, 26 gennaio 2022, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. La necessità di coordinare disposizioni societarie e concorsuali. – 2. I presidi all’esecuzione della proposta concorrente omologata: l’onere di collaborazione del debitore e i poteri del commissario giudiziale. – 3. (Segue) La revoca dell’organo amministrativo e la nomina dell’amministratore giudiziario. – 4. (Segue) Le innovazioni apportate dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. – 5. L’aumento del capitale nella proposta concorrente. – 6. (Segue) La limitazione o l’esclusione del diritto di opzione. – 7. (Segue) La tutela dei soci della debitrice.
* Il
presente contributo è destinato agli Studi
in onore di Paolo Montalenti
1. La necessità di coordinare disposizioni societarie e concorsuali
La crisi d’impresa, quando colpisce realtà strutturate secondo gli schemi societari, porta con sé la “coabitazione” delle regole del diritto concorsuale con la disciplina societaria. A valle delle recenti riforme, essa avviene in un contesto di forte interrelazione tra le discipline, nell’ambito di quello che è stato definito un ““ponte sistematico” tra impresa-società-crisi”[1].
L’interferenza assume un rilievo particolare sotto il profilo della “governance” della soluzione della crisi ogniqualvolta essa per venire attuata necessiti, almeno secondo gli ordinari meccanismi societari, della cooperazione degli organi sociali (in particolare di quello preposto alla gestione) o dei soci; cooperazione la quale, tuttavia, non può ritenersi scontata.
La concreta rilevanza della questione non ha una rilevanza “statistica” uniforme. Essa di norma non assume connotati di particolare problematicità quando il piano per fronteggiare la crisi sia elaborato dagli amministratori, i quali godano del pieno sostegno di una solida maggioranza assembleare. In questi casi il proficuo dialogo tra amministratori e soci agevola infatti il conseguimento delle condizioni per la realizzazione del programma di risanamento, anche quando esso postuli decisioni dell’assemblea.
D’altro canto, nella prassi si presentano anche situazioni di segno diverso. Dinanzi alla crisi (e, a fortiori, quando essa trascenda nella vera e propria insolvenza[2]), gli amministratori sono tenuti ad attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale (art. 2086 c.c.)[3]; in ciò tenendo necessariamente conto della pluralità degli interessi coinvolti, inclusi quelli dei creditori. Non può quindi escludersi che l’organo gestorio si orienti per percorsi funzionali al risanamento, ma non del tutto graditi ai soci, come potrebbe avvenire nell’ipotesi di “alleanza” con un nuovo partner, disponibile a fornire risorse “fresche” in misura tale da assicurare il superamento della crisi, ma al (non trascurabile) “prezzo” del contestuale acquisto del controllo della società. Di qui il rischio la soluzione individuata dall’organo amministrativo, pur legittima e idonea a superare la crisi, venga osteggiata dai soci, i quali, ad esempio, potrebbero rifiutarsi di consentire al terzo l’ingresso nella compagine, senza peraltro essere in grado di fornire alternative concretamente praticabili.
Il tasso di probabilità di insorgenza di conflitti di questo genere si incrementa significativamente nell’ipotesi in cui la soluzione della crisi sia elaborata non dagli amministratori (che sono pur sempre espressione della maggioranza assembleare), ma da un terzo. È ciò che accade con la proposta concorrente di concordato preventivo[4].
Nei casi di ricorso a questo strumento le interazioni (potenzialmente) problematiche tra diritto societario e diritto concorsuale si pongono a due differenti livelli.
Il primo attiene alla necessità di ottenere la cooperazione del debitore, vale a dire, trattandosi di società, del suo organo amministrativo. La collaborazione dei vertici sociali è indispensabile, in particolare, ogniqualvolta vada eseguita una proposta concorrente non acquisitiva, che non preveda, cioè, l’acquisto del controllo della società da parte del terzo proponente[5].
Il secondo viene in considerazione quando il piano elaborato dal terzo contempli una o più operazioni che necessitino, secondo il diritto societario, dell’approvazione dei soci. In queste ipotesi la necessità di cooperazione “sale di grado” e si sposta dal livello della gestione a quello degli assetti proprietari, postulando il diretto coinvolgimento della compagine sociale. Sono questi i casi dell’aumento di capitale (di particolare interesse, perché utilizzabile dal terzo per acquisire il controllo della società debitrice) e delle operazioni societarie straordinarie. Qui occorre l’assenso di soggetti (i soci) non solo distinti dal proponente, ma anche in (potenziale) conflitto con esso, dal momento che, normalmente, la maggioranza assembleare sostiene la proposta concordataria originaria, formulata dall’organo amministrativo.
Di qui la necessità di interrogarsi sul coordinamento tra regole concorsuali (che attribuiscono al terzo la possibilità, a determinate condizioni, di elaborare una autonoma soluzione alla crisi, anche contro la volontà dell’imprenditore) e le disposizioni societarie (che fanno dipendere alcune operazioni, incluse alcune che potrebbero rivelarsi essenziali nell’economia della proposta del terzo, da amministratori e soci), anche alla luce dei peculiari strumenti introdotti al riguardo dal nostro legislatore sin dal 2015.
La sua impostazione, peraltro, non può dirsi isolata. Sono diversi gli ordinamenti che hanno da tempo adottato meccanismi atti a impedire, a determinate condizioni, che i soci possano “bloccare” il perfezionamento di operazioni societarie funzionali alla ristrutturazione (o, comunque, al superamento della crisi o dell’insolvenza).
Nell’esperienza tedesca, a partire dal 2012, per effetto delle modifiche apportate all’Insolvenzordnung dal Gesetz zur weiteren Erleichterung der Sanierung von Unternehmen (ESUG), i diritti dei soci sono suscettibili di essere compressi onde consentire l’attuazione delle misure contemplate nell’Insolvenzplan[6].
Analogamente, in Francia sono previste due ipotesi di aumento di capitale che prescinde dalla cooperazione dei soci, entrambe incardinate nella procedura di redressement judiciaire. L’art. L631-9-1 c. comm., introdotto dall’ordonnance del 12 marzo 2014, n. 326, stabilisce che quando il capitale non sia stato ricostituito in conformità a quanto prescritto dall’art. L626-3 c. comm., l’administrateur ha la possibilità di chiedere che sia designato un mandataire en justice, con l’incarico non solo di convocare l’assemblea affinché deliberi sulla ricapitalizzazione, ma anche di esercitarvi il diritto di voto in luogo dei soci che si oppongano alla realizzazione del piano, ove esso preveda una modifica del capitale a favore di quanti di impegnino a eseguirlo[7]. Ancora più rilevante è la disciplina prevista, per le sole società che superino determinate soglie dimensionali, dall’art. 631-19-2 c. comm., introdotto dalla c.d. “loi Macron” (del 6 agosto 2015, n. 990)[8].
2. I presidi all’esecuzione della proposta concorrente omologata: l’onere di collaborazione del debitore e i poteri del commissario giudiziale
Come si è detto nel paragrafo precedente, la prima questione che viene in considerazione attiene alla necessità, dinanzi alla proposta concorrente che sia risultata prevalente, abbia ottenuto l’approvazione dei creditori e sia infine andata incontro all’omologazione, di garantire la collaborazione dell’organo amministrativo (sul presupposto che esso non sia – o non sia ancora – mutato nella sua concreta composizione), affinché faccia proprio il piano del terzo e lo esegua con la dovuta diligenza.
A questo proposito sin dal 2015 sono state introdotte specifiche disposizioni, alcune relative alla generalità dei debitori, altre rivolte esclusivamente a quelli costituiti in forma di società.
