella tradizione del diritto della regolazione contemporaneo, inteso come diritto delle interazioni complesse tra pubblico e privato, tra autonomia e intervento. Gli SRCI diventano così il laboratorio in cui si sperimenta un modello di governance giuridica della crisi fondato non sulla sanzione, ma sulla razionalizzazione del rischio.
Questo mutamento di paradigma ha ricadute profonde anche sulla funzione della giurisdizione, che non è più il luogo della repressione, ma quello del controllo di legalità e di coerenza del processo regolativo. Il giudice non sostituisce l’imprenditore, ma garantisce che le regole di trasparenza, correttezza e proporzionalità siano rispettate, affinché la soluzione prescelta sia sostenibile non solo economicamente, ma anche giuridicamente e socialmente.
In definitiva, la categoria degli SRCI riassume in sé la nuova razionalità del diritto della crisi: un diritto proporzionato e relazionale, nel quale l’efficienza economica e la tutela collettiva non si contrappongono, ma si integrano nella prospettiva della regolazione.
3. La composizione negoziata come percorso fisiologico e laboratorio della regolazione
Il vero punto di snodo del diritto della crisi d’impresa è costituito oggi dalla composizione negoziata della crisi, non perché questa rappresenti uno strumento di regolazione in senso tecnico — non lo è — ma perché ne costituisce il percorso preliminare e fisiologico, la fase dinamica di emersione e di orientamento che può condurre all’attivazione di uno degli strumenti propriamente detti[4].
Introdotta dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, poi integrata stabilmente nel Codice della crisi ad opera del d.lgs. 83/2022, la composizione negoziata è concepita come una sede protetta di confronto tra debitore e creditori, finalizzata all’individuazione di soluzioni idonee a superare la crisi, anche attraverso l’accesso agli strumenti previsti dal Titolo IV del CCII. Essa si configura come un percorso (un particolare setting[5]) relazionale e gestionale, nel quale l’autonomia dell’imprenditore viene sostenuta, e non compressa, dalla presenza ordinante del diritto.
Il tratto distintivo di questo percorso è la tempestività. La composizione negoziata vorrebbe anticipare l’intervento dell’ordinamento rispetto all’insolvenza manifesta, favorendo l’emersione precoce delle difficoltà e la ricostruzione di un dialogo con i creditori. È la traduzione domestica del principio di early warning contenuto nella direttiva (UE) 2019/1023: non punire l’insolvenza, ma prevenirla; non reprimere la crisi, ma governarla.
In tal senso, la composizione negoziata realizza un’inedita forma di regolazione anticipata, nella quale il diritto entra nell’impresa prima che la crisi diventi evento irreversibile, promuovendo comportamenti responsabili e trasparenti.
La sua struttura ruota attorno a tre elementi chiave:
1. la centralità dell’imprenditore, che mantiene la gestione dell’impresa e l’iniziativa negoziale;
2. il ruolo dell’esperto indipendente, nominato ai sensi dell’art. 13 CCII, chiamato a facilitare le trattative, senza poteri coercitivi;
3. la lealtà del confronto tra le parti, garantita dalla disclosure completa delle informazioni e dal rispetto del principio di buona fede previsto dall’art. 4 CCII.
Come è stato osservato[6], l’esperto “porta il diritto dentro l’impresa”, ma non come vincolo esterno: la sua funzione è di mediazione ordinante, non di controllo. Egli non sostituisce l’imprenditore, ma introduce un metodo di responsabilità condivisa, traducendo la negoziazione economica in una forma di cooperazione giuridicamente orientata. In questo senso, la composizione negoziata è un “luogo” più che un procedimento: è un ambiente regolativo che prepara la scelta dello strumento più adeguato, calibrato sulla natura e sulla reversibilità della crisi.
La finalità ultima di questo percorso non è la conclusione di un accordo in sé, ma la maturazione della decisione imprenditoriale consapevole.
