, 03 ottobre 2021, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa. - 2. Gli effetti nei confronti del socio. - 3. Gli effetti nei confronti dei creditori e dei terzi. - 4. Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti.
1. Premessa
Tra i problemi tuttora irrisolti (sia nella legislazione attualmente vigente, sia in quella introdotta dal Codice della crisi e dell’insolvenza) sono senz’altro da annoverarsi anche quelli che riguardano il coordinamento degli effetti sostanziali (nei confronti del debitore, dei creditori, dei terzi e sui rapporti giuridici pendenti) fra il concordato preventivo della società di persone, disciplinato dagli artt. 160 ss. l. fall. e in futuro dagli artt. 84 ss. CCI (ma non solo), e l’eventuale procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (accordo o piano del consumatore) disciplinata dagli artt. 7 ss. l. n. 3 del 2012 e in futuro dagli artt. 65 ss. CCI (ma non solo)[1], fermo restando quanto stabilito dall’art. 184, comma 2 l. fall. (ripreso dall’art. 117, comma 2 CCI), secondo cui “salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”, evidentemente con riferimento ai debiti “sociali”, non con riferimento a quelli “personali”[2].
Non mi occuperò, invece, dell’eventuale conversione del concordato preventivo della società in fallimento o (in futuro) in liquidazione giudiziale, alla quale seguirebbe la dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili a norma dell’art. 147 l. fall. o (in futuro) l’estensione della liquidazione giudiziale anche a detti soci a norma dell’art. 256 CCI, non senza ricordare peraltro che a norma dell’art. 12, comma 5 l. n. 3/2012 la sentenza di fallimento pronunciata (anche in caso di estensione ex art. 147 l. fall.) nei confronti del socio risolve l’eventuale “accordo” di composizione della crisi da sovraindebitamento nel frattempo raggiunto con i suoi creditori personali e omologato dal tribunale; mentre non trovo una disposizione analoga nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in cui però, per un verso, è stabilito, nell’art. 72, comma 2 che il giudice può revocare l’omologazione anche d’ufficio qualora il piano sia divenuto “inattuabile” (come dovrebbe affermarsi in ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del socio), ma, per un altro verso, nell’art. 267 (analogamente a quanto si legge nell’art. 154 l. fall.) è stabilito che, una volta aperta la liquidazione giudiziale della società e dei soci illimitatamente responsabili, ciascuno di questi può proporre un concordato ai creditori sociali e particolari concorrenti nella procedura aperta nei suoi confronti.
Tuttavia, in caso di conversione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento nei confronti del socio in fallimento la precedente procedura produce due effetti importanti (sempre a norma dell’art. 12, comma 5 l. n. 3/2012):
a) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67 l. fall.;
b) i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili a norma dell’art. 111 l. fall.
Nel Codice della crisi e dell’insolvenza manca una disposizione analoga; quanto alle revocatorie, nell’art. 166, comma 3, lett. g) l’esenzione è prevista solo per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza; mentre quanto alla prededuzione è comunque possibile richiamarsi, più genericamente, all’art. 6, comma 2, per il quale la prededucibilità maturata in una procedura permane anche nell’ambito delle altre (esecutive o concorsuali).
Peraltro a norma dell’art. 14 l. n. 3/2012 (nonché dell’art. 72, comma 6 CCI) la revoca dell’omologazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede.
Ciò precisato, occorre ricordare che tra i tanti interrogativi riguardanti il concordato preventivo, un’attenzione particolare è stata riservata anche a quello dell’ammissibilità o inammissibilità di un concordato preventivo dei soci “dipendente” dal concordato sociale, sul quale si sono scontrate in dottrina e in giurisprudenza due opinioni opposte[3]: la prima, favorevole o a riconoscere la possibilità per i soci illimitatamente responsabili di proporre un proprio concordato per la definizione dei rapporti obbligatori costituiti sia con i creditori sociali, sia con i creditori personali, analogamente a quanto dispone per il concordato fallimentare l’art. 154 l. fall.; oppure ad estendere ai patrimoni personali dei soci i vincoli di indisponibilità gravanti sulla società; e una seconda opinione, decisamente prevalente, contraria sia a riconoscere quella possibilità, sia ad estendere ai soci gli effetti sostanziali del concordato della società di cui agli artt. 167 ss. l. fall.
Tuttavia, anche escludendo che il concordato preventivo della società possa estendersi ai soci illimitatamente responsabili, restava da stabilire a quale strumento essi potessero ricorrere per ristrutturare il loro passivo (verso i creditori sociali, ma anche verso i creditori personali), prima che l’eventuale esito negativo del concordato conducesse la società al fallimento e che questo venisse esteso a loro a norma dell’art. 147 l. fall.; da qui il dibattito apertosi in dottrina ed in giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della l. n. 3 del 2012 a proposito dell’applicabilità delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento ai soci illimitatamente responsabili di società ancora in bonis, in relazione all’interpretazione del secondo comma dell’art. 7, che la escludeva per chi “è soggetto a procedure concorsuali diverse” da quelle regolate dalla menzionata legge (lett. a)[4], discutendosi appunto se tale locuzione fosse o meno riferibile anche a quei soci in quanto fallibili per estensione[5].
