Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività


Alberto Maffei Alberti

Data pubblicazione
29 gennaio 2022

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1. Che l’impresa sia un valore e che la dissoluzione dell’attività da questa svolta sia una distruzione di ricchezza è un dato difficilmente confutabile. È altrettanto vero che questo non vale sempre e cioè non vale quando l’impresa non sia vitale e, per ragioni varie, non sia in grado di recuperare una condizione di normalità e cioè non sia in grado di fare cessare la produzione di perdite. È anche evidente che la valutazione della vitalità di un’impresa va considerata in modo obbiettivo e cioè in modo disgiunto dall’originario imprenditore, considerando quindi la possibilità del passaggio dell’attività ad un nuovo imprenditore.

Tutto ciò emerge anche dalle disposizioni dettate dalla Direttiva (UE) 2019/1023 secondo cui, tra l’altro, la Direttiva mira a garantire “agli imprenditori che sono in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare”[1].

Un primo punto che viene in evidenza è il possibile conflitto tra la continuazione dell’attività e l’interesse dei creditori. E, a questo proposito, va anche considerato che, sotto questo profilo e cioè quello dell’interesse, la categoria dei creditori è ben lungi dall’essere una categoria unitaria[2]. Accanto ai creditori il cui interesse primario è il soddisfacimento del proprio credito, si configura un’altra categoria il cui interesse primario è la continuazione dell’attività da parte dell’impresa in crisi. Ovviamente i lavoratori occupati, ma poi le imprese satelliti e quanti siano legati all’impresa da rapporti contrattuali, specie di durata, la cui cessazione potrebbe causare, per le ragioni le più varie, danni ingenti e spesso superiori rispetto all’insoddisfazione di crediti pregressi. Inutile dire che questa seconda categoria è tanto più incidente quanto maggiori siano le dimensioni dell’impresa e quindi tanto maggiore sia il fascio dei rapporti contrattuali che ad essa fanno capo.

La Direttiva (UE) sopra richiamata precisa che, quando si tratti di verificare il “miglior soddisfacimento dei creditori” si deve valutare se il creditore uscirebbe svantaggiato rispetto a come uscirebbe in caso di liquidazione o nel migliore scenario alternativo possibile ove il piano di ristrutturazione non fosse omologato.

Fatta questa doverosa e non esaustiva premessa (si potrebbe aggiungere se il tentativo di risanamento debba necessariamente richiedere una procedura giudiziaria) possiamo passare all’analisi delle varie possibilità che, a fronte della crisi di impresa, sono offerte dal nostro ordinamento.

 

2. Il discorso può iniziare dal punto, tutto sommato, più lineare: la procedura di amministrazione straordinaria.

L’art. 1 della L.8 luglio 199, n. 270 è chiarissimo nell’evidenziare che le finalità della procedura sono quelle conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali[3].

Tali finalità possono essere perseguite anche tramite la cessione dei complessi aziendali. Che l’interesse alla prosecuzione dell’attività sia del tutto prevalente rispetto all’interesse dei creditori anteriori è fatto palese, tra l’altro, dal disposto dell’art. 63 della stessa legge, secondo cui, nella vendita di aziende e di rami d’azienda in esercizio la valutazione del prezzo deve tenere conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo. In altri termini, le perdite derivanti dalla prosecuzione dell’attività nel biennio successivo costituiscono perdita per i creditori[4].

La c.d. grande impresa è caratterizzata, questo almeno il dato più significativo, da un numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno (secondo l’art. 1 della L. 8 luglio 1999 n. 270, legge generale) ovvero da almeno 500 (secondo l’art. 1 della legge 23 dicembre 2003, n. 347, legge speciale per le imprese più grandi).

In questi casi è individuabile un interesse collettivo alla continuazione dell’attività di impresa, dato che si ritiene che la cessazione della stessa provocherebbe danni alla collettività. Si tratta di valutare, peraltro, se sia giusto che i costi di una continuazione dell’attività che tende ad evitare un pregiudizio collettivo, debbano ricadere (soltanto) sui creditori anteriori[5].