Durante la composizione negoziata, l’imprenditore valuta
la sostenibilità del proprio modello economico e individua, con l’assistenza dell’esperto,
la soluzione più appropriata: da quelle “target” espresse nel comma 1 dell’art.
23, a quelle enunciate nel prosieguo della norma: piano attestato di risanamento,
accordo di ristrutturazione, piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione
(PRO), o — nei casi di crisi irreversibile — il concordato semplificato per la liquidazione
del patrimonio.
In tal modo, la composizione negoziata opera come cerniera funzionale tra la dimensione
negoziale e quella procedurale del sistema, trasformando la spontaneità del mercato
in un percorso giuridicamente regolato.
Il valore della composizione negoziata è anche culturale in quanto segna il passaggio da un diritto dell’insolvenza fondato sul fallimento a un diritto della crisi fondato sulla cooperazione.
È il simbolo di un diritto che non punisce la crisi, ma la abita, che entra nell’impresa non per giudicarla, ma per accompagnarla.
Come tale, essa costituisce la manifestazione più compiuta della logica della regolazione partecipata, nella quale il diritto si fa metodo di responsabilità condivisa e il risanamento diventa un processo collettivo di razionalizzazione e trasparenza[7].
La composizione negoziata è, dunque, il percorso che precede e connette soluzioni possibili e diverse tra loro, il laboratorio in cui la crisi si trasforma da evento patologico in occasione di riequilibrio.
È la prova più evidente che, nel nuovo diritto della crisi, la norma non interviene dopo la crisi, ma dentro la crisi, e che la regolazione non è più imposizione, ma cooperazione regolata tra impresa, creditori e istituzioni.
4. La logica graduata del sistema degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza
La costruzione del sistema degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si fonda su un principio di proporzionalità e progressività.
Il legislatore, abbandonando la tradizionale dicotomia tra strumenti negoziali e procedure concorsuali, ha disegnato una scala graduata di interventi tra loro combinabili, in cui la scelta dello strumento dipende dalla natura e dalla reversibilità della crisi, dal grado di consenso dei creditori e dal livello di affidabilità dell’imprenditore.
Gli SRCI costituiscono così un continuum che si sviluppa dal massimo della negozialità al massimo della concorsualità, conservando tuttavia una coerenza funzionale: ogni passaggio da uno strumento all’altro non implica una rottura, ma una trasformazione di intensità nel rapporto tra autonomia privata e intervento giudiziale.
Il diritto si presenta, in questa prospettiva, come un meccanismo adattivo, capace di modulare la propria presenza in relazione alla tipologia del dissesto.
4.1. Il piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento, previsto dall’art. 56 CCII, rappresenta il primo gradino del sistema. Si tratta di un accordo privatistico con effetti giuridici, volto a evitare l’insolvenza e a risanare la posizione dell’impresa, mediante un programma economico attestato da un professionista indipendente circa la sua idoneità al riequilibrio[8].
Il piano non necessita di omologazione, ma acquista efficacia protettiva in ragione dell’attestazione, che opera come presidio di veridicità e di ragionevolezza.
Come ha messo in luce la dottrina[9], l’attestatore assume una funzione di garanzia sistemica: egli certifica la sostenibilità del piano e la correttezza informativa del debitore, diventando il filtro di affidabilità che consente ai creditori di fondare su basi razionali la propria adesione.
In tal modo, il piano attestato costituisce una forma di regolazione fiduciaria, nella quale la fiducia sostituisce la coazione e la responsabilità professionale surroga il controllo giudiziale.
È il modello più vicino al mercato e, al tempo stesso, il più “interno” all’impresa: la crisi viene gestita attraverso strumenti di trasparenza, non di autorità.
4.2. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
Salendo di intensità, si incontrano gli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati dagli artt. 57 ss. CCII. Essi segnano il passaggio dalla regolazione fiduciaria alla regolazione controllata. Pur restando fondati sul consenso negoziale, gli accordi acquistano efficacia erga omnes grazie all’omologazione del tribunale, che ne verifica la regolarità e la tutela della parità di trattamento.
