Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Responsabilità solidale della società risultante da scissione per costi di ripristino ambientale


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Articolo

La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency


Luciano Panzani

Data pubblicazione
31 gennaio 2022

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Sommario:  1. I riferimenti alla Direttiva nella composizione negoziata. Gli early warning tools; 2.  Composizione negoziata e misure protettive; 3. Composizione negoziata ed altri profili dei quadri di ristrutturazione; 4. Le caratteristiche della disciplina dei quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva.


1. I riferimenti alla Direttiva nella composizione negoziata. Gli early warning tools.

Non è dubbio che il nostro legislatore nel licenziare la disciplina relativa al nuovo istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa[1] ha avuto presente e si è ispirato per alcuni profili alla Direttiva 1023/2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.

La Direttiva[2] si propone, diversamente dal Regolamento 848/2015 sull’insolvenza transfrontaliera che contiene principalmente norme dirette a regolare il conflitto tra le giurisdizioni degli Stati membri, di dettare regole comuni che consentano di armonizzare il diritto interno della crisi e dell’insolvenza degli Stati membri. Per realizzare tale risultato la Direttiva opera su tre fronti: prevede l’obbligo degli Stati di dotarsi di early warning tools che assicurino tempestivi interventi in caso di crisi, detta regole generali che debbono disciplinare i c.d. quadri di ristrutturazione preventiva e prevede una disciplina uniforme dell’esdebitazione  e della riabilitazione degli imprenditori insolventi.

Il legislatore europeo vuole rafforzare attraverso regole simili nelle legislazioni nazionali la cultura del recupero dell’impresa in crisi e quindi la “prevenzione”. Non si tratta peraltro dell’unico obiettivo perseguito. Vi è un disegno coerente: come si esprime il Considerando 1, da un lato si intende assicurare “alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare”. Dall’altro si vuole che “gli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati” beneficino “di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo”. Il disegno complessivo vuole far sì che le possibilità di ristrutturazione delle imprese in difficoltà, ma fondamentalmente “sane”, vengano incrementate con regole uniformi in tutti gli Stati membri. Nei casi in cui la ristrutturazione non è possibile o in ragione di uno stato d’insolvenza ormai conclamato o per le imprese di modeste dimensioni che mal si prestano alla ristrutturazione (Considerando 17), si vuole che venga assicurata la possibilità della ripartenza, del fresh start, vale a dire del ritorno a nuove iniziative imprenditoriali, senza che il precedente insuccesso, fisiologicamente collegato al rischio d’impresa, possa essere di ostacolo.

Senza approfondire ulteriormente questi temi[3], preme qui sottolineare che i tre profili cui abbiamo accennato sono disciplinati in modo diverso. Gli early warning tools e le regole sull’esdebitazione e riabilitazione dell’imprenditore insolvente prevedono livelli minimi di tutela che debbono essere attuati dagli Stati membri con ridotti limiti di discrezionalità. Al contrario i quadri di ristrutturazione preventiva sono in grado maggiore una legislazione per principi, frutto di un ampio compromesso tra le diverse tradizioni giuridiche del vecchio Continente, che presentano però un nucleo più vincolante.

Per quanto concerne gli early warning tools, gli strumenti di allerta precoce, l’art. 3, par. 1, della Direttiva, richiede che in ogni Stato membro i debitori “abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”. Il secondo paragrafo aggiunge che “Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”. Infine il quinto paragrafo aggiunge che “Gli Stati membri possono fornire sostegno ai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore. In conclusione la Direttiva prevede un obbligo generico di adottare strumenti di allerta precoce, senza introdurre vincoli precisi.

Si tratta di regole a maglie larghe, limitate ad obblighi di informazione, che non escludono le soluzioni più ampie e rigorose adottate dal legislatore italiano nel titolo II del codice della crisi con il sistema dell’allerta interna ed esterna[4]. Questo sistema, contenuto come si è detto nel titolo II del codice della crisi, ad oggi formalmente rinviato al 31 dicembre 2023, è verosimilmente destinato a non entrare mai in vigore per essere sostituito da principi più elastici e complessivamente più simili a quelli cui si è ispirato il legislatore europeo.

Il rinvio dell’entrata in vigore del codice della crisi non ha interessato la disciplina degli assetti adeguati alla rilevazione tempestiva della crisi, introdotta dall’art. 2086 c.c. norma che fa parte della riforma dettata dal codice della crisi, ma che è già in vigore.  Com’è noto, in forza dell’art. 2086 l’imprenditore costituito in forma societaria o collettiva deve non soltanto rilevare tempestivamente i sintomi della crisi, ma anche adottare prontamente strumenti d’intervento idonei a porvi rimedio. Tra i doveri dell’organo di controllo in sede societaria rientra la vigilanza sul rispetto di tali obblighi da parte degli amministratori con la possibilità, ritenuta in alcuni casi dalla giurisprudenza, di denuncia al tribunale delle gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. L’art. 15 del decreto legge 118/21, convertito senza modificazioni dalla legge 147/2021, ha integrato questa normativa.  L’organo di controllo societario segnala, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto e, quindi, per l’accesso alla composizione negoziata.  La segnalazione è motivata e contiene la fissazione di un congruo termine di non oltre trenta giorni entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative rimane fermo il dovere di vigilanza dell’organo di controllo, ma tempestiva segnalazione e  vigilanza debbono essere valutate ai fini dell’esonero o dell’attenuazione delle responsabilità dei componenti di tale organo ai sensi dell’art. 2407 c.c.

L’art. 30 sexies del d.l. 152/2021, convertito in legge 233/2021 ha rivisto la disciplina dell’allerta esterna prevedendo soglie di indebitamento oltre le quali scatta l’obbligo dei creditori pubblici istituzionali, Agenzia delle Entrate, Inps, Agenzia delle Entrate – Riscossione, di segnalare questi omessi pagamenti “all'imprenditore e, ove esistente,  all'organo  di  controllo,  nella persona del presidente del  collegio  sindacale  in  caso  di  organo collegiale, tramite posta elettronica  certificata  o,  in  mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all'indirizzo risultante dall'anagrafe tributaria”. La segnalazione deve contenere l’invito a chiedere la composizione negoziata ..se ne ricorrono le condizioni.

La norma, figlia di un emendamento al testo originale del d.l.,  risente del poco tempo che il Governo ha avuto per la sua redazione, di cui è indice il riferimento al presidente del collegio sindacale senza alcuna considerazione delle società che hanno adottato un diverso sistema di governance. E’ tuttavia apprezzabile lo sforzo del legislatore di ricondurre il sistema di allerta esterna alla segnalazione agli amministratori perché si avvalgano della composizione negoziale, purché ne ricorrano le condizioni. L’organo di controllo, ove esistente, a sua volta viene avvertito, di modo che, di sua iniziativa o su segnalazione dei creditori istituzionali, possa a sua volta sollecitare gli amministratori, a ciò incentivato dal richiamo alla possibile responsabilità che consegue all’omissione ed alla possibilità di escluderla nel caso in cui si sia correttamente attivato.

