Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Articolo

Le attività di liquidazione in esecuzione della proposta di concordato preventivo omologata


Francesco Carelli
Articolo

L’operazione di scissione, tra vantaggi e possibili profili patologici: il non ancora sopito dibattito sull’ammissibilità dell’azione revocatoria*


Beatrice Dalla Verità

Data pubblicazione
14 luglio 2022

Scarica PDF

Articoli

TORNA INDIETRO

Sommario: 1. Natura giuridica della scissione. – 2. Le funzioni della scissione. – 3. Profili patologici della scissione e configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta. – 4. L’ammissibilità della scissione negativa. - 5. Il dibattito sull’ammissibilità dell’azione revocatoria. – 6. La sentenza della Corte di Giustizia. 7. Riflessioni conclusive.

(*)  Il presente lavoro è stato inviato alla Direzione di Diritto fallimentare e delle società commerciali per l’auspicata pubblicazione su tale Rivista.


1. Natura giuridica della scissione. - La scissione ([1]) quale fenomeno di divisione del patrimonio sociale tra più società, tra i fenomeni organizzativi dell’impresa societaria ha spesso ricevuto minore attenzione da parte della dottrina, probabilmente perché, con l’entrata in vigore del d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22([2]) che ha recepito la III Direttiva (Direttiva 78/855/CE) e la VI Direttiva (Direttiva 82/891/CE), la sua disciplina è stata determinata per lo più attraverso il meccanismo del “rinvio” alle norme sulla fusione([3]). 

In realtà, già prima del suo recepimento nel nostro ordinamento si è assistito a diverse proposte da parte della dottrina e della giurisprudenza di ammissione dell’operazione di scissione volte a sostenerne la legittimità ([4]); nel prosieguo si osserverà più nel dettaglio, infatti, come la scissione sia in grado di svolgere diverse funzioni utili alle imprese, venendo incontro a molteplici esigenze, sia di ristrutturazione dei loro profili patrimoniali ed organizzativi, sia di rimodellamento delle compagini sociali ([5]).

Per la sua introduzione nel nostro ordinamento si è tuttavia dovuto attendere la Direttiva del Consiglio del 17 dicembre 1982 (82/891/CE) (c.d. VI Direttiva) la quale, nonostante avesse il solo scopo di imporre l’armonizzazione della normativa interna solo per gli Stati membri che già la disciplinavano, è stata per il legislatore italiano il pretesto per l’introduzione ex novo dell’istituto, al quale sono poi stati dedicati gli artt. da 2504-septies a 2504-decies c.c. (oggi artt. da 2506 a 2506-quater)

Il d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22 che ha recepito la III Direttiva (Direttiva 78/855/CE) e la VI Direttiva e ha inserito nel nostro codice civile l’art. 2504-septies (oggi art. 2506),intitolato “forme di scissione”, non fornisce, tuttavia, una definizione diretta di scissione, ma soltanto “una definizione per sommatoria”([6]), a sua volta poi modificata nel 2003, a seguito dell’emanazione del decreto di riforma del diritto societario (d.lg. n. 6/2003), che ha sostituito il termine “trasferimento” con il verbo “assegnare” e che, dunque, oggi così recita: “Con la scissione una società assegna l'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci”.

È proprio in occasione di questa modifica che il dibattito in ordine alla natura, già da tempo controversa, della scissione ha avuto modo di animarsi ulteriormente.

Gli interpreti, infatti, fin dall’introduzione dell’istituto, si sono divisi tra i sostenitori della teoria cd. modificativa-evolutiva ed i sostenitori della teoria estintivo-costitutiva (o anche detta traslativa-successoria).

Secondo la prima delle teorie in esame la scissione rappresenta una fattispecie modificativa, una mera riorganizzazione della struttura delle società coinvolte nelle operazioni ([7]), in occasione della quale i fenomeni estintivi e costitutivi rappresentano esclusivamente gli strumenti formali per realizzare la modificazione dell’originario contratto sociale, mancando invece l'effetto traslativo in senso tecnico del patrimonio della scissa([8]), tant'è che il rapporto sociale prosegue tra gli stessi soci in forza dei conferimenti già determinati([9]). I sostenitori di questa tesi ritengono che la loro impostazione trovi conferma nella modifica apportata all’art. 2504-septies (ora art. 2506) dalla riforma del 2003 in cui non si parla più di «trasferimento» ma di «assegnazione» dell’intero o di parte del patrimonio della scissa a favore delle beneficiarie.

