Giurisprudenza

Misure protettive atipiche nei confronti del garante


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Focus

Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro


Data pubblicazione
16 aprile 2022

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Giuseppe Acciaro e Alessandro Turchi


Sommario: 1. Introduzione 2. Responsabilità patrimoniale del debitore e falcidiabilità dei creditori prelatizi 3. La Direttiva (UE) 2019/1023 4. Patrimonio statico vs Patrimonio dinamico 5. Interpretazione “forte” dell’ordine delle cause legittime di prelazione 6. Interpretazione “debole” dell’ordine delle cause legittime di prelazione 7. Le nuove regole distributive nel d.lgs. di recepimento della Direttiva UE 8. Discrezionalità relativa e discrezionalità assoluta tra concordato in continuità e Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione 9 La distribuzione del surplus concordatario ai soci 10. Conclusioni


1. Introduzione

Le regole che presiedono alla distribuzione del patrimonio del debitore all’interno delle procedure concorsuali costituiscono oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale da diversi anni e devono oggi confrontarsi con la normativa di carattere unionale. Infatti, il 17 marzo 2022 è stato approvato lo Schema di decreto legislativo, recante modifiche al Codice della crisi, che recepisce la Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, anche nota come Direttiva Insolvency. Quest’ultima, che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132, riguarda “i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione”, come cita la sua intitolazione.

Le disposizioni che regolano il fallimento (ovvero la liquidazione giudiziale, utilizzando la locuzione del Codice della crisi di prossima entrata in vigore) prevedono una rigida applicazione del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, il quale trova fondamento nel principio della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.) e nelle regole del concorso dei creditori di cui all’art. 2741 c.c. Nel concordato preventivo, invece, le disposizioni che regolano il trattamento dei creditori hanno dato origine a due orientamenti opposti: absolute priority rule (APR) e relative priority rule (RPR).

Secondo la prima regola è impedita la soddisfazione del creditore di rango successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo che non siano utilizzate risorse non provenienti dal patrimonio del debitore assoggettato al concorso (a norma dell’art. 2740 c.c.) e che costituiscano apporti “neutri” di terzi estranei. Secondo la PRP, invece, è ammissibile il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di un pagamento integrale dei creditori di rango superiore, purché a quest’ultimo sia assicurato un trattamento più favorevole.

Il tema è di centrale rilevanza soprattutto nel concordato in continuità aziendale, rispetto al quale vi sono opposte tesi circa la possibilità di distribuire liberamente le risorse derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa (cd. surplus concordatario), destinandole ai creditori senza il dovere di sottostare al rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

Rilevanti novità in relazione alle regole di distribuzione del patrimonio del debitore sono state previste dallo Schema di decreto legislativo, recante modifiche al Codice della crisi, che recepisce la Direttiva (UE) 2019/1023.

 

2. Responsabilità patrimoniale del debitore e falcidiabilità dei creditori prelatizi

La cd. falcidiabilità dei creditori prelatizi è attualmente disciplinata dall’art. 160, comma 2, l. fall, che pone, quale limite alla soddisfazione non integrale degli stessi, la previsione di una misura di soddisfazione «non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata» del professionista indipendente. Il secondo periodo della medesima norma afferma, quale regola generale, che «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione».

Le norme sopra citate si raccordano inevitabilmente con il principio della responsabilità patrimoniale del debitore, sancito dall’art. 2740 c.c., e con le regole del concorso dei creditori di cui all’art. 2741 c.c. Infatti, la disposizione che disciplina la responsabilità patrimoniale del debitore prevede, come noto, che quest’ultimo risponda dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Inoltre, i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione.

In maniera analoga, quantomeno prima delle modifiche introdotte dallo Schema di decreto legislativo recante modifiche al Codice, l’art. 85 CCII, invertendo l’ordine rispetto a quanto previsto dalla legge fallimentare, detta, al sesto comma, la regola generale del divieto di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione e, al settimo comma, prevede la falcidiabilità dei creditori prelatizi, precisando altresì che il valore di mercato sia determinato «al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali».

Il principio della non alterabilità delle cause legittime di prelazione pone la questione, in presenza di una falcidia dei creditori muniti di privilegio generale, circa l’attribuibilità di una soddisfazione (sia pur minima) ai privilegiati di rango inferiore ovvero ai creditori chirografari. Il tema esposto ha generato non pochi contrasti in dottrina e giurisprudenza. Infatti, se la vigenza del divieto di alterare le cause di prelazione è indiscussa, problematica è la perimetrazione dell’effettivo contenuto della regola e dei limiti che essa comporta. Dubbi che si pongono soprattutto con riferimento al trattamento dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare, per i quali è discusso se la graduazione ex art. 160, comma 2, l. fall., consenta un pagamento non integrale pur in presenza di un pagamento (ancorché meno favorevole) in favore dei creditori chirografari, dando così corso agli orientamenti opposti sopra menzionati.