L’obbligatorietà degli assetti adeguati, la cui omissione può rilevare in sede di valutazione della responsabilità civile e penale degli amministratori, il dovere degli amministratori di attivarsi, sempre in base al disposto dell’art. 2086 c.c., senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale, la possibilità che tale strumento sia la composizione negoziata, eventualmente su segnalazione dell’organo di controllo, sono complessivamente strumenti idonei e conformi alla disciplina dettata dall’art. 3 della Direttiva con riferimento agli early warning tools. Sono infatti presenti, come richiede il par 2, lett. a) e c)  della Direttiva, meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento e incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi. Si noti che il termine contabili (accountants nel testo inglese) può riferirsi all’organo di controllo in sede societaria e che sono espressamente citate le autorità fiscali e di sicurezza sociale, espressamente considerate dall’art. 30 sexies del d.l. 152/2021.

La lett. b) del par. 2 dell’art. 3 considera ancora i servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private. Sotto questo profilo il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, disponibile sulla piattaforma telematica nazionale su cui si svolge la composizione negoziata, rappresenta certamente un principio di attuazione della previsione europea. Va sottolineato che l’art. 30 quinquies del d.l. 152/2011 come convertito, ha ulteriormente incrementato questa disciplina, prevedendo che sulla piattaforma sia disponibile  un  programma  informatico gratuito che elabora i dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all'imprenditore di  condurre  il test pratico. Le modalità specifiche con cui sarà attuato il programma debbono essere determinate con un decreto interministeriale di futura attuazione, di competenza del MISE. Sin d’ora però la legge prevede che nei casi in cui l’indebitamento sia inferiore a 30.000 euro e sia ritenuto sostenibile,  il programma elabora un piano di rateizzazione che, comunicato ai creditori, diventa vincolante in caso di silenzio assenso. Si tratta di norme ancora generiche, che sollevano molti interrogativi sulla loro concreta attuazione e che potranno forse trovare miglior dettaglio nel decreto interministeriale, ma che certamente s’ispirano ai principi previsti dall’art. 3 della Direttiva.

 

2. Composizione negoziata e misure protettive.

I richiami alla Direttiva sono particolarmente evidenti, come risulta anche dalla relazione illustrativa del d.l. 118/2021, poi parzialmente ritoccato dalla legge di conversione 147/2021, nella disciplina delle misure protettive contenuta negli artt. 6-7 del d.l. 118 e nel procedimento di informazione e consultazione sindacale regolata dall’art. 4, comma 8.

La relazione illustrativa informa infatti che “in ossequio alla direttiva (UE) 2019/1023, e alla direttiva 2002/14/CE dalla prima richiamata, è prevista una procedura di informazione e consultazione sindacale, che si aggiunge a quelle già previste e disciplinate dall’ordinamento, da attivare ogni qual volta l’imprenditore intenda adottare determinazioni rilevanti che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni”.

Il legislatore ha tenuto presente in particolare l’art. 13 della Direttiva 1023/2019 che stabilisce il principio che il quadro di ristrutturazione preventiva non interessi i diritti individuali e collettivi dei lavoratori, quali il diritto alla negoziazione collettiva ed all’azione industriale, il diritto all’informazione e alla consultazione regolati dalle Direttive 2002/14/CE e 2009/38/CE ed i diritti garantiti dalle direttive 98/59/CE, 2001/23/CE e 2008/94/CE. Il secondo paragrafo della norma prevede che qualora il piano di ristrutturazione comprenda misure suscettibili di comportare cambiamenti nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali con i lavoratori, tali misure sono approvate da tali lavoratori se in questi casi il diritto nazionale o i contratti collettivi prevedono tale approvazione. A stretto rigore quest’ultima disposizione contiene un rinvio al diritto nazionale di ogni Stato membro non aggiungendo nulla alle regole già vigenti, sì che non sarebbe stato necessario intervenire con disposizioni specifiche.

Poiché però il rinvio della Direttiva 1023/2019 alla Direttiva 2002/14/CE implica anche il richiamo dell’art. 4 di quest’ultima, che impone agli Stati membri di regolare il diritto all’informazione ed alla consultazione e poiché il par. 2, lett. c) di tale ultima norma prevede anche l'informazione e la consultazione sulle decisioni suscettibili di comportare cambiamenti di rilievo in materia di organizzazione del lavoro nonché di contratti di lavoro, si è ritenuto doveroso integrare la disciplina vigente[5].

L’art. 4, comma 8, ha introdotto quindi un inedito procedimento di informazione e consultazione sindacale destinato ad operare per i soli datori di lavoro che occupano complessivamente più di quindici dipendenti[6] ove non siano previste, dalla legge o dai contratti collettivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, diverse procedure di informazione e consultazione, se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni.

Occorre sottolineare che, se l’informazione e la consultazione sindacale è parte necessaria di ogni trattativa che porti ad una ristrutturazione che interessi i lavoratori, questo procedimento, che riguarda soltanto gli impatti sull’organizzazione del lavoro di minor rilievo sino ad oggi non regolati in altra forma, irrigidisce in qualche misura la composizione della crisi, perché obbliga l’esperto ad un’attività diversa ed ulteriore rispetto allo svolgimento delle trattative con i creditori, attività cui partecipa, ma nella quale non assume il ruolo di coordinatore e facilitatore che svolge ordinariamente, così com’è disegnato dall’art. 5, comma 5, del d.l. 118. Questo ruolo è tanto particolare che per esso il suo compenso è regolato diversamente ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.l.  I lavoratori e le rappresentanze sindacali non sono infatti considerati nel numero dei creditori e delle altre parti interessate che determinano un incremento per scaglioni ed è prevista una remunerazione di 100 euro per ogni ora di presenza che indica chiaramente che si tratta di un’attività considerata di minor impegno.

Il nuovo procedimento non soltanto non era previsto in alcun modo dalla legislazione precedente, ma neppure vi erano state istanze o sollecitazioni da parte delle forze sindacali e politiche per un intervento di questo tipo. Si tratta del resto di una disciplina di carattere residuale, destinata a coprire i casi in cui siano assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni e non vi sia già un’altra procedura di informazione e consultazione sindacale, com’è ad esempio previsto in materia di licenziamenti collettivi. In conclusione è un intervento suggerito al legislatore dalla ritenuta esigenza di rispettare la disciplina europea, riferito peraltro soltanto alla composizione negoziata.