Ora, a dirimere il dibattito, è intervento il legislatore (con il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 4-ter, comma 1, lett. a,conv. con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176), per definire “consumatore” nell’art. 6, comma 2, lett. b) della l. n. 3 del 2012 (in linea con la definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. e CCI) “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”: definizione che consentirebbe di affermare “la possibilità per il socio illimitatamente responsabile di accedere alle procedure riservate ai sovraindebitati (e non solo al piano del consumatore) anche se l’ente collettivo di cui fa parte è assoggettabile alle procedure maggiori”[6].
Dunque già oggi, in caso di ammissione della società al concordato preventivo, il socio illimitatamente responsabile – che non sia autonomamente un imprenditore commerciale soggetto a procedure concorsuali[7] – ha la possibilità di accedere ad una delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (accordo di ristrutturazione o piano del consumatore) con tutti i relativi effetti sostanziali e processuali, restando semmai da verificare, per un verso, se quel socio possa altresì limitare la proposta o il piano ai suoi debiti personali[8], dal momento che, per quelli sociali, il concordato della società, una volta omologato e adempiuto, ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, liberandoli "salvo patto contrario” (art. 184, comma 2 l. fall. e art. 117, comma 2 CCI); e, per un altro verso, come ovviare alla mancanza di qualunque coordinamento fra la procedura sociale e quella personale, sia quanto a taluni aspetti organizzativi (ad esempio agli organi o alla formazione delle maggioranze dei creditori concorrenti sui vari patrimoni), sia quanto agli effetti sostanziali (per il debitore, per i creditori, per i terzi o sui rapporti pendenti), tanto più se, in futuro, venga riconosciuta anche al socio illimitatamente responsabile in stato di sovraindebitamento (ma non autonomamente assoggettabile alla liquidazione giudiziale ex art. 2, comma 1, lett. c, d, e) la facoltà di “formulare ai creditori una proposta di concordato minore, quando consente di proseguire l'attività imprenditoriale o professionale” da lui (eventualmente) svolta; o “quando è previsto l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori” (art. 74, commi 1 e 2 CCI)[9]: “concordato minore” che a sua volta è retto in parte da regole specifiche (artt. 75 ss. CCI) e in parte mediante un richiamo espresso alle disposizionisul concordato preventivo “in quanto compatibili” (art. 74, commi 3 e 4 CCI).
2. Gli effetti nei confronti del socio
Analogamente a quanto per il concordato preventivo dispongono sia l’art. 167, comma 2 l. fall., sia l’art. 94, comma 2 CCI, anche nella procedura di composizione concordata delle crisi da sovraindebitamento è previsto che a decorrere dalla data del decreto di apertura (e sino alla data di omologazione dell’accordo) il debitore non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice; se compiuti, tali atti sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto di apertura (art. 10, comma 3-bis l. n. 3/2012); e può ammettersi che detta regola valga anche per il piano del consumatore, ancorché una disposizione simile sia prevista solo dopo l’omologazione dall’art. 13, comma 4 l. n. 3/2012 (non per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, ma unicamente) per “i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo o del piano del consumatore”.
Comunque se ne desume che il debitore durante i procedimenti in esame conserva l’amministrazione ordinaria dei suoi beni sotto la vigilanza dell’Organismo di composizione della crisi (OCC), che assume un ruolo analogo a quello del commissario giudiziale[10], salvo dover constatare che la proposta di accordo o il piano del consumatore possono anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore, per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori, ad un gestore, nominato dal giudice fra i professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall. (art. 7, comma 1 l. n. 3/2012); nulla impedisce di ritenere che il debitore medesimo possa utilizzare detta previsione sin dal momento dell’apertura del procedimento, di fatto spogliandosi del potere di amministrare il suo patrimonio[11].
Anche nel Codice della crisi e dell’insolvenza l’art. 78, comma 5 per il c.d. “concordato minore” prevede che “gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione compiuti senza l’autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto” di apertura del procedimento; quindi ancora una volta se ne deduce che il debitore conserva i poteri di ordinaria amministrazione sotto la vigilanza del gestore della crisi; ma qui con due ulteriori corollari.
Il primo dipende dal richiamo integrativo (“per quanto non specificamente previsto”), contenuto nel secondo comma dell’art. 65 CCI, alle disposizioni del Titolo III (artt. da 26 a 55), salvo il vaglio di compatibilità (“in quanto compatibili”); in particolare le disposizioni richiamate riguardano anche l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (Capo IV) e dunque anche la disciplina delle misure cautelari e protettive, di cui agli artt. 54 e 55 (Sezione III); che però, per un verso, si adattano meglio alle procedure ivi espressamente menzionate: liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione; ma, per un altro verso, soddisfano esigenze comuni a tutti i procedimenti per l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi (art. 40), come l’imposizione di vincoli ai poteri di amministrazione del debitore, conformemente alla disposizione dell’art. 7, comma 1 l. n. 3/2012, o come il divieto di azioni esecutive e cautelari, di cui infra.