Anzitutto l’art. 185, 3° comma, l.fall. (al quale corrisponde, nella sostanza, l’art. 118, 3° comma, c.c.i.i., pur con le importanti innovazioni di cui si dirà al successivo paragrafo 4) pone a carico del debitore il generale dovere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta e al piano del terzo. Com’è stato osservato, “è questa la norma di riferimento in tema di esecuzione della proposta concorrente, che introduce un vero e proprio obbligo di fare a carico del debitore, il cui contenuto dovrà poi essere concretamente declinato in relazione al caso concreto”[9].
Il concreto oggetto di questo obbligo muta a seconda dei casi. Nelle ipotesi di proposte “acquisitive” si tratta essenzialmente di dare corso alle formalità necessarie per consentire al terzo di apprendere il patrimonio dell’imprenditore, di norma dando seguito all’impegno di assunzione o mediante la deliberazione e la sottoscrizione dell’aumento di capitale. Laddove invece ci si trovi al cospetto di proposte meramente modificative (le quali non prevedono che il terzo sostituisca l’imprenditore nella gestione della crisi), è comunque il debitore a dover eseguire la proposta e il piano approvati, nonostante essi non corrispondono a quelli che egli aveva elaborato. Il livello di collaborazione richiesto all’imprenditore è inoltre condizionato dalla natura del concordato: il suo ruolo è oggettivamente modesto nelle soluzioni fondate sulla cessione dei beni, essendo prevista la nomina del liquidatore (artt. 182 l.fall. e 114 c.c.i.i.), mentre assume rilevanza ben maggiore nei casi di continuità aziendale.
Onde scongiurare che tale generale obbligo di cooperazione venga disatteso, la legge ha introdotto un articolato sistema di controlli e di sanzioni[10], che il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza rafforza ulteriormente.
Le legge affida la reazione all’inerzia del debitore sia al commissario giudiziale (art. 185, 4° comma, l.fall. e art. 118, 4° comma, c.c.i.i.) che del terzo proponente (art. 185, 5° comma, l.fall. e art. 118, 5° comma, c.c.i.i.), mentre non sono previste iniziative degli altri creditori[11]. D’altro canto essi, pur non essendo legittimati a rivolgersi direttamente al tribunale, sembrano comunque avere la possibilità di stimolare l’azione dell’organo commissariale[12], il quale ben si presta a fungere da “filtro” rispetto alle segnalazioni eventualmente ricevute.
Ogniqualvolta il commissario, nell’espletamento della propria attività di sorveglianza, rilevi che il debitore abbia omesso o ritardato il compimento di atti necessari a dare esecuzione alla proposta, è tenuto a riferire senza indugio la circostanza al tribunale, il quale, dopo aver sentito il debitore (e, ancorché la norma non lo prescriva espressamente, il terzo proponente)[13], può attribuire al commissario medesimo i poteri necessari per provvedere in luogo dell’imprenditore.
Il compito che la norma gli affida, pur in qualche modo coerente con la sua funzione di controllo[14], ne oltrepassa il consueto perimetro. In queste situazioni l’organo commissariale non si limita alla segnalazione della criticità, ma assume un ruolo attivo nella gestione, paragonabile a quello di un vero e proprio “commissario ad acta”[15]. I suoi poteri sono fissati dal tribunale con ampia discrezionalità, tenendo conto dell’entità del ritardo o dell’omissione e di ciò che concretamente occorra fare per provi tempestivo rimedio.
Questo impianto si traduce in una significativa incisione della sfera del debitore, il quale, nonostante sia ritornato in bonis per effetto dell’omologazione (che determina la chiusura del concordato ex artt. 181 l.fall. e 113 c.c.i.i.), è comunque suscettibile di essere sottoposto a quella che appare, a tutti gli effetti, una forma di spossessamento[16], ancorché “postumo” e di portata particolare, anziché generale.
Le medesime misure possono essere richieste dal terzo proponente. Egli ha la possibilità di denunciare al tribunale l’inerte condotta del debitore mediante il deposito di un ricorso, da notificarsi – ai fini dell’instaurazione del contraddittorio – al debitore stesso e al commissario giudiziale. Ove ritenga l’iniziativa fondata, il collegio assegna al commissario i poteri necessari per superare l’inadempimento.
3. (Segue). La revoca dell’organo amministrativo e la nomina dell’amministratore giudiziario
Ai debitori costituiti in forma societaria è dedicata una norma speciale, che si affianca a quella di portata generale. L’art. 185, 6° comma, l.fall. stabilisce che il tribunale, sentiti in camera di consiglio il debitore e il commissario giudiziale (al quale sembra doversi aggiungere, anche questa volta, il terzo proponente), può revocare l’organo amministrativo e nominare un amministratore giudiziario, se del caso individuandolo nel liquidatore giudiziale, ove già designato. Il collegio stabilisce la durata del suo incarico e gli attribuisce il potere di compiere tutti gli atti necessari a dare esecuzione alla proposta del terzo, incluso, laddove essa preveda un aumento del capitale della società debitrice, quello di convocare l’assemblea dei soci al fine di deliberarlo e di esercitarvi il diritto di voto.
Con la nomina dell’amministratore giudiziale (in luogo dell’attribuzione al commissario giudiziale del ruolo di “commissario ad acta”) la coercizione si intensifica. Non si concretizza soltanto uno spossessamento (peraltro parziale), ma si arriva addirittura a influire direttamente sulla governance del debitore[17]. Com’è stato osservato, “si è in presenza di una nuova ed incisiva deroga al tradizionale insegnamento che afferma la sostanziale neutralità delle vicende concorsuali rispetto al contratto ed all’organizzazione sociale, potendo adesso il tribunale incidere non solo sul patrimonio sociale, ma anche sugli organi della società”[18].
Gli strumenti previsti dall’art. 185 l.fall. sono declinati mediante semplice giustapposizione, foriera di qualche difficoltà nell’enucleazione dell’esatto rapporto tra le figure del commissario giudiziale e dell’amministratore giudiziale. Gli unici dati davvero perspicui coincidono con il fatto che l’amministratore giudiziale può essere nominato solo quando il debitore sia costituito in forma societaria (né, del resto, poteva essere altrimenti) e che solo all’amministratore giudiziale spettano i poteri relativi alla convocazione dell’assemblea e all’esercizio del diritto di voto nella stessa.
In un’ottica di semplificazione, si potrebbe essere tentati di ritenere che il commissario venga in considerazione in tutti i casi di debitori diversi dalle società, mentre per queste ultime, ove sia necessario intervenire, scatti invariabilmente la designazione dell’amministratore giudiziale. Il tenore letterale delle norme non sembra tuttavia autorizzare questa lettura: l’attribuzione al commissario giudiziale di poteri idonei a rimediare all’inerzia del debitore sembra infatti essere prevista in via generale e senza limitazione agli imprenditori individuali. Anche nel caso di società, del resto, essa potrebbe rivelarsi utile (e preferibile) ogniqualvolta le specifiche caratteristiche del ritardo o dell’omissione non giustifichino la rimozione dell’organo amministrativo[19].
In questa luce, deve probabilmente concludersi che, mentre dinanzi a inadempimenti di minore gravità è sufficiente affidarsi, anche laddove il debitore sia una società, al commissario giudiziale (nella sua peculiare veste di “commissario ad acta”), la designazione dell’amministratore giudiziale diventa invece necessaria nelle situazioni più gravi e, comunque, ogniqualvolta si renda necessario adottare decisioni assembleari[20].