Il legislatore si è nuovamente ispirato alla Direttiva 1023/2019 ed in particolare alle disposizioni che regolano i quadri di ristrutturazione preventiva nel dettare la disciplina delle misure protettive e cautelari[7]. La relazione illustrativa informa infatti che “Le misure protettive e cautelari, per come concepite e disciplinate, sono conformi alle prescrizioni contenute nella direttiva (UE) 2019/1023 sia perché non possono riguardare i diritti dei lavoratori, sia per la durata, minima e massima, entro la quale possono essere efficaci, sia per il costante collegamento che deve esserci tra la singola misura e lo stato delle trattative, la perseguibilità del risanamento e gli interessi dei creditori, sia, infine, rispetto alla disciplina dettata per le fasi di proroga, modifica e revoca. In linea con la direttiva europea appena menzionata, le misure protettive hanno effetto anche sulle istanze di fallimento”. La relazione richiama in termini sintetici le regole dettate dagli artt. 6 e 7 del d.l. 118, rinviando implicitamente agli articoli 6 e 7 della Direttiva che regolano rispettivamente la sospensione delle azioni esecutive individuali e le conseguenze di tale sospensione. L’art. 6, par. 5, dispone infatti che la sospensione non può applicarsi ai diritti dei lavoratori, i paragrafi 6 ed 8 prevedono il tempo massimo della durata iniziale della sospensione ( non più di quattro mesi) e la durata totale che non può eccedere i dodici mesi. Il par. 7 dell’art. 6 detta le condizioni in base alle quali può avvenire la proroga tra cui ( lett. a) l’avvenuto compimento di progressi significativi nelle trattative sul piano di ristrutturazione. Ed ancora il legislatore ha tenuto presenti il par. 9 dell’art. 6 che prevede tra l’altro che l’autorità giudiziaria o amministrativa (nei casi in cui quest’ultima è competente in luogo del giudice come in Italia per la l.c.a. o l’amministrazione straordinaria) possa revocare la sospensione delle azioni esecutive se ( lett. a) la sospensione non soddisfa più l’obiettivo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione perché, ad esempio, una parte dei creditori che ai sensi del diritto nazionale può impedire l’adozione del piano di ristrutturazione, non le appoggia più. Od ancora ( lett.c) se uno o più creditori o una o più classi di creditori sono ingiustificatamente pregiudicati dalla sospensione o (lett.d) se la sospensione comporta l’insolvenza del debitore.

Ancora va ricordato che il divieto di pronunciare la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza dal giorno di pubblicazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata e di richiesta delle misure protettive sino all’archiviazione, previsto dall’art. 6, comma 4, del d.l. 118, è ispirato, sia pur con importanti differenze, all’art. 7, par. 2 della Direttiva che prevede che la sospensione delle azioni esecutive individuali sospenda l'apertura, su richiesta di uno o più creditori, di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività del debitore.

Va poi richiamato il disposto dell’art. 6, comma 5, del d.l. 118 che vieta ai creditori interessati dalle misure protettive di rifiutare unilateralmente l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione o ancora di anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori alla pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto e di applicazione delle misure protettive. Questa disciplina è improntata all’art. 7, par. 4, della Direttiva che stabilisce che gli Stati membri prevedono norme che impediscono ai creditori cui si applica la sospensione di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore[8].

La disciplina della Direttiva in materia di sospensione delle azioni esecutive era già presente al legislatore del codice della crisi. L’art. 8 CCII, infatti, già stabiliva la durata massima delle misure protettive in dodici mesi e la relazione illustrativa precisava a tale proposito che “L’articolo 8, in linea con il richiamo alla normativa dell’Unione europea contenuto nell’art. 1, comma 2, legge delega, n. 155/2017, anticipa la regola dettata dall’art. 6, comma 7, della [allora] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2016 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva”.

 

3. Composizione negoziata ed altri profili dei quadri di ristrutturazione.

Altre norme della composizione negoziata richiamano per alcuni profili la disciplina dettata dalla Direttiva, anche se la relazione illustrativa del d.l. 118 non ne fa menzione.

Si è detto che durante la composizione negoziata l’imprenditore conserva il potere di compiere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Taluni di questi atti, tuttavia, ed in particolare gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti vanno preventivamente comunicati all’esperto da parte dell’imprenditore quando non sono coerenti con le trattative o le prospettive di risanamento ( art. 9, co. 2, d.l. 118). L’esperto segnala all’imprenditore e all’organo di controllo se, a suo avviso, l’atto può arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento. Se l’atto viene ugualmente compiuto, l’imprenditore ne informa l’esperto che nei dieci giorni successivi può e deve, quando l’atto rechi pregiudizio ai creditori, annotare il suo dissenso nel registro delle imprese, con ciò mettendo una seria ipoteca sulle possibilità di prosecuzione della composizione negoziata. Rischia infatti di venir meno la fiducia dei creditori nell’ulteriore svolgimento delle trattative e la convinzione dell’esperto che il tentativo di composizione della crisi possa utilmente proseguire.

Vi sono altri atti che l’imprenditore è libero di compiere, ma che, ai sensi dell’art. 10 del d.l., richiedono l’autorizzazione del tribunale, previo parere dell’esperto per produrre alcuni fondamentali effetti. Si tratta del riconoscimento della prededuzione per i finanziamenti, anche quando erogati dai soci o quali finanziamenti infragruppo, e dell’esonero dell’acquirente dell’azienda dalla responsabilità per i debiti pregressi, eccezion fatta per i crediti di lavoro, ai sensi dell’art. 2560, comma 2, c.c. L’autorizzazione è data dal tribunale dopo un procedimento in cui debbono essere sentite le parti interessate, previa adeguata istruttoria nell’ambito della quale il tribunale può avvalersi di un ausiliare ai sensi dell’art. 68 c.p.c. ed è subordinata alla verifica che gli atti oggetto di autorizzazione siano funzionali alla continuità aziendale ed alla migliore soddisfazione dei creditori. Lo stesso regime si applica anche nel caso in cui l’imprenditore chieda al tribunale di rideterminare secondo buona fede il contenuto di un contratto ad esecuzione continuata o periodica o ad esecuzione differita, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, quando tale rideterminazione sia indispensabile ad assicurare la continuità aziendale.

Gli atti autorizzati dal tribunale conservano i loro effetti nel caso in cui successivamente intervengano un accordo di ristrutturazione omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento, la l.c.a., l’amministrazione straordinaria, il concordato liquidatorio semplificato ( art. 12, co. 1, d.l. 118).

Infine va ricordato che in pendenza della composizione negoziale gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere dall’imprenditore dal momento dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto fino all’archiviazione sono esenti dall’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, co. 2 l.fall. purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti.

Ed ancora per i pagamenti e, più genericamente, per le operazioni compiute nello stesso periodo che siano coerenti con l’andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell’impresa valutata dall’esperto e per i pagamenti[9] e le operazioni autorizzati dal tribunale, non vi è responsabilità penale per bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta preferenziale.

Restano invece soggetti all’azione revocatoria, anche ordinaria, i pagamenti e gli atti di straordinaria amministrazione per i quali l’esperto ha annotato il proprio dissenso o per i quali il tribunale ha respinto la richiesta di autorizzazione.

Durante la composizione negoziata l’imprenditore è dunque da una parte agevolato da una parziale esenzione degli atti compiuti dall’azione revocatoria, ma anche vincolato per questi medesimi atti al controllo dell’esperto sulla coerenza con l’andamento delle trattative, le prospettive di risanamento e l’assenza di pregiudizio per i creditori. E taluni atti, di particolare importanza, richiedono l’autorizzazione del tribunale non per la loro efficacia, ma per il conseguimento di effetti senza i quali essi avrebbero scarsa ragione di essere, in particolare la prededuzione per i finanziamenti e la liberazione dell’azienda dai debiti pregressi per la cessione a terzi. La cessione dell’azienda in caso di autorizzazione dovrà poi seguire le particolari regole che il tribunale, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. d), come modificato dalla legge di conversione, deve stabilire, che riguarderanno verosimilmente le modalità della vendita e le garanzie di destinazione ai creditori del prezzo ricavato.

