, 27 novembre 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Il volume che viene introdotto da queste – fatalmente sintetiche e frammentarie – considerazioni rappresenta, anche grazie al sapiente coordinamento di Maurizio Bianchini, Fabrizio Cerioni ed Elisabetta Codazzi, un alquanto apprezzabile e articolato contributo all'analisi delle questioni giuridiche e aziendalistiche in materia di crisi di impresa nelle società pubbliche[1].
Com’è ben noto (e come viene puntualmente ricordato da vari autori), il quadro normativo della crisi delle società a partecipazione pubblica ha subito una profonda evoluzione, culminata nell'affermazione di un modello "privatistico". Tale approccio, consolidato dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSPP) e dal Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (CCII), assoggetta queste entità alla disciplina generale del diritto societario e concorsuale, equiparandole, in linea tendenziale e con le debite eccezioni, alle società private.
I punti salienti di questa evoluzione, efficacemente ricostruita nel saggio di Elisabetta Codazzi, sono i seguenti: i) piena assoggettabilità alle procedure concorsuali: il TUSPP e il CCII hanno risolto il lungo dibattito giurisprudenziale sancendo inequivocabilmente la "fallibilità" (recte: l’assoggettamento a liquidazione giudiziale) delle società a partecipazione pubblica, nell’ottica di garantire la certezza dei rapporti giuridici, la parità di trattamento tra operatori economici e la tutela dell'affidamento dei terzi a cominciare dai creditori; ii) tensione tra interesse pubblico e tutela dei creditori: l'applicazione del CCII introduce una potenziale criticità, poiché impone di gestire l'impresa in crisi nell'interesse prioritario dei creditori. Quest’ultimo principio può entrare in conflitto con la missione di servizio pubblico che caratterizza molte società partecipate, sollevando dubbi sulla possibilità di sacrificare l'interesse della collettività; iii) responsabilità del socio pubblico per direzione e coordinamento: l'applicazione del diritto societario comune estende agli enti pubblici soci (con la sola eccezione dello Stato) la responsabilità per abuso di direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.). Di conseguenza, l'ente pubblico è tenuto ad agire secondo i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale come "operatore privato razionale" e può essere chiamato a risarcire i danni causati ai creditori e ai soci di minoranza della società partecipata da una gestione diseconomica o addirittura abusiva; iv) principio di prevalenza del diritto comune: l'art. 1, comma 3, del TUSPP stabilisce che, per tutto quanto non espressamente derogato dal Testo Unico stesso, si applicano le norme del codice civile e il diritto privato: il che preclude deroghe implicite e riqualificazioni della società come ente pubblico, rafforzando l'inquadramento privatistico come criterio guida per l'interprete.
Il bel contributo di Maurizio Bianchini esamina approfonditamente, con dovizia di riferimenti anche comparatistici, le nozioni di "controllo" e di "società a controllo pubblico" delineate nel Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, con un'attenzione specifica alle loro implicazioni nel diritto della crisi e dell'insolvenza.
L'analisi evidenzia una struttura «a cerchi concentrici» propria del TUSPP, che distingue il genus delle «società a partecipazione pubblica» dalla species delle «società a controllo pubblico», per le quali è prevista una regolamentazione più stringente. La qualificazione dipende dalla nozione di «controllo» definita nell'art. 2, co. 1, lett. b) del TUSPP, la quale si articola in due parti: la prima rinvia integralmente alle fattispecie di controllo solitario dell'art. 2359 c.c.; la seconda introduce una specifica ipotesi di controllo congiunto, che richiede il consenso unanime di tutte le parti condividenti il controllo per le decisioni strategiche, sulla base di norme, statuti o patti parasociali.
Lo scritto affronta due questioni interpretative cruciali: i) l'estensione della nozione di controllo congiunto, interrogandosi se, oltre alla fattispecie specifica del TUSPP, siano configurabili altre forme di controllo congiunto pubblico derivanti da un'interpretazione estensiva dell'art. 2359 c.c.; ii) le società a capitale pubblico frazionato domandandosi se le società con una partecipazione pubblica complessivamente maggioritaria, ma frammentata tra più amministrazioni senza un'azione formalmente concertata, possano essere considerate «a controllo pubblico».
La conclusione sostenuta nel testo, basata su un'interpretazione ad un tempo restrittiva e sistematica, è nel senso (ad avviso di chi scrive condivisibile) che la qualifica di "società a controllo pubblico congiunto" richiede necessariamente un coordinamento formalizzato e stabile tra le amministrazioni socie, non essendo sufficiente una mera “somma algebrica” delle partecipazioni pubbliche, né un'azione di fatto parallela; preservandosi attraverso questa chiave di lettura l'autonomia giuridica e funzionale di ogni singola amministrazione, in linea con la giurisprudenza prevalente della Corte dei Conti.
