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Le istanze di composizione negoziata. Dati UnionCamere aggiornati al 15 aprile 2024


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Frammenti di disciplina dei gruppi nel Codice della crisi alla luce del decreto correttivo e dello schema di decreto Insolvency


Mia Callegari

Data pubblicazione
05 maggio 2022

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Sommario: 1. L’ultimo frammento della disciplina dei gruppi nell’articolata riforma del diritto della crisi. - 2. La definizione di “gruppo” ed alcune questioni interpretative nel raccordo con la disciplina codicistica. – 3. La configurazione della direzione unitaria nella crisi. – 4. Riflessioni conclusive con particolare riferimento al tema dei vantaggi compensativi.


1.        L’ultimo frammento della disciplina dei gruppi nell’articolata riforma del diritto della crisi

Nell’analisi delle principali linee della riforma del diritto della crisi, nel suo travagliato iter,  uno spazio non può non essere dedicato alla disciplina dei gruppi di imprese, di cui il Codice della Crisi, con i suoi artt. 284-292 ha segnato l’emersione normativa a livello generale, rispetto alle precedenti esperienze connotate da carattere di settorialità (si pensi all’amministrazione straordinaria ed alla ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza o alla disciplina speciale dei gruppi bancari o assicurativi)[1] e nel confronto con le variegate esigenze emerse anche a livello europeo (è il caso del Regolamento sulle procedure di insolvenza transfrontaliera[2] e della Direttiva Insolvency).[3]   

La disciplina delineata dal Codice della Crisi, con le implementazioni del Decreto Correttivo, del Decreto 118/2021 e dello Schema di Decreto Insolvency, è incentrata sulla necessità di affrontare la crisi che investe alcune o tutte le imprese del gruppo in una prospettiva unitaria.[4]

Neppure al momento della crisi, il gruppo si sottrae alle sue specificità ed al dualismo tra la natura unitaria, percepibile essenzialmente dal punto di vista economico-sostanziale, e pluralità sul piano giuridico.[5] Un dualismo, peraltro, che costituisce la chiave del successo del modello, garantendo una flessibilità organizzativa sconosciuta all’impresa autonoma e peculiari vantaggi in termini di frazionamento della responsabilità, del rischio e dell’allocazione dei costi e benefici. Un dualismo che è ben presente anche nella disciplina della crisi di gruppo e che risponde alle linee direttive di natura sostanziale e processuale contenute nell’art. 3 legge delega n. 155/2017, volte a valorizzare il carattere unitario della crisi di gruppo (il connotato dell’unitarietà vige per tutte le procedure), quindi con una tecnica di consolidamento procedurale, mantenendo i principi di autonomia giuridica e di autonomia delle masse attive e passive delle imprese (art. 3, co. 1, lettera d); art.284 co. 2 CCI).

Il d. l. n. 118/2021, convertito nella l. 147/2021, ha poi introdotto l’istituto della composizione negoziata per i gruppi nell’art. 13 (rubricato “conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese” e destinato a diventare l’art. 25 CCI a seguito dell’approvazione dello Schema di Decreto Insolvency), unica disciplina della crisi di gruppo ad essere già in vigore.

Contesa nella tensione tra unità e pluralità, attentamente rilevata fin dai primi commenti[6], non si è però preoccupata solo di introdurre una disciplina volta a facilitare sul piano procedurale il trattamento della crisi o dell’insolvenza che riguardi imprese appartenenti al gruppo, ma ha previsto anche disposizioni di natura sostanziale destinate a confermare, e in taluni casi a  specificare ed integrare quelle contenute nella disciplina della direzione e coordinamento di società di cui agli art. 2497 s. c.c.  e giunge a fornire strumenti per contemperare il dato oggettivo della distinta personalità giuridica e dell’autonomia fra le imprese del gruppo.