Sembra pertanto corretto concludere, sul punto, che “alla nomina dell’amministratore giudiziario si debba pervenire, come alla nomina dell’amministratore giudiziario ai sensi dell’art. 2409 c.c. riservata ai casi di gravi irregolarità non altrimenti eliminabili, solo quando l’attuazione della proposta del terzo omologata non sia altrimenti realizzabile; quale extrema ratio, cui far ricorso quando gli amministratori in carica o il liquidatore, se la società è stata sciolta e posta in liquidazione, non siano in grado, per scelta volontaria o non, di dare esecuzione alla proposta del terzo né siano sufficienti i poteri di gestione e liquidazione del patrimonio sociale che possono essere assegnati ad un commissario, ma si debba intervenire sulla vita e la struttura della società, per cui è richiesto un organo che si sostituisca ai legali rappresentanti sociali non per il compimento di atti specifici, ma per far funzionare la società in ottica strumentale alla realizzazione del piano approvato e da portare ad esecuzione”[21].
4. (Segue) Le innovazioni apportate dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Il codice delle crisi e dell’insolvenza, pur confermando la sostanza della disciplina dell’esecuzione della proposta concorrente di cui alla legge fallimentare, è foriero, sul punto, di alcune significative innovazioni.
La prima – e probabilmente la più rilevante – va ravvisata nella circostanza che l’art. 118, 3° comma, c.c.i.i. non fa riferimento alla “proposta di concordato presentata da uno o più creditori” (come l’art. 185, 3° comma, l.fall.), bensì, più in generale, alla “proposta di concordato anche se presentata da uno o più creditori”. Al di là dell’esplicitazione del dovere del debitore di eseguire qualsiasi proposta omologata (che, anche nell’impianto attualmente vigente, vale per quella dello stesso imprenditore prim’ancora che per quella del terzo), il quid novi sta nell’ampliamento del perimetro applicativo delle misure coercitive di cui al successivo art. 118, 4° comma, c.c.i.i., il quale regola la già menzionata attribuzione al commissario, da parte del tribunale, dei poteri necessari per dare esecuzione al concordato nonostante l’inerzia del debitore.
Nella legge fallimentare il presidio del facere commissariale è circoscritto esclusivamente all’attuazione della soluzione dell’insolvenza proposta dal terzo, presumendosi che il debitore si adoperi spontaneamente per adempiere alla propria[22], onde scongiurare il rischio di risoluzione. Il dato esperienziale ha tuttavia talora sconfessato tale congettura: sono molti i casi di imprenditori che ritardano o omettono l’esecuzione dei propri piani e delle proprie proposte omologate, anche in ragione del fatto che l’attribuzione ai soli creditori del potere di chiedere la risoluzione ha fino a oggi condotto a un tasso molto ridotto di istanze in tal senso[23]. Di qui l’opzione della riforma “organica” per l’intensificazione della tutela dei creditori (interessati alla corretta esecuzione del concordato, indipendentemente dall’autore della proposta), estendendo a tutti i concordati lo strumento dell’attuazione “forzosa” per mano del commissario giudiziale[24].
Trova conferma anche lo strumento della nomina dell’amministratore giudiziale, la quale pare tuttavia necessariamente dipendere dall’iniziativa del soggetto che abbia depositato la proposta. L’art. 118, 5° comma, c.c.i.i. gli assegna infatti il potere di formulare la denuncia al tribunale, incardinando nella sua iniziativa (e non in quella commissariale) l’eventuale nomina di un amministratore giudiziale, con l’opportuna precisazione che restano in ogni caso salvi i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza.
A tutta prima, anche nella nuova impostazione l’istituto sembrerebbe concepito essenzialmente per offrire tutela al terzo proponente, conservando alle proposte concorrenti un profilo di specialità sotto il profilo della loro esecuzione “coatta”. D’altro canto, non può probabilmente escludersi che gli stessi amministratori possano avvalersene, naturalmente non per dolersi della propria inerzia, ma per superare – per l’appunto attraverso la nomina dell’amministratore giudiziario – quella dei soci che si oppongano all’adozione di una delibera indispensabile per l’attuazione del piano.
L’intervento riformatore ha riguardato anche le prerogative dell’amministratore giudiziario, il quale – ai sensi dell’art. 118, 6° comma, c.c.i.i. – può essere dotato dal tribunale del potere di convocare l’assemblea dei soci a qualsiasi scopo (non solo per la deliberazione dell’aumento di capitale)[25], esercitandovi altresì il voto, limitatamente, però, alle azioni o alle quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza[26].
Tale rimodulazione dei poteri pare coerente con le disposizioni introdotte in materia di liquidazione giudiziale. L’art. 264, 2° comma, c.c.i.i. stabilisce invero, in via generale, che il programma di liquidazione può prevedere l’attribuzione al curatore, per determinati atti o operazioni, dei poteri dell’assemblea dei soci (senza alcuna limitazione alla fattispecie dell’aumento di capitale), con la precisazione che le deliberazioni non conformi alla legge o all’atto costitutivo sono impugnabili con reclamo dinanzi al tribunale ai sensi dell’art. 133 c.c.i.i., ferma l’applicabilità, nei limiti della compatibilità, degli artt. da 2377 a 2379-ter c.c. e dell’art. 2479-ter c.c.
5. L’aumento del capitale nella proposta concorrente.
Tre le operazioni annoverabili nell’ambito della proposta concorrente assume particolare rilievo l’aumento del capitale, utile a un doppio livello: per fornire alla società le risorse economiche funzionali a finanziare il risanamento; nonché per incidere sugli assetti proprietari, di norma a servizio dell’acquisizione della società da parte del terzo proponente il concordato. Si tratta, del resto, di una ipotesi espressamente prevista dalla legge, la quale precisa che in sede di aumento il diritto di opzione può essere limitato o addirittura escluso (artt. 163, 5° comma, seconda parte, l.fall. e 90, 6° comma, c.c.i.i.).
Grazie a tale prerogativa il terzo è messo in condizione, oltre che di intervenire sulla conformazione della proposta e del piano, di incidere sulla composizione della compagine sociale, con la facoltà di modificarla ab imis fundamentis. Se si considera, infatti, che le società che accedono al concordato preventivo senza essere in grado di prospettare ai creditori un trattamento eccedente le soglie di “esenzione” dalla disciplina delle proposte concorrenti sono certamente contraddistinte da un patrimonio netto negativo, l’esclusione del diritto di opzione dei vecchi soci sembra consentire l’azzeramento del precedente assetto proprietario e la conseguente concentrazione dell’intero capitale nelle mani dei nuovi sottoscrittori.
La possibilità di dare corso a un integrale rinnovamento della compagine sociale è stata peraltro messa in dubbio da chi ha sostenuto che una “forzata” coabitazione tra vecchi e nuovi soci sarebbe invece inevitabile, in quanto necessaria conseguenza delle regole di cui agli artt. 182-sexies, 1° comma, l.fall.[27] e 89, 1° comma, c.c.i.i., i quali prescrivono la (temporanea) disapplicazione degli artt. 2446, 2° e 3° comma, 2447, 2482-bis, 4°, 5° e 6° comma, e 2482-ter c.c., nonché la (parimenti transitoria) sterilizzazione della causa di scioglimento derivante dalla riduzione o dalla perdita del capitale di cui agli artt. 2484, 1° comma, n. 4, e 2545-duodecies c.c.[28].
Tale impostazione non sembra tuttavia davvero convincente. A ben vedere, queste disposizioni si limitano a stabilire il “congelamento” degli obblighi di ricapitalizzazione fino all’omologazione. Il che non autorizza a predicare che esse implichino altresì la (fittizia) “conservazione” dell’originario capitale, il quale – come si è detto – di regola è andato integralmente perduto in epoca antecedente all’apertura della procedura concorsuale. È ben vero che l’omologazione può (e deve, quantomeno laddove ci si trovi al cospetto di un piano con continuità aziendale diretta) determinare la ricostituzione del capitale sociale e che ciò può realizzarsi anche a vantaggio dei vecchi soci, ma quest’ultimo scenario è meramente eventuale e per nulla scontato. L’entità e le modalità della ricapitalizzazione costituiscono infatti una variabile dipendente del piano, che può liberamente individuarne le fonti in apporti esterni, nella riduzione del passivo per stralcio o nella sua (parziale) conversione in equity[29], nonché nella combinazione di questi fattori.
