Giurisprudenza

Misure protettive atipiche nei confronti del garante


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Articolo

La solidarietà dei “vantaggi compensativi” alla luce della normativa emergenziale e della l. n. 147/2021*


Marina Spiotta

Data pubblicazione
29 novembre 2021

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Sommario: 1. Flashback. – 2. Gli artt. 284 e 285 c.c.i.i. – 2.1. Differenze rispetto agli artt. 2497 e 2634 c.c. – 2.2. Altri riferimenti impliciti nel d.lgs. n. 14/2019. – 3. Un cenno alla (logica sottesa alla) normativa emergenziale. – 4. Segue: e alle misure urgenti contenute nella l. n. 147/2021. - 5. Verso una rimodulazione degli artt. 2043 e 2740 c.c.? – 6. Due auspici.

* Il presente contributo, già pubblicato (in una versione più ampia) in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2021, fasc. 2, 823 ss., è destinato agli Studi in onore di Paolo Montalenti.


1. Flashback.

Prima di entrare in medias res, vorrei ricordare che il 16 febbraio 2018 si svolse a Torino il Laboratorio di diritto commerciale su «Impresa, società, governance: problemi e prospettive», in occasione del quale fu presentato il volume di Paolo Montalenti intitolato «Impresa, società di capitali, mercati finanziari».

Il parterre era composto da autorevoli Relatori, tra cui il Prof. Vincenzo Di Cataldo che durante il suo intervento profetizzò che l’onorato “passerà alla storia” per aver elaborato la teoria c.d. dei vantaggi compensativi.

Ascoltandolo mi sono ricordata di quando, nel settembre 2002, frequentai a Milano il seminario organizzato da Borsa Italiana su «La riforma del diritto societario e il codice di autodisciplina: effetti sulla Corporate Governance» ed ebbi il privilegio, durante un breve coffee break, di scambiare poche parole con il compianto Prof. Franco Bonelli, il quale, appresa la notizia della mia appartenenza alla scuola torinese, non esitò a collegarmi a Montalenti e a farmi qualche anticipazione sull’art. 2497 c.c.

Di qui l’idea di onorarlo con un saggio sull’argomento al fine di proporre qualche riflessione su una formula che ha ormai conquistato anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi c.c.i.i.) e potrebbe essere la chiave di volta per la ripartenza post-Covid-19.

 

2. Gli artt. 284 e 285 c.c.i.i.

La teoria in esame[1] ha ormai travalicato i confini del Codice civile e) invaso anche il (Titolo VI del) c.c.i.i.[2].

Le resistenze opposte a tale “sconfinamento”, del resto, erano solo un retaggio dell’impronta sanzionatoria che caratterizzava la legge fallimentare del 1942[3] ed erano già state superate da una parte della dottrina[4] in quanto è nella fase patologica che la teoria andrebbe valorizzata al fine di poter esprimere tutte le proprie potenzialità.

Il d.lgs. n. 14/2019, nel testo corretto dal d.lgs. n. 147/2020, vi fa espresso riferimento:

-nell’art. 284, comma 4, ai sensi del quale il piano/piani di c.p. o di a.d.r. e (in forza del richiamo contenuto nel successivo comma 5), gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, «quantificano il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo, anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo»[5];

-nell’art. 285, comma 5, che legittima i soci a «far valere il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni» contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, «esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo», precisando che comunque «il tribunale omologa il concordato se esclude la sussistenza del predetto pregiudizio in considerazione dei vantaggicompensativi derivanti alle singole imprese dal piano» [o dai piani collegati ed interferenti: n.d.r.] «di gruppo»[6].

Può essere utile contestualizzare le suddette norme, per poi cercare di evidenziare le analogie e le differenze, in parte qua, rispetto all’art. 2497 c.c.

Il primo inciso è stato aggiunto al comma 4 dell’art. 284 c.c.i.i. dal decreto correttivo n. 147/2020. Pur essendo stata avanzata una proposta di emendamento in tal senso dal Centro di Ricerca interdipartimentale su Impresa, Sovraindebitamento e Insolvenza dell’Università di Torino (c.d. Centro Crisi[7]), non si può sottacere che, secondo autorevole dottrina, si tratta di una precisazione «abbastanza bizzarra»[8] ed «inappropriata»[9], in quanto il legislatore si riferisce a vantaggi compensativi collegati (anziché ad un pregiudizio) ad un «beneficio».

Il secondo riferimento era invece presente fin dalle prime versioni del d.lgs. n. 14/2019[10] ed è stato mantenuto nell’art. 285 (anch’esso ritoccato dal decreto correttivo in conformità ad un emendamento suggerito dal Centro Crisi[11]), che, sul punto, ha attuato generosamente il criterio direttivo contenuto nell’art. 3, comma 2, lett. f), della l. n. 155/2017[12].

L’art. 285 c.c.i.i. è sicuramente la disposizione più discussa di tutto il nuovo Titolo VI[13], stante la difficoltà di comprendere la natura (definitiva o provvisoria) dei «trasferimenti»[14] e di conciliare il mantra della separazione delle masse (attive) con la legittimità dei trasferimenti di risorse infragruppo[15].

I c.d. travasi di ricchezza sono consentiti a condizione che:

i) un professionista ne attesti[16] la necessità «ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano»[17] e coerenza rispetto «all’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo», compresi (sembrerebbe) quelli della stessa impresa che effettua il trasferimento[18];

ii) ai soci (di minoranza) e ai creditori concordatari dissenzienti (purché appartenenti a una classe dissenziente o, nel caso di mancata formazione delle classi, rappresentanti almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto della singola società) o non aderenti agli a.d.r. (ad efficacia estesa) sia consentito opporsi all’omologazione (anche il Codice della crisi tace sulla legittimazione attiva della società eterodiretta).

Nonostante il suddetto rimedio endoconcorsuale, il tribunale può comunque procedere all’omologazione (c.d. cram down) valutando:

i) per i creditori (opponenti), il quantum che otterrebbero in sede di liquidazione giudiziale della singola società/impresa loro debitrice e non (come invece in sede di ammissione alla procedura) quanto riceverebbero nel caso di presentazione di un piano autonomo per ciascuna impresa (art. 284, comma 4);

ii) per i soci, i vantaggi derivanti (anziché alla sola società pregiudicata) «alle singoleimprese dal piano di gruppo», idonei a compensare il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale.

La differenza è non solo nominalistica, ma sostanziale e potrebbe creare dei problemi applicativi qualora venga proposta opposizione sia dai soci che dai creditori, potendo accadere che un concordato gradito a questi ultimi, e conforme alla legge quanto alla loro posizione, non sia omologato perché non in linea con la normativa sui vantaggi compensativi: il che, perlomeno prima facie, suscita inevitabilmente qualche perplessità[19].

La coerenza del sistema è comunque stata recuperata dalla dottrina[20] osservando che «il giudizio di omologazione presuppone che l’ammissione sia già stata delibata dal tribunale e che, pertanto, sia stato valutato già il requisito del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese anche con riferimento al piano di concordato autonomo per ciascuna impresa» e che «anche per i creditori la valutazione sull’eventuale pregiudizio dovrà inoltre tenere conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano di gruppo, secondo una valutazione unitaria del complesso delle operazioni e non limitata ai soli trasferimenti infragruppo».

Sul piano applicativo - a parte le difficoltà per i soci di minoranza di procurarsi le informazioni necessarie per assolvere l’onere probatorio, stante la competenza deliberativa di regola affidata al plenum (v. l’art. 265, cui rinvia l’art. 44, comma 5, c.c.i.i.) e gli stringenti limiti della tutela endoconcorsuale - la clausola in esame (ove trapiantata dal terreno dell’azione di responsabilità per comportamenti imprenditoriali che configurino abuso del modello organizzativo della direzione e coordinamento di società a quello diverso della gestione della crisi o dell’insolvenza del gruppo[21]) solleva molteplici interrogativi, non essendo chiaro, ad esempio, se il vantaggio compensativo contemplato dal piano concordatario di gruppo possa provenire da una società del gruppo non inclusa nel perimetro del piano medesimo[22].

