, 04 novembre 2021, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Una forte ventata di novità. - 2. I destinatari e le finalità - 3. Nuovi concetti e problemi interpretativi. - 4. Verso un monitoraggio probabilistico. - 5. L’insolvenza reversibile - 6. La fase di avvio del percorso della composizione negoziata della crisi d’impresa - 7. Questioni organizzative e metodologiche del risanamento - 8. Il controllo dell’esperto sulla sussistenza di ragioni che rendono il risanamento perseguibile. - 9. l ruolo degli advisor del debitore e del CRO. - 10. La gestione dell’impresa durante le trattative: sostenibilità ed interesse dei creditori. - 11. Conclusioni
1. Una forte ventata di novità.
Il Decreto Legge 24 agosto 2021 n. 118 ha introdotto numerose novità, tra le quali, in particolare, il nuovo strumento denominato “Composizione negoziata per la soluzione della crisi”, con il corredo di supporti accessibili sulla piattaforma telematica, quali il test on line, la lista di controllo e il protocollo di conduzione della composizione negoziata.
Con la legge di conversione n. 147 del 21 ottobre 2021 il provvedimento dell’agosto scorso esce dunque nella sua veste definitiva[1].
Tra le numerose novità, di grande rilievo, vi sono quelle del nuovo ruolo dell’esperto indipendente e dei diversi supporti a forte contenuto aziendalistico (test on line, lista di controllo, protocollo), mediante i quali è stata introdotta una assai articolata strumentazione tecnico-contabile composita, a contenuto consuntivo e preventivo, fortemente innovativa dal punto di vista terminologico, formale e concettuale, che dovrà trovare, nel tempo, innanzi tutto un’adeguata sistematizzazione per evitare di risultare un coacervo di dati di difficile integrazione; ma anche un doveroso raccordo con la dottrina aziendalistica ed anzi con le discipline specialistiche interessate e che sono assai numerose: dalla ragioneria alla pianificazione, dalla letteratura sulle crisi e i risanamenti aziendali a quelle strategica, manageriale e organizzativa.
Il diritto positivo attuale sta proponendo sempre più ricorrentemente strumenti e soluzioni che necessitano di riferimenti organizzativi (vedasi il d. lgs. n. 231/2001 e il novellato secondo comma dell’art. 2086 c.c. in attuazione dell’ art. 375 del CCII) e strategici, con insistente richiamo ai piani aziendali di risanamento e non solo, che esprimono la natura essenziale delle strategie, vale a dire il cambiamento strutturale dell’impresa nel lungo andare e la discontinuità rispetto al passato, verso condizioni durevoli di equilibrio a tendere.
Nel testo in esame sono introdotti termini di nuovo conio e concetti innovativi non soltanto a livello giuridico, ma proprio anche a livello aziendale, quali la “sostenibilità economico-finanziaria” (art. 9) e l’”insolvenza reversibile” (rel. ill. e protocollo), che non rientrano nelle definizioni e nei concetti assimilati nell’ambito della scienza aziendale e che quindi richiederanno un notevole lavoro di chiarimento e di inquadramento, per fornire alla comunità professionale dei riferimenti razionali e non solo intuitivi e vaghi[2].
Gli stessi concetti di probabilità di insolvenza - risolto a livello di definizione giuridica dall’art. 2 del CCII come nozione di crisi, ovverossia squilibrio economico-finanziario, dopo l’intervento del correttivo, che ha modificato la precedente vaga nozione di “stato di difficoltà” - e soprattutto di probabilità di crisi necessitano di importanti chiarimenti definitori e concettuali.
Vanno inoltre sviluppati adeguatamente i concetti di “potenzialità necessarie per restare sul mercato”(rel. ill.), quale condizione perché le imprese con probabilità di crisi o di insolvenza, ma anche insolventi in maniera reversibile, possano accedere alla composizione negoziale, assumendo come riferimento le indicazioni della letteratura strategica e organizzativa e presumibilmente includendo tra queste potenzialità gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili di cui all’art. 2086, secondo comma c.c.[3]
I diversi concetti “vaghi” o comunque aziendalmente indefiniti che sono stati introdotti necessitano dunque di adeguate riflessioni e sistematizzazioni per definire, ancorché non in maniera deterministica, delle verosimili relazioni causa-effetto con la qualificazione dei presupposti oggettivi del nuovo strumento, che evitino di ricorrere ad approssimazioni troppo generiche ed astratte e di portare a selezioni e giudizi incoerenti circa le imprese che accederanno al nuovo strumento.
Consapevoli dunque dell’importanza del (rigore di) linguaggio e delle sue significazioni più puntuali, ma volendo comunque andare per esigenze pratiche verso una direzione propositiva, alcune prime risposte definitorie possono essere quelle: i) di “probabilità di crisi” come una fase di indebolimento dell’azienda o pre-crisi, con avvisaglie emergenti lungo la catena del valore dell’impresa e con segnali anche non espressi da grandezze monetarie e da evidenze in bilancio, ma risalanti, nella concatenazione mezzo-fine, a disfunzioni gestionali organizzative interne e a criticità relazionali esterne significative (reclami, resi, perdite di clienti); ii) di “insolvenza reversibile” solo e soltanto quella causata da fattori esterni temporanei (ma esiziali rispetto alla reattività della singola impresa) e non endoaziendali; iii) come “potenzialità” vanno richiamati, in via enunciativa e non esaustiva, senz’altro i paradigmi strategici dei “punti di forza” del modello di Andrews, della “catena del valore” del modello di Porter, delle “risorse strategiche distintive” del modello di Grant: tutti universalmente noti e accreditati nella comunità scientifica e in quella professionale[4]. Più problematica sembra essere la nozione di “sostenibilità economico finanziaria”, risolta dal protocollo invero in maniera convenzionale con l’accertamento di un MOL (margine operativo lordo) positivo, ma non proprio rispondente con la teoria dell’impresa affermata in dottrina, che considera l’equilibrio economico, assai più prudentemente, ancorato ad una più che soddisfacente redditività netta a valere nel tempo.
Il decreto dirigenziale ha molto celebrato il MOL (o EBITDA), che ha certamente grande espressività segnaletica, per il suo doppio ruolo -al tempo stesso quale fenomeno gestionale e quale misurazione di tale fenomeno, capace dunque di essere rappresentabile - di risultato economico di efficienza produttiva (dopo il costo del lavoro), da un lato; e di autofinanziamento prodotto dalla gestione aziendale, dall’altro lato: una capacità segnaletica quindi straordinaria, perché duplice, sia economica che finanziaria, tanto che la migliore dottrina lo ha da tempo qualificato come “utile lordo finanziario”, non mancando tuttavia, nell’aggettivazione di “lordo”, di precisarne il limite, rispetto al primario e irrinunciabile ruolo del risultato netto, del reddito d’esercizio, come più completa (quindi razionale e prudente) evidenza di un equilibrio (o di uno squilibrio) economico dell’impresa[5].
Vada inoltre considerato il prezzo che si vuol pagare, per ragioni di pragmatismo e di semplificazione, nel fare riferimento ad un unico dato, peraltro parziale, ancorché rilevante, per dirimere valutazioni complesse e con grandi implicazioni concrete in ordine al tema dell’eventuale pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria, quale criterio del “cambio di passo” nella conduzione dell’impresa, con le responsabilità che ne derivano (punto 7.5 del protocollo).
Il MOL gioca un ulteriore ruolo fondamentale anche in sede di parere dell’espero innanzi al tribunale, in caso di nuovi finanziamenti prededucibili (punto 10.1 del protocollo), quindi in un contesto diverso da quello precedente. E qui emerge un altro atteggiamento semplificatore, che può anche essere accolto per ragioni di pragmatismo, basta averne la consapevolezza: il fatto cioè che si attribuisce ad un unico dato, peraltro parziale come si è detto, una funzione di criterio universale, ad ampio spettro, riguardo a decisioni di assai diversa natura, quando invece la scienza aziendale disconosce il valore assoluto e generale a qualsivoglia dato e indice o prodotto informativo, essendo ciascuno di essi valido in termini relativi, limitatamente ad un ben preciso scopo conoscitivo e non ad altro[6]. Emerge quindi un problema logico di razionalità delle valutazioni e delle scelte e quindi di correttezza delle decisioni che ne conseguono, non solo da parte dell’imprenditore nella conduzione della gestione e dell’esperto nell’ambito delle sua attività di vigilanza e di segnalazione, ma anche da parte del tribunale.
Sul punto, di grande spessore, è auspicabile che si sviluppi un dibattito, arricchito di approfonditi contributi, se non si vuole lasciare al pericolo di distorsioni segnaletiche e di euristiche decisionali importanti opzioni complesse e di forte implicazione sui destini delle imprese, peraltro in crisi.