Sembra pertanto doversi concludere che ogniqualvolta la ricostituzione del capitale provocata dal concordato sia l’effetto non della mera ristrutturazione delle obbligazioni sociali mediante il loro opportuno abbattimento, bensì di un vero e proprio aumento del capitale (con l’apporto di risorse “fresche” o la conversione di crediti), i vecchi soci possono conservare il proprio ruolo solo attraverso l’esercizio dell’opzione; vale a dire esattamente di quel diritto che la disciplina delle proposte concorrenti permette di limitare o, addirittura, di escludere.
Una volta sciolto in senso negativo il dubbio che la regola della “sterilizzazione” della causa di scioglimento derivante dall’erosione del capitale consenta ai vecchi soci di conservare in ogni caso inalterata la propria partecipazione, deve ritenersi che le proposte concorrenti si pongono – almeno “sulla carta” – come un formidabile strumento di contendibilità del controllo delle società in crisi, sempre che esse – beninteso – si risolvano ad accedere al concordato, non essendo ammessa alcuna coercizione al riguardo.
Si è esteso il campo di azione del terzo proponente oltre il perimetro oggettivo del patrimonio del debitore, fino a intaccare la sfera degli assetti proprietari. La disciplina concorsuale pare aver legittimato le iniziative “doppiamente acquisitive”, quali sono quelle in cui il terzo proponente non si sostituisce alla società in crisi (recte: insolvente) perché, insieme all’acquisto (indiretto) del suo patrimonio, si appropria (direttamente) della stessa debitrice, dando luogo a una sorta di subingresso “di secondo grado”, operato, per l’appunto, al livello dei soci.
È invero ragionevole ipotizzare che, laddove scelga di avvalersi della possibilità di dare luogo all’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, il terzo proponente riservi proprio a sé medesimo (o a un suo “veicolo”) l’ingresso nella compagine sociale[30], se del caso stabilendo – anche al fine di evitare un esborso in numerario – che il versamento si consumi mediante la conversione dei crediti di cui egli sia titolare ab origine o che abbia provveduto ad acquistare per conquistarsi la legittimazione a entrare in competizione con l’imprenditore[31].
Inutile dire che ci si trova al cospetto di un regime di oggettivo favore per il terzo proponente. Esso contribuisce ad ampliare il novero delle possibili esplicazioni della sua autonomia privata, permettendogli di giocare “ad armi pari” con la società debitrice. Grazie a queste disposizioni, infatti, egli può sottoporre ai creditori soluzioni fondate sulla continuità aziendale “diretta”, senza tuttavia rinunciare a gestire in prima persona l’esecuzione del piano e l’adempimento della proposta, attraverso la nomina, quale nuovo socio di controllo, di amministratori di propria fiducia. La sostanziale traslazione al terzo della concreta disponibilità degli assets non deve quindi necessariamente passare per il trasferimento dell’azienda (né per la correlata obbligatoria applicazione della disciplina delle offerte concorrenti), il che consente di ovviare alle criticità che possano presentarsi nelle situazioni in cui il c.d. “asset deal” si riveli, in concreto, scarsamente appetibile (o addirittura concretamente inattuabile), ad esempio perché sia problematico procurare al cessionario eventuali requisiti soggettivi o autorizzazioni amministrative indispensabili per la prosecuzione del business.
Va tuttavia ribadito che l’effettiva “potenza di fuoco” dell’aumento del capitale previsto in sede di proposta concorrente resta subordinata alla capacità di limitare o escludere il diritto di opzione dei vecchi soci; capacità, questa, espressamente prevista dalla disposizione concorsuale, la quale va tuttavia interpretata tenendo conto della disciplina societaria.
6. (Segue) La limitazione o l’esclusione del diritto di opzione.
Con riferimento alla limitazione o esclusione del diritto di opzione nell’ambito degli aumenti di capitale previsti da proposte concorrenti, sono state fornite letture divergenti del rapporto tra la disciplina concorsuale e quella societaria[32], inteso vuoi come mera giustapposizione, con conseguente coordinamento dei precetti; vuoi secondo lo schema della piena specialità, dal quale discende l’applicazione della (sola) lex specialis, in luogo di quella generale.
Secondo la prima opzione ermeneutica, la norma concorsuale non derogherebbe a quella societaria, ma occorrerebbe addivenire a una lettura “congiunta” dei due regimi. Il terzo proponente avrebbe sì il potere di procedere all’aumento del capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione, ma sarebbe comunque onerato dell’osservanza dei limiti imposti dagli artt. 2441[33] e 2481-bis c.c.[34]. Ciò equivale a dire che “l’esclusione (o la limitazione) del diritto di opzione è possibile, nella s.p.a. emittente azioni non quotate, solo se i) le nuove azioni devono essere liberate mediante un conferimento in natura (cfr. art. 2441, co 4°, c.c.); ii) l’interesse sociale lo esige (cfr. art. 2441, co. 5°, c.c.); iii) le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società debitrice (o di altre società che la controllano o sono dalla prima controllate: cfr. art. 2441, co. 8°, c.c.). Per l’esclusione del diritto di sottoscrizione nella s.r.l., invece, la facoltà deve essere prevista dall’atto costitutivo (cfr. art. 2482 bis, co. 1°, c.c.), altrimenti non se ne parla”[35].
Chi muove da questa impostazione sottolinea altresì che, da un lato, almeno di regola l’aumento di capitale viene previsto in denaro; dall’altro, in una situazione di crisi l’interesse sociale esige la ricapitalizzazione, ma non l’esclusione del diritto di opzione in capo a soci, che ben potrebbero rivelarsi disponibili a sottoscrivere l’aumento[36]. Né spiragli davvero significativi possono aprirsi in relazione al ruolo dei dipendenti.
Di qui la conclusione che, “con l’unica eccezione di una s.r.l. debitrice che contenga nel suo atto costitutivo una illimitata possibilità di offerta ai terzi delle quote di nuova sottoscrizione (e salvo il problema del recesso dei soci ex art. 2481 bis, co. 1°, c.c.), sarà pressoché impossibile sottrarre coattivamente ai vecchi soci il diritto di opzione. Al limite, si potrà immaginare una proposta concorrente con aumento del capitale sociale e con impegno del proponente (o di un terzo designato) alla sottoscrizione dell’aumento sospensivamente condizionato alla preventiva rinuncia all’esercizio del diritto di opzione da parte di tanti soci che consentano comunque al sottoscrittore di conseguire il controllo della società debitrice, salvo ogni dubbio in ordine all’ammissibilità di proposte concordatarie condizionate”[37].
Questa lettura, pur comprensibilmente mossa dall’intento di salvaguardare le prerogative dei soci, non sembra tuttavia potersi ritenere davvero persuasiva. Essa rischia infatti di rivelarsi contraria alla lettera e allo “spirito” della disposizione concorsuale[38], di cui fornisce una interpretazione sostanzialmente abrogante e, come tale, difficilmente accettabile.