Il secondo corollario dipende a sua volta dal richiamo integrativo – contenuto nel quarto comma dell’art. 74 CCI, a proposito del c.d. “concordato minore” – alle disposizioni del Capo III del Titolo IV (artt. da 84 a 120), che disciplinano il concordato preventivo, salvo il solito vaglio di compatibilità (“in quanto compatibili”), comprese quelle relative agli effetti rispetto al debitore, ai creditori o ai rapporti giuridici preesistenti, ma senza escludere anche quelle relative alle misure conservative o cautelari previste per l’accesso al procedimento (artt. 54 e 55).
I menzionati (generici) richiami (ma non sono gli unici) finiranno certamente per generare in futuro molte incertezze interpretative, di cui il legislatore si è frettolosamente lavato le mani, demandando ai giudici il compito di verificare in concreto, nelle singole fattispecie, la “compatibilità” delle discipline richiamate rispetto a quella specifica degli strumenti di composizione concordata delle crisi da sovraindebitamento.
Ciò detto, quanto agli effetti per la società, ammessa al concordato preventivo, e per il socio o i soci illimitatamente responsabili, ammessi alle menzionate procedure di composizione concordata delle crisi (accordo, piano del consumatore o c.d. concordato minore), l’eventuale coesistenza dei procedimenti non incide in modo significativo sul quadro complessivo dei rispettivi poteri gestori, limitati – come si è constatato – agli atti di amministrazione ordinaria, ma nel rispetto della piena autonomia delle regole che li disciplinano e degli Organi che assistono e controllano i ricorrenti; ma è soprattutto il loro coordinamento che non appare del tutto agevole, soprattutto quando quei procedimenti vengano aperti davanti a tribunali differenti: cosa ben possibile sia in applicazione della legge fallimentare[12] e della l. n. 3/2012[13], sia in applicazione del Codice della crisi e dell’insolvenza[14].
Conseguentemente il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia anche poteri di amministrazione della società, pur nell’ambito della gestione ordinaria, sarà soggetto ad una duplice vigilanza di Organi diversi, da esercitarsi secondo criteri anch’essi diversi, ad esempio in relazione alle dimensioni dei patrimoni amministrati: quella del commissario giudiziale per gli atti relativi alla società; quella dell’OCC per gli atti relativi al suo patrimonio personale; non potendo disporre liberamente di questo, destinato a garantire (oramai in modo concorsuale) sia i creditori personali, sia quelli sociali (il cui trattamento è appunto oggetto del concordato sociale), difficilmente, per finanziare l’iniziativa della società, il socio potrà destinare risorse che peserebbero negativamente sul soddisfacimento dei creditori personali, ad esempio ricorrendo al “patto contrario” alla sua liberazione per la parte di debiti sociali eccedente la percentuale concordataria (art. 184, comma 2 l. fall., analogo all’art. 153, comma 1 l. fall., e art. 117, comma 2 CCI) , oppure offrendo garanzie (reali) per il pagamento ai creditori sociali della percentuale promessa dalla società, ancorché i creditori personali debbano valutare attentamente in qual modo possa realizzarsi un’equilibrata composizione del potenziale conflitto di interessi fra categorie di creditori, sociali e personali, dal momento che, almeno nel caso del concordato liquidatorio, la semplice offerta dei beni sociali, non accompagnata da quella dei beni (o di parte dei beni) dei soci o da altre garanzie, potrebbe rendere la proposta poco appetibile per i creditori sociali, il cui voto contrario, con la conseguente apertura del fallimento/liquidazione giudiziale della società e dei soci in estensione (artt. 147 l. fall. e 256 CCI), finirebbe per travolgere i procedimenti promossi dai singoli soci (a norma dell’art. 12, comma 5 l. n. 3/2012)[15].
Tuttavia, dal momento che per gli atti compiuti dal socio in nome e per conto della società lo stesso risponde illimitatamente e solidalmente con il suo patrimonio personale, non può aprioristicamente escludersi una divergenza di giudizi fra gli Organi delle due procedure (non solo sull’opportunità di questo o quell’atto, ma anche) sulla loro natura di ordinaria o straordinaria amministrazione, se non addirittura sulla loro natura più o meno pregiudizievole o fraudolenta; ove ciò accada, le conseguenze dell’eventuale conflitto sarebbero da valutare attentamente, ma mi pare certo che la conversione del concordato sociale in fallimento/liquidazione giudiziale finirebbe comunque per travolgere il procedimento individuale di composizione della crisi aperto nei confronti del socio, indipendentemente dalla diversa opinione degli Organi di questo.
3. Gli effetti nei confronti dei creditori e dei terzi
Decisamente più importanti (e intriganti) sono gli effetti delle procedure di composizione assistita delle crisi da sovraindebitamento per i creditori ed in generale per i terzi.