Occorre poi capire se i vantaggi compensativi (che possono essere di vario tipo) debbano essere individuati in termini di migliore soddisfacimento delle singole masse dei creditori sociali ovvero di riequilibri economici, patrimoniali e finanziari di ciascuna società. «La risposta a questo interrogativo non è di poco conto, perché nella prima di queste due ipotesi, assicurato un soddisfacente flusso di rimborso ai creditori di una consociata, il piano di continuità aziendale potrebbe anche sacrificare il ruolo di detta società nel contesto di un turnaround dell’intero gruppo che, per il nuovo orientamento strategico richiesto dal risanamento (riposizionamento del modello di business), preveda la valorizzazione di altre società e comunque l’ottimizzazione per l’intero gruppo»[23].

 

2.1.   Differenze rispetto agli artt. 2497 e 2634 c.c.

Diversa è innanzitutto la fonte dei vantaggi compensativi: nel codice civile, l’attività di direzione e coordinamento o operazioni dirette ad eliminare il pregiudizio; nel d.lgs. n. 14/2019, il piano (non la proposta) di gruppo che potrebbe prevedere flussi riparatori, ma anche apprestare «rimedi più obliqui»[24].

Un’altra discrasia che balza agli occhi concerne il metodo di calcolo: posto che l’art. 285, comma 5, c.c.i.i. fa riferimento ai vantaggi compensativi derivanti «dal piano di gruppo» deve ritenersi che la loro venuta ad esistenza non debba essere necessariamente immediata, ma si possa produrre anche in seguito, purché entro il termine fissato per l’adempimento della proposta e la completa esecuzione del piano[25]. In pratica, si tratta di verificare se il costo, attuale e certo, rappresentato dal trasferimento di risorse sia in grado di essere compensato dal vantaggio, futuro ed incerto (ma tale da poter essere oggetto della specifica attestazione richiesta dall’art. 285 c.c.i.i.), derivante dalla persistente partecipazione al gruppo[26].

Rielaborando la teoria in funzione concordataria, si è inoltre autorevolmente osservato[27] che l’applicazione del criterio dei vantaggi compensativi potrà aversi in chiave non soltanto indennitaria, ma anche redistributiva (facendo riferimento al plusvalore atteso dalla ristrutturazione) e che detti vantaggi potrebbero essere non solo attuali e tangibili ovvero potenziali e prevedibili, ma anche puramente virtuali o negativi (come, per esempio, quelli legati al non esperimento di azioni revocatorie/risarcitorie/recuperatorie di pertinenza della massa) o indiretti (come l’elisione di alcune poste creditizie inter company o il mancato verificarsi del c.d. effetto domino)[28].

Più nitido è il parametro soggettivo di riferimento giacché il tribunale procede all’omologazione «se esclude la sussistenza di un pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensatividerivanti alle singole imprese» (e quindi non soltanto alla società pregiudicata)dal piano di gruppo.

Last but not least, nel concordato di gruppo il legislatore «riconosce la legittimità del depauperamento di un’impresa ai danni di un’altra finché non vi è lesione dello zoccolo duro rappresentato da quanto il creditore potrebbe ottenere in sede di liquidazione giudiziale»[29].

Prescindendo da tali differenze, il d.lgs. n. 14/2019 consente di dare rilievo all’interesse di gruppo (che tuttavia non può coincidere con quello della sola capogruppo) e di accorciare la distanza intercorrente tra concezione elastica e ragionieristica della tesi giacché i vantaggi futuri devono essere oggetto di specifica attestazione.

 

2.2.   Altri riferimenti impliciti nel d.lgs. n. 14/2019.

A parte le norme sopra ricordate in cui compare, expressis verbis, il sintagma «vantaggi compensativi», di tale teoria il curatore della liquidazione giudiziale dovrà tener conto anche ai fini dell’esercizio:

-delle azioni d’inefficacia: lo si desume dalla circostanza che l’art. 290 c.c.i.i. fa salvo il disposto dell’art. 2497, comma 1, c.c., con la conseguenza che la sussistenza di vantaggi compensativi potrebbe rappresentare una nuova esimente dall’azione revocatoria (aggravata). «Sebbene un tale risultato avrebbe richiesto una diversa tecnica legislativa»[30], deve ritenersi che, attraverso la suddetta clausola di salvezza, il legislatore abbia imposto di apprezzare la sussistenza o meno del presupposto oggettivo dell’eventus damni in una prospettiva (anziché statica) dinamica ed in una logica (non dell’impresa monade, ma) di gruppo;

-delle azioni di responsabilità previste dall’art. 2497 c.c. e forse anche di quella spettante ai soci[31] (sulla quale resta invece silente l’art. 2497, comma 4, c.c.);

-della denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., esperibile (deve ritenersi in senso sia ascendente che discendente) «nei confronti di amministratori e sindaci delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale» (v. l’art. 291 c.c.i.i.)[32];

-della postergazione dei finanziamenti upstream che si giustifica proprio dando per scontata l’esistenza di vantaggi compensativi per la società finanziatrice[33] (art. 292 c.c.i.i.).

Stante il parallelismo tra i sopra citati artt. 290-291 c.c.i.i. e gli artt. 89-91 del d.lgs. n. 270/1999 (c.d. legge Prodi bis), per ragioni di coerenza sistematica sarebbe opportuno che la giurisprudenza tenesse conto del meccanismo dei vantaggi compensativi anche in sede di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e di liquidazione controllata d’imprese (di gruppo) non commerciali[34]. E la medesima lente potrebbe essere utilizzata anche per il fallimento (rectius, la liquidazione giudiziale) in estensione (art. 148 l. fall., ripreso dall’art. 257 c.c.i.i.) e le procedure familiari (art. 66 c.c.i.i.), anch’esse caratterizzate dal dogma della separazione delle masse, che tuttavia la giurisprudenza pare aver già infranto ammettendo una sorta di “comunicabilità tra le stesse” ai fini, oltre che della formazione del passivo, della concessione dell’esdebitazione[35].

Il legislatore italiano, a differenza di quello francese, non ha invece previsto uno sbarramento all’attivazione dell’allerta (applicabile anche ai gruppi, esclusi quelli di «rilevante dimensione»[36]) ogniqualvolta gli organi di controllo/revisori (in Francia i commissaires aux comptes) abbiano riscontrato l’esistenza di «événements compensatoires»[37], ossia di circostanze suscettibili di neutralizzare o comunque attenuare quei profili di squilibrio che, isolatamente considerati, parrebbero compromettere la continuità aziendale.

Ad analogo risultato si potrebbe tuttavia pervenire in via interpretativa[38] valorizzando il tenore del capoverso dell’art. 13 c.c.i.i. (laddove precisa che gli indici della crisi devono essere «valutati unitariamente») e la bozza di documento elaborata, in ossequio alla delega legislativa contenuta nella citata norma, dal CNDCEC nell’ottobre del 2019 (che al par. 5.2. parla di una «valutazione professionale e unitaria» del complesso degli indicatori elaborati a livello nazionale o dalla società in house, il cui superamento «fornisce ragionevoli presunzioni ma non implica automaticamente la fondatezza dell’indizio di crisi»). Si ridurrebbe così il rischio di falsi positivi e di un’apertura troppo anticipata della procedura e si darebbe rilievo a quegli “eventi equilibratori”, non elencabili a priori, che nella singola realtà aziendale potrebbero ridurre la portata degli indicatori e indici della crisi.