 

3. La Direttiva (UE) 2019/1023

La Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dei Ministri del 20 giugno 2019, n. 2019/1023/UE, anche nota come Direttiva Insolvency, intende garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e stabilimento, attraverso l’armonizzazione delle legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni. Tale finalità è perseguita dal legislatore comunitario facendo salvi i diritti dei lavoratori e garantendo alle imprese e agli imprenditori in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a misure nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva, che consentano loro la prosecuzione dell’attività, laddove risanabili, nonché il conseguimento dell’esdebitazione in un lasso di tempo che permetta di rientrare nel ciclo produttivo. Al fine di conseguire tali obiettivi, il legislatore comunitario chiede agli Stati membri la predisposizione di “quadri di ristrutturazione”, ossia misure e procedure che, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle attività, passività o del capitale delle imprese, anche attraverso la vendita di attività, di parti dell’impresa o della stessa nel suo complesso, consentano ai debitori un risanamento precoce che possa prevenire l’insolvenza.

Con specifico riferimento alle regole distributive del patrimonio del debitore, l’art. 11, par. 1, lett. c) della Direttiva prevede, in caso di ristrutturazione con più classi di creditori (cd. ristrutturazione trasversale), la regola della priorità relativa, secondo cui “le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori”.

Il paragrafo seguente della Direttiva dispone che gli Stati membri “possono prevedere che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione”.

L’intento del legislatore comunitario è evidentemente quello di facilitare le ristrutturazioni, preservando la continuità aziendale ed evitando la liquidazione delle imprese sane (e quindi meritevoli di risanamento) in difficoltà. Ciò si evince anche dal Considerando n. 56, che cita “Gli Stati membri dovrebbero poter derogare alla regola della priorità assoluta, se ad esempio si consideri giusto che i detentori di strumenti di capitale mantengano determinati interessi ai sensi del piano, nonostante che una classe di rango superiore sia obbligata ad accettare una falcidia dei suoi crediti, o che i fornitori essenziali cui si applica la disposizione sulla sospensione delle azioni esecutive individuali siano pagati prima di classi di creditori di rango superiore. Gli Stati membri dovrebbero poter scegliere quale dei suddetti meccanismi di protezione predisporre”.

Come osservato da autorevole dottrina, anche sulla spinta del legislatore comunitario che esplora percorsi di risanamento che recuperino e valorizzino l’apporto degli stakeholders, il concorso da strumento di attuazione della garanzia patrimoniale (con il bagaglio di regole scolpite negli artt. 2740 e 2741 c.c.), diviene uno strumento di gestione della crisi d’impresa, attraverso la condivisione della soluzione tra debitore e creditori[1].

 

4. Patrimonio statico vs Patrimonio dinamico

Il presupposto per la falcidiabilità dei creditori prelatizi è costituito dalla oggettiva incapienza del valore attribuito ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, attestata da un professionista indipendente in possesso dei requisiti previsti dalla legge.

La questione dirimente è rappresentata dall’individuazione del patrimonio (mobiliare e immobiliare) cui il debitore deve fare riferimento ai fini della valutazione della capienza funzionale alla falcidia dei creditori prelatizi. In altre parole, ci si domanda se il patrimonio di riferimento debba essere quello cd. statico, ossia esistente e liquidabile al momento della domanda concordataria, o il patrimonio cd. dinamico, ossia integrato delle voci attive che verranno ad esistenza nella fase esecutiva del concordato, così come stimate e prospettate nel piano oggetto di attestazione da parte del professionista indipendente.

Il tema è di centrale rilevanza soprattutto nel concordato in continuità aziendale[2], che per definizione dà origine a dei flussi di cassa prospettici nel cd. arco di piano. Infatti, può accadere che l’intero attivo, quantificato nella prospettiva fallimentare, non consenta il soddisfacimento integrale di tutti i privilegiati (speciali e generali), con conseguente necessità di ricorrere alla relazione ex art. 160, secondo comma, l. fall., “mentre la corretta esecuzione del piano di concordato (…) possa ragionevolmente condurre ad un ricavo superiore”[3]. Tale è il cd. surplus[4] che consentirebbe al debitore di prevedere – in presenza di una falcidia di taluni creditori prelatizi – la soddisfazione sia dei prelatizi di rango inferiore (qualora presenti), purché non si sostanzi in un trattamento migliorativo rispetto a quello riservato ai primi, sia dei creditori chirografari[5].

Ci si domanda, in altre parole, se la liquidità derivante dalla continuazione dell’attività d’impresa possa essere assimilata alla cd. finanza esterna, ovvero se vada destinata in primis ai creditori di grado poziore fino al loro integrale soddisfacimento. Il dubbio, come già anticipato, trae origine dal principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., in forza del quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

 

5. Interpretazione “forte” dell’ordine delle cause legittime di prelazione

Secondo la versione “forte” dell’ordine delle cause legittime di prelazione (cd. Absolute Priority Rule), la regola dettata dall’art. 160, secondo comma, l. fall., impedisce la soddisfazione del creditore di rango successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo che non siano utilizzate risorse non provenienti dal patrimonio assoggettato al concorso (a norma dell’art. 2740, c.c.) e che costituiscano apporti “neutri” di terzi estranei[6].

Secondo tale orientamento, tutto ciò che deriva dal patrimonio del debitore deve essere attribuito secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione, “con soddisfazione integrale del prelatizio di grado superiore prima che quello di grado inferiore possa essere soddisfatto anche in parte, e con soddisfazione integrale dei chirografari prima che i creditori postergati ex lege possano essere soddisfatti anche in parte”[7].