E veniamo ora alla disciplina che si applica alle imprese estranee all’ambito di applicazione della procedura di amministrazione straordinaria. Se, nel complesso di tale disciplina, risultasse sufficientemente tutelato il principio della conservazione dell’attività a fronte di imprese in crisi, ne risulterebbe ridimensionato il ruolo della procedura di amministrazione straordinaria che, in prospettiva de iure condendo, potrebbe essere limitata alle imprese particolarmente grandi, ognuna della quali per le sue particolarità (si vedano ad esempio i casi Parmalat, Alitalia, Ilva)[6] richiede per altro, per poter essere funzionale, particolari aggiustamenti operativi.

 

3. Possiamo partire dalla disciplina dettata dall’art. 67, lett. d) della legge fallimentare vigente[7]. La norma sottrae all’azione revocatoria fallimentare gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi su beni dell’imprenditore, quando posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Unica condizione è che il piano sia stato attestato da un professionista qualificato e indipendente, nominato dall’imprenditore, che deve appunto attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’imprenditore può richiedere che il piano sia pubblicato nel registro delle imprese.

Come si vede, un procedimento estremamente snello, totalmente sottratto all’ambito giudiziario ed anche a modalità particolari di approvazione dei creditori.

Il punto debole è costituito peraltro dalla incertezza, nel caso di successivo fallimento, sull’ambito del controllo e della valutazione del giudice sulla attendibilità del piano, che potrebbe portare alla disapplicazione dell’esenzione da revocatoria[8].

 

4. In ordine al tentativo di semplificazione e alla sottrazione all’ambito giudiziario può essere valutato il nuovo procedimento di composizione negoziata per la crisi di impresa, introdotto con il D.L. 24 agosto 2021 n. 118[9].

L’imprenditore che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendano probabile la crisi o l’insolvenza, può chiedere al segretario della Camera di Commercio la nomina di un esperto indipendente quando risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. L’esperto agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati al fine del superamento della crisi anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa. Fin qui tutto bene. Il procedimento si svolge in ambito extra giudiziario e tutela l’impresa in senso oggettivo, cioè anche in modo disgiunto rispetto all’originario imprenditore.

Le difficoltà emergono poi. Anzitutto il procedimento non è così snello. È istituita una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese e che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento. È prevista la nomina di una commissione, composta da tre membri di varia nomina e che dura in carica due anni. L’istanza di nomina, da parte dell’imprenditore, deve essere accompagnata, ed inserita nella piattaforma telematica, dal bilancio degli ultimi tre esercizi, dall’elenco dei creditori, da un piano finanziario per i successivi sei mesi e dalle iniziative industriali che si intendono assumere, da una dichiarazione sulla pendenza di eventuali ricorsi per la dichiarazione di fallimento ed altre informazioni sulla situazione debitoria.

Il segretario della Camera di Commercio, ricevuta la richiesta dell’imprenditore, la comunica immediatamente alla commissione. Questa, nei cinque giorni lavorativi successivi, nomina, a maggioranza, l’esperto che nei due giorni lavorativi dalla ricezione della nomina, comunica l’accettazione. La mancata accettazione deve essere comunicata alla commissione perché provveda alla sostituzione.

L’esperto nominato convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento. L’imprenditore può farsi assistere da consulenti. Se ritiene sussistenti le concrete prospettive di risanamento, l’esperto convoca le parti interessate e prospetta le strategie di intervento. In caso contrario, ne dà notizia all’imprenditore e al segretario della Camera di Commercio che dispone l’archiviazione del procedimento. In ogni caso, l’incarico dell’esperto si considera concluso quando, decorsi 180 giorni dall’accettazione della nomina, le parti non abbiano individuato una soluzione adeguata per il superamento della crisi. L'incarico può proseguire quando tutte le parti lo richiedano e l’esperto vi consenta.