 

2.        La definizione di “gruppo” ed alcune questioni interpretative nel raccordo con la disciplina codicistica

E’ stato ben posto in luce da Renato Rordorf nel suo contributo sui “Doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi” come la tecnica di premettere alla disciplina del codice della crisi una serie di definizioni e di principi testimonia l’intento del legislatore di collocare le disposizioni in un quadro organico “fornendo all’interprete quegli assi di orientamento che la scarsa sistematicità degli ultimi interventi in materia fallimentare aveva appannato” e “facilitando un più armonico dialogo tra il diritto della crisi ed il diritto societario”.[7]

Questa esigenza è vieppiù evidente nella definizione di “gruppo di imprese”, inizialmente proposta dall’art. 2, comma 1, lett. h), il cui testo è confluito nell’art. 13 D.L. 118/2021, dopo aver subito correttivi e precisazioni ad opera del primo correttivo (d. lgs. n.147/2020), del d.l. 118/2021 e da ultimo dallo Schema decreto Insolvency di marzo 2022.[8]  

La previsione normativa si incentra sull’attività di direzione e coordinamento attraverso il richiamo all’art. 2497 c.c. e riproduce i meccanismi presuntivi espressi dall’art. 2497 sexies c.c. Infatti, nell’incipit fa espresso rinvio all'art. 2497 c.c. e definisce come gruppo l'insieme delle società, delle imprese e degli enti sottoposti a direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica. Nella seconda parte, anche in relazione alla disciplina della crisi, la disposizione, riprendendo la disciplina civilistica dell’art. 2497 sexies c.c., presume fino a prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento sia esercitata verso le controllate dalla società o ente (1) che ne consolida i bilanci o (2) che esercita su di esse il controllo, diretto o indiretto, anche congiuntamente.

L’impostazione del CCI si accorda con la riforma societaria, che identifica il tratto caratterizzante del “gruppo” nella “direzione unitaria”, così ponendo a fuoco il nucleo economico e pratico del fenomeno, in una portata più ampia del controllo e per la cui esistenza è indispensabile constatare la presenza di elementi, tali da configurare un’attività permanente e sistematica di ingerenza nelle scelte amministrative e nelle opzioni strategiche dei settori chiave della società subordinata.[9] Il primo criterio, quello del ‘controllo’ (riferito ad una maggioranza di voti), è diffusamente utilizzato sia negli ordinamenti interni che a livello unionale per le discipline di settore in qualche modo collegate al fenomeno in esame (ad esempio, le già citate direttive sui conti consolidati): è certamente un elemento di immediata ed agevole applicazione, garante di certezza giuridica. Se ne è peraltro frequentemente sottolineata la non esaustività e la conseguente opportunità di ricorrere al concetto (nato nell’alveo della disciplina antitrust) di ‘influenza dominante’: un criterio, quest’ultimo, ritenuto per certi versi naturalmente più ampio, e quindi maggiormente idoneo a mettere a fuoco il nucleo economico e pratico del fenomeno, per altri, più ristretto e suscettibile di una minor certezza prevedibilità in termini applicativi. L’individuazione dello spazio applicativo della disciplina, così come dei prerequisiti per l’esistenza di un gruppo, devono essere perseguiti alla luce di un criterio di certezza giuridica, che naturalmente può essere messo a repentaglio sia dalla scelta di uno solo dei due criteri, sia da una carenza a livello definitorio, sia ancora da dalla possibilità di applicare i due criteri cumulativamente e non alternativamente.[10] In relazione a tali aspetti, il criterio della direzione unitaria (comprensivo del controllo) ha attirato diffusi consensi all’indomani della riforma, potendosi proporre anche come modello efficiente a livello unionale[11].

Pur ponendosi dunque sulla stessa linea, la definizione (già solo perché si pone come definizione) del CCI è più articolata rispetto a quella desumibile dall’art. 2497 sexies c.c.: infatti, pone l’accento sia sull’assoggettamento ad eterodirezione che sull’esercizio della direzione, fornendo un indice interpretativo di conferma della necessità di una verifica concreta della sussistenza dell’attività di direzione e di coordinamento ai fini della configurazione del gruppo.[12] Come posto in luce in particolare da Luciano Panzani, è da notarsi che queste presunzioni hanno una funzione diversa nell’ambito del diritto della crisi rispetto a quello ordinario: non si tratta infatti di agevolare la prova della sussistenza della direzione e coordinamento (in una prospettiva di tutela di interessi terzi rispetto al gruppo), ma di semplificare la presentazione di istanze unitarie. In questa seconda ipotesi, la verifica della sussistenza in concreto dell’attività di direzione dovrebbe passare attraverso elementi probatori e non semplici presunzioni, specie se si considera che proprio la gestione unitaria delle procedure o ancora la presentazione di piani unitari collegati hanno fondamento economico e giuridico proprio nell’esercizio in concreto dell’attività di direzione coordinamento.[13] 