Il sistema degli accordi è oggi plurale e sofisticato: si va dagli accordi agevolati, con quorum ridotto e limitata opposizione, agli accordi ad efficacia estesa, che consentono di vincolare anche i creditori non aderenti appartenenti alla stessa categoria, fino agli accordi di gruppo, che introducono una prospettiva di gestione unitaria per imprese collegate in crisi.
Questa moltiplicazione dei modelli riflette la volontà del legislatore di trasformare l’accordo in una matrice modulare del diritto della crisi: un contratto che, pur restando negoziale nella forma, diviene progressivamente collettivo nella funzione.
Gli accordi ad efficacia estesa rappresentano, in questa prospettiva, il punto più innovativo e problematico. Essi introducono una collettivizzazione del consenso che segna il superamento del principio di relatività del contratto: la volontà di una maggioranza qualificata si estende ai creditori dissenzienti della stessa categoria.
Come è stato segnalato[10] questo meccanismo non è una deroga all’autonomia, ma la sua evoluzione in senso cooperativo: la regolazione della crisi si trasforma in consenso organizzato, nel quale il giudice garantisce la proporzionalità e la parità di trattamento. L’accordo diventa così il paradigma della concorsualità negoziale, fondamento di tutte le soluzioni successive.
4.3. Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), introdotto dal d.lgs. 83/2022 e recentemente aggiornato dal d.lgs. 136/2024, è lo strumento che più chiaramente esprime la logica della ibridazione tra autonomia e giudizialità. A differenza degli accordi, il PRO non presuppone l’adesione individuale dei creditori, ma una votazione per classi, simile a quella del concordato preventivo, e consente di derogare all’ordine delle prelazioni, nel rispetto del principio del creditor no worse off.
Come ho altrove osservato[11] la novità del PRO consiste nel fatto che il piano non si limita a distribuire l’attivo, ma genera valore attraverso la ristrutturazione: la soddisfazione dei creditori dipende dalla capacità del progetto di mantenere in vita l’impresa e di conservare la sua funzionalità economica.
In tal senso, il PRO rappresenta la cerniera del sistema, un luogo di equilibrio tra la libertà contrattuale e la disciplina concorsuale, in cui il giudice certifica la coerenza economico-giuridica del piano, senza ingerirsi nella sua gestione. È una forma di concorsualità “liquida”[12], nella quale la rigidità della procedura lascia spazio alla razionalità del progetto.
4.4. Il concordato preventivo in continuità e liquidatorio
Il concordato preventivo, nelle due varianti in continuità aziendale e liquidatorio, costituisce l’archetipo delle procedure di regolazione a carattere collettivo[13].
Nel concordato in continuità (art. 84 CCII), la finalità è la conservazione dell’impresa come fonte di valore e occupazione; il piano deve assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori mediante la prosecuzione diretta o indiretta dell’attività.
Nel concordato liquidatorio, invece, prevale la funzione distributiva, volta a una liquidazione ordinata dell’attivo, ma sempre sotto la regia del debitore e con la garanzia del voto dei creditori e dell’omologazione giudiziale[14].
In entrambi i casi, il concordato mantiene una natura negoziale temperata, nella quale l’autonomia privata è subordinata al principio di tutela collettiva.
Esso segna, nel continuum degli strumenti, il punto in cui la cooperazione cede il passo alla coordinazione istituzionale: la crisi diventa materia che investe l’interesse pubblico, ma la fiducia nella capacità dell’impresa di ristrutturarsi governando una negoziazione strutturata con i creditori non è ancora esclusa.
4.5. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio
In chiusura del sistema si colloca il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, istituto introdotto dal d.l. 118/2021 e ora disciplinato dagli artt. 25-sexies ss. CCII.