Qui occorre partire dalle disposizioni dell’art. 10, comma 5 e 12-bis, comma 7 l. n. 3/2012, secondo cui tanto il decreto di apertura del procedimento (per l’accordo), quanto quello di omologazione (per il piano del consumatore) “deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento”, da cui può agevolmente desumersi che da quei momenti (o da quelli delle relative pubblicità) il patrimonio del debitore è destinato al soddisfacimento dei suoi creditori nei modi previsti dall’accordo o dal piano, con conseguente applicazione degli effetti sostanziali del pignoramento (artt. 2913 ss. c.c.), anche quanto all’anteriorità delle formalità necessarie per rendere gli atti (o le domande giudiziali) opponibili ai terzi, analogamente (ma in modo più esplicito) a ciò che dispongono l’art. 45 l. fall. (richiamato per il concordato preventivo dall’art. 169, comma 1 l. fall.) ed ora anche l’art. 145 CCI (richiamato dall’art. 96 CCI).
L’affermazione è talmente radicale (“deve intendersi equiparato”) da non lasciare margini di dubbio sull’inopponibilità alla massa creditoria di eventuali iniziative esecutive o cautelari promosse successivamente a quei momenti da singoli creditori, anche indipendentemente da un più generico divieto di azioni esecutive o cautelari.
Per la verità sorprende che delle due disposizioni di cui sopra non ci sia traccia nel Codice della crisi e dell’insolvenza, salva solo l’ipotesi del c.d. “concordato minore”, ove si ritenga applicabile ad esso l’art. 96 CCI (e dunque anche l’art. 145 CCI) in virtù del generico richiamo contenuto nell’art. 74, comma 4 CCI alle disposizioni che disciplinano il concordato preventivo “in quanto compatibili”.
Come noto, nella Legge fallimentare la disciplina degli effetti del concordato preventivo per i creditori concorsuali è essenzialmente (ma non esclusivamente) contenuta negli artt. 168 e 169, che prevedono:
a) il divieto di azioni esecutive o cautelari anche in corso;
b) la sospensione delle prescrizioni che sarebbero interrotte dagli atti esecutivi o cautelari e la soppressione delle decadenze;
c) l’inefficacia ex lege delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti l’avvio del procedimento, oltre che dell’acquisizione di diritti di prelazione non autorizzati dal giudice delegato;
d) la c.d. “liquidazione del passivo” come disposta per il fallimento (artt. 55 ss. l. fall.).
Norme in parte simili sono disposte per l’accordo di composizione delle crisi da sovraindebitamento e per il piano del consumatore nella l. n. 3/2012; in particolare:
A) quanto al divieto di azioni esecutive o cautelari, con il decreto di apertura del procedimento di composizione concordata della crisi il giudice dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione sia diventato definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati (neppure con l’autorizzazione del giudice) diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore (art. 10, comma 2, lett. c); una disposizione in parte analoga è prevista anche per il piano del consumatore dall’art. 12-bis, comma 2, secondo cui, quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione sia diventato definitivo.
Fra le due ipotesi, però, vi è una differenza importante: nella prima il divieto, pur necessariamente enunciato nel decreto, è generale e non ammette deroghe, se non per i titolari dei crediti impignorabili; nella seconda ipotesi il provvedimento (di mera sospensione dei procedimenti esecutivi in corso) è discrezionale e condizionato (all’eventuale pregiudizio alla fattibilità del piano), ma solo fino al momento in cui il provvedimento di omologazione sia diventato definitivo, perché poi il divieto torna ad essere generale, a norma dell’art. 12-ter, comma 1, secondo cui i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali o cautelari, né acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano; a loro volta i creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano (art. 12-ter, comma 2).
B) quanto alle prescrizioni e alle decadenze, anche qui, per l’accordo, le prime rimangono sospese e le seconde non si verificano, dal decreto di apertura al momento in cui il provvedimento di omologazione sia diventato definitivo (art. 10, comma 4); ma nulla di simile è previsto per il piano del consumatore, di cui il legislatore sembra essersi dimenticato.
C) quanto poi agli effetti di cui all’art. 168, comma 3, seconda proposizione l. fall. (inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti l’iscrizione nel registro delle imprese del ricorso introduttivo) e a quelli di cui all’art. 169 l. fall. (c.d. “liquidazione del passivo”), manca qualunque previsione sia con riferimento all’accordo di composizione della crisi, sia con riferimento al piano del consumatore, pur tuttavia con due eccezioni: la prima è quella relativa all’equiparazione del decreto di apertura del procedimento (nell’accordo) o del decreto di omologazione (nel piano del consumatore) all’atto di pignoramento (v. supra), da cui dovrebbe discendere anche l’applicabilità dell’art. 2916 c.c. sull’inopponibilità delle ipoteche iscritte dopo il pignoramento; la seconda è quella enunciata nell’art. 9, comma 3-quater l. n. 3/2012, secondo cui – analogamente alla disciplina dell’art. 55, comma 1 l. fall., richiamato dall’art. 169 l. fall. per il concordato preventivo – il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi 2 e 3 c.c.