Occorre anzitutto tenere in debito conto il dato che la legge (artt. 163, 5° comma, ultima parte, l.fall. e 90, 6° comma, c.c.i.i.) stabilisce, con formulazione tranchant e senza specificazioni che ne attenuino la forza, che la proposta del terzo può prevedere l’aumento del capitale e, soprattutto, che ciò può comportare la limitazione o perfino l’esclusione del diritto di opzione. Tenuto conto che la possibilità di inserire la suddetta operazione sociale straordinaria nel contesto di una proposta concorrente si desume altresì dagli artt. 185, 6° comma, l.fall. e 118, 6° comma, c.c.i.i. (i quali creano le condizioni per l’ottenimento di una sorta di delibera assembleare “coatta”), la vera portata precettiva degli artt. 163, 5° comma, ultima parte, l.fall. e 90, 6° comma, c.c.i.i. sembra doversi giocoforza ravvisare nella compressione delle prerogative dei vecchi soci.
Da ciò pare discendere la conferma dell’attitudine di tali disposizioni a derogare tout court al regime societario, sicché si rivela oggettivamente incongruo subordinare la limitazione o, a seconda dei casi, l’esclusione del diritto di opzione al positivo riscontro dei requisiti contemplati dagli artt. 2441 e 2481-bis c.c.
Sembra pertanto preferibile ritenere che la legge concorsuale abbia individuato una ulteriore (e speciale) ipotesi di esclusione del diritto di opzione, che si aggiunge a quelle prescritte dalla normativa societaria. Pertanto, ove si dia corso a una proposta concorrente, nei modelli azionari può impedirsi ai vecchi soci di partecipare anche agli aumenti in denaro, senza necessità di verificare che l’interesse sociale esiga il sacrificio degli azionisti. Nella società a responsabilità limitata, parimenti, non occorre che la limitazione o l’esclusione del diritto dei vecchi soci di sottoscrivere le nuove quote sia prevista dallo statuto.
È solo attraverso una ricostruzione in questi termini del rapporto tra la disciplina concorsuale e quella societaria che si può arrivare a riconoscere in capo al terzo la disponibilità di un potente strumento di “conquista” della società debitrice.
Il risultato è l’effetto della prevalenza della lex specialis (concorsuale) sulla lex generalis (societaria) e resta quindi circoscritto esclusivamente entro il perimetro delle proposte concorrenti. Un meccanismo analogo non è quindi invocabile non solo al di fuori della procedura di concordato preventivo, ma neppure nell’ambito della proposta della società debitrice[39]. Soltanto al terzo è concesso di azzerare la precedente compagine derogando alle tutele poste dalle disposizioni societarie, mentre il precedente socio di riferimento che intenda limitare o escludere il diritto di opzione deve comunque rispettare gli artt. 2441 e 2481-bis c.c.; il che gli impedisce di sfruttare la soluzione alla crisi come occasione per regolare i propri rapporti con la minoranza, “diluendola” o addirittura estromettendola dalla compagine[40].
7. (Segue) La tutela dei soci della società debitrice.
Volendo adottare un approccio sostanzialistico alle disposizioni in materia di aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione nell’ambito di una proposta concorrente, sembra potersi affermare che esse si traducono nell’estensione dello spossessamento tipico delle procedure concorsuali oltre il patrimonio sociale, attingendo altresì una porzione di quello dei soci.
Si tratta di una soluzione inedita per il nostro ordinamento, ma già nota a esperienze straniere[41], alle quali, non a caso, fa esplicito riferimento la relazione illustrativa della c.d. “mini-riforma” del 2015[42].
Viene in considerazione, anzitutto, l’Insolvenzplan tedesco: i §§ 217 e 225a InsO consentono infatti di includere nel piano le operazioni sul capitale[43], con la peculiarità che esse, ove effettivamente previste, si perfezionano attraverso un meccanismo che deroga agli ordinari processi societari[44].
In Francia, l’art. 631-19-2 c. comm. stabilisce che, nel caso di cessation d’activité di un’impresa con almeno centocinquanta dipendenti (o che sia al vertice di un gruppo con almeno centocinquanta dipendenti), è possibile dare corso a un aumento di capitale coatto riservato al terzo che si sia impegnato ad attuare il plan de redressement[45].
In entrambe le situazioni, tuttavia, sono previsti meccanismi di tutela dei soci.
In Germania essi vengono segregati in una apposita classe e sono ammessi a prendere parte alle operazioni di voto circa l’approvazione del piano (§§ 238a e 246a dell’InsO), con possibilità di opporsi alla sua omologazione ove dimostrino che esso li pone in una condizione peggiore di quella in cui si sarebbero trovati in sua assenza[46].
Nell’ordinamento francese il mutamento “forzoso” della compagine sociale è possibile solo dinanzi al concreto rischio di un grave pregiudizio per l’economia nazionale o regionale e per i livelli occupazionali, nonché, comunque, esclusivamente laddove tale misura sia giudicata l’unica seria soluzione idonea a scongiurare i menzionati pericoli e a consentire la prosecuzione dell’attività[47].
In apparenza le norme italiane non sembrerebbero invece farsi carico di fornire adeguata protezione ai soci. Il rischio, quantomeno in astratto, è che tali disposizioni si traducano in forme di “esproprio” ai loro danni, in violazione dell’art. 42 cost. o, comunque, dell’art. 1 del primo protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[48]; con i conseguenti dubbi circa la legittimità costituzionale dell’istituto[49].
La questione si presenta come una declinazione del più ampio problema relativo alla legittimità dell’intero istituto delle proposte concorrenti[50]. Sennonché, in questo più specifico caso, non sembra potersi richiamare sic et simpliciter l’argomento secondo il quale la formulazione della domanda di concordato comporterebbe l’accettazione, quantomeno implicita, del rischio della presentazione di proposte concorrenti e, quindi, della possibilità che esse contengano la previsione di aumenti di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione. Se tale rilievo contribuisce infatti a escludere che ci si trovi dinanzi a un vero e proprio “esproprio” della società in crisi, non può dirsi altrettanto con riferimento ai soci, atteso che nelle società di capitali, in assenza di diverse disposizioni dell’atto costitutivo o dello statuto, la decisione circa l’accesso al concordato non li coinvolge, perché compete agli amministratori (artt. 152, 2° comma, lettera b), l.fall. e 265, 2° comma, lettera b), c.c.i.i.).
I soci non possono ritenersi (neppure implicitamente) assenzienti al proprio (sia pur parziale) spossessamento, il che rende il dubbio circa la legittimità costituzionale della disposizione tutt’altro che peregrino. D’altro canto, per ritenere che si sia davvero dinanzi a un’ipotesi di lesione di diritti costituzionalmente garantiti occorrerebbe poter affermare che l’“estromissione” dei vecchi soci dalla compagine sociale si traduca in un vero e proprio “esproprio”.
Benché sia pacifico che essi perdono la propria partecipazione, va d’altro canto tenuto conto del fatto che tale ablazione non prende corpo in un contesto di regolare svolgimento dell’attività d’impresa, ma interviene in una situazione di crisi (recte, di norma, di grave incapienza e quindi, a ben vedere, di vera e propria insolvenza), nella quale la società risulta anzitutto asservita al soddisfacimento dei creditori.
Il combinato disposto del rilievo che i soci costituiscono i c.d. “residual claimants” della società (vale a dire coloro i quali hanno diritto di ricevere ciò che residua una volta che siano stati soddisfatti i creditori)[51] e della constatazione che le proposte concorrenti si attagliano esclusivamente ai casi di insolvenza (in ragione delle soglie di cui agli artt. 163, 5° comma, l.fall. e 90, 5° comma, c.c.i.i.) sembrerebbe, in realtà, indurre a escludere che i soci siano, nelle fattispecie ricomprese nel perimetro applicativo della norma, titolari di partecipazioni dotate di un residuo valore economico. Di qui la conclusione dell’insussistenza di un concreto e attuale rischio di “esproprio”, con conseguente superamento dei menzionati dubbi di legittimità costituzionale[52].