Passando alla teoria traslativa - secondo la quale il mutato linguaggio legislativo non sarebbe dirimente ed indicativo di una volontà del legislatore di smentire la natura dispositiva dell’operazione di scissione - quest’ultima considera “imprescindibile” il trasferimento del patrimonio ([10]) e lo qualifica talora in termini di negozio sui generis, talora di conferimento o contratto di compravendita, ma più in generale vede, sostanzialmente, nella scissione un fenomeno di carattere successorio ([11]).

Taluni autori ed autorevole giurisprudenza, poi, considerando tanto la teoria traslativa quanto quella strutturalista contenenti elementi di verità, hanno ricercato una mediazione tra i due piani ([12]) ed hanno così sviluppato una teoria intermedia, della c.d. causa tipica, o anche detta teoria modificativa-traslativa, secondo la quale i due aspetti (circolazione di ricchezza patrimoniale e modificazione della sua titolarità) sono inscinbilmente connessi e come tali caratterizzano un’operazione di riorganizzazione degli assetti patrimoniali e proprietari quale è la scissione ([13]).

La scissione, per i sostenitori della teoria intermedia, vista da chi scrive con favore, può quindi definirsi quale fattispecie sui generis dotata di regole e caratteri propri che la rendono un istituto tipico non riconducibile o assimilabile ad altri ([14]); non è altro che una fattispecie procedimentale complessa a formazione progressiva, un fenomeno unitario che contiene in sé aspetti che incidono sulla struttura societaria, modificandola, ed effetti che incidono sul patrimonio della scissa.

 

2. Le funzioni della scissione. - La scissione è uno strumento polivalente e versatile, idoneo ad essere impiegato nelle strategie per il conseguimento della riorganizzazione e ristrutturazione societaria ([15]) e che si presta ad assolvere molteplici ed eterogenee funzioni ([16]), le quali, anche se dettate da motivazioni differenti ([17]), condividono lo scopo di risolvere i momenti di criticità nella vita dell’impresa ([18]).

Per iniziare, una delle finalità strategiche della scissione è quella di concentrazione, ossia di crescita delle dimensioni aziendali e di integrazione fra soggetti che svolgono attività economiche tra loro connesse ([19]). Attraverso questa funzione sono possibili modifiche degli assetti patrimoniali dell’azienda senza però - e in questo risiede il valore dell’operazione in esame - il contemporaneo stravolgimento degli assetti proprietari che permangono nelle società scissionarie.

Allo stesso tempo la scissione può essere utilizzata per ottenere un risultato in qualche misura opposto al precedente, può cioè consentire di separare da una determinata azienda uno più rami o settori di attività ([20]). Tale funzione, detta di decentramento organizzativo ([21]) può essere opportuna al ricorrere di diverse circostanze, quali ad esempio il contemporaneo esercizio di due o più attività economiche non correlate tra loro che, se separate attraverso l’operazione di scissione ed affidate a soggetti autonomi, possono vedere massimizzati i propri profitti grazie alla possibilità per la società scissa di concentrarsi sul proprio core business esternalizzando le attività non strategiche ed applicando il principio organizzativo della specializzazione alle altre imprese beneficiarie ([22]).

Altra importante funzione di decentramento è quella messa in atto per far fronte ad una situazione di crisi d’impresa, attraverso il superamento della stessa grazie alla riduzione delle dimensioni organizzative o attraverso una circoscrizione della crisi resa possibile dallo scioglimento del ramo aziendale in perdita, prima che infetti le restanti attività svolte dalla scissa. Non considerandosi per il momento i profili patologici che conseguirebbero ad una valutazione della scissione quale modalità distrattiva e di segregazione del patrimonio dell’imprenditore a danno dei creditori. Effetto avverso conseguibile anche aliunde, si pensi ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ovvero intestazioni fiduciarie di quote.

Anche i dissidi nell’ambito della compagine societaria, nonché eventuali problematiche nel passaggio generazionale ([23]) possono trovare un loro componimento grazie alla scissione, in quanto strumento giuridico adeguato allo scioglimento di un’impresa comune, nonché strumento di modifica dell’assetto organizzativo originario nei suoi profili soggettivi. Una compagine sociale litigiosa può così dividersi senza una necessaria cessazione dell’attività che prosegue per il tramite dei soci della scissa in ciascuna delle società scissionarie.