Ne consegue, in sintesi, che in caso di concorso di procedure (concordato preventivo della società e uno o più procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento dei soci)[16], ciascuna davanti al proprio tribunale competente e con i propri organi, solo alcuni effetti per i creditori sono disciplinati da regole identiche o simili; e se, per un verso, è vero che il concordato preventivo della società, salvo patto contrario, ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, cosicché, una volta soddisfatti in quella sede, i creditori sociali non possono vantare ulteriori pretese nei confronti di detti soci (art. 184, comma 2 l. fall.), ai quali è ora concesso di regolare autonomamente (anche) “i debiti estranei a quelli sociali” a mezzo degli strumenti disciplinati dalla l. n. 3/2012 (art. 6, comma 2, lett. b), è anche vero per altro verso che i creditori sociali, fino al momento in cui non saranno stati soddisfatti dal concordato della società, non perdono le garanzie dei loro crediti sui patrimoni dei soci illimitatamente responsabili, fermo restando che già a norma dell’art. 2304 c.c. i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale (inibita in pendenza del concordato della società), né possono dunque agire esecutivamente sui loro patrimoni personali fintanto che il concordato sociale non venga approvato, omologato ed eseguito, indipendentemente da eventuali divieti comminati all’interno delle singole procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, mentre – a sua volta – al creditore personale del socio resta inibito chiedere la liquidazione della quota del suo debitore (art. 2305 c.c.) o esercitare gli altri poteri previsti dall’art. 2270, comma 1 c.c., se confliggenti con i divieti ai quali si è accennato.
Fintanto che il concordato sociale non venga (quanto meno) approvato e omologato, i creditori sociali non possono essere totalmente pretermessi nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento o nel piano di ogni singolo socio illimitatamente responsabile, anche ai fini del voto, ancorché quanto al loro soddisfacimento sia possibile limitarsi a far riferimento al piano sociale di ristrutturazione, ma non senza qualche difficoltà di fronte alla constatazione che, ad esempio, nel primo procedimento i crediti vengono tutti “liquidati” nei modi stabiliti – come nel fallimento – secondo i principi di cui agli artt. 55 ss. l. fall.; negli altri no, mantenendo la loro originaria conformazione.
Insomma, il legislatore ben avrebbe potuto (o dovuto) dettare in modo più adeguato (almeno) alcune regole di coordinamento fra procedure così diverse, in sede di revisione complessiva della materia nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in cui il quadro si presenta, se possibile, ancor più complicato.
Lì, infatti, la disciplina degli effetti del concordato preventivo per i creditori concorsuali è essenzialmente (ma non esclusivamente) contenuta negli artt. 46, comma 5, 54, comma 2, 55, comma 3 e 96, che prevedono:
a) un divieto di azioni esecutive o cautelari anche in corso, ma solo se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda introduttiva e solo per il periodo di tempo (non superiore a quattro mesi) determinato dal giudice (artt. 54, comma 2 e 55, comma 3);
b) la sospensione delle prescrizioni e la soppressione delle decadenze (art. 54, comma 2, ultima proposizione);
c) l’inefficacia ex lege tanto delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti l’avvio del procedimento, quanto dell’acquisizione di diritti di prelazione non autorizzati dal giudice delegato (art. 46, comma 5);
d) la c.d. “liquidazione del passivo” (art. 96).
Da un confronto anche superficiale emerge con immediatezza una differenza non da poco, quanto agli effetti del primo tipo (a proposito delle azioni esecutive o cautelari individuali): in passato il divieto derivava direttamente dalla legge ed era assoluto, salvo il caso previsto dall’art. 4 del d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 in materia di contratti di garanzia finanziaria; nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in sintesi, se il debitore omette di chiedere le menzionate “misure protettive”, i creditori sembrerebbero mantenere la facoltà di avviare azioni individuali sul suo patrimonio o di proseguire quelle già avviate in precedenza, al fine di soddisfarsi coattivamente, con il rischio che venga compromessa la stessa progettazione del piano concordatario e l’eventuale continuità aziendale (ad esempio, quando un pignoramento colpisca beni, mobili o immobili, essenziali per la prosecuzione dell’attività); e il medesimo esito potrebbe riprodursi anche nell’ipotesi che il debitore abbia chiesto quelle misure, ma poi il tribunale le abbia revocate o sia decorso inutilmente il termine (di trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese) per provvedere (con conseguente cessazione degli effetti protettivi); così come nell’ipotesi che il tribunale le abbia sì confermate, ma con fissazione di una durata massima (come detto, non superiore a quattro mesi), poi consumata nel corso del procedimento concordatario[17].
La conclusione in verità appare talmente aberrante (per la violazione che ne seguirebbe al principio fondante delle procedure concorsuali, quello della par condicio creditorum) da far preferire l’opinione che si sia trattato di una mera svista del legislatore, peraltro in clamoroso conflitto con la perdurante equiparazione della domanda di accesso al concordato preventivo al provvedimento di apertura della liquidazione giudiziale (e quindi all’atto di pignoramento) a norma degli artt. 96 e 145 CCI.