Uno specifico disallineamento con la disciplina civilistica c’è laddove l’art.2, co.1 lett. h), come adeguato in sede di correttivo, fa riferimento alle persone fisiche quali soggetti ai quali possa far capo l’attività di direzione e coordinamento. La previsione, che amplia il perimetro delle società del gruppo suscettibili di essere coinvolte in una gestione unitaria della crisi, solleva alcune riflessioni.[14]

In primo luogo, collegandoci alla questione dell’accertamento dell’esistenza del gruppo, emergono immediatamente le peculiarità dell’ipotesi, rispetto alla quale la verifica della sussistenza dell’esercizio dell’attività di direzione andrà effettuata in concreto, non operando né l’art.2497 bis, né l’art. 2497 sexies c.c., né di conseguenza le presunzioni della seconda parte dell’art.2 lett. h), tutte riferite alle sole società o enti controllanti.

L’inoperatività dei meccanismi pubblicitari ex art. 2497 bis c.c. si traduce in un aspetto pratico di non poco momento, rendendo inapplicabile alla holding persona fisica il criterio per la scelta del tribunale o della camera di commercio competenti a fini procedurali. Infatti l’individuazione della sede (rectius alla luce dello Schema Decreto Insolvency, del centro degli interessi) della capogruppo è fondamentale ai fini di individuare la Camera di Commercio o l’Autorità Giudiziaria di riferimento per la procedura, potendosi tuttavia ricorrere al criterio alternativo, e secondo alcuni commentatori sussidiario, dell’impresa con la maggiore esposizione debitoria. Questa soluzione potrebbe allora soccorrere nelle ipotesi in cui la capogruppo sia in bonis ovvero non partecipi alla procedura ovvero ancora non operino i meccanismi pubblicitari previsti dall’art. 2497 c.c., come per l’holding persona fisica.[15]

Più in generale, ci si può domandare se la previsione implichi in qualche modo il definitivo superamento del dibattito sull’ammissibilità della holding persona fisica[16] e tanto l’assenza di notazioni contrarie in sede di relazione illustrativa, quanto la genericità del dato testuale paiono confortare questa soluzione, salvo poi domandarsi se abbia o meno una portata circoscritta alla disciplina della crisi.[17]

Inoltre, la distonia potrebbe favorire, ad esempio, l’esclusione dalla procedura di composizione negoziata della holding persona fisica, specie se si considera che i fenomeni della capogruppo personale e del gruppo di fatto non emergono spontaneamente ed è difficile dunque che sia data loro pubblicità in fase di negoziazione, a meno che ciò non si possa tradurre in un beneficio per la capogruppo.

 

3.        La configurazione della direzione unitaria nella crisi

Venendo alla disciplina della crisi di gruppo emerge continuamente il tema della dialettica tra unità e pluralità, ma gli interessi coinvolti e le diverse finalità di gestione della crisi comportano una diversa incidenza sulla disciplina della direzione unitaria e su come si atteggia la direzione unitaria nella crisi.

 Nella regolamentazione offerta dal legislatore alla liquidazione così come al concordato di gruppo si ravvisa una comunanza di finalità ispirata al principio generale per cui il perseguimento della maggiore efficienza nella gestione delle procedure concorsuali implica il consolidamento procedurale. Emerge in questo senso un contemperamento tra l’esigenza di preservare la distinta soggettività delle imprese del gruppo (attraverso la conservazione dell’autonomia delle rispettive masse attive e passive) e quella di favorire tecniche unitarie di governo della crisi di gruppo. Analogamente, la maggior parte degli ordinamenti è orientata nel senso del mantenimento, anche in caso di insolvenza del gruppo, del principio della distinzione fra le diverse entità che il gruppo compongono, temperato però da correttivi ispirati alla logica dell’unitarietà d’impresa, e coincidenti normalmente con forme di collegamento fra le diverse procedure.[18]

In ambito di liquidazione, l’ottimizzazione implica la migliore valorizzazione degli attivi delle società coinvolte nella procedura sicché l’obiettivo indicato dal legislatore è proprio il coordinamento della liquidazione degli attivi, laddove sia preferibile rispetto alle procedure autonome (si tratta quindi di un’eventualità).[19] E se la procedura di liquidazione viene definita “unitaria” (a differenza del concordato, per cui si parla solo di domanda congiunta), ciò non implica in alcun modo un superamento del principio della separatezza ed autonomia delle masse attive e passive facenti parte del gruppo, limitandosi ad una forma di consolidamento processuale e non sostanziale. [20]  Né può sfuggire che si tratti di procedura eventuale ai sensi dell’art.289 CCI, nell’ottica di perseguimento del miglior soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo. In tal senso, è stato osservato che “tra le varie possibili declinazioni del concetto di gruppo, la nuova normativa raccoglie ed esalta l’aspetto economico sostanziale, privilegiando gli aspetti aziendalistici del fenomeno del gruppo rispetto quelli formali, in una prospettiva volta a favorire nel concordato preventivo la preservazione dell’attività produttiva attraverso la continuità aziendale e nella liquidazione giudiziale la migliore soddisfazione dei creditori mediante forme di liquidazione coordinata delle masse delle varie società.”[21]