Ai sensi dell’art. 5, par. 1, della Direttiva gli Stati membri provvedono affinché il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva mantenga il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa. La composizione negoziata rispetta questo principio perché l’imprenditore è libero di compiere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma con i vincoli che abbiamo indicato. Per quest’aspetto possiamo osservare che le scelte del legislatore rientrano nel cono d’ombra della Direttiva.

L’art. 5 della Direttiva prevede anche i vincoli per gli Stati membri alla nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione. Con questa espressione la Direttiva all’art. 2, par. 1 n. 12, indica il soggetto nominato dal giudice o dall’autorità amministrativa ( nel nostro caso da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio) che, congiuntamente o alternativamente: a) assiste il debitore ed i creditori nel redigere o negoziare il piano di ristrutturazione, b) vigila sull’attività del debitore durante le trattative e riferisce all’autorità giudiziaria o amministrativa, c) assume il controllo parziale delle attività o degli affari durante le trattative.

In base a quanto si è osservato in precedenza, possiamo dire che nella composizione negoziata l’esperto assiste il debitore ed i creditori nelle trattative[10], trattative che sfociano nei casi previsti dall’art. 11, co. 1 lett c) e co. 2, nella stipulazione del piano attestato o degli accordi di ristrutturazione, in atti cioè che comportano la redazione di un piano. Anche le procedure previste dal terzo comma dell’art. 11, in caso di esito negativo delle trattative, esito negativo che tranne nel caso del fallimento è visto comunque con favore dal legislatore perché consente il mantenimento dei benefici fiscali, comportano la redazione del piano. Infine nelle ipotesi del contratto con cui può concludersi la composizione negoziata nel caso previsto dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 11 il legislatore non prevede il piano, ma è probabile che esso debba comunque esserci, mentre la convenzione di moratoria implicando un riscadenzamento dei crediti implica, sia pur in termini meno complessi, un piano. L’art. 8 della Direttiva infatti indica i requisiti del piano, quanto al contenuto, facendo riferimento alla nozione di ristrutturazione data dall’art. 2, par. 1, lett. a) della Direttiva medesima, che è amplissima e ricomprende certamente il dilazionamento dei crediti.

Per questo aspetto dunque l’esperto svolge un’attività che è diretta alla negoziazione del piano, anche se la sua formalizzazione può avvenire al di fuori dell’arco di vita della composizione negoziata, nella vigenza di un diverso strumento di composizione della crisi o dell’insolvenza.

Ed ancora l’esperto vigila sull’attività del debitore durante le trattative con riferimento agli atti di straordinaria amministrazione per i quali può esprimere il suo dissenso ed ai pareri che deve esprimere sugli atti soggetti all’autorizzazione del giudice, pareri che corrispondono alla previsione della Direttiva di situazioni in cui il professionista riferisce all’autorità giudiziaria. L’esperto riferisce all’A.G. anche per la conferma o la proroga delle misure protettive dove l’art. 7 del d.l. 118 prevede il parere dell’esperto.

Altre norme della Direttiva sono sostanzialmente in linea con le scelte del legislatore nel caso della composizione negoziata. Come si è visto i finanziamenti, se autorizzati dal tribunale, sono prededucibili. L’art. 17, par. 4, della Direttiva dispone che gli Stati membri possono prevedere che i concessori di nuovi finanziamenti o di finanziamenti temporanei abbiano il diritto di ottenere il pagamento in via prioritaria, nell'ambito di successive procedure di insolvenza, rispetto agli altri creditori che altrimenti avrebbero crediti di grado superiore o uguale. Si tratta di una facoltà rimessa agli Stati membri e che in questo caso corrisponde alle scelte del nostro legislatore. Il par. 1, lett. a) dell’art. 17 prevede ancora che “i nuovi finanziamenti e i finanziamenti temporanei siano adeguatamente tutelati. Come minimo, in caso di successiva insolvenza del debitore:  a) i nuovi finanziamenti e i finanziamenti temporanei non possono essere dichiarati nulli, annullabili o inopponibili; e b) i concessori di detti finanziamenti non possono essere ritenuti civilmente, amministrativamente o penalmente responsabili, in base al rilievo che detti finanziamenti sono pregiudizievoli per la massa dei creditori, a meno che non sussistano altre ragioni stabilite dal diritto nazionale.

I finanziamenti autorizzati dal tribunale debbono essere funzionali alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori ( art. 10 d.l. 118). Essi sono pertanto logicamente coerenti con lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento, come richiede l’art. 12, co. 2 del d.l., per l’esenzione da revocatoria. L’autorizzazione del tribunale esclude anche che vi possa essere pregiudizio per i creditori perché essa è subordinata alla miglior soddisfazione dei creditori stessi. La disciplina italiana è dunque in linea per questo profilo con i requisiti previsti dalla Direttiva.

L’art. 18, par. 1, della Direttiva dispone che gli Stati membri provvedono affinché, nel caso di successiva insolvenza di un debitore, le operazioni che sono ragionevoli e immediatamente necessarie per le trattative sul piano di ristrutturazione non siano dichiarate nulle, annullabili o inopponibili in base al rilievo che dette operazioni sono pregiudizievoli per la massa dei creditori, a meno che non sussistano altre ragioni stabilite dal diritto nazionale. Il par. 4, lett. d) stabilisce che le operazioni ora indicate comprendono come minimo, tra l’altro, qualsiasi pagamento o spesa effettuati nell'ambito dell'attività ordinaria.

Anche sotto questo profilo l’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 12, comma 2, del d.l. 118 corrisponde alla previsione della Direttiva. Il requisito posto dalla norma italiana di coerenza degli atti non revocabili con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento corrisponde in misura sufficiente alla condizione posta dalla norma unionale che le operazioni siano ragionevoli e immediatamente necessarie per le trattative sul piano di ristrutturazione. E questa condizione spiega anche perché per diritto italiano l’esenzione non copra i casi regolati dall’art. 67, comma 1, l.fall.

 

4. Le caratteristiche della disciplina dei quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva.

Le norme della Direttiva che il legislatore ha tenuto presente nel regolare le le procedure di informazione e consultazione sindacale e le misure protettive riguardano tutte la disciplina dei quadri di ristrutturazione preventiva. Si tratta infatti, come abbiamo visto, degli artt. 13 per il primo profilo e 6-7 per il secondo.

Le norme che abbiamo richiamato nel paragrafo che precede con riferimento al ruolo dell’esperto, al piano, agli atti revocabili, stanno anch’esse nel capo II della Direttiva, relativo ai quadri di ristrutturazione.

Le regole dettate dalla Direttiva a tale proposito peraltro hanno caratteristiche particolari, perché, a differenza di quanto riguarda gli early warning tools ed anche le norme in tema di esdebitazione e riabilitazione, non disegnano un quadro rigorosamente vincolante.