Venendo ora alla nuova disciplina delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, a parte quanto si è già constatato a proposito del richiamo nell’art. 65, comma 2 CCI alle disposizioni del Titolo III (quindi agli artt. da 26 a 55) applicabili “in quanto compatibili” alla fase di apertura di quelle, occorre sottolineare il fatto che per esse non è stata ripetuta l’equiparazione del decreto di apertura all’atto di pignoramento (artt. 10, comma 5 e 12-bis, comma 7 l. n. 3/2012) e non c’è la possibilità di rimediare ricorrendo agli artt. 96 e 145 CCI, se non per il c.d. “concordato minore”, dato il richiamo solo per quest’ultimo alla disciplina del concordato preventivo, in quanto compatibile (art. 74, comma 4 CCI), ma per il quale comunque l’art. 78, comma 2, lett. d) precisa che, su istanza del debitore, il giudice dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.
E’ però vero che per la proposta e per il piano del consumatore, a norma dell’art. 70, commi 4, 5 e 10 CCI, con il decreto di apertura del procedimento, il giudice, su istanza del ricorrente, può disporre quanto meno la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata che potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano e può altresì disporre il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, nonché le altre misure idonee a conservare l'integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento: misure protettive che sono revocabili su istanza dei creditori, o anche d'ufficio, in caso di atti in frode; e diventano inefficaci in caso di diniego dell’omologazione (salva l’apertura consecutiva della procedura liquidatoria), così come analogamente dispone per il c.d. “concordato minore” l’art. 80, commi 5 e 6 CCI.
4. Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti
A differenza da ciò che è previsto in caso di concordato preventivo dagli artt. 169-bis e 186-bis l. fall., ma ora anche dagli artt. 97 e 95 CCI, in quello delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (accordo o piano del consumatore) tanto nella l. n. 3/2012, quanto nel Codice della crisi e dell’insolvenza manca l’enunciazione di regole generali relativamente alla sorte dei contratti a prestazioni corrispettive “ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti” al momento dell’apertura del procedimento[18], con la solita eccezione del c.d. “concordato minore” dato il richiamo solo per quest’ultimo alla disciplina del concordato preventivo, in quanto compatibile (art. 74, comma 4 CCI)[19].
Le uniche previsioni in materia sono quelle che riguardano alcuni specifici contratti di finanziamento; in particolare:
(i) l’art. 8, comma 1-ter l. n. 3/2012 (introdotto dall’art. 4-ter d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla l. 18 dicembre 2020 n. 176), nonché l’art. 67, comma 5 CCI, secondo cui l’accordo o il piano del consumatore possono prevedere anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull'abitazione principale del debitore, se lo stesso, alla data del deposito della domanda, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data;
(ii) l’art. 8, comma 1-quater l. n. 3/2012 (pure introdotto dall’art. 4-ter d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla l. 18 dicembre 2020 n. 176), secondo cui, quando l'accordo è proposto da un soggetto che non è consumatore e contempla la continuazione dell'attività aziendale, è possibile prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa se il debitore, alla data della presentazione della proposta di accordo, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data; l'organismo di composizione della crisi attesta che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori: disposizione identica sia a quella del nuovo sesto comma dell’art. 182-quinquies l. fall. (introdotto dall’art. 20 del d.l. n. 118 del 2021) e a quella dell’art. 100, comma 2 CCI, che riguardano il concordato preventivo[20], sia a quella dell’art. 75, comma 3 CCI per il c.d. “concordato minore”, quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale.
Ora – senza entrare nel merito dell’opportunità di una simile disposizione di favore, che in qualche caso potrebbe effettivamente tornare utile a beneficio della continuità aziendale – a me pare peraltro che, se è prevedibile che il credito dell’ente mutuante (munito di garanzia reale) possa comunque essere soddisfatto per intero con il ricavato della liquidazione del bene (“a valore di mercato”), un rischio di lesione dei diritti di altri creditori quanto al soddisfacimento di quel credito fuori dal concorso non potrebbe porsi che con riferimento a quelli che avessero sul bene gravato da garanzia un diritto prioritario o equivalente; e potrebbe avere un senso ove controbilanciata dalla contestuale liberazione dei beni gravati, appunto in quanto “strumentali all’esercizio dell’impresa”; ma la norma non pone tale condizione e dunque deve supporsi che a fronte della menzionata deroga quei beni restino destinati a garantire il mutuante fino al rimborso dell’ultima rata.
E tuttavia, ove detti beni vengano successivamente liquidati e dalla liquidazione risulti una somma inferiore a quella preventivata, resta pur sempre da decidere se il mutuante abbia diritto di trattenere le somme ricevute o se piuttosto ne nasca un’azione di ripetizione nei suoi confronti per la parte lesiva dei “diritti degli altri creditori”.