 

3.        Un cenno alla (logica sottesa alla) normativa emergenziale.

La ricca e frenetica legislazione emergenziale promulgata dopo lo scoppio della pandemia Covid-19 non contiene riferimenti espressi alla teoria in esame, ma tutte le misure messe in campo dal Governo per aiutare le imprese sono accomunate dalla convinzione (rectius, speranza) dei nostri Conditores di riuscire a ricompensare i sacrifici imposti dal lockdown e a recuperare così i c.d. aiuti di Stato (siano essi finanziamenti assistiti da garanzia pubblica o contributi a fondo perduto). Il legislatore è consapevole che le restrizioni prescritte per contrastare la diffusione del virus hanno pesantemente danneggiato le aziende, ma ritiene che il “danno giusto” arrecato in nome della salvaguardia della salute e dei limiti alla libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.) possa essere compensato (rectius, ristorato) attraverso una serie di aiuti che dovrebbero agevolare la riattivazione del business e la ripartenza dell’economia[39]. In fondo, la stessa distinzione - coniata da Mario Draghi - tra “debito buono” (sostenibile grazie alla crescita del PIL) e “debito cattivo” (utilizzato per fini improduttivi) si fonda su una logica non dissimile da quella dei vantaggi compensativi.

Si potrebbe parlare di un ampliamento delle potenzialità applicative della teoria in esame, intesa, non nell’accezione tecnica tradizionale, ma come una forma mentis o modus operandi. Infatti, (come aveva già chiarito la norma d’interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. contenuta nell’art. 19, comma 6, del d.l. n. 78/2009, conv. in l. n. 102/2009) lo Stato (al quale il decreto correttivo n. 147/2020, andando a ritoccare la nozione di «gruppo di imprese» dettata dall’art. 2, lett. h, c.c.i.i, ha affiancato gli enti territoriali[40]), sebbene possa essere titolare di partecipazioni di controllo e, come tale, chiamato a rispondere dei danni eventualmente inferti alla società partecipata, non potrebbe avvalersi del modulo organizzativo (della direzione e coordinamento) per rivolgere direttive anche pregiudizievoli alle controllate (adducendo l’attribuzione di un corrispondente vantaggio).

Forse - nell’ottica di un progressivo avvicinamento tra disciplina generale e normative settoriali - il meccanismo compensativo andrebbe esteso, in via interpretativa, anche agli enti pubblici con riferimento al controllo analogo esercitato nei confronti delle proprie società in-house providing[41], così come l’art. 12 t.u.s.p. (d.lgs. n. 175/2016 e s.m.) è stato valorizzato dalla dottrina come base per un riallineamento di discipline tra i tipi societari capitalistici.

Tralasciando questi temi di rilevante impatto sistematico e tornando ai provvedimenti emergenziali adottati da marzo del 2020, senza esprimere dei giudizi sulle scelte di politica economica, è sufficiente osservare che:

-se è ammessa una valutazione retrospettiva del going concern[42] e la sterilizzazione (oggi anche “fai da te”[43]) della regola “ricapitalizza o liquida”[44];

-se tali opportunità, che andrebbero sfruttate solo dopo una scrupolosa programmazione strategica ed economico-finanziaria, hanno sollecitato in dottrina una riflessione sulla possibilità di creare un mercato dell’assicurazione del rischio di erosione del capitale sociale, costruito come una sorta di assicurazione della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.[45];

-allora, con specifico riferimento al tema qui affrontato e cercando di adattarsi ai cambiamenti si potrebbe sostenere che la compensazione possa guardare anche al passato e alle performances pregresse[46] e (sulla scorta dell’art. 1905, comma 2, c.c.) valutare la possibilità di “assicurare”[47] il verificarsi di vantaggi “fondatamente prevedibili”.

Nell’attuale clima d’incertezza dello scenario macroeconomico pare inevitabile una valutazione più rosea (del going concern e) dei vantaggi compensativi, considerando tali anche quelli fondatamente(rectius, plausibilmente)prevedibili entro un termine più esteso e nulla dovrebbe precludere il c.d. “ravvedimento operoso” (o “ingegnoso”), in modo da compensare, anche a posteriori, eventuali pregiudizi in precedenza arrecati alla società eterogestita (artt. 2497 e 2409, comma 3, c.c.).

Allargando lo sguardo, tutta la gestione imprenditoriale - al pari della logica che sorregge la teoria dei vantaggi compensativi – dovrebbe essere protesa verso una prospettiva forward looking, dove il passato rappresenta il punto di partenza e il presente costituisce il mezzo ragionato per il raggiungimento di obiettivi futuri ben definiti e ponderati.

Gli stessi nuovi principi di attestazione dei piani di risanamento suggeriscono di ricorrere ad un ampliamento dell’orizzonte temporale oltre i canonici cinque anni[48]; il giudizio di fattibilità dei piani dovrebbe essere inteso (in linea con l’art. 10, par. 3, della Direttiva Insolvency) come un giudizio di ragionevole plausibilità (e non di certezza)[49] e la valutazione di pertinenza di un atto rispetto all’oggetto sociale andrebbe formulata in termini meno rigidi-statici e più prospettici-dinamici[50].

Quelli sinteticamente esposti sono solo brevi spunti, non già per un ripensamento, bensì per una riscoperta della matrice dottrinaria della teoria dei vantaggi compensativi e per un suo ammodernamento in linea con i progressi della scienza aziendalistica, il cui apporto, come aveva intuito Paolo Montalenti, è fondamentale[51].

Se poi verrà seguito il suggerimento del c.d. piano Colao[52] d’incentivare le forme di aggregazione tra imprese (per realizzare sinergie di gruppo ed economie di scala) e sfruttata l’opportunità offerta dall’art. 13 del d.l. n. 118/2021 contenente «Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale», convertito, con modifiche, nella l. n. 147/2021 (v. infra), le occasioni per applicare la teoria si moltiplicheranno e il contesto emergenziale potrebbe rappresentare una sorta di stress test della sua tenuta.

 

4. Segue: e alle misure urgenti contenute nella l. n. 147/2021

Prendendo in prestito le parole della Presidente e di un autorevole membro della c.d. Commissione Pagni[53], tutto il d.l. n. 118/2021[54] è animato da «uno spirito solidaristico non velleitario», emblematicamente definito «la solidarietà dei vantaggi compensativi»[55] e può essere considerato un intermezzo necessario per “compensare” il rinvio (a maggio 2022 e, per l’allerta, a gennaio 2024) dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019[56].

In effetti, sempre rifacendosi all’interpretazione autentica offerta dagli Autori sopra citati, la composizione negoziata della crisi (per brevità, c.n.c.) – percorso al quale può accedere anche il gruppo unitariamente inteso, definito (dall’art. 13)[57] ricalcando l’art. 2, lett. h, c.c.i.i.[58] - è «un luogo adatto per smussare gli angoli, per far percepire ad una collettività di soggetti che la crisi dell’impresa singola spesso sconfina nella crisi del mercato e che la crisi del mercato può essere più pericolosa e più dannosa di una qualche rinuncia».

Nella l. n. 147/2021, a differenza che nel d.lgs. n. 14/2019, non vi sono riferimenti espliciti alla teoria dei vantaggi compensativi, ma credo che alla domanda sollevata da Montalenti circa la sua applicabilità[59] si debba rispondere in senso affermativo, giacché essa rimane per così dire sottotraccia e traspare anche dal decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 che dedica ai gruppi l’intero par. 6 della Sezione II contenente la Check-list particolareggiata per la redazione del piano di risanamento[60] e il par. 3 della Sezione III che detta il Protocollo di conduzione della composizione negoziata.