Sin qui il procedimento si svolge in ambito privatistico e le uniche notizie ufficiali sono quelle che risultano dalla piattaforma telematica. Ma è altresì vero che non si apre alcun ombrello protettivo.

L’imprenditore può peraltro richiedere l’applicazione di misure protettive del patrimonio[10]; l’istanza deve essere pubblicata nel registro delle imprese e dal giorno della pubblicazione i creditori non possono acquisire diritti di prelazione, se non concordati, né iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’imprenditore né sui beni e diritti con i quali viene esercitata l’attività di impresa. Dal giorno della pubblicazione e per tutta la durata del procedimento non può essere dichiarato il fallimento. La richiesta di misure protettive e cautelari deve essere accompagnata dal contestuale ricorso al Tribunale per la conferma o la modifica di tali misure. Entro dieci giorni dal deposito del ricorso il Tribunale fissa l’udienza, nella quale sente gli interessati, l’esperto ed i terzi sui cui diritti le misure incidano, e provvede con ordinanza a stabilire la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e dei provvedimenti cautelari disposti. La durata può essere prorogata, ma non può eccedere i duecentoquaranta giorni.

L’intervento del Tribunale è inoltre necessario: per contrarre finanziamenti prededucibili, anche dei soci ed anche di società appartenenti ad un gruppo, a trasferire l’azienda, o suoi rami, con liberazione dei debiti pregressi.

Alla conclusione delle trattative l’imprenditore può stipulare un contratto con i creditori che sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni. Può inoltre avvalersi degli strumenti preposti dall’ordinamento e può proporre domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Sono poi previste misure premiale di ordine tributario.

In conclusione, un procedimento abbastanza complicato che, per avere concrete possibilità di successo, richiede l’intervento del Tribunale. Intendo dire che sembra arduo ritenere che la notizia della crisi non circoli e che l’imprenditore non sia costretto a richiedere l’apertura dell’ombrello protettivo, con il che entra in ballo il Tribunale e la procedura si svolge, in concreto, sotto il suo controllo.

 

5. Altro procedimento che viene in evidenza è quello che riguarda gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis e ss. l. fall., così come modificati dall’art. 20 del D.L. 24 agosto 2021 n.118[11].

L’imprenditore in crisi può chiedere al Tribunale l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori, depositando la stessa documentazione imposta dall’art. 161 l. fall per il concordato preventivo.

Sono condizioni dell’accordo:

a)        Il fatto che lo stesso riguardi almeno il 60% dei crediti (non si distingue peraltro tra crediti chirografari e crediti privilegiati); la percentuale è peraltro ridotta della metà quando il debitore abbia rinunciato alla moratoria, di cui si dirà, non abbia depositato la c.d. domanda in bianco, e non abbia richiesto, dopo il deposito di tale domanda, la concessione del divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive;

b)        Il fatto che un professionista indipendente, nomi nato dl debitore, attesti, oltre alla veridicità dei dati aziendali, l’attuabilità dell’accordo e la capacità di soddisfare i creditori estranei (e cioè non partecipanti all’accordo) entro centoventi giorni dall’omologazione per i crediti già scaduti a quella data ed entro centoventi giorni dalla scadenza per i crediti non scaduti a quella data.

L’accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e, per sessanta giorni dalla pubblicazione, i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari ed acquisire diritti di prelazione non concordati.

Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il Tribunale, decise le opposizioni, provvede all’omologazione con decreto motivato, reclamabile alla Corte d’Appello entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

Lo stesso art. 182 bis, co. 6 e ss. prevede la possibilità di anticipare l’apertura dell’ombrello protettivo mediante il deposito presso il Tribunale di una proposta di accordo ed il Tribunale può concedere il termine di sessanta giorni per il deposito dell’accordo definitivo e della relazione del professionista.