Peraltro, confrontando l’impianto normativo che si viene a creare quando si parla di concordato rispetto a quello della liquidazione di gruppo, mentre il primo “ risponde ad un progetto spontaneo di regolazione della crisi, che resta pur sempre espressione di un’attività di direzione e di coordinamento, rappresentandone una forma di esercizio”[22], al contrario la liquidazione giudiziale di gruppo decreta la fine dell’attività di direzione di coordinamento, con un definitivo impatto della disciplina della crisi di gruppo sulla sussistenza e sullo svolgimento dell’attività di direzione unitaria.[23] Di fronte al best interest dei creditori, le ragioni giuridiche dell’impresa unica vengono meno così come vien meno l’oggetto del gruppo unitariamente inteso, che, cessata l’attività imprenditoriale esercitata secondo l’attività di direzione e coordinamento della holding, si dissolve.

 Il particolare atteggiarsi della direzione unitaria nell’ambito della crisi ha un altro risvolto.

Se la ratio che giustifica la previsione di regole specifiche in materia di gruppi di imprese si ricollega all’interesse di gruppo, l’impostazione è connotata comunque da una certa flessibilità, ammettendosi anche che tale interesse potrebbe non essere prevalente.

In un’ottica di efficienza, la liquidazione giudiziale non è necessariamente rivolta a tutte le imprese del gruppo bensì a “più imprese in stato di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo”, a discrezione del richiedente, che potrà lasciare al di fuori altre imprese del gruppo con potenziale separazione di attivi (ad esempio, un gruppo a conduzione fortemente decentrata, in cui la crisi potrebbe coinvolgere un settore limitato).

Ed analoghe valutazioni si palesano con riferimento alla disciplina della composizione negoziata della crisi, introdotta dal d.l. n.118/2021 e destinata ad essere recepita nell’art.25 CCI (conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese) a seguito dell’approvazione dello Schema Decreto Insolvency.[24] Come noto, la composizione negoziata può nascere da un’istanza unitaria (espressione quindi di un atto di direzione unitaria), ma a seguito di un’iniziativa originariamente atomistica, può essere ricondotta ad unità per parte o per tutte le imprese richiedenti dagli stessi esperti nominati (art.13 co.2/art.13, co.8). Inoltre, anche in caso di ipotesi di conduzione unitaria l’esperto facilitatore, se la conduzione delle trattative è resa più gravosa dalla contestuale partecipazione di più imprese o di troppe imprese, può optare per la conduzione delle trattative in modo separato ovvero può invitare imprese del gruppo, che non soddisfino il presupposto oggettivo ex art.2 co.2 a parteciparvi. Parallelamente, Anche i possibili esiti della composizione negoziata sono connotati dal dilemma unità pluralità: al termine delle trattative, perché le imprese possono accedere separatamente o in via unitaria, ai contratti, alle convenzioni o accordi o le soluzioni possibili ex art. 23 (secondo le integrazioni, riportate in corsivo, dello Schema Decreto evidenziate Insolvency).

La previsione, oltre a caratterizzarsi per la flessibilità con cui consente di dare prevalenza o meno alla considerazione e gestione unitaria di tutto o parte del gruppo, è suscettibile di incidere sostanzialmente sull’atteggiarsi della stessa direzione unitaria. All’esperto infatti è attribuito il potere di forzare la scelta delle imprese e di alterare la composizione soggettiva delle parti del negoziato; un potere piuttosto discrezionale (senza previsione di motivazione né di confronto/opposizione con le imprese e tanto meno con gli stakeholders), che pone in discussione, prevarica l’attività di direzione e coordinamento della capogruppo durante la negoziazione.