2. I destinatari e le finalità.
Lo strumento della composizione negoziata della crisi è particolarmente accessibile e versatile, per favorirne la massima diffusione, a date condizioni:
a) I destinatari (presupposto soggettivo) sono tutte le imprese, di qualsiasi dimensione, ivi comprese le imprese agricole, che avvertano situazioni di difficoltà e in particolare, secondo la rel. ill., quelle che - pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza - hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato. Ma nel novero rientrano anche le aziende “in stato di insolvenza reversibile” (rel. ill e protocollo).
b) L’assunzione alla base dello strumento di composizione e dei supporti, semplificati, per l’accesso e per la predisposizione di un piano di risanamento, è quella dei limiti attribuiti alle PMI di riconoscere la crisi e di individuare idonee soluzioni.
c) Le motivazioni dei nuovi provvedimenti sono collegate alle ripercussioni economiche, finanziarie e patrimoniali della pandemia sul sistema delle imprese, che sono state contenute mediante misure di sostegno temporanee e destinate a cessare, con l’atteso rischio di una situazione recessiva diffusa e perdurante per tempi non brevi.
d) Queste circostanze non solo hanno motivato i rinvii del CCII al 16 maggio 2022 e delle procedure di allerta al 31 dicembre 2023, ma vengono considerate tali da richiedere strumenti per l’emersione anticipata della crisi più idonei rispetto a quelli previsti dal CCII (rel. ill.).
e) Le finalità del decreto legge sono quelle di: i) prevenire la crisi; ii) risolvere le situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili (rel. ill.).
Ildecreto legge si contraddistingue per soddisfare esigenze di semplificazione, di velocizzazione delle procedure, di pragmatismo (il “test pratico” e la “check list”di cui all’art. 2) e quindi di semplificazione dei supporti di analisi e di pianificazione, di diagnosi preventiva, anche per favorire esplicitamente le piccole e le medie imprese, sia nell’acquisizione di una pronta consapevolezza, sia nell’avvio e nel prosieguo del percorso di risanamento.
Un primo giudizio sui supporti tecnici e sul protocollo porta a valutare “luci e ombre” nella strumentazione proposta: da un lato gli strumenti di taglio aziendalistico, di cui si dice essere stati derivati dalla “migliore prassi”, appaiono numerosi e a vasto raggio di copertura metodologica rispetto alle esigenze di diagnostica e di pianificazione per il risanamento, senz’altro con forti semplificazioni giustificate dalla priorità di coinvolgere le PMI, pur con contenuti che in realtà tradiscono complessità di metodo non banali e che necessiteranno di robusti contributi di advisor; dall’altro lato, quanto approntato non può che rappresentare una base minima di strumenti, certamente inadeguata per imprese non solo di maggiori dimensioni, ma anche di maggiori complessità pur essendo medie o piccole, qualora esse risultino fortemente impegnate a livello strategico e di sviluppo: con internazionalizzazione dei mercati, innovazione di prodotti e di processi, varietà e molteplicità dei business, delle aree servite, dei segmenti di clientela, dei marchi commerciali, con elevato tasso di sostituzione dei prodotti e dei servizi.
Occorrerà, nei casi di crescente livello di complessità gestionale e organizzativa, approntare strumenti diagnostici e piani di risanamento, anche per il controllo della loro esecuzione, assai più completi, sofisticati, rispondenti alle esigenze maggiori di sviluppo procedurale, reportistica, trasparenza e contenuto, con assai maggiore enfasi sui cronoprogrammi e sui piani d’azione, con precisa individuazione di “chi fa che cosa”, senza di che i piani appaiono “pallide” prospettazioni di vaghe iniziative e i numeri che ne esprimono le quantificazioni rischiano di possedere più i connotati delle espressioni matematiche che delle grandezze aziendali.
Va precisato che il ricorso alla composizione negoziale è totalmente su base volontaria e si fonda su principi di reciprocità tra imprenditore e parti a vario titolo coinvolte, in termini di riservatezza, trasparenza e parità informativa, buona fede e correttezza: valori a cui fornisce un decisivo contributo l’esperto, nella sua funzione di rassicurazione indipendente e imparziale, dovendo prevenire e contenere eventuali comportamenti opportunistici e asimmetrie informative.
Queste considerazioni sono molto importanti e credo innovative dal punto di vista del diritto della crisi, perché introducono delle variabili comportamentali che arricchiscono, credo opportunamente, la dimensione altrimenti solo iperrazionalistica con cui tradizionalmente sono state individuate soluzioni basate su strumenti di prassi aziendale eminentemente a contenuto quantitativo (bilanci, indici, flussi prospettici, piani di risanamento, piani liquidatori).
La letteratura di pianificazione ha sempre più insistito, nel tempo, ai fini dell’efficacia degli strumenti, sull’importanza delle variabili comportamentali, declinate con altra terminologia, comunque comparabile: simmetria informativa, trasparenza, fiducia, riduzione dell’opportunismo reciproco, semplificazione per il superamento dei limiti cognitivi, interiorizzazione degli obiettivi del piano, responsabilizzazione. Pertanto il ruolo dell’esperto, unitamente ai doveri dell’imprenditore e delle parti, di cui all’art. 4, appare anche su questa dimensione particolarmente qualificante.
3. Nuovi concetti e problemi interpretativi.
Quello che con forte immediatezza emerge allo sguardo dell’aziendalista e penso anche del giurista è il ricorso ad una terminologia non solo “di nuovo conio”, ma inaudita in ambito aziendale, sia dal punto di vista scientifico che di prassi professionale.
La novazione linguistica in gran parte non è accompagnata da definizione alcuna, non potendosi peraltro ricorrere a spiegazioni da vocabolario, trattandosi di questioni lessicali legate a logiche e metodi aziendali, aprendo così una serie di problemi interpretativi di non facile soluzione.
A questi si aggiungono aspetti di significatività concettuale incerta, che aprono profondi solchi non solo interpretativi, ma anche applicativi.
Basti citare alcuni esempi:
a) la “sostenibilità economico-finanziaria dell’attività”, di cui all’art. 9 del D.L., della quale si vuole evitare il pregiudizio, tramite una gestione accorta: sostenibilità è un termine assente nella dottrina aziendale, quindi ad oggi ascientifico e il ricorso al dizionario di certo non aiuta, perché riferito al linguaggio ordinario. In ambito aziendale sono invero affermati i concetti di equilibrio economico e di equilibrio finanziario, nonché di redditività, di economicità, ma ciascuno con significati appropriati. Peraltro, la dimensione economica e finanziaria dell’equilibrio non sono allineate, né come tempistiche di riferimento, né come risultanze quantitative. L’importanza di questa chiave interpretativa risiede nel fatto che la “sostenibilità”, secondo l’art. 9, costituisce il criterio di corretta gestione condotta in autonomia dall’imprenditore: una gestione sia ordinaria che straordinaria. Tale criterio, che concorre a definire i limiti di insindacabilità della conduzione dell’impresa, diventa dirimente al profilarsi di un pregiudizio, emergendo una probabilità di insolvenza, perché innesta i doveri di una gestione conservativa.
b) “Probabilità di crisi” (art. 2):
costituisce anch’esso un problema interpretativo, di tipo concettuale più che terminologico. L’approccio quello aziendalistico, non essendo mai deterministico, pur utilizzando ampiamente dei parametri e degli indici, mantiene una dimensione parzialmente intuitiva e quindi soggettiva nel momento interpretativo, laddove la probabilità di futura crisi può emergere da fattori indiziari gestionali e monetari: perdita di clienti, perdita della quota di mercato, incremento dei prezzi degli approvvigionamenti (se non trasferibili alla clientela), perdita di marginalità lorda, perdite nette d’esercizio gravi e persistenti, gravi carenze organizzative, mancanza di innovazione. Sarà il quadro di dati e di elementi qualitativi indiziari, nel caso concreto (non in via generale) a configurare, secondo comunque un giudizio prognostico d’esperto e di sintesi, una eventualità di crisi, che la letteratura ha finora evitato di qualificare come “probabilità”, venendo così, oggi, a mancare una categoria di riferimento. Va anche tenuto presente il fatto che, a differenza dell’insolvenza che trova manifestazione esterna e quindi, in quel momento, di rapida conoscibilità e diffusione, la crisi economica esita spesso da processi di deterioramento del modello di business graduali e incrementali, irregolari, con evidenze parziali e assenze di tracce (si usa la metafora dei fiumi carsici), tanto che si suggerisce di valorizzare i cosiddetti “segnali deboli” (weak signals): vale a dire indizi qualitativi e tecnico-gestionali premonitori (difetti di lavorazione, non conformità, lamentele, ritardi, inefficienze circoscritte, rimanenze invendute), tali da anticipare i segnali “forti”, ma fatalmente tardivi, delle perdite economiche, MOL incluso.
c) La “probabilità di insolvenza” (art. 2) trova una precisa definizione all’art. 2 CCII, ancorché dal punto di vista scientifico rimangono tutte le problematiche concettuali e operative suddette, basate su correlazioni relativamente vaghe e indirette tra eventi indiziari e possibilità di insolvenza: aumento dei livelli delle rimanenze, peggioramento del ciclo monetario, aumento della posizione finanziaria netta, cash flow negativo, difficoltà di pagamento di importanti clienti, ritardi nelle consegne dei lavori: la vaghezza o meglio la mancanza di determinismo dell’approccio aziendale riposa sul riconoscimento della natura sistemica dell’azienda (“sistema socio tecnico”), per cui troppe variabili in interazione, anche umane e soggettive, non consentono di isolare relazioni semplici tra un solo fattore causale e la conseguente insolvenza temuta.