L’imprenditore che abbia presentato domanda per l’omologazione dell’accordo o proposta di accordo, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in via d’urgenza, a contrarre finanziamenti prededucibili, funzionali a necessità urgenti per la continuazione dell’attività di impresa, sempre che non sia possibile ottenere finanziamenti diversi e che, in mancanza degli stessi, deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile all’impresa. La richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti.

Il Tribunale può anche autorizzare la concessione di pegno o ipoteca e la cessione di crediti a garanzia in relazione a tali finanziamenti, e può altresì autorizzare il pagamento di crediti, anche anteriori, per prestazioni di beni o servizi quando il professionista incaricato attesti che ciò è necessario per la prosecuzione dell’attività di impresa e per assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Tali pagamenti sono sottratti all’azione revocatoria fallimentare.

L’art. 182 ter, co. 5 e 6, prevede poi la possibilità di una transazione fiscale, dettandone presupposti e condizioni.

Altra agevolazione è prevista dall’art. 182 septies, secondo cui l’accordo può individuare una o più categorie, tra banche e intermediari finanziari, che abbiano tra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei. L’imprenditore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria a condizione che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e messi in condizione di parteciparvi, ed i creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino almeno il 75% dei crediti dell’intera categoria.

L’art. 182 septies prevede poi che, in linea generale, gli effetti dell’accordo vengano estesi ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria sulla base della omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici. Ciò a condizione che l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta; i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati delle trattative e dei loro contenuti; i creditori della categoria aderenti rappresentino almeno il 75% di tutti i crediti della categoria; l’imprenditore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei cui confronti ha chiesto l’estensione; i creditori della categoria non aderenti ricevano, nell’accordo, un soddisfacimento non inferiore rispetto a quanto conseguibile nelle alternative concretamente applicabili.

Quando tra l’imprenditore e i suoi creditori sia stata convenuta una moratoria avente ad oggetto, in via provvisoria, la dilazione della scadenza dei crediti, la rinuncia agli atti, la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, tale convenzione è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria a condizione che: i creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino almeno il 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria; i creditori nei cui confronti operi l’estensione subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con l’ipotesi di soluzione della crisi e ciò sia attestato da un professionista qualificato e indipendente, che attesti inoltre la veridicità di dati aziendali e la idoneità della convenzione di moratoria a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi.

Il procedimento si svolge, principalmente, in ambito privatistico. L’intervento del Tribunale, in condizioni di normalità, è limitato a un controllo di legalità; deve cioè accertare che sussistano le condizioni di legge e che quindi i creditori aderenti abbiano raggiunto le percentuali individuate dal legislatore e che sussistano le condizioni perché i creditori non aderenti siano soddisfatti nei tempi dettati dallo stesso legislatore.

L’intervento del Tribunale è necessario soltanto quando la continuazione dell’attività di impresa richieda interventi straordinari quali nuovi finanziamenti o pagamento di debiti pregressi. Anche il c.d. “effetto trascinamento” ha lo scopo di favorire la prosecuzione dell’attività di impresa superando la volontà del singolo creditore.

In conclusione, un procedimento che, anche grazie ai più recenti provvedimenti legislativi, appare funzionale al tentativo di superamento della crisi ed alla prosecuzione dell’attività di impresa[12].

 

6. La procedura che occupa la posizione più rilevante nel tentativo di superare la crisi attraverso la prosecuzione dell’attività di impresa è forse costituita dal concordato preventivo con continuità dell’attività[13].

La procedura riceve una più organica disciplina nel non ancora vigente Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Al contrario di quanto abbiamo fatto sino ad ora, considerando anche la grande importanza che tale procedura avrà nel prossimo futuro, prenderemo in esame la disciplina quale risulta dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

Anzitutto, l’art. 84, co. 1 del Codice mette in evidenza come il concordato preventivo, anche mediante continuità dell’attività, è volto a realizzare il soddisfacimento dei creditori. Fin dalle prime battute sembrerebbe dunque che la continuazione dell’attività non sia l’obiettivo primario, ma invece una modalità che consente il soddisfacimento dei creditori[14].