Va notato, anzitutto, che non tutta la disciplina concorsuale deve confrontarsi con la Direttiva, ma soltanto quella parte di essa che ha ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa in crisi o insolvente.  Il legislatore europeo ha infatti previsto obblighi per gli Stati membri di assicurare un regime, definito come quadri di ristrutturazione preventiva (preventive restructuring frameworks) diretto a facilitare la ristrutturazione dell’impresa ove vi sia probabilità d’insolvenza. E’ bene aggiungere che il termine ristrutturazione ha un significato ampio. La nozione di ristrutturazione, espressa dall’art. 2, lett. a), stabilisce infatti che per «ristrutturazione» si intendono le  misure che “intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi”.

Onde evitare abusi dei quadri di ristrutturazione, il legislatore europeo richiede che il debitore si trovi in uno stato di difficoltà  finanziaria che comporti una  probabilità  di  insolvenza  e  che  il  piano  di  ristrutturazione sia tale ( Direttiva, art. 4; Considerando 24)  da impedire  l'insolvenza  e  garantire  la  sostenibilità  economica dell'impresa. Il presupposto oggettivo per l’accesso ai quadri di ristrutturazione è la mera probabilità di insolvenza. Le nozioni di insolvenza e di probabilità di insolvenza non sono espresse dalla Direttiva che rinvia in proposito alla legislazione nazionale.

Si indicano le finalità della nuova disciplina - impedire l'insolvenza e garantire la sostenibilità economica del debitore (art. 1, par. 1, lett. a), ma non viene definita la struttura, limitandosi l’art. 4 a precisare che essa deve consentire al debitore di ristrutturare i suoi debiti o la sua attività, ripristinare l’operatività dell’azienda ed evitare l’insolvenza.

Ai sensi dell’art. 4, par. 5, della Direttiva, i quadri di ristrutturazione preventiva[11], possono “consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale, fatti salvi altri eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale”. In altri termini l’ordinamento nazionale può prevedere una o più procedure di ristrutturazione. Ciò che conta è che vi sia almeno un’opzione conforme alla disciplina unionale. Tale opzione può tradursi in una o più procedure od anche soltanto in idonee misure o disposizioni. Non ha carattere esclusivo perché gli Stati membri possono prevedere in parallelo altre soluzioni volte ad evitare l’insolvenza e quindi, ai sensi del par. 5 dell’art. 4, sono fatti salvi altri eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale.

E’ anche possibile immaginare che i quadri di ristrutturazione preventiva si traducano in un percorso tra le procedure già esistenti, opportunamente adattate. Si è osservato[12] che il nostro ordinamento è caratterizzato da una panoplia di strumenti di regolarizzazione preventiva della crisi e dell’insolvenza, giudiziali e stragiudiziali, che spaziano dagli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo in continuità e che considerano anche il piano attestato rafforzato, recentemente introdotto dall’art. 9, comma 5 bis, d.l. 23/2020 convertito in legge 5 giugno 2020, n. 40, prorogato dall’art. 21 del d.l. 118, strumenti tutti tra i quali si è venuta ad instaurare, per il tramite dell’istituto della domanda con riserva, una sorta di circolarità. Si potrebbe muovere da una domanda iniziale per “virare” dall’una all’altra procedura, realizzando proprio la flessibilità suggerita dalla disciplina unionale. Non occorre, quindi, che ognuna delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza previste dal codice, ivi compresi quegli strumenti che non possono dirsi tecnicamente procedure come la composizione negoziata, sia pienamente compatibile con le regole in materia di ristrutturazione dettate dalla Direttiva. E’ sufficiente che si possa individuare un percorso che consente all’imprenditore di beneficiare delle possibilità garantite dalla Direttiva. Non vi sarà infrazione se alcuni dei rami di questo percorso non seguono le regole unionali, a condizione che vi sia stata per l’imprenditore l’opportunità di imboccare un diverso ramo che tali regole rispetti. Se guardiamo all’attuazione della Direttiva da parte di alcuni importanti Paesi dell’Unione[13], possiamo osservare che mentre la Germania e l’Olanda si sono dotate di una legge apposita e di una nuova procedura, espressamente studiata per dare esecuzione ai principi della Direttiva[14], la Francia si è limitata a modificare il code de commerce introducendo modifiche alla disciplina di alcune delle procedure già esistenti[15].

Va poi ancora osservato che le regole che la Direttiva prevede per i quadri di ristrutturazione preventiva sono molto elastiche, pur mantenendo al loro interno un nucleo più rigido. Quanto ai soggetti essa si riferisce ai soli imprenditori[16], ma l’art. 1, par. 4, secondo cpv. consente agli Stati membri, ma non li obbliga, di limitare l’applicazione dei quadri di ristrutturazione preventiva alle sole persone giuridiche, non estendendola alle società di persone, anche se pare improbabile che nel nostro ordinamento si possa immaginare una disciplina concorsuale che distingue tra società di persone e società di capitali. Ancora la Direttiva non considera presupposti indefettibili dei quadri di ristrutturazione preventiva il coinvolgimento di tutti i creditori (art. 8, lett. e), la presenza del giudice che é limitata ai soli casi in cui è necessaria e proporzionata (art. 4, par. 6) ed è comunque facoltativa ove i diritti delle parti interessate siano altrimenti garantiti, la nomina giudiziale di un professionista, in Italia il commissario giudiziale ( art. 5), l’apertura formale di una procedura ( art. 29, par. 1 e 2), l’omologazione ( art. 10, par. 1), peraltro necessaria quando il piano incida sui crediti o sugli interessi delle parti dissenzienti, quando vi sia finanza nuova, quando sia prevista la perdita di almeno il 25% della forza lavoro.

Vi sono poi delle regole più stringenti che riguardano specifici aspetti del quadro o quadri di ristrutturazione: lo status dell’imprenditore che può essere parzialmente spossessato dei poteri di gestione ed amministrazione;  il ruolo del professionista nominato dall’autorità giudiziaria o amministrativa ( nei casi e nei Paesi in cui questa interviene in vece del giudice) con funzioni di vigilanza, ma anche di consulenza ed assistenza;  la disciplina delle misure protettive cui si è già accennato con le regole limitatrici delle ipso facto clauses; la presenza ed il contenuto del piano di ristrutturazione; i soggetti legittimati alla presentazione del piano, che se la legislazione nazionale lo prevede possono essere anche i creditori; la previsione obbligatoria della formazione delle classi dei creditori ed i criteri di formazione delle classi stesse, che possono peraltro essere limitate alla distinzione tra creditori privilegiati e chirografari e poco più; la graduazione dei creditori che può seguire il criterio dell’absolute priority rule, cioè il rispetto rigoroso dell’ordine delle cause di prelazione, o della relative priority rule, con l’attenuazione di tale ordine purché i creditori di rango superiore ricevano di più di quelli di rango inferiore; la presenza obbligatoria di alcuni controlli sul piano e sulla proposta da parte del giudice; l’ammissione al voto di tutte le parti interessate, dove rientrano in tale qualifica tutti i creditori ( e, se previsto dal diritto nazionale, anche i soci quali residual claimants) incisi in qualche modo dal piano; la possibilità che il piano sia approvato senza l’omologazione del giudice quando vi sia il consenso di tutte le classi; l’approvazione altrimenti del piano con il voto favorevole della maggioranza delle classi ovvero anche in difetto di tale maggioranza purché vi sia l’approvazione di almeno una classe e tutte le altre non ricevano soddisfacimento o lo ricevano in misura non superiore a quanto otterrebbero in caso di liquidazione ( è il c.d. cross class cram down o ristrutturazione trasversale dei debiti). Altri profili vincolanti riguardano, come si è accennato, i controlli sul piano demandati comunque al giudice o all’autorità amministrativa, l’effetto vincolante del piano omologato dall’autorità giudiziaria o amministrativa per tutte le parti interessate; il regime delle impugnazioni; la tutela dei nuovi finanziamenti da azioni di nullità, invalidità ecc. e da responsabilità per danni; la tutela delle altre operazioni connesse con la ristrutturazione dalle azioni di nullità, annullabilità, revoca ecc.