Riprendendo i concetti esposti nel paragrafo precedente, secondo questa tesi il patrimonio cui agganciare la valutazione di capienza ai fini della falcidiabilità dei crediti privilegiati è costituito dal patrimonio dinamico, ossia quello integrato delle voci attive che verranno ad esistenza nella fase esecutiva del concordato e, in particolare, dal surplus concordatario derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa[8].

Dunque, da questo orientamento potrebbe desumersi che, qualora la proposta concordataria preveda la falcidia di una classe di creditori privilegiati generali in ragione dell’incapienza dei beni su cui insiste il privilegio (art. 160, comma 2, l. fall.), la soddisfazione dei creditori privilegiati di rango inferiore e dei chirografari potrebbe avvenire soltanto mediante l’impiego di risorse estranee al patrimonio del debitore, posto che “l’accertamento dell’insufficienza dei beni a soddisfare [il creditore di rango poziore] sta a significare che l’intero patrimonio mobiliare si esaurisce per pagare quel creditore”, senza che residui alcun valore a favore dei prelatizi di rango inferiore e dei creditori chirografari[9].

Il fondamento di questo orientamento risiede nel fatto che, se il privilegio fosse generale, la soddisfazione non integrale sarebbe consentita solo se l’intero patrimonio mobiliare non fosse sufficiente al pagamento degli stessi. Laddove la proposta concordataria prevedesse una soddisfazione dei creditori chirografari, allora significherebbe che una parte del patrimonio è stata sottratta ai creditori muniti di privilegio generale mobiliare ed attribuita ai chirografari. Di conseguenza, i creditori privilegiati riceverebbero un soddisfacimento inferiore rispetto a quello che potrebbero ottenere nella liquidazione fallimentare, nella quale l’intero patrimonio sarebbe ad essi destinato. Così argomentando, tuttavia, la questione sembra risolversi in un violazione non tanto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, quanto della regola secondo cui il trattamento del creditore privilegiato non può essere inferiore rispetto a quello che potrebbe ottenere nell’alternativa fallimentare e della correlata regola secondo cui, finché vi sono beni per soddisfare il credito di rango più elevato, non può scendersi al gradino inferiore[10].

Nella giurisprudenza di merito ha trovato ampia diffusione l’interpretazione “forte” dell’ordine delle cause legittime di prelazione, per cui, in forza del combinato disposto degli artt. 2740 e 2741 c.c., è ammissibile la falcidia dei debito privilegiato speciale o mobiliare solo qualora il patrimonio (statico e dinamico) del debitore non sia capiente e, pertanto, l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, derivante da un pagamento dei chirografari a fronte di una soddisfazione parziale dei privilegiati generali, è consentita qualora e nei limiti in cui vi sia cd. finanza esterna, o meglio, vi siano risorse estranee al patrimonio assoggettato al concorso ed aggiuntive rispetto ad esso[11].

Infine, anche in sede di legittimità il dibattito è molto acceso. Infatti, dopo essere intervenuta già in diverse occasioni[12], la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10884 del 8 giugno 2020[13] ha statuito che, in mancanza dell’integrale pagamento dei creditori garantiti da privilegio generale, “il soddisfacimento dei creditori chirografari non può che dipendere, in tal caso, dalla presenza di beni immobili (…) o da liquidità estranee al patrimonio del debitore”. Pertanto, i Giudici di legittimità fondano la versione “forte” dell’ordine delle cause legittime di prelazione sulla concorrente regola in forza della quale “l’ammontare della somma ritraibile dalla liquidazione concorsuale segna il limite minimo di soddisfacimento dei creditori privilegiati”.

Da questa regola, concludono i Giudici, “si desume che il creditore chirografario non possa vedere adempiuta, neanche parzialmente, la propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni sui cui insiste il diritto di prelazione non consenta di soddisfare i creditori privilegiati”. Infatti, in caso di incapienza dei beni sui quali insiste il privilegio, i crediti privilegiati non potranno essere ulteriormente falcidiati a beneficio dei chirografari poiché “diversamente si ammetterebbe che, sulla medesima massa attiva, creditori di rango inferiore (quali sono quelli in chirografo) siano soddisfatti prima che lo siano, per l’intero, i creditori di rango poziore”. Tali regole non permettono, secondo la Suprema Corte, di “sfuggire a questa alternativa: o i beni avevano un valore eccedente i crediti garantiti, e allora questi dovevano essere soddisfatti per intero; o i beni avevano un valore inferiore rispetto ai crediti privilegiati, e allora i creditori in chirografo non avrebbero potuto essere soddisfatti, risultando prioritario il soddisfacimento di quelli muniti di garanzia”.

La statuizione dei Giudici, tuttavia, non esclude che i chirografari possano essere soddisfatti pur in presenza di beni, oggetto del privilegio generale, che risultino incapienti ad assicurare il soddisfacimento integrale dei privilegiati; ciò accadrà ove essi abbiano la possibilità di concorrere sui beni immobili oppure in presenza della cd. finanza esterna, purché l’apporto dei terzi risulti “neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società”[14].

 

6. Interpretazione “debole” dell’ordine delle cause legittime di prelazione

Secondo la versione “debole” dell’ordine delle cause legittime di prelazione, che corrisponde alla cd. Relative Priority Rule (RPR)[15], la disposizione in esame dovrebbe essere interpretata nel senso che il debitore, nella formazione delle classi dei creditori prelatizi, deve garantire al titolare di un credito di rango poziore un trattamento (sia pure falcidiato) non deteriore rispetto a quello riservato ai creditori prelatizi di rango successivo[16].