Opportunamente l’impresa è poi valutata in modo oggettivo e quindi si prevede che la prosecuzione dell’attività possa essere proseguita da un soggetto diverso dall’imprenditore originario, e ciò attraverso un’ampia gamma di possibilità. Resta fermo, peraltro, l’obbligo di mantenimento o riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà di quelli in forza nei due esercizi precedenti il deposito del ricorso e ciò per almeno un anno dall’omologazione del concordato. Sia nel caso di continuità diretta, sia nel caso di continuità indiretta l’attività di impresa dovrebbe essere volta ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario nell’interesse “prioritario” dei creditori, oltre che dell’imprenditore.

I creditori devono essere soddisfatti, in misura prevalente, dal ricavato prodotto dalla continuazione dell’attività, ivi compresa la cessione del magazzino. Il legislatore precisa poi che la prevalenza deve essere considerata sempre sussistente quando i ricavi per i primi due anni di continuazione del piano derivino da un’attività di impresa alla quale siano addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso.

Un punto interessante è la presa di coscienza della già segnalata mancanza di unitarietà della categoria di creditori sotto il profilo dei loro interessi. Si precisa così che l’utilità, per alcuni creditori, può essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione dei rapporti contrattuali con l’imprenditore o il suo avente causa.

Quanto ai contenuti del piano il legislatore ha ampliato le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei creditori “attraverso qualsiasi forma” recependo quando era già stato previsto nell’amministrazione straordinaria, ricomprendendo espressamente l’attribuzione “ai creditori, nonché a società da questi controllate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, e altri strumenti finanziari e titoli di debito”.

È inoltre prevista la figura dell’assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato con la precisazione che possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate.

Altra previsione riguarda l’eventuale suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati per creditori appartenenti a classi diverse.

È consentito un soddisfacimento non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca purché in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato, in caso di liquidazione, di beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore di mercato, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da un professionista indipendente. La parte residua è trattata come credito chirografario.

La disposizione riguarda la disciplina generale del concordato, e quindi sembrerebbe applicabile anche al concordato in continuità, anche se, in questo caso, non essendo realizzabile (e nei limiti in cui non sia realizzabile) una liquidazione dei beni, l’astrazione richiesta al professionista sembra quanto mai ardua.

Al solo concordato in continuità è invece riservata la disciplina della moratoria che prevede, appunto, una moratoria di due anni dalla omologazione per il pagamento dei crediti muniti di pegno, privilegio o ipoteca, salvo che il piano preveda la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di moratoria i creditori privilegiati hanno diritto di voto per gli interessi, calcolati secondo un meccanismo non semplice.

Per quanto riguarda il piano di concordato, nel caso di continuità, il piano deve prevedere, oltre a quanto stabilito in linea generale per ogni concordato:

a)        il tempo necessario per il riequilibrio della situazione finanziaria;

b)        le ragioni per le quali la continuità è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori;

c)        in caso di continuità diretta, un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;

d)        il deposito della relazione di un professionista indipendente che, oltre all’attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, deve attestare che la prosecuzione dell’attività di impresa è “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”.

Non si prescrive nulla di particolare per il concordato in continuità, e quindi valgono le norme generali, sia con riferimento al trattamento dei credi tributari e contributivi, sia con riferimento alla riduzione o perdita del capitale delle società.