Al di là delle apparenze, l’ordinamento italiano sembra pertanto avere adottato una impostazione non troppo dissimile da quella transalpina: non è stato espressamente attribuito ai soci alcuno strumento di tutela “attiva” della propria partecipazione (come invece accade in Germania) in quanto il meccanismo dell’aumento di capitale “coatto” connesso all’omologazione di un concordato fondato su una proposta concorrente è stato opportunamente circoscritto – per effetto delle soglie di “esenzione” – alle situazioni di grave e conclamata incapienza patrimoniale, nelle quali le partecipazioni sociali risultano, per definizione, prive di un residuo valore economico.
In questa prospettiva, l’impianto normativo non sembra porre effettive criticità sotto il profilo del rispetto dei precetti costituzionali: gli interessi del socio non possono costituire un ostacolo all’adozione della soluzione concordataria più idonea a fornire adeguata risposta alle istanze dei creditori perché entro il perimetro di applicazione delle proposte concorrenti le partecipazioni risultano ormai prive di un valore economico, sicché non si pone alcun reale pericolo di “esproprio”.
Questa impostazione appare coerente con il regime di tutela dei soci adottato nell’ambito dei meccanismi di risoluzione bancaria di cui alla direttiva 2014/59/UE e al d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180[53], laddove si prevede la corresponsione di un indennizzo in favore dei soci per il solo caso in cui la loro partecipazione presenti un valore di liquidazione positivo[54].
In altre parole, il problema della tutela dei soci sembra porsi esclusivamente nel caso di partecipazioni che conservino un valore economico, quali tuttavia non sono quelle nelle società che accedano al concordato preventivo senza poter profittare dell’“esenzione” dalle proposte concorrenti.
Non può tuttavia escludersi, quantomeno in astratto, che, se del caso per effetto di una errata valutazione circa l’idoneità della proposta originaria ad assicurare il prescritto livello minimo di soddisfacimento dei creditori (precludendo la presentazione di una proposta concorrente), si prospetti l’azzeramento della vecchia compagine pur in presenza di una situazione di mera crisi nella quale le azioni o le quote incorporino ancora un valore economico.
Si rende quindi necessario individuare quale strumento processuale possano esperire i soci per bloccare iniziative che rischino di tradursi in un esproprio ai loro danni. Ancorché la legge non faccia espressamente riferimento ad alcuno specifico rimedio, non sembra necessario spingersi a invocare la necessità di dare corso all’actio nullitatis[55]: la soluzione preferibile appare invero quella dell’esperimento dell’opposizione all’omologazione, cui è legittimato qualsiasi interessato (artt. 180, 2° comma, l. fall. e 48, 2° comma, c.c.i.i.)[56].
* Il presente contributo è destinato agli Studi in onore di Paolo Montalenti.
[1] Cfr. P. Montalenti, Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in Giur. comm., 2020, I, pp. 829 ss.
[2] L’insolvenza fa emergere con particolare vigore la necessità di fornire adeguata tutela ai creditori, loro malgrado “cooptati” nel ruolo di fornitori di capitale di rischio, essendosi esaurito quello messo a disposizione da parte dei soci. In proposito v. L. Stanghellini, Le crisi d’impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, pp. 40 ss.
[3] Cfr. N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, pp. 399 ss.; G. Riolfo, Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e le modifiche al codice civile: il diritto societario tra “rivisitazione” e “restaurazione”, in Contr. impr., 2019, pp. 400 ss.; V. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell’impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, pp. 262 ss.; M. Irrera, La collocazione degli assetti organizzativi e l’intestazione del relativo obbligo, in NDS, 2020, pp. 155 ss.
[4] Con riferimento alle proposte concorrenti cfr., tra gli altri, G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, pp. 1163 ss.; Id., Le proposte “ostili”, in M. Sandulli-G. D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Torino, 2016, pp. 117 ss.; A. Nigro-D. Vattermoli Daniele, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Dir. banca merc. fin., 2015, II, pp. 93 ss.; P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in IlCaso.it, 2016; G. Bozza, Le proposte concorrenti, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pp. 225 ss.; F. Brizzi, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2017, I, pp. 335 ss.; G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, in M. Arato-G. Domenichini (a cura di), Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, pp. 91 ss.; cui sia consentito aggiungere M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo. Le proposte e le offerte concorrenti, Torino, 2019, pp. 35 ss.
[5] Per una classificazione delle proposte concorrenti sulla base del loro contenuto, distinguendole tra “acquisitive”, “modificative” e “parassitarie”, cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pp. 289 ss.
[6]Cfr. H. Hirte-B. Knof-S. Mock, Das neue Insolvenzrecht nach dem ESUG, München, 2012; C. Gräfin von Spee, Gesellschafter im Reorganisationsverfahren. Die Sanierungsbeteiligung der Gesellschafter nach dem ESUG, Köln, 2014; C. Thole, Gesellschaftsrechtliche Maßnahmen in der Insolvenz, Köln, 2015; H. Pühl, Der Debt Equity Swap im Insolvenzplanverfahren, Köln, 2016.
[7]Cfr. J. Martinez-S. Vermeille, La réforme du droit des entreprises en difficulté. Quand la constitution s’en mêle, en Revue Trimestrielle du Droit Financier (RTDF), 2014, 2, pp. 33 ss.; M.H. Monsèrié-Bon, Les associés, en F. Macorig-Venier (sous la direction de), Le droit des entreprises en difficulté après 30 ans: droit dérogatoire, précurseur ou révélateur?, Toulouse, 2017, p. 108.
[8] Cfr. S. Vermeille, Les effets pervers du dispositif du projet de loi «Macron» relatif à l’éviction des actionnaires en plan continuation: les limites d’une réforme incrémentale du droit des faillites, en Revue Trimestrielle du Droit Financier (RTDF), 2014, 4, pp. 1 ss.; A. Cerati-Gauthier, Loi Macron. Les mécanismes de dilution forcée et de cession forcée ne sont pas contraires à la Constitution, étude, en La Semaine Juridique, 2015, 40, pp. 18 ss.; J.E. Degenhardt, La «hiérarchie du bec» toujours renversée en procédure collective?, en Bulletin Joly Entreprises en difficulté, 2015, pp. 432 ss.
[9] Così G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 142.
[10] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 282, il quale rileva che il generale obbligo posto dalla legge in capo al debitore è “molto vago, ma […] acquista concreta consistenza per le sanzioni comminate per l’inadempimento o per il ritardo nell’adempimento”.
[11] Cfr. M. Vanzetti, L’esecuzione del concordato preventivo, in Giur. it., 2017, p. 548.
[12] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema saprà evitare il pericolo di rigetto?, in IlFallimentarista.it, pp. 8-9.
[13] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 283.
[14] Cfr. M.A. Maiolino-C. Zambotto, La fase esecutiva del concordato preventivo in continuità: la posizione del debitore concordatario e i poteri degli organi della procedura, in S. Ambrosini, Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, cit., pp. 604 ss.
[15] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 283.
[16] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 144, secondo cui “l’attribuzione di questi poteri al commissario giudiziale […] determina un fenomeno per molti versi simile allo spossessamento fallimentare, privando il debitore del potere di disporre ed amministrare di determinati beni e diritti (il patrimonio “separato” destinato al soddisfacimento dei creditori)”.
[17] Cfr. A. Rossi, L’esecuzione del concordato di risanamento, tra governance e conflitti, in Fallimento, 2017, p. 1007.
[18] Così G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 143-144.