Esso non è una “procedura alternativa” ai concordati, ma il naturale esito del percorso di composizione negoziata, da attivare quando la ristrutturazione non sia praticabile.
La sua funzione è di consentire una liquidazione proporzionata, rapida e trasparente, fondata sulla buona fede del debitore che ha tentato le trattative in modo leale.
Come ho evidenziato altrove[15], il concordato semplificato non è una procedura semplificata nelle forme, ma nella finalità: la semplificazione è concettuale, non burocratica.
L’assenza del voto dei creditori non rappresenta un deficit democratico, ma il riflesso del percorso già compiuto nella composizione negoziata, dove la legittimazione deriva dalla lealtà e dalla disclosure del debitore.
Il controllo giudiziale è concentrato sull’omologazione, momento in cui il tribunale verifica la correttezza del comportamento del debitore e la coerenza dei valori. Il giudice non giudica la convenienza economica, ma la ragionevolezza e la proporzionalità del risultato.
È una forma di liquidazione “di merito fiduciario”[16], che chiude il sistema senza tradirne la logica: anche nella fine dell’impresa, sopravvive il principio di trasparenza e di responsabilità.
5. Il ruolo del giudice, dei professionisti e dei creditori pubblici qualificati
Il diritto della crisi d’impresa, così come ridisegnato dal Codice, è un diritto a più voci, che richiede la partecipazione coordinata di soggetti diversi: l’imprenditore, i professionisti che lo assistono, i creditori — pubblici e privati —, altri stakeholder e, infine, il giudice.
In questo contesto, nessuna figura è più dominante: ciascuna parte concorre, secondo il proprio ruolo, alla costruzione di un percorso di regolazione coerente e sostenibile. Si realizza, in questo modo, quella che è stata definita una “responsabilità corale”, fondata sulla cooperazione e sulla trasparenza più che sull’autorità e sulla sanzione[17].
5.1. L’imprenditore e i professionisti: dalla gestione alla responsabilità
Il nuovo diritto della crisi non toglie all’imprenditore la gestione dell’impresa, ma la subordina a un dovere di consapevolezza e tempestività.
L’art. 3 CCII impone agli imprenditori di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili idonei alla rilevazione anticipata della crisi, segnando il passaggio da una logica di tolleranza all’impreparazione a una logica di prevenzione organizzata.
Il dovere di attivarsi tempestivamente diviene, così, la manifestazione giuridica del principio di responsabilità gestionale sancito dall’art. 2086, comma 2, c.c.
A questo dovere corrisponde un ampliamento del ruolo dei professionisti dell’impresa, chiamati a operare non come meri consulenti, ma come presidi di legalità economica.
La figura dell’attestatore, quella dell’esperto della composizione negoziata e quella del revisore legale rappresentano diverse declinazioni di una medesima funzione: introdurre nel processo decisionale dell’impresa la prospettiva dell’interesse collettivo, garantendo la correttezza delle informazioni e la razionalità delle scelte.
Come è stato efficacemente osservato, la crisi d’impresa è “un film autoprodotto”: il legislatore fornisce il copione, ma la riuscita dipende dalla qualità degli attori[18]. Il professionista diventa co-protagonista della regolazione, non più semplice spettatore o arbitro esterno.
In questo senso, la competenza tecnica e l’indipendenza del professionista assumono rilievo non solo etico, ma sistemico: esse garantiscono la funzionalità dell’intero impianto normativo, fondato sulla fiducia ex ante e sul controllo ex post.
5.2. I creditori pubblici qualificati: dall’interesse fiscale alla cooperazione regolativa
Un ruolo decisivo nella nuova architettura è riservato ai creditori pubblici qualificati, in particolare all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’Agente della riscossione.
La disciplina del trattamento dei crediti tributari e contributivi (artt. 63, 88 e 89 CCII) rappresenta uno degli snodi più sensibili della riforma, poiché la partecipazione o l’opposizione di tali soggetti può determinare la riuscita o il fallimento di un intero percorso di risanamento.