L’insolvenza, per il legislatore, è sempre una patologia di natura finanziaria o meglio monetaria (inadempimenti a fronte delle obbligazioni), coerentemente tutto sommato con la letteratura aziendale.
d) L’ipotesi contemplata dal legislatore (espressamente richiamata nella relazione illustrativa) di una “insolvenza reversibile”, giacché usualmente il problema della reversibilità concerne tipicamente la situazione di crisi: su questo aspetto approfondiremo di seguito in apposito paragrafo dedicato.
e) L’avversativo utilizzato nella locuzione “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario”, laddove tratta di tre condizioni (patrimoniale, economica e finanziaria) tutte rilevanti congiuntamente e non alternativamente, proprio perché sono strettamente connesse tra loro.
f) Le “potenzialità necessarie” per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa. Quali siano queste potenzialità non vengono date indicazioni: qui occorre dunque rinviare alla letteratura strategica e a quelle della crisi e dei risanamenti d’impresa, trattandosi in gran parte di profili di tipo qualitativo, organizzativo e procedimentale.
4. Verso un monitoraggio probabilistico.
Il ricorrente ricorso del legislatore al concetto di probabilità - vedasi probabilità di insolvenza, introdotto nel CCII, ora quello di probabile crisi (art. 2 D.L. 118), ma anche di ragionevole perseguibilità del risanamento, da valutare sia inizialmente che nel corso delle trattative (rel. ill.) - comporta una visione della gestione dell’impresa che accede alla composizione negoziale di tipo probabilistico, coerentemente con la nozione di sistema probabilistico di matrice aziendalistica.
Fra le tante implicazioni, anche dal punto di vista pratico, ne consegue il fatto che necessitano, sia per l’imprenditore e i suoi advisor, sia per l’esperto, sia per il CRO (Chief Restructuring Officer), strumenti di carattere preventivo e di natura predittiva.
Gli strumenti preventivi, indicati dal legislatore stesso e dal documento allegato al decreto dirigenziale sono il piano finanziario a sei mesi e il piano di risanamento. Ma è evidente che possono essere elaborati ulteriori strumenti preventivi, quando il caso concreto lo richieda (piani di dettaglio, piani d’azione, ecc.). Questi strumenti, che si esprimono anche attraverso grandezze monetarie, derivano da assunzioni e da ipotesi gestionali che possiedono un evidente carattere probabilistico, in quanto condizionato da fattori di rischio e di incertezza: ad esempio, obiettivi o previsioni di vendite, di dinamiche dei prezzi, di evoluzione della domanda, di ripresa dell’inflazione.
Gli strumenti predittivi sono invece quelli che comportano, metodologicamente, dei mirati interventi di natura probabilistica, introducendo delle variazioni - entro un range ragionevole e coerente con la natura delle ipotesi - che incidono sulle variabili previsionali originarie e che impattano, con relazioni causa effetto, sull’intero sistema dei dati preventivi, riconfigurandolo alla luce di tali variazioni: trattasi delle analisi di sensitività (simulazioni) e degli stress test, il quale ultimo è espressamente richiesto all’esperto dalla lista di controllo (punto 5.2), relativamente alla verifica preventiva e probabilistica del piano di risanamento.
Simulazioni e stress test costituiscono peraltro tecniche di verifica predittiva, su base probabilistica, richieste agli advisor dell’imprenditore (lista di controllo, punto 5.3), ma raccomandabile anche al CRO, il quale deve effettuare un monitoraggio sull’esecuzione del piano di risanamento e sulle probabilità di conseguimento degli obiettivi esplicitati, intermedi e a finire, ivi compresi eventuali covenant ed earn out.
5. L’insolvenza reversibile.
Un aspetto di grande interesse e di non semplice soluzione concerne l’inclusione dell’insolvenza tra le situazioni aziendali considerate “a priori”, quindi in astratto, reversibili, che andranno ovviamente valutate nel caso concreto.
La circostanza è richiamata dall’art. 2 del D.L. e ribadita dalla relazione illustrativa ed è diversa dalla “probabilità di insolvenza” di cui all’art. 9 e a cui eravamo già abituati, in forza dell’art. 2 del CCII.
La “sorpresa” sorge per il fatto che l’insolvenza è considerata tradizionalmente, in ambito giuridico, come il presupposto per la dichiarazione di fallimento e anche per la procedura di liquidazione, ai sensi dell’art. 121 del CCII.
Aziendalmente, la consueta associazione tra insolvenza e fase terminale dell’impresa, quindi compatibilità con la procedura fallimentare o di liquidazione giudiziale, appare del tutto coerente. La dottrina economica, infatti, considera l’insolvenza, tipicamente, anche se non in via esclusiva, come la manifestazione finale della crisi dell’impresa, quindi irreversibile e non meritevole di ulteriore assorbimento di risorse, essendo il business in stato di decozione ed essendo perdute le condizioni di continuità aziendale.
La continuazione dell’attività, in ambito giuridico, è peraltro considerata, in queste circostanze, pregiudizievole per gli interessi dei creditori.
La spiegazione sequenziale che procede dall’indebolimento, allo squilibrio economico, fino alla crisi e quindi all’insolvenza, pur essendo certamente prevalente, non è comunque totalizzante.
Non mancano infatti circostanze rarefatte e interstiziali di imprese vitali dal punto di vista strategico e con modelli di business ancora coerenti, quindi competitive e in relativo equilibrio economico, che, pur non avendo perdite d’esercizio e patrimonio netto negativo, mostrano situazioni di insolvenza.
Il fenomeno trae origine per lo più da criticità dovute alla mancata solvibilità, inattesa, della clientela, di clienti importanti, i cui ritardati o mancati pagamenti si ripercuotono con immediatezza sulla generazione di cassa dell’impresa fornitrice e sui suoi livelli di tesoreria.
Casistiche concrete sono state osservate nell’ambito di imprese operanti nel settore biomedicale, con prolungate e significative forniture ad ASL estremamente tardive nei pagamenti, con ripercussioni esiziali sul ciclo monetario (in aumento patologico) e quindi sulla solvibilità stessa dell’impresa fornitrice (il ciclo monetario è rappresentato dal differenziale tra la durata media di incasso dei crediti, quella della permanenza media della merce a magazzino e la durata media di dilazione dai fornitori).
L’insolvenza, in questo caso, sorge pur in presenza di un equilibrio economico di fondo e di potenziali di competitività e di coerenza strategica del modello di business.
Altro caso annoverabile è quello di un’impresa della moda, con griffe affermata e prodotti di alta gamma, che a fronte di un processo di internazionalizzazione, anche in nell’Est europeo, si è ritrovata a subire gli effetti di fortissimi ritardi di pagamento e della morosità della clientela di quell’area, entrando a sua volta in situazione di insolvenza e riuscendo a mantenere la continuità aziendale attraverso un’operazione di cessione.
Di particolare interesse è poi il caso di insolvenza intragruppo, a danno di una consociata originariamente sana e in equilibrio economico, con business coerente e solidi fattori strategici di successo, che tuttavia subisce l’”effetto domino” dell’insolvenza della capogruppo o di altra consociata, di cui è fornitrice prevalente o a cui ha destinato importanti finanziamenti intragruppo.
In questo caso coesistono quindi potenzialità strategiche e fattori di vitalità con un’insolvenza generata dall’appartenenza ad un gruppo insolvente.
Questi esempi fanno capire la reversibilità del dissesto di un’azienda insolvente e quindi la possibilità di un percorso di risanamento (con il supporto di un piano di risanamento ragionevolmente attuabile) è possibile solo e quando l’insolvenza è di provenienza esterna, derivante da rapporti commerciali e finanziari con altre imprese del mercato o del gruppo di appartenenza, che per effetto di contagio coinvolgono l’impresa finanziatrice (a titolo di credito di regolamento o di finanziamento) nella situazione di insolvenza da loro generata.