Sia dalla lista di controllo che dal test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento (art. 3, comma 2, del d.l. n. 118) dovrebbero emergere anche i vantaggi compensativi fondatamente prevedibili, dei quali il giudice dovrà tener conto nell’autorizzare finanziamenti (intercompany) prededucibili[61], nel rideterminare equamente le condizioni dei contratti di durata divenuti eccessivamente onerosi per effetto della pandemia[62] o nel consentire il trasferimento dell’azienda o uno o più dei suoi rami in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c.[63]

L’esperto – figura chiave per il successo di questo nuovo istituto – a sua volta, dovrà attentamente soppesare detti vantaggi prima d’iscrivere nel r.i. il proprio eventuale dissenso rispetto alla stipulazione di finanziamenti “discendenti” od “orizzontali” (integralmente)[64] non postergati (art. 13, comma 9) e prima di «invitare» le imprese del gruppo in bonis (anche aventi sede legale all’estero[65]) a partecipare (in modo proattivo) alle trattative, che – giova sottolinearlo – potranno essere frazionate in “sotto-tavoli negoziali” anche in caso di unitarietà della domanda di accesso alla c.n.c. qualora lo svolgimento congiunto le renda «eccessivamente gravose» (o vi sia il rischio di conflitti di interessi) e, viceversa, essere condotte in modo unitario per tutte le imprese o per una parte di esse «appositamente individuate» (una sorta di “consolidamento delle trattative”) anche in caso di istanze separate[66].

A riprova della flessibilità di questo nuovo strumento di soluzione della (probabilità di una) crisi, l’art. 13, comma 10, prevede che «Al termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all’art. 11, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni» previste dalla medesima norma.

Ciò significa che il procedimento avviato «in gruppo» potrà concludersi separatamente e, viceversa, quello intrapreso atomisticamente dalle singole imprese potrà sfociare nella stipulazione «in via unitaria», da parte di più (non necessariamente tutte le) imprese del gruppo, di un contratto idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno un biennio (v. lett. a); di una convenzione di moratoria ex art. 182 octies (v. lett. b) o di un accordo che produca gli stessi effetti del piano di risanamento senza attestazione (v. lett. c)[67].

Fino all’entrata in vigore degli artt. 284 e ss. c.c.i.i., l’accesso ad una vera e propria procedura concorsuale tradizionale [come l’a.d.r. (classico, ad efficacia estesa o agevolato), il c.p. o il fallimento] o di nuovo conio (come il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio[68]) potrà avvenire solo separatamente, mentre in gruppo è possibile far ricorso solo all’amministrazione straordinaria.

Per tranquillizzare gli stakeholders potrebbe essere utile prevedere la figura del CRO (Chief Restructoring Officer), la cui nomina - come si legge nel par. 9.4 del decreto dirigenziale - «appare opportuna, in particolare, quando siano previsti, a fronte dei sacrifici ai creditori, ristori agli stessi condizionati da raggiungimento di risultati reddituali o finanziari prefissati (earn-out) o quando siano assegnati ai creditori strumenti finanziari partecipativi (SFP) di cui all’art. 2346 c.c.» o – si potrebbe aggiungere – qualora si conti di assicurarne il soddisfacimento attraverso vantaggi compensativi[69].

 

5.        Verso una rimodulazione degli artt. 2043 e 2740 c.c.?

Non è questa la sede per rispondere a un quesito così impegnativo che coinvolge anche i civilisti, ma concordo con quanti[70] prospettano una rivisitazione della responsabilità patrimoniale alla luce dei confini del fisiologico esercizio dell’attività di direzione e coordinamento[71] e del precetto del neminem laedere, intendendo per danni ingiusti solo quelli non controbilanciati da vantaggi compensativi[72].

Da un lato, a prescindere dalla possibilità di considerare l’art. 285 c.c.i.i. uno dei casi previsti dalla legge in cui sono ammesse limitazioni della responsabilità patrimoniale, la regola dell’art. 2740 c.c., qualora il debitore sia un imprenditore (o un professionista), andrebbe declinata nell’ottica di un patrimonio dinamico, ponendo l’accento sui «beni futuri», ossia sui flussi di redditività[73].

Dall’altro lato, ragionando sul combinato disposto degli artt. 2497 e 2043 c.c. e valorizzando il riferimento all’«ingiusto pregiudizio» ribadito più volte dalla Direttiva Insolvency e ricavabile dall’art. 4, comma 5, l. n. 147/2021, si potrebbe argomentare e ricavare la categoria (quasi un ossimoro) dei “danni/pregiudizi giusti” perché cagionati in vista del raggiungimento di un obiettivo macroeconomico. Una prospettiva, questa, che andrebbe attentamente soppesata[74], stante il pericolo di passare dalla risarcibilità di quella voce di danno denominata “lucro cessante” al riconoscimento dell’esimente non codificata del “lucro sperato”.

In sintesi: le potenzialità sono tante, ma, mutuando l’espressione adoperata da un risalente decreto in materia concorsuale[75], occorre rifuggire da un “usoirriflessivo” della teoria dei “vantaggi compensativi”, che rischierebbe di snaturarla e di tradire gli obiettivi dello Studioso unanimemente riconosciuto come il suo precursore. Tentazione alla quale non ha resistito parte della giurisprudenza, che ha invocato il sintagma come ratio decidendi (quasi un commodus discessus) nei settori più disparati, a volte, confondendolo con altri istituti, forse più consoni alle fattispecie decise[76].

 

6.        Due auspici.

Il giurista è chiamato ad osservare la realtà attraverso le lenti del diritto e anche quando queste (a causa dell’irrompere di un fenomeno inaspettato e dirompente come la pandemia Covid-19) sembrino appannate e inadeguate a restituire un’immagine nitida del presente e a ricondurre il novum alle categorie giuridiche della tradizione, l’interprete non deve dimenticarsi che non può dotarsi di nuove lenti se non è il legislatore (o “Monta-lenti”) a fornirgliele.

A parte la battuta sul cognome, sono seriamente convinta che abituarsi a ragionare in termini di vantaggi (auspicabilmente) compensativi[77] o di “non svantaggi” compensativi[78] possa davvero aiutare la ripartenza, mentre un’applicazione rigida degli istituti tradizionali creerebbe una tipica lose-lose situation. Mai come in questo momento «abbiamo tutti bisogno di ottimismo», «un ottimismo serio, razionale, non illusorio»[79].

Tuttavia l’apice del successo della teoria sarà raggiunto quando non ci saranno più occasioni per applicarla nelle aule giudiziarie perché il capoverso aggiunto all’art. 2086 c.c. (e riempito di contenuto dal decreto dirigenziale del 28 settembre 2021) si sarà dimostrato in grado di svolgere quella funzione preventiva non assolta dall’art. 2497 bis, comma 5, c.c.: «sostanzialmente eliminare in limine lo stesso problema di determinare la nozione di vantaggio compensativo»[80].

L’auspicio è che gli operatori del settore sappiano far tesoro di una felice intuizione della quale la comunità scientifica è debitrice a Paolo Montalenti e che il pregio della scelta dell’argomento per onorarlo possa compensare i difetti di questo scritto. In fondo, soprattutto in questo momento, anche l’interpretazione dei testi normativi dovrebbe essere “compensatrice” delle aporie inevitabilmente presenti in tutte le riforme ed essere tesa, anziché ad affossarle in partenza, a coglierne la vera anima[81].



[1] Elaborata da P. Montalenti, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in AA.VV., I gruppi di società, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, a cura di P. Balzarini, G. Carcano e G. Mucciarelli, vol. III, Milano, 1996, 1627 ss. Il contributo è stato pubblicato anche (con un titolo leggermente diverso) in Giur. comm., 1995, I, 710 ss. e in Studi in onore di Gastone Cottino, Padova, 1997, vol. II, 959 ss. e poi ripubblicato, con aggiornamenti, in Id., Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999, 79 ss. La tesi è poi stata sviluppata in Id., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, 317 ss. e in Id., Società per azioni corporate governance e mercati finanziari, Milano, 2011, 234 ss.

[2] Tra le opere dedicate all’approfondimento di questa disciplina v. E. Ricciardiello, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, 2020; AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2020. Ante riforma resta imprescindibile la monografia di B. Libonati, Il gruppo insolvente, Firenze, 1981. V. anche N. Abriani e L. Panzani, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, Torino, 2016, II, 2991 ss.