Come è stato chiarito, il legislatore ha cercato di superare l’atteggiamento tradizionalmente rigido dell’amministrazione finanziaria, introducendo criteri di valutazione basati non solo sulla convenienza economica, ma sulla comparazione funzionale tra le diverse alternative liquidatorie[19]. L’obiettivo è quello di integrare l’interesse erariale nel più ampio interesse pubblico alla conservazione del valore produttivo e occupazionale dell’impresa.
In questa prospettiva, il credito pubblico non è più un elemento estraneo al sistema, ma un fattore interno della regolazione: l’Agenzia delle Entrate e l’INPS non agiscono più come creditori “particolari”, ma come co-protagonisti del processo di composizione.
La prassi più recente mostra come, in molti casi, la disponibilità dell’amministrazione a negoziare condizioni di pagamento sostenibili rappresenti la condizione di effettività del piano o dell’accordo.
Si tratta di un’evoluzione culturale, prima ancora che normativa: il passaggio da una logica di pretesa a una logica di cooperazione.
5.3. Il giudice: dal dominio procedurale alla garanzia di legalità sostanziale
Nel nuovo diritto della crisi, anche il ruolo del giudice subisce una profonda trasformazione.
Egli non è più il “dominus” della procedura, come
avveniva nel sistema fallimentare tradizionale, ma un garante della legalità sostanziale
e della coerenza del percorso regolativo.
Il suo intervento è modulato in funzione dello strumento: più attenuato negli accordi
e nei piani, più penetrante nei PRO e nei concordati, ma sempre limitato al controllo
della legittimità, della trasparenza e della parità di trattamento.
Nel concordato semplificato, in particolare, il giudice assume un ruolo del tutto nuovo: non valuta il consenso dei creditori, ma la correttezza del comportamento del debitore e la congruità dei valori generati dalla liquidazione.
Come ho osservato altrove[20], si tratta di un controllo di ragionevolezza, non di merito economico, coerente con la logica fiduciaria che ispira l’istituto.
Il giudice diventa, in questa prospettiva, l’interprete della proporzionalità e della buona fede: non più arbitro del conflitto, ma custode dell’equilibrio del processo.
La trasformazione della giurisdizione riflette, in definitiva, la evoluzione del diritto concorsuale in diritto della regolazione.
La funzione del giudice non è quella di sostituirsi alle parti, ma di garantire che la loro cooperazione avvenga entro i limiti della legalità e della correttezza.
In un sistema fondato sulla fiducia e sulla responsabilità, la giurisdizione perde il suo primato formale e acquista una dimensione funzionale e relazionale: il giudice diventa il garante del metodo, non dell’esito.
6. Dalla crisi alla regolazione: il diritto come metodo di equilibrio
La distanza tra i due poli che danno titolo a questa riflessione — la crisi d’impresa e l’impresa in crisi — coincide oggi con lo spazio operativo del diritto della regolazione.
Non è un semplice gioco di parole: la “crisi d’impresa” è il fenomeno oggettivo, economico e sistemico che altera l’equilibrio del mercato; l’“impresa in crisi”, invece, è il soggetto concreto che quella crisi vive, ne assume la responsabilità e chiede al diritto di essere accompagnato.
Tra queste due dimensioni si collocano gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (SRCI), che rappresentano il punto di incontro tra l’istanza economica e la funzione ordinante della norma.
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, nella versione corretta dal d.lgs. 83/2022, ha reso esplicita questa transizione: dal diritto della patologia al diritto della proporzionalità, dalla gestione dell’insolvenza alla governance della crisi.
Il sistema, come si è visto, non è più articolato per categorie statiche, ma per livelli di intensità regolativa.