Dunque, non sarebbe necessario, al fine di assicurare il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, riservare ai creditori di rango superiore un pagamento integrale e, men che meno, un trattamento migliorativo rispetto a quello riservato ai prelatizi di rango successivo, con la conseguenza che “prevedere eguale trattamento a creditori di ranghi diversi non comporta violazione della regola[17].

In altre parole, seguendo questa impostazione, non è necessario che i creditori muniti di privilegio generale mobiliare siano pagati integralmente per poter procedere al pagamento dei chirografari, ma è sufficiente che siano pagati “meglio”[18].

Come osservato da autorevole dottrina[19], l’accoglimento della RPR consente una maggiore flessibilità nella definizione del contenuto delle proposte concordatarie, evitando che l’assorbimento dell’attivo in favore dei creditori muniti di privilegio generale sino all’integrale soddisfacimento degli stessi riduca, o addirittura azzeri, le risorse a disposizione dei creditori di rango inferiore, con potenziale inammissibilità della proposta o, comunque, minore “appetibilità” della stessa.

Dunque, secondo questa prospettiva il divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione troverebbe applicazione solo nei limiti del valore statico del patrimonio (o del bene oggetto di prelazione) e non con riguardo a quello dinamico[20].

In giurisprudenza tale interpretazione è stata valorizzata, tra le altre[21], dalla Corte di Appello di Venezia del 19 luglio 2019[22], la quale ha ritenuto “di poter giungere alla conclusione che nel concordato in continuità è astrattamente possibile la falcidia dei creditori privilegiati, anche di quelli aventi privilegio generale”, a condizione che “venga allegata dal proponente un’attestazione che fornisca un giudizio che sia quantomeno di equivalenza tra la provvista concordataria (vale a dire dell’attivo destinato al pagamento dei creditori con privilegio generale) e il risultato di una liquidazione fallimentare mediante la vendita a terzi dell’azienda in esercizio, sommato al valore dei beni eventualmente destinati alla cessione (in quanto non strumentali alla prosecuzione dell’attività aziendale)”. Soddisfatta tale condizione, secondo la Corte, nell’ipotesi di concordato in continuità aziendale (diretta nel caso di specie), il maggior valore che deriva dall’attuazione del piano concordatario, rispetto a quello dell’attivo esistente al momento della domanda di concordato, “costituisce un surplus concordatario che può essere liberamente distribuibile dal debitore alla stregua di quella che viene comunemente definita quale finanza esterna”. Dunque, la Corte individua nella disciplina del concordato in continuità, uno dei “casi stabiliti dalla legge” che l’art. 2740, secondo comma, c.c., prevede quali eccezioni al canone della responsabilità patrimoniale, escludendo che la destinazione del surplus concordatario secondo criteri di discrezionalità del debitore costituisca una violazione delle regole del concorso.

La Corte precisa altresì che una tesi contraria rispetto a quella sopra esposta, finisce con lo “sbarrare la strada a un concordato in continuità che potenzialmente potrebbe essere migliorativo per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare, nella quale, invero, creditori privilegiati potrebbero anche rimanere incapienti”[23].

In altre parole, qualora i flussi generati dalla continuità ed ulteriori rispetto al patrimonio esistente alla data di presentazione della domanda di concordato, dovessero essere utilizzati nel rigoroso rispetto delle cause legittime di prelazione, è presumibile che non sia possibile proporre ai creditori chirografari (originari e degradati per incapienza) alcuna parziale soddisfazione. Ciò rende presumibilmente inattuabile la proposta di concordato e irrealizzabile il relativo piano, nonostante consenta una soddisfazione migliore rispetto all’alternativa liquidatoria, a discapito quindi della miglior soddisfazione dei creditori, che dovrebbe invece rappresentare il vero “faro” del concordato in continuità aziendale. In tal caso, infatti, verrebbero danneggiati gli stessi creditori privilegiati – degradati – ai quali non potrebbe essere destinato quel surplus rispetto a quanto ritraibile nell’alternativa della liquidazione, essendo generato esclusivamente dalla continuità.

In conclusione, come osservato da autorevole dottrina[24], applicando sempre e comunque le norme di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., si tradirebbe il principio essenziale che deve ispirare il concordato preventivo, e soprattutto quello in continuità aziendale: la migliore soddisfazione dei creditori.

 

7. Le nuove regole distributive nel d.lgs. di recepimento della Direttiva UE

Il 17 marzo 2022 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo Schema di Decreto Legislativo recante modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore è stata da ultimo differita al 16 maggio 2022 dal D.L. n. 118 del 24 agosto, oltre che per ragioni connesse allo scoppio della pandemia, anche per adeguarne gli istituti alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dei Ministri del 20 giugno 2019, n. 2019/1023/UE.

Una delle principali novità è rappresentata dal recepimento, nella disciplina del concordato in continuità aziendale, della regola della priorità relativa, Infatti, in attuazione della previsione di cui all’art. 11, paragrafo 1, lett. c) della Direttiva Insolvency, il legislatore sancisce due rilevanti ed innovativi principi da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario, come meglio descritto infra.

