Tribunale di Biella, 29 luglio 2025, n. 0. Pres. Rava. Est. Chemollo.
Abstract:
Sommario:
Con questo articolato provvedimento, esemplare
nella sua linearità argomentativa ed esaustività, il Tribunale ha omologato un
accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, nonostante il mancato consenso
da parte dell’ente previdenziale.
In primo luogo, nella sentenza si legge che “gli accordi di ristrutturazione
contengono l’elencazione degli elementi del piano economico finanziario che ne
consentono l’esecuzione, che ha data certa ed è redatto secondo le indicazioni
di cui all’art. 56 C.C.I.I., in particolare prevedendo la prosecuzione
dell’attività aziendale in via diretta, mediante:
I) apporto di risorse ottenute da:
a) concessione da parte degli istituti di credito, successivamente all’omologa,
di nuove linee di credito, nella misura di € 3.000.000, da erogare sotto forma
di credito factoring;
b) dismissione di due immobili della società debitrice non funzionali
all’attività, ed in particolare di un fabbricato commerciale e del relativo
terreno, nonché di un ulteriore fabbricato, in relazione ai quali la società ha
provveduto, giusta richiesta dell’Agenzia delle Entrate pervenuta nel corso
delle trattative sulla proposta di transazione tributaria e contributiva, alla
stipulazione dei relativi contratti preliminari, sospensivamente condizionati
all’omologazione dei presenti accordi, i quali prevedono un prezzo rispettivamente
di € 600.000,00 e di € 480.000,00;
c) finanza esterna, con impegni sospensivamente condizionati all’omologa,
rappresentata:
(i) da un aumento di capitale di € 150.000,00 da parte dei soci, da deliberarsi
e da sottoscriversi in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, con
conferimenti in denaro da versarsi entro dieci giorni dall’omologa;
(ii) versamento dell’ulteriore somma di € 150.000,00 in quote annuali di €
30.000,00 ciascuna a partire dal 31/7/2025, a sostegno del capitale circolante
della società;
(iii) rinuncia parziale da parte degli amministratori ai propri compensi per
l’ammontare complessivo di € 70.000,00”.
In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto che le valutazioni dell’attestatore “siano in generale attendibili, poiché motivate in modo logico e coerente con i dati di partenza verificati, nonché con i piani industriali predisposti dalla società, vagliati dall’attestatore e riferiti ad un orizzonte temporale adeguato nell’ottica di valutare la capacità di tenuta del piano nel prossimo futuro e le prospettive di rilancio aziendale della società ricorrente, non rilevandosi ragioni per discostarsi dalle conclusioni dell’attestatore e potendosi dunque esprimere un giudizio complessivo positivo sulla fattibilità del piano, anche con specifico riguardo alla capacità della società di garantire il pagamento dei creditori non aderenti secondo le tempistiche di cui all’art. 57 C.C.I.I.”
Secondo i giudici biellesi, infatti, “l’attestatore ha in particolare tenuto conto, nel primo caso, dell’assenza di valore attribuibile alle immobilizzazioni immateriali, determinato i valori immobiliari e mobiliari sulla base delle relative perizie, il valore delle immobilizzazioni finanziarie sulla base della perizia sul valore del marchio, il valore delle rimanenze, abbattendolo dell’80% in ragione della vendita a prezzo di stock in caso liquidazione, ed azzerato il valore dei crediti, anche tributari, già ceduti ad istituti bancari; quanto alla cessione unitaria dell’azienda, utilizzando il metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma dell’avviamento, ha determinato in € 3.406.147 il valore dell’azienda al 30/4/2025, a cui ha sommato il valore del magazzino, dei crediti e delle disponibilità liquide;
- quanto alle concrete prospettive di ottenere ulteriore attivo mediante l’esercizio di azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie, da tenersi conto in entrambi gli scenari, ha considerato “la prassi in materia di definizione transattiva, e dunque per un ammontare, necessariamente, frazionario”, ponendo a fondamento delle potenziali azioni risarcitorie la differenza tra il patrimonio netto negativo al 31/7/2021 (- € 14.675.902) ed al 30/4/2025 (- € 19.564.331), pari ad € -3.620.307, ammontare ridotto del 50% per gli oneri stimati che sarebbero comunque maturati anche in costanza di liquidazione, rappresentati da: “costi non recurring derivanti dal supporto professionale per l’attività di liquidazione, costi per la messa in mobilità del personale dipendente e l’indennità di preavviso, costi per assicurazioni, IMU, manutenzioni, utenze e perdita di valore dell’asse attivo fisiologicamente connaturata all’assoggettamento di qualsivoglia società a procedura concorsuale di tipo liquidatorio”, così giungendo alla somma di € 1.810.153, a cui ha aggiunto le ulteriori sanzioni e gli ulteriori interessi sul debito tributario e previdenziale nel frattempo maturato, per altri € 2.885.263, così giungendo alla cifra potenziale di € 4.695.416, che ha successivamente ridotto dell’80% tenuto conto del presumibile valore a cui verrebbe per prassi conclusa una transazione con la procedura, “anche alla luce della complessità per la curatela nella ricostruzione delle vicende contestate agli organi sociali e dell’onere probatorio della dimostrazione del nesso di causalità”, così giungendo all’indicazione finale del valore presumibilmente ottenibile dall’esercizio delle azioni risarcitorie di € 950.000;
- quanto alle azioni revocatorie potenzialmente esperibili ed all’attivo ottenibile, analizzato il libro giornale e le ulteriori informazioni fornite dalla società, ha individuato due pagamenti eseguiti nel periodo 1/11/2025 – 30/4/2025, il cui valore ammonta a circa € 950.000, concludendo in definitiva per un potenziale complessivo valore di realizzo ottenibile dalle azioni revocatorie e risarcitorie di € 960.000”.