L’art. 90 del Codice disciplina le proposte di concordato concorrenti. Il legislatore si limita a precisare che legittimati alla proposta concorrente sono i soggetti che rappresentino almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dall’imprenditore, che tale proposta non può essere presentata dal debitore, che non è consentita quando la relazione del professionista indipendente attesti che la proposta di concordato originaria assicuri il pagamento di una percentuale di almeno il 30% dei crediti chirografari. Nulla si dice, invece, per quanto attiene alla continuazione dell’attività di impresa da parte del nuovo proponente, né sugli impegni di mantenimento dell’occupazione, né sui tempi previsti per un ritorno alla normalità dell’attività svolta. Non si dice, in particolare, quale peso abbiano, ad esempio, gli impegni riguardanti il numero dei lavoratori assunti, rispetto ad un aumento della percentuale di pagamento dei creditori chirografari.

Un discorso in parte analogo può essere ripetuto a proposito della disciplina delle offerte concorrenti. Quando il piano di concordato comprenda un’offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato che abbia ad oggetto il trasferimento a suo favore, a titolo oneroso, dell’azienda o di suoi rami, il Tribunale dispone che l’offerta sia resa pubblica al fine di acquisire offerte concorrenti. Se pervengano manifestazioni di interesse, il Tribunale dispone con decreto l’apertura della procedura competitiva. Con lo stesso decreto il Tribunale stabilisce le modalità di presentazione delle offerte. Oltre ad altri dettagli, deve essere indicato “l’aumento minimo del corrispettivo che le offerte devono prevedere”. Nulla si dice, anche in questo caso, né sulla continuazione dell’attività di impresa, né sui tempi di recupero dell’equilibrio economico-finanziario della stessa, né sull’occupazione dei lavoratori, né su quant’altro sia rilevante per la continuazione dell’attività di impresa.

Due parole, infine, sul concordato di gruppi di imprese sotto il profilo della continuità. L’art. 284 del Codice prevede che più imprese appartenenti al medesimo gruppo ed aventi ognuna il centro degli interessi principali nello Stato italiano, possono proporre con unico ricorso domanda di accesso al concordato preventivo o alla procedura di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti. La domanda deve contenere, tra l’altro, l’illustrazione delle ragioni per cui il piano unitario assicuri il miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese. Il successivo articolo 285 precisa poi che il piano, anche quando preveda la liquidazione di alcune imprese e la continuazione delle attività di altre imprese del gruppo, costituisce concordato in continuità quando, ponendo a confronto i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell’attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulti che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti , in misura prevalente, sul ricavato prodotto dalla continuità, diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino.

In conclusione, una procedura che, pur ampliando notevolmente le modalità della continuazione anche indiretta, dell’attività di impresa e pur riconoscendo che l’interesse dei creditori può essere rappresentato anche dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali e quindi essere rappresentato dalla continuazione dell’attività, sembra avere come punto principale il soddisfacimento dell’interesse dei creditori.

Ciò, d’altronde, e già lo si è ricordato, è fatto palese dall’art. 84, co. 1, secondo cui “con il concordato il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori”.

Se la visione prospettica della procedura di amministrazione straordinaria sembra troppo focalizzata sulla prosecuzione dell’attività, a scapito dei creditori anteriori, la disciplina del concordato in continuità sembra troppo focalizzata sulla tutela di questi ultimi[15].

Non resta che augurarci che possa essere raggiunta una più efficace mediazione tra i contrapposti interessi, che oggi appaiono ancora troppo distanti.



[1] In argomento v., tra gli altri, Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze., in IlCaso.it, 14 ottobre 2019; Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, pp. 873-879; Pacchi, La Direttiva (UE) 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva e il Regolamento 858/2015 sull’insolvenza transfrontaliera, in Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, pp. 25-42.

[2] Per riferimenti alla questione cfr., tra gli altri, D’Attorre, Esclusione dal voto del creditore in conflitto d’interessi, in Fallimento, 2014, pp. 328-337; G. Nuzzo, Il conflitto di interessi dei creditori nei concordati, Milano, 2019.

[3] Nella trattatistica sul tema cfr. Meo, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 1061 e, più ampiamente, Ambrosini, L’amministrazione straordinaria, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso-Panzani, Milano, 2016, III, pp. 4016 ss. e Di Marzio-Macario, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Jorio-Sassani, Milano, 2017, V, p. 601.