Quanto al rapporto tra TUSPP e CCII, che viene più volte in evidenza nel corso dell'opera, va ricordato che secondo parte della dottrina le società pubbliche possono essere sottoposte a tutta la normativa di diritto comune e, nel contempo, a tutta quella speciale di settore[2]. In un pregevole saggio di Alida Paluchowki, pubblicato in un volume a mia cura, sì è di contro considerato «più aderente alla voluntas legis e ad un risultato coerente sistematicamente colla singolarità di queste imprese che, ogni volta, si valuti la situazione, individuando la compatibilità o meno della normativa del CCII che è bene ricordare non ha abrogato le disposizioni delle imprese pubbliche, che restano speciali e perciò in definitiva prevalenti, rispetto a quelle del CCII e che si devono esaminare soprattutto alla luce della particolare esigenza di continuazione del servizio affidato che ha l'impresa a partecipazione o controllo pubblico. Quindi la composizione negoziata ad avviso di chi scrive dovrebbe essere ammessa se relativa ad una crisi sistematica generalizzata dell'impresa, non risolubile solo con l'apporto del socio pubblico e se subordinata ad una soluzione di continuità»[3].
Non mancano, in effetti, profili di “alterità” fra la disciplina generale e quella speciale. Basti pensare al fatto che nel TUSPP non vi è protezione nei confronti delle revocatorie e delle condotte astrattamente idonee ad essere sussunte nel reato di bancarotta: «situazione che certamente rende infinitamente meno appetibile la soluzione speciale rispetto a quella ordinaria, quando la stessa per la complessità della fattispecie (id est per la gravità della crisi) deve rivolgersi anche ai terzi»[4].
D’altronde, i piani “speciali” del TUSPP hanno il precipuo fine di ricreare le condizioni per la fiducia del socio pubblico riportando l’equilibrio nell’attività imprenditoriale e presentano una portata operativa limitata (legittimante per lo più gli interventi di sostegno economico-finanziario del socio), sicché potrebbe risultare ragionevole implementarne contenuti ed effetti combinandoli con i piani attestati dell’art. 56 CCII o con i piani posti a base dell’accordo di ristrutturazione.
Le esigenze della pratica comportano quindi una “contaminazione” in thesi virtuosa tra le due discipline, che non a caso emerge ricorrentemente nei contributi di questo volume.
Un cenno poi, da parte di chi scrive, al tema dell'applicabilità alle società in house providing degli artt. 120-bis ss., dal momento che le caratteristiche di tali società sollevano criticità sul piano applicativo. Basti segnalare che la più recente dottrina, a fronte della presa d’atto che le norme di matrice concorsuale collocano i soci in una posizione di (sostanziale) estraneità, si è concentrata, in particolare, sul ruolo del socio pubblico nelle diverse fasi della gestione della crisi, delimitandone i confini e le (eventuali) responsabilità: essendosi osservato che, stanti le difficoltà di “contestualizzazione” della norma generale al cospetto della società in house providing, è agevolmente pronosticabile il formarsi di posizioni differenziate tra dottrina e giurisprudenza, con lo “spettro” del ritorno a una stagione di continui revirements non dissimile da quella, già vissuta, della fallibilità delle società. In ogni caso, a condivisibile avviso di quella che è, a quanto consta, la prima pronuncia in argomento, «la decisione di accedere agli strumenti di regolazione della crisi spetta, ai sensi dell’art. 120-bis CCII, esclusivamente all’organo amministrativo non necessitando di preventivi confronti, pareri o approvazioni di sorta da parte degli altri organi sociali e non integrando, per espressa previsione di legge, giusta causa di revoca»[5].
Tornando ai contenuti del libro, vengono in evidenza, nell'ambito della trattazione, concetti di grande rilevanza – e gravidi di implicazioni interdisciplinari – quali le misure di prevenzione della crisi, la valutazione dei rischi, le modalità del “salvataggio” da parte delle amministrazioni pubbliche e la prevenzione della corruzione.
Di particolare utilità, anche dal punto di vista applicativo, appare la sezione su “La nuova composizione negoziata della crisi e le procedure concorsuali previste dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 espressamente contemplate nel D.lgs. n. 175/2016”, all'interno della quale si segnalano, anche per l'importanza degli istituti esaminati, il contributo di Federico Casa e Fabio Sebastiano sul concordato preventivo e quello di Fabrizio Cerioni sulla responsabilità degli organi sociali e dei rappresentanti degli enti soci nella crisi dell’impresa gestita dalla società pubblica.