Valutando in termini sintetici e complessivi la disciplina della composizione negoziata si possono sollevare evidenti dubbi sulla possibilità di ricomprendere quest’istituto nell’ambito dei quadri di ristrutturazione disciplinati dalla Direttiva. Se è vero infatti che il presupposto oggettivo disegnato dall’art. 2 del d.l. 118, il trovarsi l’imprenditore commerciale ed agricolo in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, corrisponde sostanzialmente al presupposto oggettivo dei quadri di ristrutturazione rappresentato dalla probabilità di insolvenza indicata dall’art. 4, par. 1, della Direttiva, e che anche il presupposto soggettivo, la qualità di imprenditore senza ulteriori specificazioni corrisponde, va subito aggiunto che nella composizione negoziata non vi è un piano di ristrutturazione al momento in cui l’imprenditore chiede di accedervi, non vi è spossessamento dell’imprenditore in senso proprio, non vi è un vero controllo sulla gestione quale lo abbiamo sempre inteso con riferimento ai rapporti tra debitore e commissario giudiziale nel concordato, non vi è un intervento del giudice chiamato a verificare che il piano risponda a determinate condizioni minimali, non vi è voto dei creditori e non vi è approvazione del piano. Più in sintesi si può osservare che la composizione negoziata non è una procedura, non attua i principi della concorsualità, afferma espressamente che l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa ( art. 9 d.l. 118), di cui risponde.

Sembrerebbe dunque, a prima vista, di poter giungere alla conclusione che il legislatore italiano si sia preoccupato di disciplinare la composizione negoziata assicurando il rispetto di alcuni dei principi dettati dalla Direttiva disegnando però uno strumento di composizione e superamento della crisi che non corrisponde alle fattispecie che possono essere qualificate come un quadro di ristrutturazione. E del resto, si potrebbe osservare, se la definizione di ristrutturazione che offre la Direttiva riguarda la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi, come prevede l’art. 2, par. 1, n. 1, è facile osservare che tutte queste possibili attività presuppongono l’accordo con i creditori che la composizione negoziata mira a raggiungere, ma che è il risultato del percorso che essa regola, sì che in quanto attività preliminare all’accordo essa non potrebbe essere definita un quadro di ristrutturazione.

In questi termini la conclusione sarebbe affrettata, non terrebbe conto dell’esatta natura dei quadri di ristrutturazione.

E’ stato infatti sottolineato[17] che la Direttiva è molto flessibile per quanto riguarda gli aspetti procedurali, in una misura che è ignota al nostro sistema processuale e concorsuale. Come si è già accennato, essa si limita a stabilire alcuni generali principi nei paragrafi 5 e 6 dell’art. 4 ed alcune regole relative all’intervento del giudice o dell’autorità amministrativa per concedere la sospensione delle azioni esecutive e per approvare il piano di ristrutturazione ( principalmente negli artt. 6, 10 e 16). Come si è già ricordato i quadri di ristrutturazione preventiva possono consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale, fatti salvi altri eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale. La Direttiva non richiede agli Stati membri di istituire una sola procedura, organizzata in fasi successive, in cui il giudice o l’autorità amministrativa debba intervenire dall’inizio alla fine, come avviene normalmente nelle procedure di diritto italiano o, per citare un’esperienza straniera, nel chapter 11 americano. La ragione è che questo tipo di procedimenti, come abbiamo più volte sperimentato negli anni passati, assicura ogni possibile garanzia a tutela dei diritti individuali dei soggetti coinvolti, ma é costoso e richiede troppo tempo. Non c’è sempre necessità di una procedura di questo tipo. In alcuni casi può essere sufficiente assicurare al debitore la sospensione delle azioni esecutive, magari limitata ad alcuni creditori soltanto, senza che in seguito occorra l’approvazione formale di un piano, se tale piano ha incontrato il consenso di tutti i creditori o, come prevede la Direttiva, di tutte le classi dei creditori. Altre volte può avvenire esattamente il contrario: non c’è necessità di uno stay, ma la presenza di alcuni creditori contrari al piano richiede la sua approvazione in sede giudiziale. Come spiega il Considerando 29, per promuovere l'efficienza e ridurre ritardi e costi, i quadri nazionali di ristrutturazione preventiva possono contemplare procedure flessibili, che possono consistere, nel linguaggio dell’art. 4, par. 5, in una o più procedure, misure e disposizioni. Si è osservato, a questo proposito, che gli Stati membri possono adottare un approccio che preveda di mettere a disposizione dell’imprenditore una “cassetta degli attrezzi” e prevedere differenti misure e strumenti, ad esempio lo stay ed il piano di ristrutturazione. Le parti possono combinare queste misure e strumenti secondo le esigenze e le particolarità del caso. Tutti gli strumenti previsti dalla Direttiva come obbligatori debbono essere presenti nella legislazione nazionale di uno Stato membro, ma non debbono essere raccolti necessariamente in un’unica procedura[18]. Le scelte procedimentali sono quindi in larga misura aperte alle scelte di ogni Stato ed il par. 5 dell’art. 4 chiarisce che una parte degli strumenti adottati può trovare applicazione al di fuori di un procedimento giudiziale. L’unico limite da questo punto di vista lo stabilisce il par. 5, seconda periodo, in forza del quale gli Stati membri provvedono affinché i quadri di ristrutturazione conferiscano in modo coerente ai debitori e alle parti interessate i diritti e le garanzie previsti dalla Direttiva. Questo principio è ribadito dal Considerando 29 con specifico riferimento al caso in cui la Direttiva sia attuata attraverso più di una procedura.

La conclusione che si può trarre da queste considerazioni è che la composizione negoziata, pur non essendo una procedura e tantomeno una procedura che preveda la presentazione e l’approvazione da parte del giudice di un piano di ristrutturazione, può rappresentare uno step di un percorso diretto a raggiungere un accordo con una parte o tutti i creditori destinato ad essere consacrato in uno dei tipi di accordo descritti dall’art. 11, primo comma, del d.l. 118, o in un accordo di ristrutturazione che può trovare il suo fondamento, come dichiara espressamente il comma 2 della norma con riferimento agli ADR ad efficacia estesa, nell’andamento della composizione negoziata, quando il raggiungimento dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto. Anche nei casi in cui le trattative non abbiano permesso la formalizzazione del consenso, esse possono ugualmente sfociare nella presentazione ed omologazione di un accordo di ristrutturazione, di un concordato preventivo, di un concordato semplificato. La mancata attuale armonizzazione di una o più di queste procedure con la Direttiva, impedisce di sapere se esse o altre potranno costituire un altro step dei quadri di ristrutturazione preventiva. Il legislatore dovrà sciogliere la riserva nei prossimi mesi.