L’art. 19 del decreto legislativo recante modifiche al Codice, interviene radicalmente sulla disciplina del concordato preventivo, specialmente quello in continuità aziendale, al fine di armonizzarla con le disposizioni degli artt. 9, 10 e 11 della Direttiva comunitaria.

Per quanto qui consta, il nuovo testo dell’art. 84, commi 5, 6 e 7, recita (per quanto non ancora definitivo, nel momento in cui si scrive, poiché in attesa dei pareri delle Commissioni parlamentari):

5. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario. 

6. Nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.

7. I crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione. La proposta e il piano assicurano altresì il rispetto di quanto previsto dall’articolo 2116, primo comma, del codice civile.”.

Da un lato, il comma quinto riprende la disposizione vigente dell’art. 160, secondo comma, l. fall., circa la possibilità di pagamento non integrale dei creditori privilegiati e il declassamento a chirografo della parte incapiente. Dall’altro lato, il comma successivo, in attuazione all’art. 11, par. 1, lett. c), della Direttiva europea, recepisce per il concordato in continuità aziendale la regola della priorità relativa sulla parte di valore del patrimonio generata dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. In ultimo, il comma settimo detta disposizioni a tutela dei lavoratori in attuazione dell’art. 13 della Direttiva europea e della più generale “clausola di non regresso”, di matrice comunitaria, secondo la quale ogni intervento normativo che incide sui diritti dei lavoratori non può determinare una riduzione delle garanzie e dei diritti già garantiti dal singolo ordinamento nazionale.

Dunque, il legislatore sancisce due principi da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario: (i) il valore di liquidazione dell’impresa deve essere distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione (regola della priorità assoluta), mentre per il valore derivante dalla prosecuzione dell’impresa (cd. plusvalore da continuità) è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi aventi stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di rango inferiore (regola della priorità relativa). Per quanto concerne i diritti dei lavoratori, tuttavia, il legislatore interno impone di applicare la regola della priorità assoluta sia sul valore di liquidazione sia su quello eccedente.

Va peraltro rammentato come il novellato art. 85, terzo comma, del Codice della crisi statuisce che:

Nel concordato in continuità aziendale la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 109, comma 5, sono suddivisi in classi e le imprese minori, titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, sono inserite in classi separate”.

Tale norma deve essere letta in combinato disposto con il novellato art. 109, comma quinto:

(…) I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al periodo precedente è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta (…)”.

Il legislatore, da un lato, sancisce il principio generale della facoltatività della suddivisione in classi e del trattamento differenziato tra creditori appartenenti a classi differenti, e, dall’altro lato, istituisce, per il concordato in continuità, l’obbligatoria suddivisione in classi dei creditori privilegiati quando il pagamento, anche se integrale, è previsto oltre centottanta giorni dall’omologazione ovvero trenta giorni per i lavoratori subordinati (art. 109, co. 5), ipotesi in cui essi sono sempre considerati «parti interessate», anche per la parte privilegiata.

Nella Relazione Illustrativa al d.lgs. recante modifiche al Codice si legge che “La qualificazione dei creditori muniti di diritto di prelazione non integralmente soddisfatti quali parti interessate dal piano, con conseguente diritto di voto, rappresenta una regola innovativa per il nostro ordinamento, nel quale il creditore privilegiato non vota se non per la parte incapiente degradata al chirografo o alle condizioni previste in caso di moratoria dall’attuale articolo 86” e che la previsione è stata “introdotta in quanto strettamente funzionale alla piena attuazione delle regole della ristrutturazione trasversale previste nell’articolo 11 della direttiva ed in particolare della definizione di “parti interessate” di cui all’articolo 2, paragrafo 1 n. 2, e di quanto disposto dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera a)”.

 

8. Discrezionalità relativa e discrezionalità assoluta tra concordato in continuità e Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione

La regola della priorità relativa trova la sua manifesta espressione nell’applicazione della cd. “ristrutturazione trasversale dei debiti” (nota anche come “cross class cram down”), vale a dire qualora “il piano di ristrutturazione” non è approvato da tutte le classi (art. 11 Direttiva Insolvency).

In particolare, il legislatore comunitario prevede che l’omologazione possa essere conseguita qualora il piano sia stato approvato: “i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale” (cd. classi in the money)[25].

Il legislatore italiano ha dato attuazione a quanto previsto dall’art. 11 della Direttiva UE con l’art. 112, comma secondo, che ora dispone (nel testo, si ripete, ancora non definitivo):

Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a)    il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;

b)    il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7;

c)    nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;

d)    la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Si può, dunque, concludere che nel concordato in continuità aziendale, il debitore gode di una discrezionalità relativa nell’applicazione della relative priority rule. Ciò in quanto la libera distribuzione del surplus concordatario è consentita a condizione che la proposta concordataria assicuri alle classi di rango superiore un trattamento più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, sia sul valore di liquidazione sia sul valore eccedente, per i crediti dei lavoratori, di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, c.c.