Ogni strumento si colloca lungo un asse che misura la graduale espansione del controllo pubblico sulla libertà privata, fino a culminare nel concordato semplificato e, oltre di esso, nella liquidazione giudiziale. Ma la direzione del sistema non è verticale — non procede cioè dal meno al più coattivo — bensì circolare e relazionale: l’esito liquidatorio non è la negazione del risanamento, bensì la sua conclusione ordinata, quando la continuità non è più possibile.
La composizione negoziata segna il punto d’ingresso di questa logica circolare.
Essa non è uno strumento di regolazione, ma un percorso di apprendimento istituzionale, in cui l’impresa, attraverso la trasparenza e la cooperazione, costruisce la propria legittimazione all’accesso alle procedure successive.
È in quella fase che il diritto “entra nell’impresa”, traducendo
la crisi economica in linguaggio giuridico, e trasformando la difficoltà gestionale
in una questione di metodo e responsabilità.
È lì che il sistema mostra la sua vocazione non punitiva, ma abilitante: il diritto
non giudica, ma ordina; non interviene ex post, ma accompagna ex ante.
I piani attestati e gli accordi di ristrutturazione costituiscono la dimensione fiduciaria del sistema, quella in cui la fiducia tra debitore e creditori è mediata dall’attestazione o dall’omologazione, senza esautorare l’autonomia delle parti.
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) segna la fase intermedia, nella quale la logica del progetto prevale sulla logica della procedura: la concorsualità si fluidifica, la legalità si misura in termini di coerenza economico-giuridica, e il valore non è più solo patrimonio, ma capacità produttiva e continuità.
Il concordato preventivo, nelle sue due varianti — in continuità e liquidatorio — rappresenta la soglia del diritto pubblico della crisi: la fase in cui l’autonomia privata diviene cooperazione collettiva, mediata dal voto dei creditori e dal controllo del tribunale. Ma anche qui la finalità non è sanzionatoria: la logica resta quella della razionalizzazione del conflitto, nella quale la procedura concorsuale diventa una forma di composizione istituzionalizzata.
Infine, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio chiude il cerchio della regolazione, ma senza interrompere il filo della fiducia. È lo strumento che consente di trasformare la composizione negoziata fallita in una liquidazione ordinata, fondata sulla lealtà del debitore e sulla ragionevolezza del controllo giudiziale.
Come ha messo in luce la dottrinaⁱ, l’assenza del voto
dei creditori non è una mancanza di democraticità, ma il riflesso di una legittimazione
maturata nella fase precedente: la fiducia conquistata nel percorso negoziato diventa
il fondamento della decisione giudiziale.
In tal senso, il concordato semplificato costituisce il momento conclusivo della
responsabilità, non della crisi: il luogo in cui la trasparenza diventa ordine e
la liquidazione non è più dissoluzione, ma chiusura proporzionata.
All’interno di questo quadro, anche il trattamento dei debiti tributari e contributivi assume un significato sistemico. La possibilità di integrare l’interesse erariale nel disegno complessivo della regolazione — così è stato osservato[21] — rappresenta il punto di verifica della effettiva sinergia tra diritto e amministrazione: se il fisco e gli enti previdenziali agiscono in modo razionale e cooperativo, l’intero sistema diventa credibile.
L’integrazione del credito pubblico nella dialettica negoziale è, dunque, non solo una questione di fattibilità economica, ma di tenuta istituzionale del modello: senza la partecipazione del fisco, la fiducia reciproca su cui si fonda la regolazione è destinata a incrinarsi.
In conclusione, la crisi non è più il luogo della colpa,
ma l’occasione del metodo.
Il diritto della crisi d’impresa non si limita a prevedere strumenti di soluzione:
costruisce un ordine di responsabilità, nel quale la cooperazione sostituisce la
punizione e la regolazione sostituisce la sanzione.
Gli strumenti di regolazione non sono dunque mere procedure, ma forme di equilibrio dinamico tra interessi contrapposti, in cui l’efficienza economica e la legalità giuridica si misurano sulla stessa scala di valori: la proporzionalità, la tempestività e la fiducia.