[3] Cfr. S. Poli, Il concordato di gruppo: ii) verifica critica degli approdi giurisprudenziali con tentativo di ricavare dal sistema le chiavi per un parziale superamento del dogma della separazione delle masse (attive) (Parte II), in Contr. impr., 2015, 119.

[4] Cfr. R. Santagata, Concordato preventivo “di gruppo” e “teoria dei vantaggi compensativi”, in Riv. dir. impr., 2015, 244 ss.

[5] Come rileva G. Scognamiglio, La crisi e l'insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Orizzonti del diritto commerciale, 2019, n. 3, 706, nota 45, si fa riferimento ai soli creditori (quasi a voler rappresentare l’irrilevanza della posizione dei soci al momento della stima dei benefici dell’azione concordataria di gruppo) e si ha riguardo a vantaggi, tanto puntualmente determinati perché già assegnati o conseguiti, quanto fondatamente prevedibili in un futuro più o meno ravvicinato.

[6] Come scrive A. Farolfi, La crisi dei gruppi alla luce del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in ilFallimentarista, Focus del 22 maggio 2019, la norma «compie un esplicito omaggio alla teoria dei “vantaggi compensativi”».

[7] L. Boggio, proposta n. 27, in www.centrocrisi.it.

[8] Così A. Nigro, I gruppi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: notazioni generali, in www.ilcaso.it, 23 gennaio 2020, 20 e in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 34.

[9] Come rileva O. Cagnasso, La domanda di accesso al concordato preventivo di gruppo in continuità, in NDS, 2020, n. 2, 146 e Id., La rilevanza dei vantaggi compensativi futuri: qualche recente conferma normativa, ivi, 2021, n. 2, 230, non si tratta di vantaggi compensativi in senso proprio, ma di sinergie derivanti dall’appartenenza al gruppo. Critici sono anche F. Lamanna e D. Galletti, Il primo correttivo al codice della crisi e dell’insolvenza, Milano, 2020, 205 s. (stante il «contesto completamente diverso» in cui il c.c.i.i. trapianta la regola dei vantaggi compensativi) e C.B. Vanetti, Il concordato di gruppo nel codice della crisi di impresa: una sintesi e alcune osservazioni, in Patrimonio sociale e governo dell'impresa. Dialogo tra giurisprudenza, dottrina e prassi in ricordo di G.E. Colombo, Torino, 2020, 26 (che sottolinea l’irrealizzabilità di vantaggi compensativi, «se allineati alla normale lettura “corrispettiva” (do ut des) dell’art. 2497 c.c.»).

[10] V. l’art. 289 della bozza del dicembre 2017.

[11] L. Boggio e D. Latella, proposta n. 28, in www.centrocrisi.it.

[12] M. Fabiani, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d’impresa, in Fallimento, 2016, 268, con riferimento al d.d.l. Rordorf, aveva qualificato la divisione delle masse attive e passive «un criterio forse invalicabile», che «avrebbe potuto essere almeno in parte attenuato con il rinvio alla teoria dei vantaggi compensativi», suggerimento poi recepito dal legislatore delegato.

[13] Sull’argomento v. di recente M. Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, in Orizzonti del diritto commerciale, 2021, n. 2, 627 ss., il quale (v. in particolare 277 ss.) si sofferma anche sulla difficoltà di applicare la logica dei vantaggi compensativi in prossimità o in presenza di uno stato di crisi dell’impresa.

[14] La dottrina è divisa. Per G. Meo e L. Panzani, Procedure unitarie “di gruppo” nel codice della crisi. Un “contrappunto”, in www.ilcaso.it, 20 dicembre 2019, 48 e 52, si tratterebbe di trasferimenti definitivi, assimilabili a distribuzioni, in quanto quelli temporanei dovrebbero ricondursi all’art. 292 c.c.i.i. Viceversa, per G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, in Corr. giur., 2020, 293 ss.; Id., Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 49, si tratterebbe di trasferimenti temporanei, assimilabili a finanziamenti, stante la sostanziale coincidenza dei presupposti richiesti dagli artt. 285 e 99, commi 1 e 3, c.c.i.i.

[15] Come sottolinea G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 288, «dal lato attivo, la regola dell’autonomia delle masse attive trova un contemperamento, potendo essere derogata attraverso i trasferimenti infragruppo».

[16] Questa specifica attestazione rievoca l’obbligo di motivazione di cui all’art. 2497 ter c.c.

[17] La formulazione di questa prima condizione si presta a una lettura estensiva, legittimando i trasferimenti anche in favore d’imprese per le quali sia prevista la liquidazione, purché funzionali a consentire la continuità aziendale di altre imprese del gruppo: cfr. G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 289.

 [18] Ne consegue che dell’impresa trasferente e ricevente dovrebbe essere prevista la continuazione, giacche la loro liquidazione impedirebbe il “ritorno di valore” presupposto dalla legge: così G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, cit., 292 s.; Id., Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 48. Probabilmente il legislatore plus dıxit quam voluit, poiché dovrebbe essere sufficiente che «l’operazione migliori il soddisfacimento dei creditori di una o più imprese senza pregiudicare quello dei creditori delle altre imprese, assicurando il c.d. ‘ottimo paretiano’»: così D’Attore, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 289.

[19] G. Guerrieri, Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), in Nuove leggi civ. comm., 2019, 849, nota 159.

[20] G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 290. Anche secondo O. Cagnasso, La domanda di accesso al concordato preventivo di gruppo in continuità, cit., 151, la regola dei vantaggi compensativi, sebbene dettata solo con riferimento ai soci, deve ritenersi un principio di portata generale, applicabile anche all’opposizione dei creditori.

[21] Trapianto che, prima del d.lgs. n. 14/2019, non era ritenuto possibile. Lo avevano espressamente escluso, in giurisprudenza, Trib. Roma, 25 luglio 2012, in ilFallimentarista, 21 settembre 2012, con nota di D. Galletti e in Fallimento, 2013, 748, con nota di C. Trentini. In dottrina R. Brogi, Il concordato preventivo di gruppo e la fusione, in www.osservatorio-oci.org, 2014, 8, rimarca che l’art. 2497 c.c. detta una regola di responsabilità per abuso dell’attività di direzione e coordinamento e non di realizzo della responsabilità patrimoniale, con la conseguenza che una deroga all’art. 2740 c.c. non può essere ricavata in via d’interpretazione analogica mancando l’eadem ratio.

[22] G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 428; Id., La crisi e l'insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, cit., 705. Sull’individuazione dei vantaggi compensativi in contesti di crisi v. amplius M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi di impresa nei gruppi di società, in Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol. III, Torino, 2014, 2755 ss.

[23] Così A.M. Azzaro e P. Bastia, La regolazione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi aziendali, in www.osservatorio-oci.org, dicembre 2020, 9 ss.

[24] Ad avviso di S. Morri, Commento breve agli articoli 284, 285 e 286 del Codice della Crisi sulla regolazione della crisi di gruppo con qualche spunto e i non pochi dubbi interpretativi, in ilFallimentarista, Focus del 3 giugno 2020, il rimedio potrebbe consistere nella stessa regolazione di gruppo: «il che accadrà ogni volta che da sola l'entità non potrebbe salvarsi dalla liquidazione giudiziale, con grave distruzione di valore, mentre insieme alle altre società del gruppo e nel contesto di una unica procedura essa potrebbe assicurare maggiori ritorni per il ceto creditorio».

[25] Per A. Farolfi, op. cit., il pregiudizio può non essere immediatamente eliso, purché il vantaggio compensativo non sia del tutto eventuale, ma possa ritenersi ragionevolmente certo e tale da poter essere oggetto della specifica attestazione richiesta dall’art. 285 c.c.i.i.

[26] Così G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, cit., 293.