Se nel concordato in continuità aziendale il debitore gode, a parere di chi scrive, di una discrezionalità relativa nella distribuzione del surplus concordatario, diversa invece è la previsione per il nuovo piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, di cui all’art. 64-bis del Codice. Come si evince dalla Relazione Illustrativa al decreto legislativo recante modifiche al Codice, si tratta di uno strumento con il quale si intende dare attuazione a quanto previsto dall’art. 11, paragrafo 1, della Direttiva Insolvency, il quale richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che possa prescindere dalle regole distributive tipiche delle procedure concorsuali, ma che sia soggetto ad omologazione “solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto”. In attuazione di tale previsione, l’art. 64-bis introduce un nuovo quadro di ristrutturazione per il debitore che si trova in stato di crisi o di insolvenza, deputato a consentire la distribuzione del ricavato del piano di ristrutturazione «anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile». Pertanto, fermo restando l’obbligatoria suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, il piano potrebbe prevedere un soddisfacimento dei creditori che non tenga conto della natura delle rispettive pretese e della graduazione che ne conseguirebbe nel concorso tra di loro, in applicazione della par condicio creditorum. In tal caso, pare quindi che il debitore goda di una discrezionalità assoluta nella distribuzione del surplus concordatario.

 

9 La distribuzione del surplus concordatario ai soci

Con la finalità di favorire l’utilizzo delle procedure di ristrutturazione da parte delle società, quale forma più diffusa di impresa interessata dalla ristrutturazione, il decreto recante modifiche al Codice introduce nel Titolo IV della Parte Prima la Sezione VI-bis (artt. da 120-bis, a 120-quinquies), la quale detta disposizioni specifiche sull’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva da parte delle società, recependo i principi dettati dall’art. 12 della Direttiva Insolvency.

Per quanto qui consta, l’art. 120-quater del Codice detta i principi in caso di omologazione del concordato che prevede attribuzioni ai soci. Le modifiche al Codice integrano le previsioni generali in materia di ristrutturazione trasversale per disciplinare il modo in cui le regole sulla distribuzione del plusvalore da ristrutturazione debbano applicarsi rispetto ai soci, per i quali potrebbe non risultare agevole individuare in concreto un trattamento pari o meno favorevole rispetto alle classi di creditori, non essendo i soci titolari di un diritto di credito.

Si rende, pertanto, necessario “misurare” il trattamento riservato ai soci, sul presupposto che, come si evince dalla Relazione Illustrativa, l’obiettivo della normativa è quello di permettere che il tribunale possa procedere all’omologazione, nonostante il dissenso di una o più classi, se il trattamento riservato a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno pari a quello delle classi di pari rango e più favorevole di quello riservato alle classi inferiori (regola della priorità relativa). Tuttavia, tale criterio risulta inapplicabile in caso di dissenso dell'unica classe di creditori collocata al rango immediatamente superiore a quello dei soci.

Per questo motivo, il d.lgs. recante modifiche al Codice ha precisato, all’art. 120-quater, comma 1, che:

Fermo quanto previsto dall’articolo 112, se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda, il concordato, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Se non vi sono classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci”.

Dunque, al fine di assicurare il rispetto della regola di priorità relativa, qualora la proposta concordataria preveda attribuzioni ai soci e in caso di dissenso dell’unica classe di creditori collocata al rango immediatamente superiore a quello dei soci, il legislatore prevede che il concordato possa essere omologato se il valore assoluto destinato a tale classe sia superiore a quello riservato ai soci.

 

10. Conclusioni

La questione attinente le regole che presiedono alla distribuzione del patrimonio del debitore all’interno delle procedure concorsuali costituisce oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale da diversi anni. Sulla spinta della Direttiva europea, il legislatore italiano recepisce, per il concordato in continuità aziendale, la regola della priorità relativa sulla parte di valore del patrimonio generata dalla prosecuzione dell’attività d’impresa.

Diversamente da quanto previsto nel nuovo Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nel concordato preventivo, tuttavia, pare che il debitore goda di una discrezionalità relativa nella distribuzione del surplus concordatario. Ciò in quanto la possibilità di distribuire liberamente il plusvalore da continuità incontra due limiti: (i) l’obbligo di assicurare alle classi di rango superiore un trattamento più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, e (ii) il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, sia sul valore di liquidazione sia sul valore eccedente, per i crediti dei lavoratori, di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, c.c.

 



[1] S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 6 gennaio 2022. L’autore ripercorre in modo autorevole la regola del concorso e dei cambiamenti (talvolta ribaltamenti) di passo che si sono verificati negli anni, ponendosi il seguente quesito “dinnanzi all’alternativa tra rimanere (rigidamente o meno) ancorati alla APR o recepire l’invito del Legislatore unionale alla flessibilità, come potrebbe ragionare il nostro legislatore per dare una risposta in linea con l’evoluzione che il nostro diritto concorsuale ha avuto negli ultimi venti anni?”. Si riportano alcune delle autorevoli conclusioni a cui è giunta l’autore, in quanto funzionali al proseguo del presente scritto:

(i) la disciplina del concordato preventivo, nella misura in cui apre alla continuità, fermo restando la permanenza della sua fondamentale funzione satisfattiva, si allontana dall’area degli strumenti per la conservazione della garanzia patrimoniale ed entra in quella degli strumenti a completamento del diritto dell’impresa;

(ii) il concorso da strumento di attuazione della garanzia patrimoniale diventa uno strumento per la conservazione dei valori;