Ci si potrebbe allora domandare se si tratti di un un argomento testuale per sostenere il venir meno dell’attività di direzione e coordinamento a seguito dell’accesso alla composizione negoziata, ma una visione sistematica non pare consentirlo.[25] Del resto, l’art.21, come declinato nello Schema Decreto Insolvency, esprime un principio fondamentale, chiarendo che l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa in pendenza delle trattative. In tal senso, la permanenza dei poteri gestori in capo agli organi amministrativi delle società del gruppo durante il percorso della composizione negoziata vale a superare ogni dubbio in ordine al perdurante esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della società holding. In linea con quanto sostenuto in relazione al concordato ed a differenza di quanto accade in caso di liquidazione giudiziale.

Sotto altro profilo, proprio la strutturazione del percorso stragiudiziale delle trattative specie nell’ipotesi della conduzione unitaria sembra presupporre una perdurante attività di coordinamento delle entità partecipanti ad opera della capogruppo. Ne è un esempio il favore per la realizzazione di operazioni finanziarie tra società del gruppo, assecondata dal Decreto. Mi riferisco all’esenzione dalla regola della postergazione dei crediti derivanti da finanziamenti infragruppo (di cui al comma 9 dell’art. 13 (destinato a diventare l’8 comma dell’art. 25 CCI), che offre una soluzione alla questione della qualificazione dei finanziamenti infragruppo strumentali alla soluzione della crisi, ulteriormente favoriti dalla previsione della prededuzione su autorizzazione del tribunale il coinvolgimento di società in bonis come finanziatrici nella negoziazione della crisi di gruppo.

Sempre nell’ambito della composizione negoziata, nodo centrale della configurazione della direzione unitaria nell’atteggiarsi della dialettica tra unità e pluralità è il coinvolgimento delle imprese in bonis del gruppo (che non possono presentare autonoma istanza, ma possono essere coinvolte nella negoziazione) con la finalità (non già di un proprio risanamento), ma  di offrire supporto operativo e finanziario rispetto alla trattativa (ad esempio, attraverso il rilascio di garanzie  nell’interesse del gruppo, l’erogazione di finanziamenti, la concessione di forme di garanzia rispetto ad operazioni straordinarie di ristrutturazione del gruppo).[26] Si tratta di uno strumento che offre un forte correttivo al principio della separatezza dei patrimoni delle singole imprese facenti parte del gruppo. La previsione, affidata al co. 7 dell’art. 13, e destinata a confluire nel co.6 dell’art. 25 CCI, a seguito dell’approvazione dello Schema Decreto Insolvency, trova giustificazione proprio perchè inserita non in contesto liquidatorio, bensì in un contesto governato dall’autonomia contrattuale dell’impresa (sia pure assistita dall’intermediazione pubblica della nomina dell’esperto e da alcuni interventi dell’autorità gudiziaria) e finalizzato alla ricerca di una soluzione negoziale della crisi.

Proprio Alberto Jorio, già nel commentare nel 2019 la riforma della legge fallimetare tra utopia e realtà, l’aveva giudicata coraggiosa nell’intento innovatore di proporre strumenti per un approccio nuovo e per cambiare la mentalità degli imprenditori, indirizzandoli verso una consapevolezza più intensa della necessità di avvertire i sintomi della crisi e di operare di conseguenza.[27] L’introduzione della composizione negoziata e la sua declinazione ora rammentata nelle trattative di gruppo, con la previsione del coinvolgimento delle società in bonis, è un altro esempio di questo coraggioso ribaltamento delle prospettive tradizionali, funzionale a massimizzare lo sforzo negoziale complessivo.  

 

4.        Riflessioni conclusive con particolare riferimento al tema dei vantaggi compensativi

In questa breve indagine dedicata all’incidenza del Codice della crisi sulle dinamiche della disciplina dei gruppi non si può dimenticare la rilevanza attribuita ai vantaggi compensativi nel Codice della crisi, soprattutto alla luce delle integrazioni del Decreto correttivo, confermate nello Schema Decreto Insolvency (tra l’altro nella relazione illustrativa si sottolinea proprio la rilevanza del riferimento ai vantaggi compensativi). E si deve subito sottolineare che diversi indici avvalorano la tesi interpretativa più ampia, segnatamente argomentata da Paolo Montalenti, che già con riferimento alla ricostruzione della nozione di vantaggi compensativi idonei ad escludere la responsabilità nell’esercizio dell’attività di eterodirezione considera rilevanti non solo i vantaggi già verificatisi ma anche quelli fondatamente prevedibili.[28]

Pensiamo all’art.284 CCI, nell’ambito del concordato preventivo di gruppo, il cui 4 comma (introdotto dal Decreto Correttivo) specifica che il piano attestato di gruppo deve essere quantificato “il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del Gruppo, anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.”  L’indice interpretativo, che esprime un contemperamento del fine del miglior soddisfacimento dei creditori, non è indifferente perché incide chiaramente anche sulla valutazione della presentazione di una domanda unitaria.