Comunque, più in generale, a differenza dalla società in concordato preventivo, che ha la possibilità di liberarsi dei contratti non convenienti o incompatibili con l’esecuzione o la fattibilità del suo piano di ristrutturazione, il socio illimitatamente responsabile può farlo nell’ambito del procedimento che lo riguarda solo qualora, dopo l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, opti per il c.d. “concordato minore”, nel quale – come detto – dovrebbero ritenersi applicabili, a norma dall’art. 74, comma 4, anche i principi generali sui rapporti pendenti enunciati per il concordato preventivo nell’art. 97.
Resterebbe tuttavia da stabilire che cosa accada nei casi in cui l’impegno contrattuale nei confronti del contraente in bonis sia stato assunto sia dalla società che dal socio, non potendo il rapporto sciogliersi per l’una e continuare per l’altro.
(*) Il contributo è destinato agli Studi in onore di Paolo Montalenti
[1] Lamenta “una serie di rilevanti criticità connesse al coordinamento della procedura avviata dal socio e quella iniziata dalla società, nell’ambito degli strumenti indicati dal CCII e di quelli vigenti” anche G. FAUCEGLIA, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, in Giur. comm., 2021, I, 431 ss., ivi 443.
[2] Disposizioni analoghe sono previste anche nell’ipotesi che la società con soci illimitatamente responsabili non sia soggetta alla disciplina della legge fallimentare, ove in particolare abbia accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (art. 7, comma 2-ter l. n. 3/2012 e art. 65, comma 4 CCI) o al c.d. “concordato minore” (art. 79, comma 4 CCI ed anche in forza del rinvio alla disciplina del concordato preventivo in quanto compatibile, contenuto nell’art. 74, comma 4 CCI) o alla liquidazione del patrimonio (art. 14-ter, comma 7-bis l. n. 3/2012 e art. 266, comma 1 CCI): per quest’ultima ipotesi si discute se il decreto di apertura della liquidazione della società provochi automaticamente l’apertura della liquidazione dei patrimoni dei soci illimitatamente responsabili o se per essi occorra un’istanza di parte: sul tema cfr. A. MANCINI, Liquidazione dei beni ex l. 3/2012: sulla estensione degli effetti ai soci illimitatamente responsabili e sul concetto di atto di frode, in Crisi di Impresa e Insolvenza del 6 giugno 2021.
Più recentemente l’art. 184 l. fall. è stato richiamato, in quanto compatibile, anche per il c.d. “concordato semplificato” (che è un concordato per cessione dei beni) disciplinato dall’art. 18 del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, al quale può accedere chi è imprenditore, sia commerciale, sia agricolo, iscritto nel Registro delle imprese, che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi [o l’insolvenza] (art. 2) e abbia preventivamente fatto ricorso all’istituto della “composizione negoziata” di cui agli artt. 5 ss.; di detti nuovi istituti non mi occuperò, se non per osservare che l’art. 18, oltre all’art. 184, richiama anche altre norme della legge fallimentare ed in particolare, per quanto qui può interessare, gli artt. 167, 168 e 169 l. fall., che disciplinano taluni effetti sostanziali del concordato preventivo per il debitore e per i creditori (manca invece un richiamo agli artt. 169-bis e 186-bis sui rapporti giuridici preesistenti); naturalmente anche una società con soci illimitatamente responsabili, che svolga attività commerciale o agricola, può ricorrere ai nuovi istituti; e dunque, ove svolga attività agricola, pur non essendo soggetta al fallimento, ben potrebbe avviare un percorso terapeutico che la condurrebbe, in caso di insuccesso, a beneficiare del “concordato semplificato”: e questa è una rilevante novità per le società agricole, così come anche per tutte le imprese sotto soglia (art. 17 del d.l. n. 118/2021), su cui cfr. A. MANCINI, Le “imprese sotto soglia” nel d.l. 118/2021: interazioni con il sovraindebitamento, in Il Caso.it del 1° settembre 2021; naturalmente, ove ciò accada, si porrebbe un problema di coordinamento fra il “concordato semplificato” della società con soci illimitatamente responsabili e l’eventuale procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento aperta nei confronti di uno o più soci, da risolvere peraltro anche tenendo conto delle indicazioni offerte nel testo, sia pure solo con riferimento agli effetti nei confronti del debitore e dei creditori.
[3] Per i riferimenti sul tema mi limito qui a rinviare a P.F. CENSONI, Concordato preventivo di società in nome collettivo e apporto personale di un socio, in Fallimento, 2021, 840 ss.
[4] Nel Codice della crisi e dell’insolvenza, nell’art. 2, comma 1, lett. c), richiamato dall’art. 65, comma 1, si fa riferimento ad “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”.
[5] Sul tema cfr. da ultimo V. ZANICHELLI, Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento, in Fallimento, 2021, 441 ss., ivi, 443 ss., ove nota di ulteriori richiami cui si rinvia.
[6] Così V. ZANICHELLI, Il corposo restyling cit., 443 s.; nel senso che in caso di sovraindebitamento il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, nonostante la sua possibile fallibilità per estensione ex art. 147 l. fall., può fare accesso alla procedura di composizione della crisi mediante liquidazione del patrimonio prevista dalla l. n. 3/2012, cfr. Trib. Lecco, 5 gennaio 2021, in Fallimento, 2021, 572 s., ove ulteriori richiami.