Ancora, come si è visto con la pandemia e i diffusi fenomeni recessivi, dovuti alla combinazione di provvedimenti di lockdown, crisi da domanda e crisi dell’offerta, quindi con carenze di liquidità straordinarie e perduranti, hanno inciso anche su imprese sane o comunque con business vitali e coerenti, specialmente in determinati settori maggiormente colpiti dai provvedimenti di limitazione degli esercizi.
Si tratta dunque di situazioni di insolvenza di origine esterna, indotta da fenomeni imprevedibili e incontrollabili, che quindi non derivano dalla gestione aziendale, i quali possiedono auspicabilmente carattere di temporaneità.
In questi casi, può essere ragionevolmente colta una possibilità di reversibilità della situazione di dissesto aziendale in presenza di uno stato di insolvenza, se gli effetti esterni di mancanza di liquidità non hanno intaccato in maniera irrimediabile gli assetti produttivi e organizzativi dell’impresa e soprattutto se la crisi di liquidità riveste con buona evidenza carattere di temporaneità e di superamento: venendo meno la causa esterna, non controllabile, anche le conseguenze sul piano della solvibilità aziendale verrebbero rimosse, fatto salvo il danno infra prodotto, da valutare circa la sua efficacia sulla continuità aziendale e sulla sua possibile sistemazione. La natura irreversibile dell’insolvenza consiste nella raggiunta impossibilità o incapacità dell’azienda di risolvere autonomamente e con una gestione ordinaria lo squilibrio che in assenza di rimedi diverrebbe esiziale.
L’insolvenza dell’impresa debitrice, tale tuttavia da aprirla a possibilità di soluzione, dovrebbe essere ricondotta dunque a:
i) cause esterne, incontrollabili e temporanee (limitazioni per il contenimento della pandemia);
ii) persistenza temporanea di condizioni recessive (crisi di domanda) afferenti imprese con business ancora sani, ma con ristretti limiti temporali di solvibilità;
iii) cause esterne parzialmente controllabili in presenza di rischi potenzialmente stimabili (eccezionali ritardi o insolvenze di importanti clienti);
iv) infine, cause esterne subite per vincoli e restrizioni organizzativi o societari da parte di società capogruppo insolventi o di imprese rete dominanti (affiliante nel sistema di franchising, grande cliente nella rete di subfornitura subfornitura) insolventi.
Questa insolvenza indotta da fenomeni di mercato, di relazioni commerciali e di subalternità societaria o organizzativa, si concretizza e si aggrava per il congiunto effetto: k) dell’incapacità o impossibilità dell’impresa, divenuta insolvente per contagio, di rigenerare rapidamente un sufficiente autofinanziamento (cash flow); kk) di una struttura finanziaria originariamente fragile (prevalente indebitamento a breve, di elevata proporzione); kkk) di una sottocapitalizzazione atavica, accompagnata da una assenza o carenza di possibilità di urgente ricapitalizzazione.
In queste circostanze, verosimilmente, l’azienda non è in grado autonomamente di rigenerare le risorse finanziarie necessarie per riequilibrare lo stato problematico raggiunto e in certi casi non è nemmeno in condizioni di rivitalizzare autonomamente il business: pertanto, lo strumento della composizione negoziata della crisi può diventare plausibile come rimedio per il superamento della crisi e per il rilancio in continuità diretta o indiretta dell’impresa.
Il seguente grafico intende raffigurare il concorso dei diversi fattori endoaziendali e delle varie circostanze esterne (non controllabili) che può agire sfavorevolmente sulla salute dell’impresa e sulle sue possibilità di normale continuità gestionale.
Insolvenza potenzialmente reversibile (in presenza di vitalità del business).
La combinazione (o meglio le varie combinazioni) di cause esterne sfavorevoli per la solvibilità aziendale, da un lato; nonché di fattori di fragilità già presenti nella struttura patrimoniale e finanziaria dell’impresa divenuta insolvente, dall’altro lato, possono comportare una situazione che, se non hanno ancora intaccato la qualità del modello di business, possono consentire - a date condizioni di corretta impostazione di una strategia finanziaria o di soluzioni straordinarie, adeguatamente pianificate - un percorso di risanamento economico e di ristrutturazione del debito: il tutto sulla base dell’imprescindibile mantenimento delle condizioni per un equilibrio economico durevole (o il ripristino di un equilibrio economico temporaneamente e parzialmente intaccato) e della preservazione dei principali fattori distintivi di competitività strategica e di potenziale ritorno al successo.
Tali fattori, riconducibili alle risorse interne strategiche (tecnologiche, intangibili, umane e manageriali), insieme a fattori di dominanza competitiva (posizioni di leadership) o di protezione competitiva (nicchie di mercato), sono fondamentali per valutare la perseguibilità di un percorso di composizione negoziata della crisi e la fattibilità di un piano di risanamento proponibile ai creditori e alle parti interessate.
6. La fase di avvio del percorso della composizione negoziata della crisi d’impresa.
Fatte queste considerazioni, la “composizione negoziata per la soluzione della crisi” rappresenta un percorso volontario, oltreché riservato e stragiudiziale, che non apre il concorso dei creditori e che non comporta alcuno spossessamento del patrimonio e della gestione dell’imprenditore, dovendo tuttavia risultare (in presenza di probabilità di insolvenza) non pregiudizievole per i creditori.
Tale percorso si basa su alcuni presidi, tra i quali:
i) L’autodiagnosi dell’imprenditore (necessariamente assistito da un advisor nelle PMI), accedendo ad una piattaforma telematica nazionale per la predisposizione del test on line.
ii) La redazione di un piano di risanamento, sulla base di indicazioni operative (necessariamente assistito da un advisor) con una check list.
iii) La “guida metodologica” e la verifica preventiva della ragionevole perseguibilità del risanamento, sulla base di un test pratico per la valutazione della ragionevole perseguibilità del risanamento (necessariamente con l’assistenza di advisor).
A ben vedere si tratta di tre momenti estremamente complessi e sofisticati nel caso concreto, non sempre in linea con le rassicuranti e semplificatrici note dell’allegato al decreto dirigenziale del 28/9/2021, che prevede diverse modalità metodologiche astrattamente accessibili, ma che nel caso concreto solleveranno tantissimi problemi, dato che la complessità gestionale e l’incertezza degli eventi si può rinvenire anche nelle piccole imprese.
Tali supporti vanno senz’altro considerati come un minimo presidio, utile per facilitare l’accesso al percorso, con uno standard minimale di completezza e di qualità; ma che deve evolvere verso livelli di maggiore ricchezza di contenuti e di maggiore complessità metodologica, via via che il caso concreto d’impresa presenta profili maggiormente impegnativi da gestire.
Il percorso si apre con la richiesta volontaria da parte dell’imprenditore, attraverso la piattaforma telematica, di un “esperto” indipendente, quando risulta “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 2).
L’imprenditore, in base all’ art. 5, inserisce gli ultimi 3 bilanci, i dichiarativi degli ultimi 3 anni, e una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre 60 giorni.
Che cosa sia una situazione patrimoniale è chiaro (posto che occorre redigere anche un conto economico), ma che cosa si intenda per situazione finanziaria (rendiconto finanziario?) non è assolutamente così chiaro.
L’imprenditore presenta poi una relazione sintetica sull’attività e un piano finanziario a 6 mesi, con le iniziative industriali da adottare.
Ne segue una valutazione - preventiva, prognostica - dell’esperto sulla “concreta prospettiva del risanamento”, anche sulla base delle informazioni dall’organo di controllo (art. 5, co 5).
La valutazione dell’esperto è derimente, perché, solo se ritiene che le prospettive di risanamento siano concrete, egli incontra le parti interessate e prospetta le strategie di intervento.
Il percorso prevede dunque la nomina dell’esperto, in possesso di definiti requisiti, che almeno dalla disciplina sembrerebbe operare, in una prima fase, a distanza, convocando l’imprenditore e acquisendo informazioni indirette dall’organo di controllo, sulla base delle informazioni prodotte alla piattaforma e di altre eventualmente richieste.
Manca quindi senz’altro la prescrizione di una verifica della veridicità dei dati aziendali e qui vi è da domandarsi quale sia il livello di credibilità di una situazione patrimoniale e finanziaria e di un piano finanziario non suffragati dalla verifica dell’attendibilità dei dati contabili e aziendali in genere.
I supporti di cui all’allegato dirigenziale si fondano sulla preminente valorizzazione di una grandezza economica, che possiede anche una significatività finanziaria: il margine operativo lordo (MOL), o EBITDA (Earning Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization) normalizzato, in quanto depurato dai componenti straordinari: trattasi di un risultato parziale, ottenuto dopo il costo del lavoro e prima degli ammortamenti e quindi non segnaletico dell’effettiva redditività (netta) aziendale, perché esclude molti componenti reddituali. I giudizi di economicità fondati essenzialmente sul MOL possono quindi risultare poco prudenziali e non lungimiranti (questo è il noto limite del MOL), specialmente per le imprese a maggiore contenuto tecnologico, dove i ricavi devono correlarsi ad una struttura di costi maggiormente condizionata proprio dagli ammortamenti e da ulteriori accantonamenti a fondi spese future.