Allo stesso tempo, la scissione integrale o estintiva può fungere da modalità di scioglimento ed estinzione della società, alternativa alla liquidazione ([24]).

Altra funzione della scissione è poi rappresentata dalla separazione di un’attività per la successiva vendita del business ([25]).

Partendo dal presupposto poi che la scissione non deve avere necessariamente ad oggetto complessi aziendali o rami d’azienda, ma anche singoli beni([26]), con essa è legittimo attribuire un determinato bene ad una società conferitaria avente la medesima compagine sociale della scissa.

Da ultimo, è bene evidenziare un’ulteriore ed importantissima funzione della scissione, ossia la tutela della continuità aziendale nell’ambito delle procedure concorsuali([27]) che sarà oggetto di specifica analisi nel successivo paragrafo.

La scissione si annovera tra le cd. operazioni straordinarie che oggi rappresentano sempre di più strumenti indispensabili per la soluzione della crisi ([28]), nell’ambito della quale, tuttavia, inevitabilmente subiscono una “curvatura funzionale” dovuta al diverso equilibrio tra la tutela degli interessi dei soci e dei creditori vigente nel diritto societario della crisi, rispetto al diritto societario tout court ([29]).

Fino alla riforma del diritto societario, attuata con il D.lgs. n. 6/2003, non era possibile per le società sottoposte a procedure concorsuali partecipare ad operazioni straordinarie in quanto ritenute per varie ragioni elusive ([30]); al venir meno di questo divieto ([31]) le operazioni straordinarie, e tra esse la scissione, “entrano nel mondo concorsuale” al fine di assicurare la continuità aziendale ed il risanamento dell’impresa attraverso modelli differenziati di soluzione della crisi in grado di prevedere progetti di riorganizzazione patrimoniale, societaria e finanziaria incentrata su più livelli ([32]).

Con particolare riguardo alla scissione, la casistica applicativa è assai vasta e grazie alle numerose modalità di attuazione, questa operazione ([33]) rende possibile anche una completa destrutturazione dell’attività e del patrimonio della società in crisi ([34]), rendendo autonomi diversi settori economici e scindendo, allo stesso tempo, la massa dei creditori, suddividendoli in diverse classi e così differenziandone il trattamento anche con riferimento al collocamento nel passivo delle diverse beneficiarie ([35]).

 

3. Profili patologici della scissione e configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta. - Se da un lato, il presente scritto si propone di illustrare e mettere in luce le numerose ed utili funzioni che un’operazione straordinaria quale la scissione è in grado di svolgere, è però necessario fare presente anche i rischi ai quali i creditori sociali possono essere esposti: da un lato, nella scissione mediante incorporazione in società preesistenti, i rischi derivanti dalla confusione del patrimonio della scissa con il patrimonio della beneficiaria medesima con conseguente concorso dei creditori su di un’unica massa attiva; dall’altro, in ogni ipotesi di scissione, i rischi derivanti dalla divisione del patrimonio sociale, che produce il frazionamento altresì della garanzia patrimoniale, onde erano in precedenza assistiti i creditori della società scissa ([36]).

La tutela dei creditori è da sempre considerato “uno dei punti nevralgici”([37]) della scissione; non solo nella fase immediatamente successiva alla pubblicità del progetto ma anche nella progressiva evoluzione del procedimento fino al perfezionamento e nella fase successiva a quella in cui la scissione acquista efficacia ([38]).

È ben possibile che tra le molteplici finalità pratiche ([39]) della scissione si possa aggiungere anche quella, illecita, di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, dando vita ad una gravissima fattispecie delittuosa[40]. La scissione può, dunque, presentare anche effetti patologici tali a volte da condurre ad una condanna per bancarotta fraudolenta([41]) anche se, come sostenuto da autorevole dottrina, non per questo è giustificato considerare quale tratto caratteristico della scissione la riduzione della garanzia patrimoniale([42]); poiché ciò sarebbe errato tanto quanto escludere a priori che la scissione possa servire disegni criminali, perchè realizza una mera modificazione degli atti costitutivi delle società partecipanti ([43]).