In questo momento possiamo soltanto limitarci ad osservare che la composizione negoziata, in particolare la disciplina delle misure protettive, degli atti soggetti all’eventuale dissenso dell’esperto, alle autorizzazioni del tribunale, ed ancora il regime di parziale esenzione dalle azioni revocatorie e dalla responsabilità penale, possono costituire una fase di un iter destinato a concludersi con la presentazione di un piano di ristrutturazione e con la sua approvazione da parte dei creditori e, se necessario, del giudice. Già ora, peraltro, possiamo osservare che le ipotesi di contratto o accordo regolate dall’art. 11, primo comma, del d.l. 118, possono rappresentare, ove ne ricorrano tutte le condizioni, ipotesi di quadri di ristrutturazione. L’art.  9, par. 7, della Direttiva prevede infatti che il piano di ristrutturazione è adottato dalle parti interessate purché in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza dell'importo dei crediti o degli interessi, senza che sia necessaria l’omologazione da parte del giudice o dell’autorità amministrativa, prevista nelle diverse ipotesi dell’approvazione a maggioranza delle classi o del cross class cram down (salve le ipotesi in cui l’art. 10 richiede comunque l’approvazione del giudice). E il par. 7 dell’art. 9 consente che il voto dei creditori possa essere sostituito da un accordo con la maggioranza richiesta.

Ovviamente il discorso dovrebbe essere approfondito perché i quadri di ristrutturazione richiedono la predisposizione del piano, che durante la composizione negoziata può essere abbozzato e discusso con i creditori, ma ancora non esiste, ed altri requisiti dovrebbero comunque essere presi in considerazione. Ciò che preme, tuttavia, in questa sede è rilevare come la composizione negoziata possa essere considerata uno step o fase di un quadro di ristrutturazione. Di conseguenza la preoccupazione del legislatore di rispettare, come abbiamo visto, alcuni dei principi stabiliti dalla Direttiva, appare ragionevole e colloca già le nuove norme del d.l. 118 nella prospettiva del più generale adeguamento del codice della crisi alla Direttiva.



[1] Sulla composizione negoziata è ormai difficile indicare studi che si riferiscano all’istituto nella sua disciplina complessiva, prevalendo analisi dedicate a questo o quell’aspetto specifico. Ricordiamo per quanto concerne i commenti usciti prima della pubblicazione del d.l. 118/21: M. Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’ esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, 2 agosto 2021;  S. Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, 5 agosto 2021. Si vedano in seguito in generale S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall. 2021, I, 922;  R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2021; A. Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in www.dirittodellacrisi.it, 2021; D. Galletti, È arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare, in www.Ilfallimentarista.it, 2021;  P. Liccardo, Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole, in www.ilfallimentarista.it, 2021; L. Panzani, Il d.l. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Diritto della crisi, 25 agosto 2021; S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristrutturazioni aziendali, 9 agosto 2021; P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ilcaso.it, 2021. Rinviamo poi al commento che all’istituto ha dedicato la Rivista Il fallimento, nel numero monografico di dicembre 2021 La composizione negoziata e le misure che anticipano il Codice della crisi, con contributi di M.Fabiani, I. Pagni, P. Vella, A. Rossi, R. Ranalli, A. Guiotto, F. De Santis, R. Brogi, F. Michelotti, M. Ferro, L. Panzani, G. D’Attorre, A. Farolfi, G.B. Nardecchia. Si veda da ultimo M. Irrera, S. Cerrato e F. Pasquariello (a cura di), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, Zanichelli, Bologna, 2022; AA.VV., “Ce lo chiede l’europa”. Dal recupero dell’impresa in difficoltà agli scenari post-pandemia: 15 anni di riforme, Raccolta degli atti del XXVIII Convegno Nazionale di Alba sulle Crisi d’impresa tenutosi il 20 novembre 2021 in Alba, a cura di Luciano Panzani, con contributi di P. Severino, A. Stein, G. Corno, S. Giacomelli, S. Pacchi, G. Lener, R. Van Galen, C. Paulus, S. Pettinato, R. Ranalli, A. Paluchowski, L. Panzani, M. Messori, B. Inzitari, C. Bauco, in Dirittodellacrisi.it; A. Maffei Alberti, Crisi d’impresa e continuazione dell’attività, in Ristr. aziendali, 29 gennaio 2022.

[2]  Sulla Direttiva la bibliografia è ormai amplissima. Ricordiamo, senza pretesa di completezza, Abi,  Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019; Assonime, in Circolari ABI on line, 2019 ( serie legale n. 5 del 27 settembre 20199; La nuova disciplina europea in tema di ristrutturazione preventiva e insolvenza, in Assonime.it, 2019; L. Boggio, UE e disciplina dell'insolvenza (I parte) - Confini ed impli­cazioni dell'ambito di applicazione delle nuove regole UE, in Giur. It., 2018, pp. 222 e ss. ; G. Corno, La disciplina degli obblighi dei dirigenti di imprese in situazioni di probabilità di insolvenza nella Direttiva (UE) 2019/1023, in ugdcecmonzabrianza.it, 2019; G.Corno L. Panzani, La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da Covid-19. Spunti di diritto comparato con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, in Ilcaso.it, 27 aprile 2020; De  Cesari-Montella, Osservatorio internazionale sull'insolvenza - La Relazione della Commissione del Parlamento UE sulla proposta di direttiva della Commissione del 22 novembre 2016, in Fallimento., 2018, pp. 1350 e ss.; De Sensi, Orientamenti comunitari ed evoluzione della disciplina ita­liana della crisi di impresa, in Dir. fall., 2017,1, pp. 798 e ss.; Jcoere Consortium, Report 1: Identifying substantive and procedural rules in preventive restructuring frameworks including the Preventive Restructuring Directive which may be incompatible with judicial co-operation obligations (JCOERE Project, 2019), in https://www.ucc.ie/en/jcoere/research/report1/; F.Marotta, L'armonizzazione europea delle discipline nazionali in materia di insolvenza: la nuova direttiva europea riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristruttu­razione, in Ilcaso.it, aprile 2019; A. Mazzoni, Procedure concorsuali e standardsinternazionali: norme e principi di fonte Uncitral e Banca Mondiale, in Giur. comm., 2018, I, pp. 43 e ss.; V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, in Ristr. aziendali, 17 ottobre 2021; G. McCormack, The European Restructuring Directive, Cheltenham, UK, 2021; A. Nigro, La proposta di direttiva comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, pp. 201 e ss.; S.Pacchi, La ristrutturazione dell'impresa come strumento per la continuità nella direttiva del parlamento europeo e del consiglio 2019/1023, in Dir.fall., 2019, 1259; Id. La Direttiva (UE) 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva e il Regolamento 848/2015 sull’insolvenza transfrontaliera, in Diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di S. Pacchi e S. Ambrosini, Torino, 2020, 25 e ss.; L. Panzani, Preventive restructuring frameworknella direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in Ilcaso.it, ottobre 2019; Id., La proposta di direttiva della Commissione UE in tema di ristrut­turazione preventiva dell'impresa, seconda chanceed esdebitazione, in Aa.Vv., Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretto da Ambrosini, Bologna, 2017, pp. 1087 e ss.; Id., L'insolvenza in Europa: sguardo d'insieme, in Fallimento, 2015, pp. 1013 e ss.; C. Paulus R. Dammann, European Preventive Restucturing Article by Article Commentary, Munchen, 2021; P.Piazza, La proposta di direttiva UE in materia di insolvenza e le forme di autotutela della controparte in bonis, in Giur. Comm., 2018, pp. 691 e ss.; T.Richter, A. Thery, Claims, Classes, Voting, Confirmation and the Cross-Class Cram-Down (April 14, 2020), INSOL Europe, 2020, in SSRN: https://ssrn.com/abstract=3575511; V. Rotaru, The Restructuring Directive: a functional law and economics analysis from a French law perspective, in Droitetcroissance.fr, 2019; L. Stanghellini, La proposta dci Direttiva UE - in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, pp. 873-879;  L. Stanghellini , R. Mokal, C.G Paulus, I. Tirado , Best practices in European Restructuring: Contractualised Distress Resolution in the Shadow of the Law, Torino, 2018; L. Stanghellini A. Zorzi, Coordinating the Prevent Restructuring Directive and the Recast European Insolvency Regulation, in Autumn Eurofenix, 2019, 22; L. Stanghellini,  L’attuazione della Direttiva europea 1023/2019: un compito impegnativo e sottovalutato, Relazione al Nuovo corso alta formazione codice della crisi e della insolvenza, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma il 9 dicembre 2020; R. Van Galen, The Act On The Confirmation Of Out-Of-Court Restructuring Plans [Wet Homologatie Onderhands Akkoord], in Ondernemingsrecht (nrs. 2020/39 and 2020/129); F. Javier Arias Varona  Johanna Niemi  Tuomas Hupli, Discharge and Entrepreneurship in the Preventive Restructuring Directive, in https://doi.org/10.1002/iir.1369, 2020, 28 aprile; P. Vella, L’impatto della Direttiva UE 2019/1023 sull’ordinamento concorsuale interno, in Fallimento, 2020, 747; Id., I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 1023/2019 e nel diritto nazionale, ivi, 2020, 1033.