Peraltro, il MOL, nascendo dalla correlazione di ricavi e di costi prevalentemente “monetari” (acquisti e retribuzioni), costituisce una riconosciuta approssimazione dell’autofinanziamento di liquidità e quindi di cash flow operativo: indubbiamente fondamentale per la continuità aziendale, ma limitatamente ad un periodo breve.
Il test on line propone una prima verifica di perseguibilità dell’ipotesi di risanamento con una graduazione dei livelli di difficoltà attesi, fondati con una correlazione semplice e alquanto deterministica, sul rapporto tra flusso di cassa netto medio normalizzato e prospettico (ottenuto partendo proprio dal MOL) e il fabbisogno finanziario durevole espresso dall’esposizione debitoria (configurata con gli elementi disomogenei espressamente indicati), congiuntamente agli investimenti netti.
Il rapporto, che non viene definito, rappresenta in sostanza una sorta di payback, certamente convenzionale nella sua composizione (sinceramente non agevole, per le diverse perplessità interpretative che emergono e che non sono per nulla chiarite nel documento), cioè il grado di recupero, espresso in anni, delle risorse finanziarie occorrenti per il fabbisogno così rappresentato, sulla base di una dinamica media attesa del flusso di cassa netto, sembrerebbe normalizzato (con tanti ulteriori dubbi che vengono a sollevarsi in proposito).
Ne conseguono diverse soglie critiche, a cui corrispondono crescenti livelli di difficoltà per l’impresa di affrontare il percorso di risanamento e quindi di composizione della crisi.
I diversi esiti del test on line forniscono indicazioni, di massima, delle possibilità di risanamento, secondo una gradualità crescente dei valori del rapporto, che, se contenuti entro un valore fino a 2, lascerebbero spazio ad un risanamento anche non assistito da un piano e in continuità con le modalità di gestione in essere; per poi suggerire interventi anche “industriali” all’aumentare del valore del rapporto, con il supporto di un piano di risanamento; fino a profilare l’ipotesi di una cessione dell’azienda o di rami aziendali (in continuità indiretta, a questo punto), per valori del payback superiori a 5 o a 6.
Si consideri che nella situazione post-covid, secondo stime della task force di MISE, MEF, Banca d’Italia, ABI, MCC e SACE, occorrerebbero 5,4 anni di cash flow nel settore manifatturiero per ripagare il debito, più del doppio dei 2,2 anni del 2019 (payback).
In presenza di disequilibrio economico (sembra inteso con MOL < 0) secondo il test on line, non è comunque precluso l’accesso alla composizione negoziata, ma occorre senz’altro una ristrutturazione industriale che interessi il modello di business, ovvero si deve percorrere la soluzione della continuità indiretta o quella dell’aggregazione con altre imprese, secondo modalità strategiche non precisate, ma che potrebbero essere l’acquisizione sinergica da parte di un gruppo solido o una forte partnership presumibilmente commerciale per rilanciare l’impresa in crisi sul mercato.
7. Questioni organizzative e metodologiche del risanamento.
Circa la ragionevole perseguibilità del risanamento da parte dell’esperto, ma anche di tutti i soggetti interessati, pesano determinate condizioni funzionali all’effettività e all’efficacia della sua implementazione.
Un primo problema è quello di un piano di risanamento che esita dalle istruzioni della piattaforma largamente astratto, sintetico, ed essenzialmente quantitativo contabile: andrebbe considerato, più che un piano, come una previsione (o proiezione) finanziaria e tutt’al più, come mera raccomandazione, un bilancio previsionale.
Manca innanzi tutto pressoché totalmente l’analisi strategica (analisi di scenario, SWOT Analysis, analisi competitiva, analisi delle leve strategiche, analisi delle risorse, definizione dei business, ecc.).
Si osserva poi che:
§ mancano le precisazioni sulla mission aziendale e sugli obiettivi strategici, qualitativi e quantitativi, con i tempi predefiniti;
§ mancano le definizioni delle strategie di risanamento e i criteri di selezione, nelle loro descrizioni generali e di dettaglio e nelle loro tempistiche;
§ mancano i programmi operativi per aree o processi aziendali;
§ mancano i piani d’azione dettagliati e i cronoprogrammi;
§ manca l’analisi sistematica delle risorse aziendali (umane, produttive, tecnologiche, commerciali, logistiche);
§ manca l’architettura organizzativa del piano (chi fa che cosa e con quali responsabilità);
§ mancano le precisazioni sul controllo strategico, vale a dire sull’avanzamento del piano di risanamento per il controllo in itinere.
Insomma, il piano proposto dalla lista di controllo della piattaforma è metodologicamente semplificato e non solo questo limite si riflette sull’efficacia della gestione imprenditoriale, ma anche sulle responsabilità dell’esperto, che si troverà spesso a dover valutate (quindi ad accogliere o a rigettare) dei piani alquanto insoddisfacenti rispetto alla dottrina in materia e alla prassi, fatto salvo il suo potere di richiedere integrazioni e correzioni opportune[7].
Presumibilmente, si tratta di un prodotto che dovrà essere, con il tempo, migliorato.
Occorre però tener conto delle condizioni organizzative che sono sempre basilari per l’implementazione di qualsiasi piano e in particolare per quanto disciplinato dal decreto legge.
Gli attori principali sono l’imprenditore, con i professionisti che lo assistono, l’organo di controllo, l’esperto nominato dalla commissione istituita, ciascuno con precisi obblighi previsti dalla disciplina.
Vi sono poi tutti i soggetti interessati al progetto di risanamento, creditori (tra cui istituti bancari ed enti erariale e previdenziali), lavoratori, clienti, stakeholdersin genere.
I principi di comportamento, che determinano le dinamiche organizzative sono quelle della riservatezza, della correttezza e buona fede.
Occorrono dunque:
- ampia trasparenza e completezza informativa e assenza di pregiudizio per i creditori nella gestione aziendale;
- indipendenza, professionalità, competenza e dedizione da parte dell’esperto;
- riservatezza e leale collaborazione da parte dei creditori.
Giustamente, la relazione ill. prescrive l’osservanza degli obblighi di cui all’art. 2086 cc (adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili), in difetto dei quali l’azienda e la sua gestione appaiono poco accreditabili e il piano di risanamento risulta già debolmente difendibile.
Particolarmente rilevante è il ruolo dell’organo di controllo, il quale, anche a tutela delle proprie responsabilità, ha il dovere di tempestiva segnalazione motivata all’organo amministrativo della sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza della nomina dell’esperto. L’ importanza di questa segnalazione va riconosciuta anche in conseguenza della mancanza di segnalazioni esterne, previste nella procedura di allerta del CCII e tenuto conto del fatto che la composizione negoziata ha origine solo su base strettamente volontaria. Il riflesso di questo nuovo approccio è che la crisi (o l’insolvenza) dell’impresa rimane un fenomeno totalmente interno, lasciando non poche perplessità circa le espressioni di volontà proattiva degli imprenditori, alla luce delle evidenze empiriche di indagini non lontane nel tempo.[8]
Vi sono poi i rapporti con il tribunale, sia nel caso di richiesta delle misure protettive e cautelari; sia in presenza di richiesta di finanza esterna prededucibile e di cessioni di azienda o di rami aziendali, con le richieste di autorizzazioni, funzionali alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori.
Si viene quindi a profilare uno strumento che, al di là delle semplificazioni procedurali previste, anima una rete di relazioni intersoggettive che può essere particolarmente densa a seconda della numerosità e dei comportamenti collaborativi (o meno) dei vari attori e che dipenderà molto dalle capacità di integrazione dell’esperto, che certamente non è paragonabile a un manager - per il motivo che, a differenza del curatore, non ha diretto e pieno controllo sulle risorse, sulle iniziative e sulle trattative – e che quindi approssima il ruolo dell’”integratore” (di cui il project manager[9] può essere un esempio), ben raffigurato, in tutte le sue concrete difficoltà ad operare in situazioni di incertezza e di molteplicità di compiti e di relazioni da Lawrence e Lorsch, nell’ambito della letteratura organizzativa[10], secondo un approccio organico alle soluzioni, contraddistinto da accento sulle competenze, polivalenza, mutuo adattamento, lavoro di squadra, collaborazione, facilitazione delle trattative con i creditori, contemperando i diversi interessi in gioco e dovendo operare al di fuori di un’organizzazione gerarchica, anche con doti di mediazione e attitudine alla negoziazione, non privo comunque di responsabilità[11].