A ciò si aggiunge la possibilità, introdotta dall’art. 285, comma 2, integrato sul punto dallo schema di decreto insolvency, per cui i trasferimenti di risorse infragruppo (così come operazioni contrattuali e riorganizzative), possono essere previsti nel piano o nei piani concordatari, purché un professionista indipendente ne attesti (…) l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo tenuto contro dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese, e di tali vantaggi, ai sensi del comma 4 dell’art. 285, dovrà tener conto il tribunale nel giudizio di omologa.[29]

L’importanza di queste disposizioni, rafforzate appunto dallo Schema Decreto Insolvency, è evidente nello sbilanciare la dialettica unità/pluralità a favore di una certa prevalenza dell’interesse di gruppo.

La valutazione della sussistenza dei vantaggi compensativi nel contesto della crisi, ed in particolare del concordato, potrà indurre a ripensare i criteri applicati con un certo favore per la valutazione prognostica del vantaggio, che sembra riferito al gruppo nel suo complesso (ed ai possibili risultati positivi in termini di soluzione della crisi per l’intero complesso) piuttosto che alle singole società del gruppo, con una prospettiva differente rispetto a quella che qualifica il ragionamento in caso di responsabilità da eterodirezione, magari spingendo alla ricerca anche di indici quantitativi e con un diverso approccio nell’individuazione dell’ente beneficiario del vantaggio.[30]

In conclusione, non può sfuggire l’incidenza di questo nuovo tassello della disciplina dei gruppi ed i problemi di coordinamento tra l’interpretazione delle categorie nell’alveo della crisi rispetto al contesto in bonis e le potenzialità di condizionamenti interpretativi reciproci. Così come non può sfuggire che, alla luce del nuovo tassello, lo statuto dei gruppi, proprio per il moltiplicarsi dei diversi perimetri applicativi ed interessi sottesi delle normative speciali, appare sempre più eterogeneo e sfuggente ad un disegno unitario.  

La particolare declinazione che anima la gestione della crisi laddove l’impresa appartenga ad un gruppo induce in ultima analisi a riflettere ancora una volta sull’incidenza di tale appartenenza in termini di governance e di adeguatezza degli assetti, anche in considerazione dell’applicazione anche agli organi gestori della capogruppo dei nuovi doveri emergenti dalla rimodulazione dell’art. 2086, co.2 c.c. (ancor più dopo l’approvazione dello Schema Decreto Insolvency)[31]; la stessa valutazione dell’esercizio della direzione unitaria, dei flussi informativi, dei contenuti degli obblighi degli organi amministrativi e di controllo (si pensi anche in termini di attivazione e di allerta) assume colorazioni differenti e ripercussioni diverse anche in termini di responsabilità, nella prospettiva di un’eventuale crisi.

Pensando ai vari tasselli del diritto dei gruppi, tra i quali il diritto della crisi ha così tante peculiarità, vengono in mente i pezzi del puzzle su cui incentra la narrazione Georges Perec nel  romanzo  La Vita-Istruzioni per l’uso” (o, meglio, iperromanzo nella definizione di Italo Calvino): “un pezzo di puzzle, se preso da solo, non può restituire un’idea dell’insieme che andrà a costituire, ma potrà invece essere fuorviante, generando un’impressione sbagliata e confusa in chi lo maneggia e ne valuta la composizione. L’elemento non preesiste all’insieme, non è più immediato né più antico, non sono gli elementi a determinare l’insieme, ma l’insieme a determinare gli elementi: la conoscenza del tutto e delle sue leggi, dell’insieme e della sua struttura, non è deducibile dalla conoscenza delle singole parti che lo compongono».[32]

Non so se l’immagine sia più adatta allo statuto del gruppo o alla stratificazione della riforma della crisi, né voglio paventare il destino del protagonista del romanzo, che all’ultimo non riesce a completare il puzzle, certo è che se l’approvazione dello Schema di Decreto Insolvency promette l’entrata in vigore del CCI in termini ormai imminenti, gli interpreti hanno ormai di fronte il quadro complessivo, alla luce del quale far combaciare tutti i pezzi.