[27] F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell'insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 2019, I, 1333; Id., Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse” nei concordati e negli accordi di ristrutturazione e di risanamento di gruppo, in Riv. dir. comm., 2021, I, 89 ss. V. anche M. Miola, Riflessioni su responsabilità per eterodirezione dell’impresa e procedure concorsuali, in Studi in onore di Giorgio De Nova, vol. 3, Milano, 2015, 2095 ss.

[28] Come scrive G. Racugno, I gruppi di imprese nella regolazione della crisi e dell’insolvenza. Appunti, in Dir. fall., 2020, I, 1280, non andrebbe trascurato «il rilievo del maggior valore destinato ad assumere, anche, per l’economia generale, il gruppo risanato per tutti gli stakeholders delle imprese in crisi mediante il salvataggio delle società ed il rientro nel mercato».

[29] Così L. Panzani, Il concordato di gruppo, in Fallimento, 2020, 1353.

[30] Come spiega V. Caridi, La revocatoria degli atti infragruppo nel CCI, in Dir. fall., 2020, I, 661, nota 79; Id., Il sistema revocatorio degli atti infragruppo, in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 147, nota 79, il richiamo tout court all’art. 2497, comma 1, c.c. contenuto nell’art. 290, comma 1, ultimo periodo, c.c.i.i. è errato sia per eccesso (poiché riferito in via immediata e diretta all’azione di responsabilità per abusiva attività di etero-direzione) che per difetto (il rimando al meccanismo dei vantaggi compensativi è solo mediato ed indiretto). Anche qualora, forzando il dato testuale, il rinvio fosse inteso alla sola ultima parte del comma in questione, resta il fatto che detta proposizione contempla due diverse esimenti, delle quali solo la prima può ritenersi prevista in accoglimento della teoria dei vantaggi compensativi. Più precisa era la formulazione dell’art. 293 ter dell’originario progetto Rordorf che subordinava expressis verbis l’esperibilità dell'azione revocatoria alla mancata integrale compensazione della lesione inferta ai creditori dell'impresa che effettua l'atto di disposizione, realizzata con « l’attribuzione di un corrispondente vantaggio ai sensi dell'art. 2497 c.c.».

[31] Il condizionale è d’obbligo giacché il legislatore continua ad offrire indicazioni contrastanti. Da un lato, dall’uso del plurale (enfatizzato dalla Relazione di accompagnamento) si potrebbe inferire il passaggio al curatore, oltre che dell’azione spettante ai creditori sociali (sicuramente di massa al pari di quella ex art. 2394 c.c.), anche dell’azione spettante ai soci di minoranza delle società eterodirette (anche l’art. 307 c.c.i.i. attribuisce al commissario liquidatore della l.c.a. l’azione di responsabilità ex art. 2497 c.c., senza specificare i commi richiamati). Dall’altro lato, l’art. 255, lett. d), c.c.i.i., nell’elencare le azioni esperibili dal curatore, menziona solo l’azione spettante ai creditori, mentre il decreto correttivo n. 147/2020 ha soppresso l’art. 382, comma 3, c.c.i.i. che prevedeva la sostituzione del termine «fallimento» con l’espressione «liquidazione giudiziale» nel comma 4 dell’art. 2497 c.c. Il tema resta dunque aperto: v. D.U. Santosuosso, Abuso dell’eterodirezione e poteri del curatore, in Dir. fall., 2020, I, 1255 e in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 161 ss., cui adde R. Agostinelli, Appunti sulla legittimazione attiva nell'azione ex art. 2497, comma 4, c.c., in ilFallimentarista, Focus del 19 gennaio 2021.

[32] Viceversa in base all’art. 2409 c.c. «soggetto passivo della procedura è, e resta, sempre e soltanto l’organo gestorio (o il collegio sindacale) della controllante»: cfr. App. Milano, 12 marzo 2005, in Giur. it., 2005, 2342, con nota di E. Dalmotto. Tra i contributi più recenti v. G. Doria, Ancora sul controllo giudiziario di gruppo, in Riv. dir. comm., 2021, I, 157 ss.

[33] Detta condizione implicita, non prevista dagli artt. 2497 quinquies c.c. e 292 c.c.i.i., è ricavata, in via interpretativa, da M. Miola, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 459 e in Riv. soc., 2019, 332; Id., La postergazione dei crediti infragruppo, in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, cit., 213. Sull’argomento v. anche M. Maugeri, Finanziamenti infragruppo e codice della crisi, in Fallimento, 2021, 1298 ss., al quale si rinvia anche per l’approfondimento dei rapporti dell’art. 292 c.c.i.i. con l’art. 2497-quinquies c.c. e con gli altri rimedi endoconcorsuali previsti dagli artt. 290 e 291 c.c.i.i.

[34] Per uno spunto v. L. Della Tommasina, Le azioni revocatorie nella liquidazione controllata dell'impresa agricola, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, n. 3, 1037 ss.

[35] Cfr. Cass., 30 luglio 2020, n. 16263, in Fallimento, 2021, 38, con nota di M. Spiotta.

[36] Così l’art. 12, comma 4, c.c.i.i. Sotto tale profilo sarà tuttavia necessario integrare il d.lgs. n. 14/2019 che, oltre a non contenere norme ad hoc sul funzionamento dell’allerta nei gruppi, esclude quelli di rilevante dimensione, mentre in base al Cons. n. 22 della Direttiva Insolvency «gli Stati membri dovrebbero essere in grado di […] stabilire specifiche disposizioni in materia di strumenti di allerta precoce per le imprese e i gruppi di grandi dimensioni, tenendo conto delle loro peculiarità».

[37] L’espressione è di D. Vidal–G.C. Giorgini, Cours de droit des entreprises en difficulté, Issy-les-Moulineaux, 2016, 62.

[38] Cfr. P. Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 487 ss.; R. Russo, Collegio sindacale e impresa in crisi, Milano, 2021, 201 ss.

[39] Forse, per creare un circolo virtuoso, si potrebbe pretendere di più: ad esempio, che le imprese target dell’azione statale s’impegnino per generare esternalità positive e/o produrre/gestire beni pubblici in proporzione agli utili che realizzeranno nei prossimi anni.

[40] Non pare che l’esclusione degli enti territoriali dalla nozione di gruppo costituisca un argomento sufficiente ad escluderli, qualora svolgano un ruolo di holding, dalla soggezione alla disciplina di cui artt. 2497 ss. c.c. in quanto: a) la definizione ha carattere settoriale (serve a precisare l’ambito applicativo del c.c.i.i.) e b) una diversa interpretazione eccederebbe le previsioni della legge delega: così Codazzi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento dell’ente pubblico holding, in Società, 2021, 834.

[41] Come aveva già scritto P. Montalenti, Il gruppo di società a partecipazione pubblica, in AA.VV., Le imprese a partecipazione pubblica, a cura di G.Presti e M. Renna, Milano, 2018, 45 ss., la società dovrà perseguire, contemperandole con i normali obiettivi di efficienza aziendale e di economicità, anche finalità sociali espressamente imposte dal legislatore in termini di accessibilità, continuità, qualità, sicurezza, etc. In quest’ultima prospettiva, anche la valutazione dei vantaggi compensativi dovrebbe fondarsi su un ponderato apprezzamento della duplicità, se non pluralità, di interessi coinvolti. Anche per Cass., 1° giugno 2021, n. 15276, in Diritto & Giustizia, 3 giugno 2021, con nota di G. Satta, Società controllata dallo Stato: nessun abuso di attività di direzione e coordinamento - a prescindere dalla questione inerente l’efficacia retroattiva della norma d’interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. - per valutare la sussistenza di una responsabilità ex art. 2497 c.c. occorre «tenere conto di tutti gli eventuali interventi - anche esterni - volti a prevedere e determinare “misure compensative” idonee a ridimensionare od annullare gli effetti pregiudizievoli della scelta operativa imposta dal socio pubblico di maggioranza». Di recente v. amplius F. Fimmanò, Il caso Alitalia: l’abuso di eterodirezione del MEF, in www.ilcaso.it, 21 ottobre 2021 e il focus di C. D’Aries e A. Ventura, L’attività di direzione e coordinamento dell’ente pubblico socio sulla società in house providing, in ilSocietario, 20 ottobre 2021.