[7] Ma se imprenditore, commerciale o agricolo, sopra o sotto soglia, può ricorrere – come detto in nota 2 – alla “composizione negoziata” e poi al c.d. “concordato semplificato” ex d.l. n. 118 del 2021.
[8] Sul tema cfr. anche V. ZANICHELLI, Il corposo restyling cit., 444 s.; nonché G. FAUCEGLIA, La legislazione in tempo di pandemia cit., 443, secondo cui distinguere tra debiti personali del socio e debiti assunti nella sua qualità nel contesto dell’attività sociale resta circostanza “di difficile individuazione pratica”.
[9] In verità il testo della norma è concepito in modo ambiguo: il primo comma sembrerebbe limitare l’istituto a chi svolge un’attività imprenditoriale o professionale destinata a “proseguire” (“escluso il consumatore”), ma poi il secondo comma sembrerebbe estenderne l’utilizzazione (“fuori dai casi previsti dal comma 1”) quando è previsto l’apporto di apprezzabili risorse esterne, anche indipendentemente dall’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale.
[10] Come enunciato espressamente nell’art. 65, comma 3 CCI.
[11] E’ poi opportuno osservare, con riferimento al Codice della crisi e dell’insolvenza, che a norma dell’art. 70, comma 8 la sentenza di omologa dell’accordo o del piano è impugnabile ai sensi dell’art. 51, il quale peraltro nel quarto comma stabilisce che il reclamo alla corte di appello “non sospende l’efficacia della sentenza, salvo quanto previsto dall’articolo 52”; a sua volta quest’ultima disposizione, nei primi due commi, attribuisce fra l’altro alla corte, su richiesta di parte e quando ricorrono gravi e fondati motivi, significativi poteri gestori, quali la sospensione di atti di liquidazione dell’attivo o di altri atti di gestione o l’inibitoria dell’attuazione del piano o dei pagamenti; o il potere di “disporre le opportune tutele per i creditori e per la continuità aziendale”; di fronte al doppio richiamo di cui sopra è possibile ritenere che quei poteri spettino alla corte anche nell’ambito delle procedure qui esaminate.
[12] Il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale (art. 161, comma 1).
[13] Il tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore (art. 9, comma 1).
[14] Il tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali (artt. 27, commi 2 e 3 e 68, comma 1): per la società e per il socio persona fisica che esercita attività d’impresa, sede legale o effettiva; per il socio persona fisica che non esercita attività d’impresa, luogo di residenza o domicilio.
[15] Con la possibilità per il curatore di aggredire con l’azione revocatoria gli atti pregiudizievoli compiuti dal socio o sul patrimonio del socio (ma non quelli posti in essere in esecuzione dell’accordo); la disposizione di cui all’art. 12, comma 5 l. n. 3/2012 non mi risulta ripetuta nel CCI, ma mi pare desumibile dal coordinamento fra l’art. 2, comma 1, lett. c) e l’art. 256 CCI.
[16] D’altra parte anche il legislatore delegante della riforma, nell’art. 9, 1° comma, lett. a) della l. delega n. 155 del 2017, aveva chiesto di comprendere nella procedura di sovraindebitamento (senza distinguere fra l’accordo di ristrutturazione e il piano del consumatore) “i soci illimitatamente responsabili e individuare criteri di coordinamento nella gestione delle procedure per sovraindebitamento riguardanti più membri della stessa famiglia”.
[17] Sul tema mi limito a rinviare a P.F. CENSONI, “Gli effetti del concordato preventivo nei confronti dei creditori dalla legge fallimentare al Codice della crisi e dell’insolvenza”, in www.ilcaso.it, Crisi d’Impresa e Insolvenza, 28 maggio 2019; e più recentemente a A. DIMUNDO, Effetti del concordato preventivo per i creditori nel CCII, in Fallimento, 2021, 1033 ss.
[18] Non così, invece, per la “liquidazione controllata” nella nuova disciplina contenuta nel Codice della crisi e delle imprese, il cui art. 270, comma 6 stabilisce che “se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti al momento in cui è aperta la procedura di liquidazione controllata, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il liquidatore, sentito il debitore, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del predetto debitore, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Il contraente può mettere in mora il liquidatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto. In caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura. In caso di scioglimento del contratto, il contraente ha diritto di far valere nel passivo della liquidazione controllata il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno”.
[19] Si noti che gli artt. 169-bis e 186-bis l. fall. non sono stati richiamati neppure per il c.d. “concordato semplificato” di cui all’art. 18 del d.l. n. 118 del 2021.
[20] Quando è prevista la continuazione dell'attività aziendale, la disciplina relativa all’autorizzazione al pagamento di debiti pregressi “si applica, in deroga al disposto dell'articolo 154, comma 2, al rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa se il debitore, alla data della presentazione della domanda di concordato, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il tribunale lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. Il professionista indipendente attesta anche che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori”.