8. Il controllo dell’esperto sulla sussistenza di ragioni che rendono il risanamento perseguibile.
L’esperto, che costituisce una figura professionale nuova, contraddistinta da terzietà, indipendenza e imparzialità, si vede attribuiti innumerevoli compiti, obbligatori in quanto richiamati dalla disciplina e facoltativi, ma non meno importanti, richiesti dalle circostanze del caso concreto.
Va detto che il protocollo e gli altri supporti forniscono indicazioni di carattere generale e minimale, nel senso che costituiscono un “minimo conoscitivo” irrinunciabile, che deve essere adeguatamente integrato a seconda dei casi concreti, necessariamente non individuabili a priori.
Uno dei compiti fondamentali è quello di doversi esprimere con una valutazione prognostica del “risanamento ragionevolmente perseguibile”. Si intende che tale espressione di giudizio deve essere legata a informazioni ed elementi razionali conoscibili ex ante, alla data dell’espletamento dell’incarico, secondo la migliore diligenza professionale e le competenze detenute, non potendo essere censurata un’opinione, ben formulata, solo per eventi manifestatisi ex post e non conoscibili anticipatamente.
L’esperto procede dunque secondo due livelli di approssimazione:
a) una prima, sommaria verifica anticipata sulla base del test disponibile on line, senza la disponibilità di un piano d’impresa, anche congiuntamente all’imprenditore;
b) una più approfondita e sistematica valutazione sulla base di un piano di risanamento, che può essere già prodotto dall’imprenditore in sede di istanza, ovvero successivamente nel corso della composizione negoziale della crisi.
La prima verifica preventiva, da effettuare comunque e senza indugio, si basa su due metodi:
- verifiche a distanza, condotte sul set informativo fornito dall’imprenditore ai sensi dell’art. 5 del decreto legge: ultimi tre bilanci, situazione patrimoniale-finanziaria aggiornata (60 gg max), la relazione “chiara e sintetica” sull’attività con un piano finanziario a sei mesi, l’elenco dei creditori, certificati dei debiti tributari e contributivi, evidenze della centrale rischi di Banca d’Italia;
- valutazione dell’inaffidabilità o inadeguatezza della situazione contabile aggiornata (max 120 gg): trattasi, in concreto, di un bilancio intermedio, da esaminare con l’organo di controllo e il revisore legale e che l’imprenditore deve modificarle in caso di accertate carenze;
- elaborazione del test on line;
- verifiche indirette, mediante incontri intrattenuti con l’imprenditore e i suoi advisor, con l’organo di controllo e il revisore legale, con i diversi soggetti interessati al risanamento (creditori, ma non solo).
Ritengo opportuno che siano compiute anche adeguate verifiche dirette, tra cui rientrino gli accessi in azienda, i sopralluoghi nei principali siti produttivi, logistici e commerciali dell’azienda, acquisendo anche informazioni di tipo organizzativo e gestionale, oltre ad una verifica in loco dell’assetto amministrativo contabile, per capirne l’adeguatezza organizzativa in termini di dotazione quali-quantitative di personale, di sistemi informativi, di procedure in uso e di prassi, di stato di aggiornamento della contabilità, di reportistiche, anche infra-annuali, prodotte come routine amministrativa.
Questa ricognizione, con l’esito del test on line, dovrebbe consentire di formulare una prima valutazione, per sciogliere la riserva e per dare avvio alle trattative.
In caso di evidente situazione di insolvenza, anche colta dall’esperto, questa condizione non è considerata a priori preclusiva del percorso ci composizione negoziata, purché emergano “concrete prospettive di risanamento”. Diversamente, se concorrono anche evidenze di irrecuperabilità della continuità aziendale o di adeguato realizzo del compendio aziendale, l’esperto non avvia il percorso e deposita la propria conseguente relazione nella piattaforma telematica.
Qui sorgono alcune problematiche, posto che gli sviluppi possono essere quelli della continuità diretta con il risanamento o della continuità indiretta, totale o parziale, tramite la cessione dell’azienda o di suoi rami.
La verifica delle potenzialità, ad esempio, necessita di un’analisi strategica, che può essere oltremodo complessa e che potrebbe beneficiare del lavoro svolto dagli advisor dell’imprenditore, se effettivamente svolto, con riguardo anche a diverse risorse immateriali: marchi, brevetti, know how, portafoglio clienti.
In questa fase, nel caso si privilegi la cessione di singoli rami aziendali, proprio per conservare valore all’interno del perimetro dell’impresa o per massimizzare il valore di cessione dei rami alienabili, individuando e localizzando i vantaggi competitivi all’interno del perimetro aziendale, appare particolarmente raccomandabile l’analisi strategica della “catena del valore” (value chain) di Porter[12], nell’interesse del migliore soddisfacimento dei creditori e della perseguibilità del risanamento della combinazione d’impresa residua, nel suo percorso di continuità diretta.
Inoltre, la situazione patrimoniale e finanziaria potrebbe richiedere, specie nei casi sospetti, delle verifiche contabili, a cui l’esperto non dovrebbe sottrarsi, posto che può nominare all’uopo un revisore legale, non essendo sempre sufficienti o disponibili le precisazioni dell’organo di controllo e del revisore legale, se esistenti.
Si noti che non esiste un obbligo di attestazione della veridicità dei dati aziendali, anche se è da ritenersi che non possa essere esclusa in via facoltativa, nei casi virtuosi, in considerazione della primaria importanza che in tutte le verifiche aziendali assume l’accertamento della “qualità dei dati aziendali” e di quelli contabili in particolare. Non si tratta solo di ritrarre giudizi sul grado di efficienza amministrativa e di trasparenza dell’imprenditore, ma di acquisire quel livello di informazione sull’impresa, sulla sua gestione, sui suoi punti di forza e di debolezza, che soltanto il linguaggio contabile[13], grazie al suo costrutto logico e metodologico “a valori”, con i suoi prodotti informativi (reportistiche e bilanci) può rappresentare, data la difficoltà di cogliere compiutamente elementi conoscitivi del complesso sistema aziendale per altra via, come indicato dal decreto legge e dal protocollo, tramite interviste e controlli “a vista”.
Obiettivamente, sotto questo profilo, l’indagine sulla gestione dell’impresa, per come è profilata dalla normativa di nuovo conio, presenta un arretramento non di poco conto, che presumibilmente andrà a creare condizioni pregiudizievoli per le valutazioni e le decisioni da compiersi, con la scomparsa dell’obbligo delle verifiche contabili, specialmente con riferimento ad alcuni principi cardine del percorso, espressamente richiamati dalla normativa, quali la completezza e la trasparenza informativa. Si tenga altresì in considerazione l’esigenza di un clima di fiducia che dovrebbe aleggiare tra le parti in sede di trattative e al quale la contabilità fornisce un contributo irrinunciabile, come dimostrato dall’ampia letteratura vicina a quella di Law and Economics sull’argomento[14].
Il ruolo della contabilità, infatti, è cruciale nel rinforzare il superamento delle asimmetrie informative tra le parti contrattuali e assicurare relazioni durevoli di fiducia reciproca[15] e, all’interno dell’impresa, determinante per il corretto ed efficace funzionamento delle strategie stesse dell’impresa (essendo la contabilità un basilare supporto per le decisioni): una condizione quindi, tra le più importanti, per poter esprimere motivati giudizi sulla ragionevolezza delle iniziative dell’imprenditore e sulla perseguibilità del percorso di risanamento[16].
A parere di chi scrive, questa rimozione degli obblighi di verifiche contabili appare non coerente, a livello sistematico, con l’importante novità dei doveri di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, appena introdotti nel marzo 2019 con il secondo comma dell’art. 2086 c.c.
Più complessa è la valutazione prognostica, con scioglimento della riserva, da parte dell’esperto, sulla base della valutazione del piano di risanamento.
Sembrerebbe che il piano di risanamento sia richiesto necessariamente in presenza di cambiamenti strutturali richiesti dal risanamento, con sensibile discontinuità rispetto al passato (corrispondente ad un payback > 3), ma lo riterrei indispensabile anche quando le soglie dei valori del test siano inferiori, non solo perché potrebbero comunque rendersi necessarie iniziative strutturali, ma perché il piano è l’unico e fondamentale strumento per esprimere razionalità decisionale da parte dell’imprenditore e per consentire la formulazione prognostica ragionevole, sulla base di un supporto razionale e scientificamente accreditato, quale è il piano di risanamento, anche quando prevalgano indirizzi di continuità. Diversamente l’opinione dell’esperto, in assenza di supporti formali, rischia di essere debole nelle motivazioni.
E’ chiaro che la situazione ideale sarebbe quella di un piano completo redatto già prima della presentazione dell’istanza, consentendo all’esperto di esprimersi in maniera più consapevole. Tuttavia, gli eventuali sviluppi delle trattative con i creditori e con altri soggetti interessati al risanamento potrebbero indurre a ritardare l’elaborazione di un piano sistematico.