(iii) la par condicio è diventata “un valore da attuare solo se le parti dell’ipotetico processo esecutivo (debitore, creditore, Pubblico Ministero) lo vogliono e solo nei limiti in cui esse riescono a tradurre tempestivamente in pratica questo loro intento”;

(iv) al centro dell’ordinamento concorsuale non vi è più il soggetto debitore con un patrimonio da liquidare per soddisfare i creditori, bensì l’impresa con un complesso produttivo da valutare, anzitutto in prospettiva dinamica, prima di abbandonarlo alla liquidazione disgregativa;

(v) la funzione del diritto fallimentare non è più quella di sanzionare bensì di incoraggiare le imprese ad assumere ragionevoli rischi;

(vi) la recente storia dei concordati mostra risultati deludenti, in parte a causa della APR, che ingessa i piani e lascia sovente l’impresa in stato asfittico per il dileguarsi dei fornitori. Alla luce della rinnovata impostazione del diritto della crisi d’impresa, la regola della RPR risponde meglio “agli assetti attuali, alla posizione dell’impresa al principio della sostenibilità dello strumento per la continuità”.

[2] Il tema è, tuttavia, di rilievo anche nel concordato liquidatorio poiché la liquidazione dei beni all’interno della procedura concordataria potrebbe dare origine ad un esito più favorevole rispetto alla liquidazione atomistica effettuata in sede fallimentare. Per maggiori approfondimenti si rimanda a G. BALLERINI, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, pp. 625 e ss.

[3] Cfr F. AMBROSINI, Il trattamento dei creditori privilegiati e il problema delle pretese erariali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, Vol. 4, Torino, 2014, p. 178.

[4] Come osservato da G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa, in Diritto della Crisi, 25 febbraio 2022, manca una definizione normativa di surplus da continuità. L’autore, precisando che trattasi comunque di concetto differente da quest’ultimo, il Chapter 11 dello US Bankruptcy Code a seguito dello Small Business Reform Act del 2019 ha introdotto, al § 1191d, la definizione di “disposable income”, quale «the income that is received by the debtor and that is not reasonably necessary to be expended: (1) for (A) the maintenance or support of the debtor or a dependent of the debtor; or (B) a domestic support obligation that first becomes payable after the date of the filing of the petition; or (2) for the payment of expenditures necessary for the continuation, preservation, or operation of the business of the debtor».

[5] M. ARATO, Il piano di concordato e soddisfazione dei creditori concorsuali, in Crisi d’Impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso-Panzani, Milano, 2016, p. 3526.

[6] Si veda, tra gli altri, G. D’ATTORE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fallimento n. 8-9/2020, pp. 1071 e ss, D. VATTERMOLI, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine, in Riv. Società, 2018, pp. 858 e ss.; Id., Concordato con continuità aziendale, Absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, pp. 342 e ss.; A. ROSSI, Le proposte “indecenti” nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, pp. 334 e ss; A. BASSI, La “finanza esterna” nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, in Giur. comm., 2019, I, pp. 181 e ss.; G. BOZZA, Il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2012, pp. 381 e ss. In questo senso, anche in una prospettiva comparata con Stati Uniti e Germania, si veda G. BALLERINI, The Absolute Priority Rule and the Distribution of Value in Corporate Reorganizations: The Italian Perspective, in International Company and Commercial Law Review, 2019, pp. 647 e ss.

[7] Cfr M. ARATO, op. cit., p. 3524.

[8] G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Diritto della Crisi, 6 aprile 2022, p. 9.

[9] Cfr G. BOZZA, L’utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, in Il Fallimento, 2009, p. 1442.

[10] M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo, II, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, 2014, pp. 243 e ss.

[11] Trib. Treviso, 11 febbraio 2009, in Il Fallimento, 2009, p. 1439; Trib. Milano 20 luglio 2011, in www.unijuris.it; Trib. Udine 15 giugno 2011, in www.unijuris.it; Trib. Milano 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; App. Venezia 12 maggio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Belluno 17 febbraio 2017, in www.ilcaso.it; Trib. Rimini 10 maggio 2018, in www.ilcaso.it. La giurisprudenza di merito si è pronunciata anche sul tema della continuità indiretta e, in particolare, sulla natura dei canoni percepiti a titolo di affitto d’azienda o ramo di essa. Sul punto, si veda Trib. Milano 22 dicembre 2020, in Il Fallimento, 2021, pp. 279 e ss, il quale precisa che “i canoni ricavati dall'affitto dell'azienda del debitore a un terzo, con contratto stipulato successivamente all'avvio della procedura e subordinato, nella sua efficacia, alla definitiva omologazione del concordato, non costituiscono finanza c.d. nuova o esterna rispetto all'attivo esistente al momento della domanda di concordato e non possono, quindi, essere messi a disposizione del ceto creditorio liberamente, senza il necessario rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione”.

[12] Cass. 08.06.2012, n. 9373, in Il Fallimento, 2012, pp. 1409 e ss; Cass. Civ. 19 novembre 2018, n. 29742, in Foro it., 2019, I, pp. 145 e ss; Cass. 27 dicembre 2019, n. 34539, in Il Fallimento, 2020, pp. 1425 e ss.