[4] Castagnola-Sacchi, La legge Marzano. Commentario, Torino, 2006; Bianca, La disciplina della crisi delle grandi imprese, in AA.VV., L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a cura di Costa, Torino, 2008, pp. 1-38.

[5] Rondinone, Il mito della conservazione dell'impresa in crisi e le ragioni della commercialità, Milano, 2012, p. 89.

[6] Con accenti critici cfr. Fabiani-Ferro, Dai tribunali ai ministeri: prove generali di una degiurisdizionalizzazione della gestione delle crisi di impresa, in Fallimento, 2004, pp. 131 ss.

[7] V., ex aliis,Ferro, Il piano attestato di risanamento, in Fallimento, 2005, p. 1353 Guerrieri, Il controllo giudiziale sui piani attestati, in Giur. comm., 2012, I, pp. 385 ss.; Corsi, I piani attestati, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, cit., pp. 642 ss.; Ambrosini-Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in IlCaso.it, 11 giugno 2014, pp. 23 ss.

[8] Piscitello, Piani di risanamento e posizione delle banche, in AA.VV, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, Torino, 2007, p. 113; Ambrosini-Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, cit., pp. 23 ss.

[9] Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in www.dirittodellacrisi, 25 agosto 2021, pp. 14 ss.; Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), ivi, 2 novembre 2021; Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in questa Rivista, 8 settembre 2021, pp. 5 ss.; Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, pp. 901 ss.

[10] Didone, Appunti su misure protettive e cautelari nel d.l. 118/2021, in questa Rivista, 17 novembre 2021; Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, ivi, 24 dicembre 2021, cui adde Baccaglini-De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, in www.dirittodellacrisi.it, 12 ottobre 2021.

[11] Fra i contributi più recenti sul tema cfr. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, cit., pp. 901 ss.; Abriani, Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, su www.dirittodellacrisi.it, 13 maggio 2021; D’Orazio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di Ambrosini, Torino, 2021, pp. 186 ss.

[12] Cfr. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., pp. 14 ss.; Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del cci, composizione negoziata e concordato semplificato, cit., pp. 901 ss.

[13] Come già altrove ho di recente osservato, il concordato preventivo in continuità, “sebbene sia lo strumento che meglio si adatta a preservare la continuazione dell’attività d’impresa, in concreto per potere realizzare la propria funzione dovrà affrontare numerose difficoltà, tra l’altro l’accertamento del discrimen tra imprese viables e non tali” (Maffei Alberti, Prefazione a AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, cit., p. xv; e per qualche spunto de jure condendo v. Gnudi-Maffei Alberti, Una procedura agevolata temporanea di concordato in continuità, in Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2020).

[14] Sul tema v. tra gli altri Arato, Il concordato con continuità nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, pp. 860 ss.; D’Angelo, Il concordato preventivo con continuità aziendale nel nuovo codice della crisi e nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir. fall., 2020, 1, pp. 27 ss.; in precedenza, A. Rossi, Il migliore soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fallimento, 2017, pp. 637 ss.; Ambrosini, Concordato preventivo fra vecchio e nuovo: continuità normativa, interessi protetti e soddisfacimento dei creditori, in questa Rivista, 5 agosto 2021, p. 11; Id, Concordato preventivo: interessi protetti, soddisfacimento dei creditori e continuità aziendale tra vecchia e nuova disciplina, in AA.VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, cit., p. 10.

[15] Da una diversa prospettiva, invece, Arato, Il concordato con continuità nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 859 e Ambrosini, Concordato preventivo: interessi protetti, soddisfacimento dei creditori e continuità aziendale tra vecchia e nuova disciplina, cit., p. 4 mettono in luce la – a loro avviso – impropria contaminazione dell’istituto concordatario con profili caratteristici dell’amministrazione straordinaria.