[42] Arg. desunto dall’art. 7 del d.l. n. 23/2020 (c.d. decreto Liquidità), poi sostituito dall’art. 38 quater del d.l. n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio).

[43] V. l’art. 8 della l. n. 147/2021.

[44] Misura originariamente prevista dall’art. 6 del d.l. n. 23/2020 fino al 31 dicembre 2020 e poi prorogata dall’art. 1, comma 266, della l. n. 178/2020 (c.d. legge di bilancio 2021) di un quinquennio per le perdite emerse nell’esercizio 2020.

[45] Cfr. D. Latella, L’eclissi del capitale sociale ai tempi del Covid-19, in AA.VV., Oltre la pandemia. Società, salute, economia e regole nell’era del post Covid, a cura di G. Palmieri, Napoli, 2020, 357 ss.; Id., Legislazione “Covid” e finanziamento delle società: quale ruolo per il capitale legale?, in Questioni di diritto civile all’epoca del coronavirus, a cura di E. Gabrielli e G. Sicchiero, in Giur. it., 2020, 2337 ss.

[46] Per uno spunto a favore della possibilità di tener conto della “storia del gruppo” v. S. Poli, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., in Fallimento, 2016, 157, nota 63; Id., Il concordato di gruppo: ii) verifica critica degli approdi giurisprudenziali con tentativo di ricavare dal sistema le chiavi per un parziale superamento del dogma della separazione delle masse (attive) (Parte II), cit., 126. Contra G. Oppo, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni, in Riv. dir. civ., 2003, I, 471 ss., a cui avviso gli esiti (colpevolmente) dannosi non dovrebbero compensarsi con quelli vantaggiosi scaturiti da una corretta gestione. «Diversamente, si arriverebbe a dire che il gestore che abbia operato bene in passato (senza limiti di tempo?) può esimersi da responsabilità per comportamenti dannosi, invocando i risultati utili della sua precedente attività». Un’obiezione degna della massima attenzione, anche se l’espressione «mancante» (utilizzata dall’art. 2497 c.c.) sembra priva di una coloritura temporale, nel senso che dovrebbe lasciare la possibilità di valutare il risultato complessivo sia nella logica del forward looking che in un’ottica retrospettiva.

[47] Rectius, fare in modo che la polizza assicurativa possa coprire gli ineliminabili rischi connessi alla prospettazione dell'evoluzione futura della situazione aziendale.

[48] M. Pezzetta, Piani di risanamento della crisi d’impresa oltre i cinque anni. La circ. n. 34/2020 delle Entrate esclude schemi generalizzati e propende per tempistiche basate sul caso concreto, in Eutekne.Info, 22 febbraio 2021; M. Rubino e A. Turchi, L’orizzonte temporale del piano alla luce dei nuovi principi di attestazione e della circolare 34/E dell’Agenzia delle Entrate, in www.ilcaso.it, 15 gennaio 2021.

[49] Cfr. L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 362.

[50] V. la proposta avanzata da N. Abriani, Serve un diritto dell'economia aperto all'innovazione, in Il Sole-24 Ore del 24 giugno 2020 e le riflessioni di S. Cerrato, Pericoli ed opportunità di un «nuovo diritto per l'economia». Riflessioni a margine di un intervento di Niccolò Abriani, in Giustizia civile.com, Editoriale del 7 settembre 2020.

[51] Il discrimen fra fisiologia e patologia che P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., 732, aveva individuato nella causazione del dissesto della società, oggi andrebbe anticipato e fatto coincidere con lo squilibrio economico-finanziario e la perdita della continuità aziendale.

[52] V. la scheda n. 16 delle «Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022».

[53] Nominata con d.m. nell’aprile 2021 (per valutare l’opportunità di differire l’entrata in vigore di alcune norme del c.c.i.i. e formulare proposte correttive/integrative del medesimo codice in attuazione della Direttiva n. 2019/1023/UE) e riconfermata nel settembre dello stesso anno per portare a termine il lavoro di revisione.

[54] La miniriforma di quest’estate ha già sollevato un vivace dibattito, del quale si è ampiamente dato conto anche in questa Rivista: tra i primi commenti v. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ristrutturazioniaziandali.ilcaso.it, 23 agosto 2021; Id., Il concordato semplificato: primi appunti, ivi, 23 settembre 2021; Id., Appunti sui doveri degli amministratori di s.p.a. e sulle azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi e della “miniriforma” del 2021, ivi, 23 novembre 2021; V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della Direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, ivi, 17 ottobre 2021. Per la dottrina aziendalistica v. P. Bastia, Prime considerazioni aziendalistiche sulla composizione negoziata della crisi, ivi, 4 novembre 2021.

[55] Così I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021, 31.

[56] I. Pagni, Le scelte del dl n. 118/2021: tra autonomia negoziale e intervento del giudice, Relazione al Convegno di Bergamo del 15 e 16 ottobre 2021, la cui riproduzione audio-video è disponibile sul sito www.dirittodellacrisi.it.

[57] Per un primo commento si rinvia a P. Bosticco, La composizione negoziata: trattative e gruppo di imprese, in ilFallimentarista, Focus del 13 settembre 2021; M. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in dirittodellacrisi.it, 23 novembre 2021; N. Abriani e L. Benedetti, Il gruppo d’imprese ha una sua trattativa ad hoc, in AA.VV., La crisi d’impresa, a cura di M. Pollio, Milano, 2021, 133 ss.; N. Abriani e G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa. Commento al D.L. n. 118 del 2021 conv. con L. n. 147 del 2021, Numero speciale novembre 2021 della Rivista dirittodellacrisi.it, 120 ss.

[58] Ossia, come l’insieme delle società/imprese/enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli artt. 2497 e 2545-septies c.c. esercitano o sono sottoposti all’attività di direzione e coordinamento di una società/ente o di una persona fisica. Quest’ultimo riferimento manca nell’art. 2497 c.c.; non pare del tutto “metabolizzato” (basti pensare che l’art. 13, comma 3, nell’individuare la CCIAA competente, rinvia alla pubblicità ex art. 2497 bis c.c., norma che, stante la diversa elencazione dei soggetti che possono assumere il ruolo di holding, non menziona la persona fisica) ed è denso d’implicazioni sistematiche (poiché potrebbe legittimare il c.d. “gruppo di fatto”). L’art. 13 d.l. n. 118 non ripete l’inciso finale(peraltro già desumibile dal richiamo implicito all’art. 2359 c.c.)«sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto», mentre richiama le presunzioni juris tantum secondo cui l’attività di direzione e coordinamento delle (sole) società del gruppo si presume sia esercitata dalla società/ente (non viene più menzionata la persona fisica): a) tenuto al consolidamento dei loro bilanci; b) che le controlla, direttamente, indirettamente o anche congiuntamente.

[59] P. Montalenti, Crisi d’impresa e risanamento aziendale: prime riflessioni, in NDS, 2021, n. 10, 1595.

[60] Emblematica la domanda 6.5.: «Le operazioni infragruppo previste nel piano possono arrecare un pregiudizio per i creditori di un’altra impresa del gruppo? (a cura dell’esperto)».