Arricchiscono l'articolata indagine i saggi sulle responsabilità penali e “parapenali” e sugli indici dell’insolvenza, fornendo così il volume, nel suo complesso, di un quadro puntuale ed esaustivo di questa interessante e delicata materia.
Il pregevole saggio conclusivo di Francesco Goisis offre le coordinate interpretative per tirare utilmente le fila di un discorso così complesso e articolato qual è quello attorno alla natura delle società pubbliche, che – come già sottolineato – spesso comporta un “incontro-scontro” tra interessi pubblici e interessi privati in seno alla struttura societaria. Vi si pone opportunamente in luce come dal dialogo tra norme del TUSPP, del CCII e del Codice civile trovi conferma la tesi secondo la quale le società a partecipazione pubblica, anche in house, appartengono alla sfera del diritto privato e come il successo del modello societario pubblico discenda dalla capacità di permettere agli enti pubblici un’ampia operatività, limitando nel contempo il rischio d’insolvenza alla sfera della persona giuridica.
Goisis introduce poi un profilo stimolante quanto potenzialmente insidioso: quello del rischio di «dissoluzione dell’autonomia patrimoniale perfetta» delle società pubbliche in sede CEDU, atteso che in base agli artt. 6 e 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU i creditori delle società pubbliche, in quanto considerate longa manus dello Stato, possono rivalersi anche nei confronti di quest’ultimo ove rimasto insoddisfatti: reiterandosi così, da un ulteriore angolo visuale, le già segnalate tensioni tra visioni pubblicistica e privatistica delle società in questione, prefigurando implicazioni che potrebbero estendersi ben oltre le società in house, fino a comprendere gran parte delle società a partecipazione pubblica.
La trattazione delle delicate tematiche affrontate nel volume conferma una volta di più l’opportunità – puntualmente colta da tutti gli autori – di studiare a fondo le aree di mancato – e comunque imperfetto – coordinamento che innegabilmente residuano tra il diritto delle società pubbliche e quello “comune” della crisi e dell’insolvenza.
[1] Sul tema, ex multis, v. già R. Rordorf, Le società partecipate fra pubblico e privato, in Soc., 2000, 1326 ss.; L. Salvato, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali, in Dir. fall., 2010, I, 603 ss.; G. d’Attorre, La fallibilità delle società in mano pubblica, in Fall., 2014, 493 ss.; F. Fimmanò e A. Catricalà (a cura di), Le società pubbliche, Napoli, 2016; C. Angelici, Tipicità e specialità delle società pubbliche, in AA.vv., Le nuove società partecipate in house providing, Milano, 2017; G. Guizzi (a cura di), La governance delle società pubbliche nel d.lgs. 175/2016, Milano, 2017;nonché, più di recente, M. Irrera, S. Catalano, L’insolvenza delle società a partecipazione pubblica, in dirittoeconomiaimpresa.it, 1, 2019; M.V. Ferroni, Le procedure concorsuali del testo unico delle società a partecipazione pubblica, in nomos-leattualitaneldiritto.it, 2-2020; A. Giordano, La disciplina della crisi d'impresa delle società pubbliche, in M. Irrera, S. A. Cerrato(diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, Bologna, 2024, 3097 ss.; R. Rordorf, Crisi ed insolvenza della società pubbliche, in O. Cagnasso, L. Panzani, (a cura di), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, I, Torino, 2025, 464 ss.; C. Ibba, I. Demuro, F. Cuccu, Le società pubbliche, ivi, 555 ss.
[2] Cfr. G. D’Attorre, Piani di risanamento e di ristrutturazione nelle società pubbliche, in altalex.com/documents/news2018/10/24, 7.
[3] A. Paluchowski, Le società a partecipazione pubblica di fronte alla emersione della crisi, tra TUSP e CCII, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 1134.
[4] A. Paluchowski, op. cit., 1136.
[5] Trib. L’Aquila, 18 aprile 2023, in Dir. fall., 2024, II, p. 376 ss., con nota di Viola; in Società, 2023, p. 1088, con nota di Codazzi. E sul punto cfr., da ultimo, S. Ambrosini, Il sacrificio dei soci sull’altare della ristrutturazione: definitivo tramonto della shareholder’s primacy, in Dir. fall., 2025, I, 509.