 



[1] V. L.A. BIANCHI, Problemi in materia di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, in Riv. Soc., 2013, 320 ss. (con particolare attenzione al gruppo assicurativo); N. MICHIELI, La nuova direzione e coordinamento del gruppo bancario di credito cooperativo alla luce della l. n. 49/2016, in Giur. Comm., 2018, 453 ss.; G. SCOGNAMIGLIO, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Le Società, 2019, 413 ss.

[2] G. FIERBINTEANU, Groups of companies in insolvency proceeding, in Law et Scientia International Law Journal, 2014, 1 ss.; L. BENEDETTI, I flussi informative nella crisi di gruppo, in Giur. comm., 2017, 271 ss.; D. VATTERMOLI, Gruppi multinazionali insolventi, in Riv. dir. comm., 2013, I, 588 ss.

[3] Cfr. U. TOMBARI, Il “diritto dei gruppi”: primi bilanci e prospettive per il legislatore comunitario, in AA. VV., Il diritto societario riformato: bilancio di un decennio e prospettive in un quadro europeo, Atti del Convegno di Courmayeur, 20 settembre 2013, Milano, 2014, 114.

[4] Per una ricostruzione del dibattito sul modello da adottare nella soluzione della crisi di gruppo nella contrapposizione tra le tecniche di consolidamento procedurale e quelle di consolidamento sostanziale v. M. MIOLA, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Riv. Soc., 2019, 301 ss.

[5] Quel dualismo per cui Floriano D’Alessandro paragona il gruppo ad un ircocervo:  per metà, articolazione organizzativa aziendale, gerarchicamente inserita in un’unica ed unitaria entità produttiva; per l’altra metà, distinto soggetto che negozia scambi sul mercato che sono (o dovrebbero essere) tra uguali, non solo eventualmente verso imprese esterne e indipendenti, ma anche verso altre articolazioni del gruppo.”, rispetto al quale, come è stato posto in luce, “non è assolutamente possibile sbarazzarsi di questa seconda faccia della medaglia, cioè di quella plurale, presentandola riduttivamente come un aspetto solo formale di un’impresa che nella sostanza rimane ad ogni effetto unica.” Cfr. F. D’ALESSANDRO, Prefazione. Gruppi, codice della crisi ed ircocervi coasiani, in D. VATTERMOLI, I gruppi nel Codice della crisi, Pacini, 2020, 5 ss.

[6] V. G. SCOGNAMIGLIO, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Le Società, 2019, 413 ss.; B. MAFFEI ALBERTI, La nuova disciplina dei gruppi di imprese, in Ristrutturazioniaziendali.it, 6 aprile 2022; S. AMBROSINI, Disposizioni relative ai gruppi di imprese, in S. PACCHI – S. AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, 264 ss.; E. RICCIARDIELLO, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, 2020; AA. VV., I gruppi nel Codice della Crisi, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2020.

[7] R. RORDORF, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in S. AMBROSINI (a cura di), Le crisi di impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021, cit., 46. 

[8] Punto di riferimento delle notazioni dell’Autrice è la definizione di gruppo, desumibile dall’art.13 D.L. 118/2021, che ricalca l’art.2 lett. h) CCI, nella versione ante  Decreto Insolvency, come “linsieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o  sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto; a tal fine si presume, salvo prova contraria, che lattività di direzione e coordinamento delle (di) società del gruppo sia esercitata: (1) dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci; oppure (2) dalla società o ente che (le) controlla (le predette), direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto”. Sono indicate in corsivo le modifiche introdotte dal d. lgs. 147/2020 (cd. decreto primo correttivo) e in neretto quelle oggetto dello Schema Decreto Insolvency.

[9] P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. Soc., 2007, 319; ID., Società per azioni, corporate governance e mercati finanziari, Milano, 2011, 221 ss.; L.A. BIANCHI, Problemi in materia di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, cit., 420; S. GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, Milano, 2007, 90 ss.; A. NIUTTA, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 sexies e septies: brevi considerazioni di sistema, in Giur. Comm., 2004, I, 983 ss. V. già sul punto ante novella,G. ROSSI, Gruppi e governo societario, in I gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi di Venezia, 16-17-18 novembre 1995, Milano, 1996, 17 ss. In giurisprudenza, v. in particolare Cass., 6 marzo 2018, n. 31997, in CED Cassazione 2018.