[61] Come scrive S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021, 14 e nota 22, l’art. 10, comma 1, lett. c) presuppone «una valutazione complessa in capo al giudice nel cui quadro sembrano potere rilevare anche i c.d. “vantaggi compensativi”. Rilevano, cioè, non solo le utilità stimate sulla base di una potenziale migliore soddisfazione nominale del credito monetario, ma anche quelle suscettibili di collegarsi, non tanto alla percentuale numerica del credito, ma alla posizione del suo titolare, nonché della singola sotto categoria nella quale costui si iscrive». Ad esempio, «Per i dipendenti dell’impresa può essere di maggior pregio il mantenimento del posto di lavoro in un’azienda rivitalizzabile con iniezioni finanziarie di terzi, che non la serratura dell’opificio, con la perdita del posto di lavoro e l’acquisizione di un obolo in più alla borsa del riparto concorsuale».

[62] V. l’art. 10, comma 2.

[63] Possibilità che dovrebbe valere anche per i gruppi (arg. desunto dall’art. 2, comma 2, d.l. n. 118) e in relazione alla quale il protocollo di conduzione della composizione negoziata invita l’esperto a dare conto se l’acquirente rivesta la qualifica di parte correlata all’imprenditore (v. Sezione III, par. 12.4).

[64] E non fino all’80% del loro ammontare come previsto dall’art. 102 c.c.i.i.

[65] L’art. 13, al comma 7, non ripete l’inciso contenuto nel comma 2.

[66] L’art. 13, comma 8, precisa che la c.n.c., iniziata in maniera “atomistica”, prosegue con l’ausilio dell’esperto designato di comune accordo fra quelli in origine nominati o, in mancanza di accordo, di quello nominato a seguito dell’istanza presentata per prima, dettando così un criterio definito «un po’ sbrigativo che può comportare che la procedura sia gestita anche dall’esperto designato per un’impresa che svolge un ruolo marginale nel gruppo» (così P. Bosticco, op. cit., 7). Per contro, il comma 6 non precisa se si debba procedere alla nomina di più esperti nel caso in cui s’intenda realizzare il percorso opposto.

[67] Ad avviso di N. Abriani e G. Scognamiglio, op. cit., 126, non vi sarebbe tuttavia ragione per: a) precludere la predisposizione di un piano unitario di gruppo rafforzato dall’attestazione (ancorché tale strumento di risanamento sia richiamato nel terzo comma dell’art. 11); b) escludere la legittimità di separate convenzioni di moratoria per singole società eterodirette o per la stessa capogruppo stante la difficoltà di ricondurre ad omogeneità categorie di creditori di distinte società del gruppo e di attestare che il pregiudizio derivante dall’estensione degli effetti della convenzione risulti «proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite».

[68] Che, come suggerisce il nomen juris, serve a vendere in maniera agevole e rapida l’azienda in affanno «ogni qualvolta il rallentamento processuale non assicurerebbe ai creditori un beneficio monetario maggiore, né un virtuale vantaggio compensativo»: così S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021, 13.

[69] Anche i par. 7.5 e 10.1 del decreto dirigenziale alludono esplicitamente all’eventualità che il margine operativo lordo negativo «sia compensato dai vantaggi per i creditori» derivanti dalla continuità, così adottando un’accezione lata della teoria.

[70] V. per la dottrina civilistica L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2010, 28 ss. e per la dottrina commercialistica M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 9 dicembre 2016.

[71] Ad esempio, per L. Boggio, Concordato preventivo - separazione di masse, contribuzioni, consolidazione e concordato di gruppo: quo vadis?, in Giur. it., 2019, 1377, «se la continuità aziendale già oggi può giustificare soluzioni di rischio per la conservazione del patrimonio concorsuale ed il ricorrere della direzione e coordinamento su una società consente di imporle condotte pregiudizievoli a condizione che le stesse siano preordinate ad ottenere vantaggi compensativi, allora il passo è breve ad ammettere che una società del gruppo possa già oggi compiere anche singoli atti suscettibili di incidere negativamente sulla propria consistenza patrimoniale a patto di ottenere un beneficio futuro maggiore dello svantaggio attuale».

[72] Per la prospettazione della regola «puoi danneggiare a condizione che il danno sia aliunde compensato» v. G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, 579 ss. e in Riv. dir. priv., 2011, 534. Ha aderito a tale suggestiva ricostruzione anche M. Maugeri, Interesse sociale, interesse dei soci e interesse del gruppo, in Giur. comm., 2012, I, 66 ss., il quale definisce un vero «privilegio» quello degli amministratori della società diretta e coordinata di eseguire operazioni per essa svantaggiose ove la controllante assicuri una valoristicamente adeguata prestazione compensativa. Per approfondimenti si rinvia a v. G. Salatino, La responsabilità della holding nel nuovo art. 2497 c.c.: davvero una “nuova frontiera” della responsabilità civile?, in Resp. civ., 2010, 304 ss.

[73] La giurisprudenza non pare ancora pronta a compiere questo passo. Per Trib. Roma, 25 luglio 2012, in www.ilcaso.it, «viola la regola di ordine pubblico posta dall'art. 2740 c.c., […], la proposta di concordato che preveda una cessione soltanto parziale dei beni e ciò nonostante prospetti determinati vantaggi compensativi per i creditori». Più permissivo pare Trib. Ravenna, 29 ottobre 2015, in Giur. comm., 2016, II, 1259, con nota di S. Lovisatti: «L’operazione di scissione parziale proporzionale, caratterizzata dalla continuazione dell'attività sociale in capo alla scissa e avente come beneficiaria una società di nuova creazione destinata esclusivamente al soddisfacimento dei creditori, rappresenta un’evidente deroga all'art. 2740 c.c. che richiede la sussistenza di concreti e monetizzabili vantaggi compensativi». Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 17 ottobre 2018, n. 26005, in Giur. comm., 2019, II, 1036, con nota di M. Sabbioni.

[74] Un’apertura in questa direzione potrebbe leggersi tra le righe di Trib. Roma, 5 febbraio 2008, (in Giur. it., 2009, 109, con nota di R. Weigmann e in Società, 2009, 491, con commento di V. Scognamiglio), che, dopo aver ribadito che l’esistenza di collegamenti di gruppo, per quanto intensi, non elimina la distinta soggettività delle società controllate e non può quindi legittimare il sacrificio degli interessi dei quali tali società sono portatrici, aggiunge: «tanto più quando una parte non irrilevante (il 30% circa) del capitale della società danneggiata sia sottoscritta da soggetti estranei al gruppo di controllo che, appunto perché tali, non hanno la possibilità di partecipare ai vantaggi conseguiti da altre società del gruppo a danno di quella di cui essi sono soci».

[75] Cfr. Trib. Bologna, 8 ottobre 2009, decr. inedito, ma citato da S. Poli, Il “concordato di gruppo”: i) profili problematici, agnosticismo del legislatore e supplenza giurisprudenziale, in Contr. e impr., 2014, 1369.

[76] Per una sintetica rassegna giurisprudenziale sia consentito rinviare a M. Spiotta, La teoria dei vantaggi compensativi: quale momento migliore per metterla in pratica?, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2021, fasc. 2, 864, nota 151.

[77] Ad avviso di R. Sacchi, Conclusioni, in AA.VV., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, in Giur. comm., 2002, I, 634, sarebbe più corretto parlare di «teoria dei vantaggi (che non si sa se siano) compensativi».

[78] Espressione coniata da C.B. Vanetti, op. cit., 27.

[79] V. Di Cataldo, A proposito del libro di Paolo Montalenti, Impresa, Società di capitali, Mercati finanziari, in Giur. comm., 2020, I, 451.

[80] Così, con riferimento alla relazione sulla gestione, R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, I, 674 ss.

[81] I. Pagni, intervenendo al XXVIII Convegno Nazionale di Studi organizzato ad Alba il 20 novembre 2021 nel Panel «Dall’allerta alla composizione negoziata. Buoni propositi e difficoltà pratiche ovvero il diavolo è nei dettagli», ha sottolineato che il diavolo spesso si annida, non nelle presunte difficoltà pratiche incontrate dalle CCIAA nella predisposizione della piattaforma telematica, quanto nell’interpretazione cavillosa e destruens delle leggi (nella specie, la n. 147/2021).