Orbene, la giurisprudenza, ormai da tempo, si è uniformata nel ritenere che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento di beni costituenti l’attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto([44]) che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l’impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale ([45]). Peraltro, è stato precisato che a nulla potrebbero rilevare le norme civilistiche poste a presidio delle istanze dei creditori, quali il diritto di opposizione e la responsabilità solidale delle società partecipanti poiché «un pregiudizio per i creditori sarebbe comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni presso le altre società partecipanti all’operazione», potendo consistere la condotta distrattiva di cui all’art. 216 l.fall. nel semplice aggravamento delle attività che il creditore deve espletare al fine di ottenere l’adempimento delle altrui obbligazioni([46]).

Si deve, perciò, rilevare che l'operazione di scissione societaria non può ritenersi neutrale rispetto alle successive vicende fallimentari in quanto legalmente assistita dal vincolo di solidarietà della società beneficiaria per i debiti della società scissa, previsto dall'art. 2506-quater c.c. Quest’ultima forma di tutela che consente anche l'assegnazione alla società beneficiaria dell'intero patrimonio della società scissa, unitamente ad altre forme di salvaguardia in favore dei creditori della società distaccata (art. 2506 bis c.c., comma 3 e art. 2506 quater c.c.), non determina, infatti, l'irrilevanza dell'operazione sotto il profilo penale. Il reato di bancarotta distrattiva presenta profili di offensività che, a seguito della dichiarazione di fallimento, «assurgono ad una dimensione di pericolo di insoddisfazione delle ragioni creditorie dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale, a prescindere dall'eventuale, astratta riconducibilità della condotta ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento([47])».

Si tratta di quei casi in cui la scissione si rivela «meramente fittizia e cartolare» e viene utilizzata strumentalmente per «la dispersione delle energie patrimoniali della società scissa in frode alle ragioni creditorie, in assenza di alcuna congrua logica imprenditoriale ([48])».

Ed è proprio in questi casi in cui la scissione è utilizzata per finalità illecite, che la dottrina e la giurisprudenza, come si illustrerà nel prosieguo, si sono a lungo interrogate in ordine ai rimedi necessari ed esperibili, in particolare chiedendosi se «il sistema delle tutele previsto a favore dei creditori sociali della società scissa risulti comunque autosufficiente a soddisfare le esigenze sul tappeto o, almeno quelle strettamente inerenti alla sussistenza delle posizioni creditorie certe al momento della scissione» ([49]) o se sia, al contrario, necessario riconoscere l’ammissibilità dell’azione revocatoria.

Essendo necessario compiere un’analisi che tenga conto di tutti gli interessi rilevanti coinvolti è bene, innanzitutto, sottolineare che non solo la dottrina ha evidenziato come le norme sulla scissione introdotte nel nostro ordinamento nel 1991 hanno inteso trattare gli interessi dei creditori e dei soci di minoranza allo stesso modo([50]), ma anche che tra i principi ispiratori della disciplina comunitaria in materia di scissione è possibile rinvenire un’esigenza di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti mediante l’utilizzo della pubblicità e dell’informazione adeguata ed obiettiva, con riferimento sia ai soci sia ai creditori, obbligazionisti, portatori di altri titoli delle società partecipanti all’operazione, e ai terzi in generale([51]).

Nella scissione si può dire che entrino in gioco due tipologie di interessi rilevanti: da una parte, l’interesse alla stabilità dell’operazione realizzata e, dall’altra parte, il potenziale pregiudizio per i creditori della società scissa. Considerato che il legislatore non esprime una preferenza nei confronti di uno dei due versanti di interessi ([52]), ma al contrario gli riserva uguale dignità di tutela, sembra necessario trovare soluzioni che siano idonee a mantenerli il più possibile in equilibrio ed il tema della compatibilità dell’azione revocatoria nell’operazione di scissione si inserisce proprio in questa valutazione.

 

4. L’ammissibilità della scissione negativa. - Di rilievo per quanto riguarda la tutela dei creditori, e piuttosto trattato in dottrina ([53]), è il tema del valore complessivo degli elementi assegnati a ciascuna beneficiaria e, nello specifico, della legittimità di una scissione attuata mediante assegnazione di elementi patrimoniali di valore negativo.