Appare evidente che potrebbero aprirsi zone grigie di asimmetrie informative e di opportunismi, specie se l’imprenditore fa richiesta al tribunale dell’applicazione delle misure protettive.
Gli accertamenti sul piano di risanamento, una volta redatto, sono numerosi e articolati.
Sinteticamente, va ricordata una preliminare analisi da parte dell’esperto delle cause della crisi, anche per comprendere se le iniziative previste a piano ne consentano il superamento. A tal fine deve richiedere che il piano esponga la serie di bilanci storici di cinque anni, nonché per lo stesso arco temporale gli eventuali report del controllo di gestione, qualora esistenti.
L’esperto sottopone il piano a verifica preventiva sulla base della lista di controllo ministeriale e se ravvisa carenze nel piano invita l’imprenditore a riformularlo adeguatamente.
L’esperto deve avviare senz’altro anche delle verifiche dirette, in azienda, tra cui le interviste ai responsabili delle funzioni aziendali importanti, avvalendosi anche di reportistiche del controllo di gestione, eventualmente disponibili.
Quindi l’esperto esamina le relazioni causali tra la redditività attesa e tutte le ipotesi e condizioni elaborate dal proponente, secondo le prescrizioni della lista di controllo.
Inoltre, l’esperto sottopone il piano ad analisi di stress.
Ulteriore controllo suggerito dal protocollo è quello di confrontare le risultanze attese del piano dell’impresa con i benchmark di mercato, se disponibili. Preferibilmente, tale attività dovrebbe basarsi su dati confrontabili dei competitor specifici dell’impresa.
L’esperto deve infine aver cura di accertare che siano stati predisposti i presidi per il controllo dell’implementazione del piano, ad esempio sulla base di selezionati KPI (Key Performance Indicators) specifici per quel business.
In definitiva l’esperto deve svolgere un’ampia indagine di ricostruzione del piano di risanamento, ricercando dati aziendali non sempre facili da rinvenire e facendo ricorso a banche dati per il reperimento di analisi di mercato e dei competitor.
9. Il ruolo degli advisor del debitore e del CRO.
All’imprenditore in crisi o insolvente sono richiesti diversi adempimenti, procedurali e di contenuto informativo, questi ultimi volti a realizzare la maggiore trasparenza verso i creditori e le diverse parti interessate e a consentire all’esperto nominato di svolgere le proprie verifiche e valutazioni.
Ciò risponde al dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e a tutti i soggetti interessati, in modo completo e trasparente (art. 4 co 5 DL).
Il test on line, la lista di controllo e il protocollo contengono una dettagliata e articolata elencazione delle informazioni, anche complesse, che devono essere predisposte. Questi supporti, prodotti dal ministero, intendono assicurare un livello minimo di completezza e di rilevanza informativa, nonché di verificabilità delle informazioni fornite, specialmente per le PMI e sono caratterizzati da notevole semplificazione procedurale e metodologica, come è stato detto.
Nei casi concreti, includendo anche le PMI quando presentino situazioni comunque complesse, è da ritenersi che questo minimo informativo vada proporzionalmente integrato, a seconda della complessità del modello di business, della diversificazione produttiva e geografica dell’operatività aziendale, delle iniziative di risanamento prospettate.
Pertanto, i supporti ministeriali prevedono numerose attività, per lo più di una certa complessità tecnico professionale, tale da richiedere gli interventi di advisor specializzati.
Già l’elaborazione del test on line, per quanto semplificato, comporta l’inserimento di un piano finanziario a sei mesi e delle iniziative industriali che si intendono attuare: nelle imprese minori, non sempre esistono all’interno le competenze per elaborare un piano finanziario, che peraltro necessita preventivamente di un piano gestionale ed economico.
I primi contatti con l’esperto, inoltre, richiedono la trasmissione di informazioni qualificate sul ragionevole perseguimento del risanamento o sulle cessioni dell’azienda o di rami aziendali, anche con la produzione di una situazione contabile aggiornata (che in realtà è un bilancio intermedio, redatto secondo logiche di competenza economica).
La redazione del piano di risanamento, anche con la struttura semplificata della lista di controllo, è comunque tale da richiedere interventi professionali specializzati: dalla diagnosi della crisi (sintomi e cause), alla impostazione delle strategie e delle iniziative cd industriali, che presuppongono adeguate analisi strategiche preliminari, fino all’elaborazione di piani ultra-annuali economici, finanziari e patrimoniali, con la selezione di KPI utili anche per il controllo strategico dell’esecuzione del piano.
L’elaborazione di strategie di risanamento, per essere tali, deve rispondere a diversi confronti, analisi e valutazioni: confronti con il mercato, con il settore e i competitor; analisi dei dati aziendali e delle risorse disponibili a fronte dei fabbisogni; fino alle scelte strategiche, sia di convenienza che di capacità di ristrutturazione del debito.
Tra le soluzioni prospettabili, oltre alla continuità aziendale, vi è quella della cessione dell’azienda o di rami e che necessita di opportune stime per la quantificazione dei realizzi, al fine di impostare le trattative.
L’impegno del piano di risanamento dipenderà dal grado di difficoltà di superamento della crisi emergente in sede di analisi preliminare.
Particolare impegno professionale deve poi essere dispiegato in sede di trattative con i creditori e con le controparti interessate, ivi comprese le rappresentanze sindacali quando occorra, sempre con l’attività di impulso e di mediazione dell’esperto, il quale può richiedere ricorrentemente incontri e informazioni aggiuntive.
In fase di esecuzione del progetto di risanamento, il protocollo ha previsto, secondo una prassi evoluta, la nomina di un CRO (Chief Restructuring Officer) indipendente, condivisa con l’esperto e con i creditori, la cui funzione è quella di monitorare la corretta implementazione del progetto di risanamento e il perseguimento di eventuali obiettivi economici intermedi, ivi compresi i KPI (Key Performance Indicators).
Si tratta di un ruolo importante, parlando di un esperto in risanamenti, che agisce da garante dell’esecuzione, valorizzando, oltre il piano, proprio la fase fondamentale della sua esecuzione.
10. La gestione dell’impresa durante le trattative: sostenibilità ed interesse dei creditori.
Durante la fase di composizione negoziale e nel corso delle trattative, l’imprenditore non viene spossessato, ma mantiene la gestione ordinaria e straordinaria, pur con obblighi di segnalazione all’esperto degli atti di straordinaria amministrazione.
Il criterio fondamentale, in questo percorso, è quello di evitare di arrecare pregiudizio alla “sostenibilità economico-finanziaria” della gestione, in presenza di probabilità di insolvenza e quindi in stato di crisi. Occorre dunque che, in tale circostanza, l’imprenditore assuma le cautele della gestione conservativa.
In generale, secondo il protocollo, la sostenibilità è connessa con un MOL > 0 stimato, ovvero con un MOL < 0 accompagnato dall’esistenza di vantaggi compensativi per i creditori, collegati alla continuità aziendale (realizzo di attività, conservazione del valore dell’impresa rispetto alla liquidazione).
Tuttavia, va precisato che la nozione e il concetto di sostenibilità sono veramente “di nuovo conio” e che non trovano corrispondenze nella dottrina aziendale.
L’interpretazione fornita nel protocollo appare pragmatica, ma non risolutiva, giacché la sostenibilità economica non coincide affatto con quella finanziaria e il MOL, a seconda delle gestioni aziendali - ad alta o bassa intensità di manodopera (posto che il MOL è il risultato economico dopo il costo del lavoro) e quindi rispettivamente a bassa o elevata tecnologia - assume rilevanze alquanto differenti. Quindi potrebbero presentarsi casi con un MOL positivo, ma con pesanti perdite nette, rivelatrici di uno squilibrio economico importante e sottovalutato. Insomma, MOL positivo non significa sempre equilibrio economico e sufficiente redditività, posto che la migliore Scuola aziendale, come è già stato precisato, considera ai fini del giudizio sull’equilibrio economico nemmeno l’esistenza di un utile netto di bilancio, ma di un utile “economico”, o profitto, vale a dire di un’eccedenza significativa anche sui costi figurativi non contabili (interesse sul capitale proprio, remunerazioni dell’attività imprenditoriale anche se non formalizzata, rilevante nelle imprese familiari e nelle società di persone), remunerazioni figurative di beni (immobili e sistemi produttivi) concessi in uso all’azienda dall’imprenditore a titolo non oneroso (comodato).
L’imprenditore deve poi assolvere precisi obblighi di segnalazione nei confronti dell’esperto, anche con accesso alla piattaforma telematica, con adeguata tempestività, secondo una tempistica assegnata dall’esperto.