E al riguardo il Tribunale ha “ritenuto che anche le valutazioni in esame dell’attestazione risultino sufficientemente specifiche e coerenti, non apparendo in effetti ragionevolmente addebitabili agli organi amministrativi responsabilità per perdite connesse allo stravolgimento dell’andamento della produzione e del mercato causato dall’emergenza pandemica e dalle norme emergenziali ed essendo ragionevole l’abbattimento del valore delle presumibili azioni risarcitorie per la misura indicata, tenuto conto della complessità ed aleatorietà che ne contraddistingue l’esercizio, anche nel caso di specie, ed in generale apparendo i ragionamenti ed i dati posti alla base delle conclusioni espresse dall’attestatore logici ed approfonditi”.
Quanto, infine, al diniego da parte dell’ente previdenziale, diffusamente censurato dal ricorrente in quanto aveva trascurato la palese convenienza della soluzione proposta, nella sentenza si osserva come “le ragioni addotte a giustificazione del proprio diniego non siano di ostacolo all’omologazione forzosa degli accordi, in quanto:
- innanzitutto, sulla diversa misura del debito indicato dalla società ricorrente ed oggetto della proposta di transazione, ossia € 8.760.413,07 “fotografati” alla data del 31/7/2023 ed il debito di € 9.074.132,71 indicato dall’INPS alla data della risposta del 2/7/2024 (non contestato dalla società), il fatto che la proposta abbia ad oggetto un debito riferito ad una data precedente a quella attuale o a quella della presentazione della proposta costituisce circostanza fisiologica, considerate le tempistiche necessarie alla predisposizione del piano, delle stime e delle attestazioni, nonché all’attesa della risposta o del trascorrere del termine di novanta giorni per la risposta degli enti (iter che nel caso di specie si è per giunta protratto per un tempo ben maggiore in conseguenza dei chiarimenti richiesti dall’Agenzia delle Entrate), oltre che corrispondere espressamente all’attuale previsione dell’art. 63 co. 1 C.C.I.I., che fa infatti riferimento “alla data di presentazione della proposta di transazione” e non all’attualità;
- in secondo luogo, va sottolineato che la società debitrice ha sin da subito, ossia già in sede di prima presentazione della proposta, rappresentato ad INPS, così come anche all’Agenzia delle Entrate, che la parte eccedente del debito sarebbe stato oggetto di pagamento mediante piani di rateazione ordinari, con corresponsione dei relativi interessi, senza che sul punto vi sia stata del resto alcuna contestazione da parte dell’ente;
- in terzo luogo, il mancato rispetto dei limiti di falcidia indicati dalla direzione centrale entrate dell’INPS non trova fonte nella legge, mentre le previsioni contenute nella L. 159/2020 riguardano ipotesi diverse dalla transazione nell’ambito delle trattative precedenti la stipulazione degli accordi di ristrutturazione disciplinata dall’art. 63 C.C.I.I., per la quale rileva la sola sussistenza dei presupposti ivi previsti, consentendo agli enti in questione di concludere transazioni che contemplino “il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi e premi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie e dei relativi accessori”.
Nel concludere dunque nel senso dell’omologazione, il Tribunale ha accertato “la fattibilità del piano, sia tenuto conto della soddisfazione per la misura prevista dagli accordi dei creditori aderenti e di quelli “trascinati” ex artt. 61 e 63 C.C.I.I., che per la misura integrale ed entro i tempi di legge per quelli non aderenti, nonché per la sussistenza di tutti gli ulteriori presupposti di legge di cui s’è detto per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione in esame, sottolineata in definitiva l’opportunità di accogliere la domanda di omologazione, anche tenuto in considerazione e sottolineato l’interesse alla conservazione dei posti di lavoro dei 119 lavoratori attualmente dipendenti ed al mantenimento in attività dell’impresa, fonte di introiti, in definitiva, anche per gli stessi creditori istituzionali”.
Segnalazione e abstract a cura del prof. Stefano Ambrosini