L’art. 2506, comma 1, c.c. non impone che l’operazione di scissione debba assegnare necessariamente elementi il cui valore sia positivo; per questa ragione parte della dottrina ha ritenuto che non fosse possibile risolvere la questione sulla sola base del dato testuale ([54]).

È, quindi, necessario fare riferimento anche ai possibili motivi economici ([55]) di una scissione negativa e verificare, di conseguenza, la compatibilità di tali scopi con la molteplicità di funzioni perseguibili con la scissione chiedendosi, in particolare – considerato che la scissione rappresenta un mezzo per riorganizzare liberamente la struttura oggettiva e/o soggettiva della società – se la discrezionalità degli organi amministrativi possa spingersi fino al trasferimento di un patrimonio netto negativo o costituito da sole passività.

L’ammissibilità di una tale operazione avrebbe importanti conseguenze, come detto, sui creditori, e non soltanto sui soci e sui loro rapporti con le società partecipanti alla scissione; è per questo fondamentale individuare quali siano i limiti entro i quali considerare la scissione negativa legittima, e per farlo è preliminarmente necessario distinguere tra due ipotesi ossia il caso in cui la beneficiaria sia preesistente e quello in cui venga costituita ad hoc con l’operazione di scissione([56]), nonché distinguere anche il caso di scissione di un patrimonio netto avente valore contabile negativo ma valore reale positivo, dal caso di scissione di un patrimonio netto avente un valore sia contabile che reale nullo o negativo. La legittimità di una scissione negativa di beneficiaria preesistente è oggi indiscussa e trova fondamento nella possibilità che gli elementi patrimoniali della beneficiaria siano tali da compensare l’impatto dell’assegnazione di elementi patrimoniali di valore negativo assegnato alla scissa; questo nel caso in cui gli elementi patrimoniali siano complessivamente di valore contabile negativo ma di valore economico positivo ([57]): se infatti l’apporto da parte della scissa ha ad oggetto elementi patrimoniali la cui somma algebrica genera un risultato contabile negativo ma il valore reale di alcuni cespiti oggetto di assegnazione è di gran lunga superiore al valore delle passività scisse, la somma di tutti gli elementi assegnati, considerato il loro valore reale, dà un risultato positivo. Per quanto invece riguarda il caso di un’operazione di scissione in cui dovesse risultare che almeno una delle società partecipanti ha un valore patrimoniale economico negativo, la maggior parte degli autori in dottrina e la giurisprudenza ritengono la stessa inammissibile ([58]). In particolare, una sentenza della Cassazione (n. 26043 del 20 novembre 2013), in un passaggio della motivazione afferma che nella specie «sembra essersi realizzata una non consentita ipotesi di scissione c.d. negativa verso una società neocostituita», in cui «il valore reale del patrimonio assegnato sia negativo»; e nel motivare la relativa illegittimità richiama il fatto che «non potrebbe sussistere alcun valore di cambio e conseguentemente non potrebbe aversi una distribuzione di azioni», segnalando che oltretutto la scissione secondo l’Appello (di Salerno) risultava effettuata solo per far risultare la scissa (liberata dai debiti assegnati alla beneficiaria) in «apparente stato di solvibilità, realizzando così una ipotesi di abuso del diritto»([59]).

È di particolare interesse, nonchè strettamente connesso all’oggetto del presente scritto, ciò che la Corte di Cassazione ha poi avuto modo di affermare in tale occasione, in ordine alle conseguenze derivanti dall’iscrizione di un’operazione di scissione realmente negativa nel registro delle imprese; la Corte infatti, sancisce la non reversibilità dell’operazione, quindi l’impossibilità di pronunciarne l’invalidità, con ciò impattando in modo significativo sulla tutela dei creditori, i quali, se non adeguatamente informati attraverso la pubblicità del progetto di scissione, e quindi in grado di reagire prontamente, si ritroverebbero a poter esperire solo il rimedio risarcitorio o l’azione revocatoria, della cui ammissibilità si parlerà a breve.

Vale, però, la pena evidenziare come alcuni abbiano sostenuto la legittimità di una scissione realmente negativa in ambito concorsuale, proprio sottolineando che lo scopo di consentire un processo di ristrutturazione nell’ambito di una procedura concorsuale e di un piano approvato e controllato, «di per sè può giustificare l’utilizzo dello schema legale della scissione, anche senza la necessità di concambio (che fa difetto anche in altri casi, come quando la beneficiaria controlla al 100% la scissa)([60])».