Si tratta degli atti di amministrazione straordinaria, le cui segnalazioni consentono un’attività di controllo sostanziale e non solo formale da parte dell’esperto, assicurando quindi un fondamentale controllo di secondo livello lungo il percorso di composizione negoziale.
Il protocollo indica una casistica di atti straordinari, quali: operazioni sul capitale e sull’azienda; concessione di garanzie; pagamenti anticipati delle forniture; cessione dei crediti pro soluto; finanziamenti concessi; rinunzia a liti e transazioni; cancellazione di ipoteche; significativi investimenti; rimborsi di finanziamenti a soci e a parti correlate; patrimoni destinati; atti dispostivi in genere.
Devono inoltre essere segnalati all’esperto, preventivamente, tutti i pagamenti che potrebbero risultare incoerenti con le trattative e con le prospettive del risanamento. Non dovrebbero rientrarvi i pagamenti delle retribuzioni, dei debiti commerciali usuali, delle imposte e delle rateazioni, delle rate dei muti in scadenza.
La vigilanza proattiva dell’esperto si esprime in una comunicazione preventiva all’imprenditore, inibente l’esecuzione dell’atto che possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o al risanamento.
Se l’imprenditore procede comunque, deve darne avviso all’esperto, il quale nei successivi dieci giorni può iscrivere il proprio dissenso sul registro delle imprese, divenendo questo un obbligo, in caso di pregiudizio ai creditori.
In presenza di misure protettive e cautelari, il dissenso deve essere segnalato anche al giudice che ha emesso i provvedimenti.
Da segnalare – come messo ampiamente in luce nella letteratura giuridica[17] – che la riformulazione dell’art. 9 da parte della legge di conversione ha condotto, sul piano degli interessi tutelati, al seguente risultato normativo: “Nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa. L’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. Quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori. Restano ferme le responsabilità dell'imprenditore”.
11. Conclusioni.
Questo primo esame sul nuovo decreto legge n. 118 appena convertito in legge si limita allo strumento della composizione negoziata della crisi - rimanendo al di fuori altre importanti novità come il concordato semplificato liquidatorio - ai fini di esprimere un giudizio critico dal punto di vista aziendalistico sul nuovo strumento.
Nel dibattito, si è parlato di un’offerta incentivante (more carrot than stick) rappresentata da uno strumento, volontario e stragiudiziale, accessibile a tutte le imprese, anche grandi, come presupposto soggettivo, che si trovino in varie condizioni di difficoltà, dalla probabilità di crisi fino all’insolvenza reversibile (presupposto oggettivo), con possibilità di fruire di misure protettive e con una strumentazione a disposizione fornita da test on line, lista di controllo e protocollo assai dettagliato nelle fasi del percorso, ai fini sia dell’accertamento precoce dell’effettivo stato di difficoltà e dell’avvio di un risanamento fondato non su soluzioni arbitrarie, ma su un piano di cui viene assicurata una base metodologica di qualità standard, almeno come supporto minimale.
L’azione a tutto campo dell’esperto, nuova figura di estrema complessità di ruolo, costituisce un presupposto decisivo per la tutela imparziale di tutte le parti e per la salvaguardia del pregiudizio ai creditori.
In una visione di sintesi, l’intero impianto appare lodevole e aziendalmente ricco di spunti e di contributi per elevare la prassi delle imprese minori in situazioni di crisi o di insolvenza.
I nostri commenti intendono essere soltanto un contributo critico in senso costruttivo per la declinazione e la realizzazione nei casi concreti dei tanti supporti tecnici e degli innumerevoli concetti di nuovo conio che sono stati introdotti e che necessiteranno di un intenso dibattito per la migliore puntualizzazione, anche ai fini professionali.
A quest’ultimo riguardo, appare strategico lo sviluppo del ruolo dell’esperto, non solo in termini di possesso delle necessarie competenze, ma anche delle attitudini comportamentali, oltre all’evidente necessità di dotazione di una struttura al servizio del percorso di risanamento, per offrire quella molteplicità di soluzioni che gli sono richieste in tempi rapidi e che verosimilmente non sono accumunabili in una sola persona, ancorché oculatamente selezionata.
Si ritiene, in questa prima analisi, che nel prosieguo vadano meglio recepiti, proprio a rinforzo dei supporti proposti, i riferimenti metodologici della scienza aziendale e di riportare al più elevato livello di attenzione e di riconoscimento la qualità e la verificabilità dell’informazione aziendale e contabile in particolare, per i troppi risvolti che questa possiede in tutti i processi valutativi e decisionali della gestione d’impresa.
[1] Per una tempestiva e lucida disamina della legge di conversione, si legga S. AMBROSINI, La Legge n. 147/2021 di conversione del D. L. n. 118: primi, brevi, appunti in ordine sparso, in Ristrutturazioni Aziendali, 26 ottobre 2021.
[2] Per le prime riflessioni sul presupposto oggettivo della “insolvenza reversibile”, con considerazioni diverse, si vadano, A. JORIO, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma”, in Diritto della Crisi, ottobre 2021; S. AMBROSINI, La “miniriforma” del 2021. Rinvio (parziale del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Diritto Fallimentare, 2021; P. BOSTICCO, La composizione negoziata: trattative e gruppo di imprese, Il Fallimentarista, settembre 2021.
[3] Sull’applicazione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il loro sostanziale contributo alla capacità di intercettazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale, unitamente alla prontezza di assumere idonei provvedimenti, si rimanda al nostro, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili: criteri di progettazione, in Ristrutturazioni Aziendali, luglio 2021.
[4] Per l’analisi strategica, invero assai ricca di contributi tra di loro complementari, si vedano in particolare: D. ABELL, Defining the business: the starting point of strategic planning, Prentice Hall, 1980; K. ANDREWS, The concept of corporate strategy, Irwin, 1987; M. GALEOTTI – S. GARZELLA, Governo strategico dell’azienda, Giappichelli, Torino, 2013; R. GRANT, L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Il Mulino, Bologna, 2020; M. PORTER, Il vantaggio competitivo, Einuadi, Torino, 2011.
[5] Sul significato e i limiti dell’ “utile lordo finanziario” e sul suo raccordo con il reddito netto d’esercizio si rinvia al magistrale insegnamento di Tancredi Bianchi, “Scuola Bocconi” (allievo del fondatore dell’Economia Aziendale Gino Zappa), I fidi bancari, Utet, Torino, 1992.
[6] Cfr., sui limiti di validità dei dati aziendali e sulla loro funzionalità non assoluta, ma relativa a precisi scopi conoscitivi, i grandi Capi Scuola: A. AMADUZZI, La contabilità dei costi, Bozzi, Genova, 1959 (14-18); V. CODA, I costi di produzione, Giuffré, Milano, 1968 (47-5); L. GUATRI, I costi di azienda, Giuffré, Milano, 1954 (73-77); P. ONIDA, La logica e il sistema delle rilevazioni quantitative d’azienda, Giuffré, Milano, 1960 ( 663-664).
[7] Sulla predisposizione metodologica del piano di risanamento e sulle sue condizioni di efficacia, strategiche e organizzative, si veda P. BASTIA, Crisi aziendali e piani di risanamento, Giappichelli, Torino, 2019.
[8] Cfr. P. BASTIA – M. FERRO – G.M. NONNO, L’accertamento del passivo, IPSOA, Milano, 2011; Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, IPSOA, Milano, 2013.
[9] Sul ruolo del project manager e sulle relazioni collaborative tra imprese, cfr. P. BASTIA, Programmazione e controllo dei progetti integrati, Clueb, Bologna; Gli accordi tra imprese, Clueb, Bologna.
[10] Cfr. P.R. LAWRENCE - J.W. LORSCH, Studies in Organization Design, Homewood, 1980.
[11] Sul tema delle responsabilità dell’esperto si veda il contributo di A. FAROLFI, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in Diritto della Crisi, settembre 2021.
[12] Cft. M. PORTER, cit.
[13] Cfr. A. CECCHRELLI, Il linguaggio dei bilanci, Le Monnier, Firenze, 1970.
[14] Cfr. Y. BARZEL, Measurement cost and the organization of markets, in Journal of Law and Economics, April 1982 (27-48).
[15] Cfr. BURCHELL – COLIN – HOPWOOD – HUGHES, The roles of accounting in organizations and society, in Accounting, Organization and Society, n.1, 1980 (371-383).
[16] Cfr. B. SPICER – V. BALLEN, Management accounting systems and economics of internal organization, in Accounting, Organization and Society, n. 3, 1988, (303-322).
[17] S. Ambrosini, Appunti sui doveri degli amministratori di s.p.a. e sulle azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi e della “miniriforma” del 2021, in corso di pubblicazione su questa Rivista (oltre che negli Studi in onore di Paolo Montalenti).