[10] Forum Europaeum, EBOR 2000, cit., 165 ss.

[11] Anche l’EMCA Model pare valorizzare il concetto della direzione unitaria piuttosto che quello del controllo tramite partecipazioni.

[12] G. SCOGNAMIGLIO, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Orizzonti del diritto commerciale, 2019, 669 ss.

[13] L. PANZANI, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione “positiva” del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, 43.

[14] V. ARATO, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, ivi, 23 novembre 2021, 3 ss.

[15] N. ABRIANI e G. SCOGNAMIGLIO, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, ivi, 23 dicembre 2021,11.

[16] Sul tema v. da ultimo R. SACCHI, Sui trasferimenti di risorse nell’ambito del concordato di gruppo nel C.C.I.I., in Le Nuove Leggi civili commentate, 2021, 311 ss.; G. FAUCEGLIA, Supersocietà di fatto e comune intento dei soci: dalla magia delle parole alla necessaria dimostrazione di un’unica attività d’impresa, in Le Società, 2020, 935 ss. 

[17] Cfr. Sul punto, L. BENEDETTI, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione, in dirittodellacrisi.it, 25 gennaio 2022, 3-4; M. ARATO, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, ivi, 23 novembre 2021

[18] Cfr. D. VATTERMOLI, op. loc. citt., 23.

[19] M. SCIUTO, Le ragioni della liquidazione giudiziale di gruppo, in D. VATTERMOLI, op. loc. citt., 53. il quale sottolinea l’opportunità di evitare automatismi, secondo un regime flessibile, coniugato con obblighi di coordinamento tra gli organi delle diverse procedure.

[20] N. ABRIANI e G. SCOGNAMIGLIO, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 23 dicembre 2021, 26 ss.

[21] A. LA MALFA, Note in merito al consolidamento processuale nelle procedure di gruppo, in D. VATTERMOLI, op. cit., 86 ss.

[22] Cfr. M. MAUGERI, Gruppo insolvente e competenza territoriale, in Banca borsa, 2018, II, 234.

[23] D. VATTERMOLI, I gruppi nel Codice della crisi, op. cit., 41ss; M. SCIUTO, Le ragioni della liquidazione giudiziale di gruppo, in D. VATTERMOLI, op. loc. cit., 58.

[24] Per alcune riflessioni sulle connotazioni dell’interesse di gruppo nella composizione negoziata, v. L. BENEDETTI, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione, in dirittodellacrisi.it, 25 gennaio 2022, 4 ss. Più in generale, v. N. ABRIANI e G. SCOGNAMIGLIO, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, ivi, 23 dicembre 2021.

[25] N. ABRIANI e G. SCOGNAMIGLIO, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 23 dicembre 2021, 6 ss.

[26] Su cui v. L. BENEDETTI, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione, ivi, 25 gennaio 2022, 14 ss.

[27] Cfr. A. JORIO, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Dir. fall., 2019, 283 e v. I. PAGNI, Crisi d’impresa e crisi del contratto al tempo dell’emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in S. Ambrosini (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber amicorum per Alberto Jorio, cit., 3 ss.

[28] Sui vantaggi compensativi futuri v. P. MONTALENTI, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. Comm., 1995, I, 731 ss.; M. VENTORUZZO, Responsabilità da direzione e coordinamento e vantaggi compensativi futuri, in Riv. Soc., 2016, 363 ss.

[29] Per un’ampia disamina del tema della rilevanza dei vantaggi compensativi futuri alla luce delle modifiche del Codice della Crisi, v. O. CAGNASSO, La rilevanza dei vantaggi compensativi futuri: qualche recente conferma normativa, in Studi in onore di P. Montalenti, Torino, in corso di pubblicazione. Sono sempre indicate in corsivo le integrazioni apportate dallo Schema Decreto Insolvency.

[30] Sulle operazioni infragruppo e sulla possibilità che il vantaggio compensativo possa valere per il futuro v. M. MIOLA, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Riv. Soc., 2019, 332 ss.

[31] P. MONTALENTI, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgement rule: una questione di sistema, in S. Ambrosini (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber amicorum per Alberto Jorio, cit., 701 ss.; L. PANZANI, I limiti all’autonomia negoziale nella disciplina della crisi, ibidem, 209 ss. 

[32] G. PEREC, La vita- Istruzioni per l’uso, BUR, 1978.