Infine, considerandosi, da ultimo, la fattispecie di scissione di una beneficiaria di nuova costituzione - anche se esiste dottrina che ritiene, anche in questo caso, ammissibile la scissione negativa - l’orientamento prevalente tende a negarne la legittimità sulla base della mancanza di un patrimonio preesistente la cui somma algebrica possa fornire un valore positivo. Tuttavia, non è mancato chi ha affermato che sia possibile che venga redatta una stima sul valore effettivo, sulla cui base rivalutare i beni assegnati rispetto al loro importo contabile, con ciò estendendo la possibilità di scissione contabilmente negative anche in favore di società beneficiarie di nuova costituzione ([61]).

5. Il dibattito sull’ammissibilità dell’azione revocatoria. - Negli ultimi anni, il tema della revocabilità della scissione, ossia la possibilità di rendere inefficace l’atto di scissione per il creditore che abbia agito vittoriosamente in revocatoria, è stato al centro di un acceso dibattito sia in dottrina ([62]) che in giurisprudenza ([63]), fino ad essere oggetto di un’ordinanza della Corte d’appello di Napoli ([64]) di remissione alla Corte di Giustizia, alla quale è stato chiesto di fornire l’interpretazione dell’art. 12 della VI Direttiva (attuale art. 146 della Direttiva 2017/1132/UE) che si occupa della predisposizione di un «adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori» e dell’art. 19 che, invece, tratta dei limiti della definizione della «nullità» della scissione.

Prima di addentrarci nella decisione della Corte di Giustizia - la quale come si dirà, non ha in realtà definitivamente sopito, quantomeno in dottrina, il dibattito sull’ammissibilità del rimedio recuperatorio e sulla sua compatibilità con la disciplina comunitaria - è utile ripercorrere quelle che sono state le “direttrici interpretative” di tale dibattito, nonché i temi principali che le stesse hanno coinvolto, guidando l’operatore del diritto verso l’adozione di soluzioni tra loro molto distanti, ossia: la natura giuridica dell’atto di scissione; il principio di irretrattabilità degli effetti della scissione; la compatibilità dello strumento revocatorio con i rimedi già previsti dalla disciplina societaria ([65]).

Per quanto riguarda la prima di queste direttrici, rinviandosi a quanto esposto al paragrafo 1 in ordine alle diverse teorie sulla natura giuridica della scissione, si precisa qui che i sostenitori della teoria modificativo-evolutiva hanno giustificato la non assoggettabilità all’actio pauliana sulla base del mancato effetto traslativo in senso tecnico del patrimonio della scissa; al contrario, per i sostenitori della teoria estintivo-costitutiva l’azione revocatoria sarebbe ammissibile, in quanto le assegnazioni, sia di alcuni beni che della loro totalità, costituirebbero atti di natura traslativa. Lo stesso dicasi per la teoria intermedia, in base alla quale si ritiene che la scissione sia in grado di incidere sulla consistenza della garanzia patrimoniale del debitore arrecando pregiudizio ai creditori, in quanto «lo scopo-fine di riorganizzazione degli assets societari sarebbe raggiungibile solo realizzando un’assegnazione patrimoniale (scopo-mezzo) ([66].

La dottrina ([67]) ha, però, correttamente, rilevato come - nonostante il costante richiamo da parte della dottrina e della giurisprudenza al tema della natura dell’operazione, e nonostante la sua rilevanza pratica - in realtà, nel dibattito in ordine all’ammissibilità dell’azione revocatoria, quest’ultimo risulta essere un argomento non decisivo, se si considera che nell’accezione di “atti di disposizione del patrimonio” a cui si riferisce l’art. 2901 c.c., secondo parte della dottrina, non vengono fatti rientrare solo gli atti traslativi nel senso civilistico del termine, ma al contrario, anche atti che non hanno effetti propriamente di tipo negoziale-dispositivo ([68]).