[19] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 285, il quale rileva che la sostituzione degli amministratori non sembra necessaria quando si tratti semplicemente di “partecipare alla stipula di un atto notarile per la liquidazione di cespiti” o di “adempiere ad alcuni compiti amministrativi e burocratici indispensabili per attuare il programma del terzo proponente”, dal momento che a tali incombenti “può ben provvedere anche il commissario all’uopo incaricato”.
[20] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 143.
[21] Così G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., pp. 285-286.
[22] Cfr. G. Bozza, Le proposte concorrenti, cit., p. 283.
[23] La situazione sembra destinata almeno in parte a mutare con l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, atteso che l’art. 119, 1° comma, c.c.i.i. attribuisce anche al commissario giudiziale la legittimazione a instare per la risoluzione, pur condizionandola alla preventiva richiesta di un creditore. La mera formulazione di una istanza al commissario (che dovrà poi farsi carico di dare corso al procedimento di risoluzione) sembra infatti un adempimento alla portata della generalità dei creditori, quantomeno più di quanto lo sia, oggi, l’esperimento diretto (e a proprio carico) dell’iniziativa dinanzi al tribunale.
[24] Nella relazione illustrativa della riforma “organica” si afferma con chiarezza che si è voluto “prevede[re] che il tribunale possa attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a porre in atto gli adempimenti omessi dal debitore, in violazione dell’obbligo che su di lui incombe di compiere tutto ciò che è necessario per dare esecuzione alla proposta, sia stata questa da lui presentata o sia stata omologata quella presentata da un creditore”.
[25] Cfr. N. Usai, Le operazioni sul capitale della società nel codice della crisi, in IlCaso.it, 2019, p. 7. Per vero, già con riferimento alla disciplina di cui alla legge fallimentare l’Orientamento n. 58/2015 del Consiglio Notarile di Firenze si era espresso per un’interpretazione estensiva dei poteri attribuibili all’amministratore giudiziario. Nello stesso senso, in dottrina, G. Ferri jr., Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell'impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, pp. 541 ss.; contra G. Meo, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giur. comm., 2016, I, pp. 286 ss.
[26] Potrebbero peraltro sorgere criticità nell’applicazione dello strumento quando un socio di maggioranza non sia agevolmente individuabile (cfr. D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, pp. 858 ss.; N. Usai, Le operazioni sul capitale della società nel codice della crisi, cit., p. 6).
[27] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 305, secondo il quale il creditore che voglia lanciare una proposta acquisitiva concorrente mediante aumento del capitale sociale, anche se rimediasse una rinuncia dei vecchi soci all’esercizio del diritto di opzione, rischierebbe di trovarsi costretto a coabitare con loro sotto il tetto della società debitrice risanata con la nuova iniezione di capitale, […] a causa della sospensione degli obblighi di riduzione del capitale sociale per perdite prevista dall’art. 182 sexies”.
[28] In materia cfr., tra gli altri, G. D’Attorre, I limiti alla disciplina societaria sulla perdita di capitale, in IlFallimentarista, 2012; G. Strampelli, Capitale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, pp. 605 ss.; A. Dimundo, La sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento, in Fallimento, 2013, pp. 1085 ss.; R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, pp. 669 ss.; A. Munari, Impresa e capitale sociale nel diritto della crisi, Torino, 2014, pp. 131 ss.; A. Nigro, Riduzione o perdita del capitale della società in crisi, in IlCaso.it, 2014; U. Tombari, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in U. Tombari (a cura di), Diritto societario e crisi d’impresa, Torino, 2014, pp. 26 ss.
[29] Cfr., tra gli altri, F. Fimmanò, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. soc., 2010, pp. 57 ss.; P. Oliviero, “Conversione” del credito delle banche in capitale di rischio nel contesto della crisi di impresa, in F. Bonelli (a cura di), Crisi di imprese: casi e materiali, Milano, 2011, pp. 91 ss.; E. Bertacchini, La conversione dei crediti in azioni negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani attestati di risanamento nel quadro della legge fallimentare riformata, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, pp. 181 ss.; G. Di Cecco, La conversione concordataria dei debiti in capitale di rischio: tra riflessioni (ed altrettante proposte) sulla peculiarità della disciplina applicabile alle operazioni di debt to equity swap, in IlCaso.it, 2018.
[30] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 303.
[31] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., pp. 123-124.
[32] Per una disamina della questione cfr. M.L. Vitali, Aumento di capitale e diritto di opzione nelle società in crisi, Torino, 2018, pp. 43 ss.
[33] Con riguardo al regime dell’esclusione del diritto di opzione nella società azionaria cfr., tra gli altri, S.A. Cerrato, sub art. 2441, in G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, 2, Bologna, 2004, pp. 1500 ss.; G. Giannelli, L’aumento di capitale a pagamento, in P. Abbadessa-G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Cambopasso, 3, Torino, 2007, pp. 274 ss.; A.A. Awwad, Il diritto di opzione nelle società quotate, Milano, 2013, pp. 85 ss.; A. Postiglione, sub art. 2441, in N. Abriani (a cura di), Codice delle società, Torino, 2016, pp. 1655 ss.
[34] In materia cfr. O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, 1, Padova, 2007, pp. 332 ss.; S.A. Cerrato, Aumenti di capitale e diritti del socio di s.r.l., in M. Sarale (diretto da), Le nuove s.r.l., Bologna, 2008, pp. 852 ss.; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, II, in P. Schlesinger (fondato da)-F.D. Busnelli (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, 2010, pp. 1527 ss.
[35] Così A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 303-304.
[36] Cfr. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., p. 304, il quale pone “il dubbio se l’interesse sociale “esigente” ex art. 2441, co. 5°, c.c. possa corrispondere, in una logica neoistituzionale, alla sopravvivenza in sé della società esdebitata, anche se difforme dall’interesse di tutti i vecchi soci della stessa”, osservando che “comunque non sarebbe l’esclusione del diritto di opzione a salvare, se del caso, la società debitrice, ma la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, in grado di consegnare a questa le risorse previste come necessarie all’adempimento delle obbligazioni concordatarie. Non è punto comprensibile, dunque, se non in termini di incentivo abnorme alla formulazione di una proposta concorrente ostile, un sacrificio imposto a quei soci che potrebbero ancora manifestare interesse all’operazione di aumento di capitale sociale racchiusa nella proposta concorrente del creditore: l’interesse della massa dei creditori sarebbe comunque soddisfatto a seguito della sottoscrizione del nuovo capitale, a prescindere dall’identità dei sottoscrittori”.
[37] Così A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, cit., pp. 304-305.
[38] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 121, nota 9, il quale rileva che “la ratio e la lettera della norma depongono chiaramente nel senso di consentire al creditore-proponente interventi sul capitale sociale anche contro la volontà dei soci della società debitrice; possibilità di intervento che, all’evidenza, sarebbe impedito o reso più difficile laddove l’esclusione o limitazione del diritto di opzione fosse subordinato al ricorrere delle condizioni previste dagli artt. 2441 e 2481 bis c.c.”.
[39] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 123; F. Brizzi, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2017, I, pp. 335 ss., nota 51; contra L. Benedetti, La posizione dei soci nel risanamento della società in crisi: dal potere di veto al dovere di sacrificarsi (o di sopportare) (Aufopferungs o Duldungspflicht)?, in RDS, 2017, pp. 748 ss.
[40] Con riguardo alle relazioni tra l’esecuzione del concordato (che non si fondi sulla proposta del terzo) e la disciplina societaria v. M. Sciuto, “Adempimento” del concordato e programma societario, in V. Di Cataldo-V. Meli-R. Pennisi (a cura di), Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, III, Milano, 2015, pp. 1307 ss.
[41] Cfr., anche per i ricchi riferimenti comparatistici, F. Pacileo, Cram Down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, in Riv. soc., 2018, pp. 65 ss.