[3] Rinviamo sul punto a L.Panzani, L’adeguamento delle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza alla Direttiva 1023/2019 tra difficoltà tecniche e nuove opportunità, in Riv. Esec. forzata, 2021, 4. Sull’impatto degli interventi unionali, e della Direttiva 2019/1023 in particolare, sul diritto concorsuale interno, da ultimo, P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Ristrutturazioni aziendali, 2.01.2022.

 

[4] P. Vella, L’impatto della Direttiva UE 2019/1023 sull’ordinamento concorsuale interno, cit., 755.

[5] A fronte dell’indubbio appesantimento dell’iter della composizione negoziata, il legislatore sembra non aver valutato si trattava di obbligo in vigore da quasi vent’anni, risalendo appunto alla Direttiva 2002/14/CE, per il quale mai si erano posti in precedenza problemi di adeguamento della nostra legislazione.

[6] Il limite dimensionale previsto dall’art. 4 della Direttiva 2002/14/CE è di cinquanta dipendenti, ma si è preferito abbassare la soglia a 15, essendo questo il riferimento di altre norme della nostra legislazione lavoristica. In proposito va sottolineato che anche questa volta non si è tenuto conto che i vincoli legati a limiti dimensionali nell’occupazione favoriscono la tendenza della nostra economia al nanismo imprenditoriale.

[7] Sul punto si veda R.Guidotti, La composizione negoziata nel quadro dell’attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 – Insolvency, Relazione tenuta il 26 gennaio 2022 alla Scuola Superiore della Magistratura in corso di pubblicazione sui Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, il cui testo ho potuto consultare in bozza grazie alla cortesia dell’A.

[8] Per contratti pendenti essenziali la norma unionale intende, come chiarisce lo stesso art. 7,  par. 4, secondo periodo, i contratti pendenti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alla forniture la cui interruzione comporterebbe la paralisi dell’attività del debitore. Il legislatore italiano ha quindi dettato una norma di portata più ampia di quella unionale.

[9] In realtà il tribunale non autorizza pagamenti ai sensi dell’art. 10 del d.l. 118.

[10] L’art. 5, comma 5, del d.l. 118 usa l’espressione “l’esperto incontra le altre parti [ diverse dall’imprenditore n.d.r.] interessate al processo di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento fissando i successivi incontri, con cadenza periodica ravvicinata.

[11] Come si è detto, la previsione dell’art. 4, par. 5, che come osservato nel testo, lascia ampia elasticità al legislatore nazionale riguarda soltanto i quadri di ristrutturazione preventiva. Non si riferisce invece agli early warning tools, alla disciplina dell’incapacità e dell’esdebitazione dell’imprenditore che sia stato assoggettato a procedura liquidatoria ed alle restanti parti della Direttiva.

[12] P. VELLA, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 1023/2019, in Fallimento, 2020,1034.

[13] Ad oggi sono intervenuti Germania, Olanda, Francia, Grecia, cui è ragionevole prevedere che si aggiungerà l’Italia prima della scadenza di luglio 2022. La Spagna, che aveva recen-temente aggiornato la sua legislazione, non può ritenersi sostanzialmente inadempiente. Può ritenersi dubbio che tutti i 27 Stati membri rispettino il termine del luglio 2022.

[14] La Germania ha approvato la legge per un “Quadro di ristrutturazione fuori da una procedura d’insolvenza” (Unternehmensstabilisierungsund -restrukturierungsgesetz) – StaRUG) approvata dal Parlamento il 17 dicembre 2020 e in vigore dal 1 gennaio 2021[14]. L’Olanda ha adottato la legge sull’omologa dei piani di ristrutturazione extragiudiziali, (Wet Homologatie Onderhands Akkoord (WHOA), in vigore anch’essa dal 1 gennaio 2021[14]. Per un primo commento si vedano C .G. Paulus, The new German preventive restructuring framework, in Orizzonti del Diritto commerciale, 2021, 1, 9 e ss.; R. Van Galen, The Act On The Confirmation Of Out-Of-Court Restructuring Plans [Wet Homologatie Onderhands Akkoord], in Ondernemingsrecht ,nrs. 2020/39 and 2020/129.

[15] Cfr. Ordonnance no 2021-1193 du 15 septembre 2021 portant modification du livre VI du code de commerce.

[16] Va ricordato che per diritto unionale i professionisti rientrano nell’ambito degli imprenditori e che quindi le regole concorsuali che ad essi si riferiscono, in pratica la disciplina del sovraindebitamento, debbono rispettare i principi affermati dalla Direttiva, così come avviene anche per gli imprenditori agricoli e gli imprenditori commerciali sotto soglia.

 

[17] F. Garcimartin, Sub art. 4, in European Preventive Restructuring, a cura di C. Paulus e R. Dammann, Munchen, 2021, 94 e ss. 

[18] P. Vella, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 1023/2019, in Fallimento., 2020,1034.