Tribunale di Spoleto, 17 aprile 2025, n. 0. Pres. Matteini. Rel. Cappellini.
Il Tribunale di Spoleto si è pronunciato su una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale, fondata sulla prosecuzione del contratto di affitto d'azienda e la successiva cessione della stessa nonché della partecipazione in una società controllata. Il piano era stato sottoposto al voto dei creditori con esito negativo, sicché la società ricorrente aveva chiesto l’omologazione forzosa ex art. 112, co. 2, CCII e, in subordine, ex art. 53 co. 5 bis CCII.
I giudici umbri, anzitutto, hanno respinto la tesi secondo la quale sarebbe applicabile il meccanismo del cram down fiscale nel concordato in continuità aziendale ante correttivo rilevando che “in ragione della clausola di esclusione (salva diversa disposizione) non sono invece applicabili le norme con cui è stato modificato l’art. 88 CCII (…) comma 4 (…) alle procedure pendenti, in quanto si applicano alle proposte di transazione fiscale presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore”, specificando “come questo stesso Tribunale aderisca all’orientamento di merito, ormai maggioritario, che esclude – anche solo in astratto – la applicabilità del meccanismo del cram down fiscale (ante correttivo) al concordato in continuità aziendale. Militano a favore di tale conclusione le seguenti considerazioni, già ampiamente illustrate da altri precedenti di merito: la radicale differenza di regole per l’approvazione del concordato preventivo nel concordato liquidatorio ed in quello in continuità aziendale: solo nel primo caso sopravvive ancora la regola della necessità del raggiungimento della maggioranza dei crediti chirografari ammessi al voto e della maggioranza delle classi (art. 109 comma 1); nel concordato in continuità aziendale la maggioranza dei crediti chirografari non è più richiesta (anche perché, con alcune eccezioni, sono ammessi al voto anche i crediti privilegiati) ed il sistema di voto e di calcolo delle maggioranze è incentrato sulle classi: di regola è richiesta l'unanimità delle classi ma si tratta di previsione, per così dire, di mera facciata atteso che se non è raggiunta l'unanimità delle classi si applica quanto previsto dall'art. 112 comma 2 (art. 109 со. 5 CCII)”.
Il Tribunale ha inoltre rigettato – ritenendone insussistenti i presupposti - la richiesta di procedere all’omologazione forzosa ex art. 112, comma 2, lettera d) CCII. In particolare si è osservato come la cosiddetta “golden class il cui voto favorevole consentirebbe l’omologa forzosa della proposta, non rientri, in realtà, nella definizione di classe interessata di cui all’art. 112 CCII, posto che: 1) a detta classe non è stato “offerto” un importo non integrale del credito (…) Il voto che assume rilievo è esclusivamente quello di creditori che nutrono comunque un’aspettativa di soddisfazione quantomeno parziale della loro pretesa “a valori di continuità”, risultando portatori di un reale interesse a che il piano di rilancio sia fattibile. Detto interesse viene chiaramente meno nella ipotesi in cui gli stessi creditori – anche in caso di mancata approvazione del concordato – (…) verrebbero comunque soddisfatti per intero sul valore di liquidazione, non ricevendo, pertanto, alcuna soddisfazione parziale dal valore eccedente quello di liquidazione”.
Sotto altro, subordinato profilo, il Tribunale ha ritenuto infine di non poter applicare l’art. 53 comma 5 bis CCII – volto a far prevalere l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori rispetto al pregiudizio in capo ai creditori dissenzienti – in sede di giudizio di omologazione, precisando come “la previsione in esame abbia un senso se collocata nell’ambito del giudizio di impugnazione: la scelta del legislatore è, infatti, quella di consentire, in quel caso, al giudice del gravame di optare per la prosecuzione del concordato illegittimo, di cui sia stata confermata, anche in secondo grado, la natura in continuità ed ove la prosecuzione dei suoi effetti, sebbene appunto illegittimi, preservi l’interesse dei creditori e dei lavoratori”. L’organo giudicante, pertanto, ha optato “per una interpretazione strettamente letterale della disposizione in esame, non potendo generiche esigenze di economia processuale o di ragionevolezza del sistema indurre l’interprete a scavalcare completamente il carattere testuale della previsione e la natura eccezionale dell’istituto dalla medesima introdotto”.
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