[13] Reperibile su www.ilcaso.it

[14] Il requisito del non incremento dell’attivo del debitore pare che debba coincidere con la mancata entrata nel patrimonio del debitore dell’apporto di finanza, ancorché non determini alcun aggravamento del passivo. Tipico apporto che non entra nel patrimonio del debitore e non aggrava il passivo di quest’ultimo è rappresentato dal pagamento dei creditori ad opera di un terzo, con o senza surrogazione. La soluzione frequentemente adottata è costituita dalla messa a disposizione di risorse da parte di un terzo finalizzata a soddisfare le esigenze concordatarie, individuando specificatamente la destinazione (rectius: i creditori o la classe di creditori da soddisfare) dell’apporto di risorse.

[15] In dottrina si veda G. TERRANOVA, I concordati in un’economia finanziaria, in Dir. fall., 2020, I, p. 20; G. D’ATTORRE, Concordato con continuità ed ordine della causa di prelazione, in Giur. comm., 2016, I, 50 ss.; F. GUERRERA, Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società, in Dir. fall., 2010, I, p. 720; P. CATALLOZZI, La falcidia concordataria dei crediti assistiti da prelazione, in Il Fallimento, 2008, pp. 1014 ss.

[16] Tale interpretazione trova indiretta conferma nella disciplina di cui all’art. 183-ter, 1° comma, l. fall., il quale prevede che “se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore (…)”. Ne consegue l’ammissibilità del pagamento dei crediti prelatizi di rango inferiore pur in presenza di una falcidia del credito tributario avente rango poziore, laddove l’applicazione della tesi restrittiva – nell’imporre l’integrale soddisfazione di quest’ultimo prima di poter attribuire risorse ai privilegiati di rango inferiore – renderebbe di fatto inapplicabile tale disposizione. Così, M. ARATO, Il piano di concordato e soddisfazione dei creditori concorsuali, Crisi d’Impresa e procedure concorsuali, op. cit., p. 3525. Si veda anche G. LENER, op. cit., p. 9, il quale definisce la disposizione come “la PRP all’italiana”. Sul tema si innesta anche la Circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020, nella quale si osserva che i “flussi di cassa generati dalla continuità aziendale – per quanto non vadano computati, ai fini del raffronto con l’alternativa liquidatoria, nel calcolo della consistenza del patrimonio aziendale esistente alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo – […] non sono qualificabili come “finanza esterna” in senso tecnico, in quanto ricavi riconducibili comunque al patrimonio del debitore e, pertanto, destinati al soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso, quanto meno nel senso di non alterare l’ordine delle cause di prelazione”.

[17] Cfr C. TRENTINI, I concordati preventivi, Milano, 2014, p. 177 richiamato da M. ARATO, Il piano di concordato e soddisfazione dei creditori concorsuali, Crisi d’Impresa e procedure concorsuali, op. cit., p. 3524.

[18] G. D’ATTORE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, op. cit., p. 1073.

[19] G. D’ATTORE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, op. cit., p. 1073.

[20] G.P. MACAGNO, op. cit., p. 11.

[21] Trib. di Milano 28.12.2017; Trib. di Milano 05.11.2016; Trib. di Massa 29.09.2016; Trib. di Roma 24.03.2015; Trib. di Monza 22.11.2011; Trib. di Rovereto 13.10.2014; Trib. di Prato 07.10.2015; Trib. Firenze, 14.06.2008.

[22] Per un approfondito commento si veda MANETE D., Due provvedimenti sulla destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale: tesi e antitesi, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, n. 3-4/2020, p. 875.

[23] Tale concetto, sottolinea la Corte, risulta rafforzato dall’ulteriore rilievo che una simile conclusione si pone “in controtendenza rispetto al maggior favore riconosciuto dal legislatore alla soluzione concordata della crisi d’impresa rispetto a quella fallimentare”. È indubbio, infatti, che il favor per la regolazione concordataria della crisi, sia nella vigente legge fallimentare che in prospettiva dal Codice della crisi, è volto a valorizzare la procedura di concordato in continuità aziendale “in quanto finalizzata al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato”. Così nella Relazione illustrativa al D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

[24] GREGGIO M., VIDAL G., Continuità aziendale e finanza esterna nel concordato preventivo, in Fallimentiesocietà.it, 2019, p. 19.

[25] Sul punto è molto chiaro il Considerando n. 54 della Direttiva UE “Qualora una maggioranza delle classi non sostenga il piano di ristrutturazione, dovrebbe essere possibile che il piano possa comunque essere omologato da almeno una classe di creditori interessati o che subiscono un pregiudizio che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, riceveranno pagamenti o manterranno interessi o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che ricevano pagamenti o mantengano interessi se fosse applicato l'ordine delle cause legittime di prelazione previsto dal diritto nazionale in caso di liquidazione. In tal caso, gli Stati membri dovrebbero poter aumentare il numero delle classi necessarie per l'approvazione del piano, senza necessariamente imporre che tutte queste classi, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, debbano ricevere un pagamento o mantenere un interesse a norma del diritto nazionale. Tuttavia, gli Stati membri non dovrebbero esigere il consenso di tutte le classi. Conseguentemente, qualora vi siano solo due classi di creditori, il consenso di almeno una classe dovrebbe essere ritenuto sufficiente, se sono soddisfatte le altre condizioni per l'applicazione del meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti. Per pregiudizio del creditore si intende la riduzione del valore dei suoi crediti”.