La vera novità del sistema è questa: che il diritto non si limita più a chiudere la crisi, ma la governa, trasformando il conflitto economico in processo di apprendimento collettivo.
In questo senso, gli strumenti di regolazione sono il linguaggio contemporaneo del diritto della crisi: una lingua in cui l’impresa parla di sé al diritto, e il diritto risponde con le regole del tempo, del metodo e della responsabilità.
[1] Per un inquadramento generale, S. AMBROSINI, Il “Catalogo” degli strumenti normativi: caratteri e presupposti, in S. PACCHI – S. AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza4, Zanichelli, Bologna, 2025, 50 ss.; per una ricostruzione sistematica, S. FORTUNATO, Gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: quale unitarietà della categoria?, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 2/2025, p. 4.
[2] M. FABIANI – M. SPIOTTA, L’incrocio di Shibuyae la scelta dello strumento di regolazione della crisi, in Giur. comm., 2025, in corso di pubblicazione (per cui ringrazio gli Autori di avermi concesso di leggerlo prima della sua uscita nella Rivista).
[3] Sulla sostenibilità come parametro con cui valutare lo strumento prescelto, T. LINNA, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, in International Insolvency Revue. 2019, 212; G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi, in Diritto della crisi, 13 aprile 2021; S. PACCHI, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 4/2022, p. 5.
[4] M. FABIANI – I. PAGNI, Introduzione alla composizione negoziata, in Fallimento, 2021, 1477 ss.;
I.PAGNI-M.FABIANI, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021.
[5] S. PACCHI, L'allerta tra la reticenza dell'imprenditore e l'opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, in Dir.fall., 2022, 501ss.
[6] M. FABIANI, Il ruolo delle parti e dei professionisti nel film della crisi d’impresa, in dirittodellacrisi.it, 2 Ottobre 2025.
[7] S. LEUZZI, I creditori e la buona fede in concreto nelle crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 3 ottobre 2025.
[8] S. PACCHI, Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, di prossima pubblicazione in M. ARATO – G. D’ATTORRE – M. FABIANI, Codice della Crisi e dell’Insolvenza. Tomo I, Giappichelli, Torino.
[9] S. LEUZZI e M.R. SCHIERA, Gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2025.
[10] M. FABIANI – M. SPIOTTA, L’incrocio di Shibuyae la scelta dello strumento di regolazione della crisi, in Giur.comm., 2025, I, in corso di pubblicazione.
[11] S. PACCHI, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione dopo il decreto correttivo del 2024, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 25 settembre 2025.
[12] L’espressione è di G. D’ATTORRE, La concorsualità "liquida" nella composizione negoziata, in Fallimento, 2022, 3, 301 ss.
[13] S. AMBROSINI, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 1/2024, p. 4; E. RICCIARDIELLO, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in Riv. dir. fall., 2022, I, 1127 ss.
[14] S. PACCHI, voce Concordato preventivo liquidatorio, in Enciclopedia del diritto, Volumi tematici, crisi d’impresa, Milano, 2025.
[15] S. PACCHI, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 2/2023, p. 4.
[16] S. PACCHI, Il controllo giudiziale nel concordato semplificato quale sbocco della composizione negoziata, in Riv. dir. fall., 2024, I, 1037 ss.
[17] M. SPIOTTA, “Utilità solidale” nel codice della crisi: un ossimoro solo apparente, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 3/2023, p. 77; M. FABIANI, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2022, 5 ss.
[18] M. FABIANI, Il ruolo delle parti e dei professionisti nel film della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 2 ottobre 2025.
[19] G. ANDREANI, La “variabile fiscale” nella crisi d’impresa, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, 2/2025, p. 50.
[20] S. PACCHI, Il controllo giudiziale nel concordato semplificato quale sbocco della composizione negoziata, in Riv. Dir. fall., 2024, I, 1037 ss.
[21] G. ANDREANI, La “variabile fiscale” nella crisi d’impresa, cit.