[42] Nella relazione illustrativa dell’intervento riformatore del 2015 si legge che “la soluzione proposta in tema di debitori con natura societaria risponde a un’esigenza sempre più avvertita in ambito internazionale. Esemplificativo di ciò è stata l’introduzione nel 2011 in Germania della possibilità che il piano di ristrutturazione (Insolvenzplan), eventualmente presentato su impulso dei creditori, preveda qualsiasi misura consentita dal diritto commerciale (tra cui, ad esempio, un aumento di capitale), senza che sia necessaria una deliberazione in tal senso da parte dell’assemblea degli azionisti (cosiddetto cram down degli azionisti). Inoltre, anche in Spagna è stato recentemente previsto che i creditori rappresentanti un quinto dei crediti possano presentare un piano di ristrutturazione alternativo a quello del debitore, ponendo una responsabilità risarcitoria verso i creditori a carico dei soci che irragionevolmente rifiutino di deliberare l’aumento di capitale eventualmente previsto dal piano. Infine, con lo stesso spirito, nel 2014 si è previsto in Francia il potere per il mandataire en justice di convocare l’assemblea e di votare al posto dei soci dissenzienti al fine di procedere all’aumento di capitale con sottoscrizione da parte dei creditori o di altri terzi, analogamente a quanto previsto dalle illustrate proposte di modifica dell’articolo 185”.
[43] Cfr. H.F. Müller, Gesellschaftsrechtliche Maßnahmen im Insolvenzplan, in KTS, 2012, pp. 419 ss.
[44] Cfr. M. Mertens, Die neue Insolvenzrechtsreform 2012 (ESUG), Weil im Schönbuch, 2012, pp. 75 ss.; C. Gräfin von Spee, Gesellschafter im Reorganisationsverfahren. Die Sanierungsbeteiligung der Gesellschafter nach dem ESUG, cit., pp. 113 ss.; H. Hirte, sub § 225a, in H. Hirte-H. Vallender (herausgegeben von), Insolvenzordnung. Kommentar, München, 2019, 1, pp. 2417 ss.
[45] Cfr., anche con riguardo ai sospetti di non piena costituzionalità che sono stati sollevati in Francia sulla possibilità di procedere a una sostanziale “espropriazione” dei soci, S. Vermeille-J. Martinez-F.A. Papon, La constitutionnalité du projet de loi “Macron” et l’éviction des actionnaires: la révolution n’a pas eu lieu, en revue-banque.fr, 2015.
[46] Cfr. C. Gräfin von Spee, Gesellschafter im Reorganisationsverfahren. Die Sanierungsbeteiligung der Gesellschafter nach dem ESUG, cit., pp. 120 ss.
[47] Cfr. A. Cerati-Gauthier, Loi Macron. Les mécanismes de dilution forcée et de cession forcée ne sont pas contraires à la Constitution, étude, cit., pp. 18 ss.
[48] La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte affermato che la partecipazione sociale costituisce un diritto oggetto della protezione di cui all’art. 1 del primo protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cfr. Corte EDU, 25 luglio 2002, Sovransavto Holding c. Ucraina, ricorso n. 48553/1999; Id., 7 novembre 2002, Olczack c. Polonia, ricorso n. 30417/1996; Id., 10 luglio 2012, Grainger e altri c. Regno Unito, ricorso n. 34940/10). In argomento cfr., in dottrina, N. Abriani, La proprietà come diritto dell’individuo: tra diritto internazionale, diritto comunitario e disciplina interna, in Giur. it., 2010, pp. 2229 ss.; G. Carraro, Società di capitali e diritti dell’uomo, in Riv. dir. civ., 2012, pp. 205 ss.; G. Guizzi, Il commissariamento di società per azioni ai sensi del d.l. 61/2013 tra funzionalizzazione dell’impresa e problemi di tutela costituzionale della partecipazione azionaria. Prime note a margine del(la seconda puntata del) caso ILVA, in Corr. giur., 2013, pp. 1189 ss.; G.C.M. Rivolta, Diritto delle società. Profili generali, Torino, 2015, pp. 31 ss.
[49] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 126, il quale rileva che, “nel caso in cui la partecipazione sociale abbia ancora un effettivo valore patrimoniale, […] l’eventuale omologazione di una proposta concorrente con esclusione del diritto di opzione e con trasferimento di tutto l’attivo al proponente (o ad un terzo) si risolverebbe, di fatto, in un’espropriazione delle suddette partecipazioni sociali senza la corresponsione di un indennizzo, con ciò violandosi il precetto costituzionale dell’art. 42, 3° comma, Cost”.
[50] In proposito sia consentito rinviare a M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo, cit., pp. 43 ss.
[51] Cfr. L. Stanghellini, Le crisi d’impresa fra diritto ed economia, cit., p. 36, cui adde, anche per gli spunti di carattere comparatistico, M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, I, p. 572.
[52] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 129, secondo cui, “atteso che il presupposto oggettivo di ammissibilità delle proposte concorrenti è rappresentato dalla previsione, in sede di proposta del debitore, di un pagamento inferiore al quaranta per cento (o trenta per cento nei concordati con continuità), la lesione dell’interesse economico dei soci della società-debitrice può apparire ipotesi irrealistica”.
[53] In materia cfr. G. Guizzi, Il bail-in nel nuovo sistema di risoluzione delle crisi bancarie. Quale lezione da Vienna?, in Corr. giur., 2015, pp. 1485 ss.; B. Inzitari, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (d.lgs. 180/2015), in dirittobancario.it, 2016; G. Presti, Il bail-in, in Banca impresa e società, 2015, pp. 339 ss.; R. Lener, Bail-in bancario e depositi bancari fra procedure concorsuali e regole di collocamento degli strumenti finanziari, in Banca borsa tit. cred., 2016, I, pp. 287 ss.; L. Stanghellini, The Implementation of the BRRD in Italy and its First Test: Policy Implications, in Journal of Financial Regulation, 2016, 2, pp. 154 ss.; F. Capriglione, La nuova gestione delle crisi bancarie tra complessità normativa e logiche di mercato, in Riv. trim. dir. econ., 2017, I, pp. 102 ss.; E. Rulli, Contributo allo studio della risoluzione bancaria, Torino, 2017.
[54] L’art. 88, 1° comma, d.lgs. 180/2015 stabilisce che, a seguito delle azioni di risoluzione, un esperto indipendente incaricato dalla Banca d’Italia effettua senza indugio una valutazione per determinare il trattamento che gli azionisti e i creditori avrebbero ricevuto se, nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l’avvio della risoluzione, l’ente fosse stato sottoposto alla liquidazione coatta amministrativa (o ad altra analoga procedura concorsuale eventualmente applicabile) e, di conseguenza, le azioni di risoluzione non fossero state adottate. Il predetto esperto deve altresì determinare l’eventuale differenza tra tale scenario alternativo e il trattamento in concreto a costoro riservato per effetto delle azioni di risoluzione. Questi incombenti sono funzionali a quanto stabilito dall’art. 89 della medesima legge, il quale prescrive che “ciascun azionista o creditore […] che sulla base della valutazione di cui all’articolo 88 risulti aver subito perdite maggiori di quelle che avrebbe subito in una liquidazione coatta amministrativa o altra analoga procedura concorsuale applicabile, ha diritto a ricevere, a titolo di indennizzo, esclusivamente una somma equivalente alla differenza determinata ai sensi dell’articolo 88”.
[55] La soluzione dell’actio nullitatis è stata proposta da A. Pezzano-M.Ratti, Il processo delle proposte concorrenti: ammissione, perfezionamento ed attuazione, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, p. 340.
[56] Cfr. G. D’Attorre, Le proposte “ostili”, cit., p. 126.