Passando ora ad analizzare il secondo tema sul quale si è incentrato il dibattito in parola, vale a dire il rapporto tra irregredibilità della scissione perfezionata ed azione pauliana e, nello specifico, se la previsione normativa della prima ostacoli o impedisca l'esperimento della seconda ([69]), si deve rilevare che il legislatore nazionale, invece che uniformarsi a quanto previsto dall’art. 19 della sesta Direttiva, prevedendo delle ipotesi precise di nullità della scissione, ha previsto all’art. 2506-quater c.c. la generale impossibilità di invalidare l’operazione a seguito dell’iscrizione dell’ultimo atto nel registro delle imprese, così risultando, a detta di alcuni, più rigido del legislatore comunitario. Ciò ha portato una parte della dottrina e della giurisprudenza ad interpretare tale norma come un obbligo di garantire la stabilità degli effetti della scissione senza che sia concesso, non solo pronunciare azioni di nullità, ma anche azioni dirette all’inefficacia, ancorché relativa, dell’operazione ([70]); mentre, dall’altro lato, si sono schierati coloro che ritengono che la regola nazionale della stabilità degli effetti sia limitata ai soli aspetti organizzativi dell’operazione, con la conseguenza della possibilità di dichiarare l’inefficacia delle attribuzioni patrimoniali che ne conseguono pur conservandosi la validità dell’atto costitutivo della conferitaria ([71]). In particolare, i sostenitori dell’inammissibilità dell’azione revocatoria sostengono che l’affermazione di parte della giurisprudenza – alla quale, come vedremo oltre, si sono allineate la giurisprudenza di legittimità e la Corte di Giustizia - che considera la cd. irregredibilità degli effetti della scissione valida solo per quanto riguarda gli effetti di riorganizzazione delle società interessate alla scissione, ma non anche agli effetti meramente patrimoniali, è errata in quanto «sarebbe assurdo revocare solo i valori attivi e non quelli passivi» e tenere distinti concettualmente modificazione societaria da attribuzione patrimoniale non ha senso, poiché «revocare l’attribuzione patrimoniale comporterebbe la revocatoria di tutte le situazioni attive e passive trasferite» ([72]).

Ora, quanto al terzo ed ultimo punto su cui si è incentrato l’annoso dibattito, la dottrina e la giurisprudenza si sono divise tra coloro che ritengono che l’insieme dei rimedi predisposti a tutela dei creditori esaurisca gli strumenti che gli stessi possono utilizzare per soddisfare le proprie pretese([73]), non potendosi sovrapporre o sostituire la disciplina generale dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale alle regole dettate in ambito societario, e coloro che, al contrario, si dichiarano favorevoli all’ammissibilità dell’azione revocatoria, sulla scorta del fatto che i rimedi “tipici” della scissione non siano in grado di far conseguire al creditore la stessa utilità che solo l’azione revocatoria è in grado di offrire.

Il tema relativo alla compatibilità ed ammissibilità dell’azione revocatoria quale azione di tutela di ordine generale di origine privatistica, rispetto alle decisioni sociali idonee a pregiudicare la consistenza della garanzia patrimoniale della società debitrice, si inserisce nel contesto di tensione nel rapporto tra diritto societario e diritto privato, prospettandosi la maggiore difficoltà proprio nell’«esigenza di conciliare le regole proprie della disciplina societaria e il generale sistema dei rimedi contro gli atti che possono incidere sul soddisfacimento delle obbligazioni» ([74]). Rientrano nel catalogo dei rimedi propri del c.d. micro-sistema della scissione: il diritto di opposizione; la responsabilità solidale ex art. 2506-quater, comma 3, c.c.; la tutela risarcitoria ex art. 2504-quater, comma 2, c.c., (richiamato dall’art. 2506-ter, comma 5, c.c.).

Dal punto di vista del fondamento, l’azione revocatoria e quella di opposizione non presentano sostanziali divergenze, tanto che ciò aveva portato parte della dottrina a considerare l’actio pauliana assorbita, in quanto azione generale, dal diritto di opposizione. Tuttavia, i due istituti hanno un diverso campo di operatività, poiché la dichiarazione d’inefficacia relativa è alla portata anche dei creditori successivi alla scissione o che sono divenuti tali sessanta giorni dopo le iscrizioni societarie prescritte, mentre dell’opposizione possono avvalersi esclusivamente i creditori anteriori. Dottrina e giurisprudenza si erano da tempo, infatti, ormai allineate nel ritenere che l’ammissibilità della revocatoria non potesse fondarsi sull’esistenza del diritto di opposizione ex art. 2503 c.c. in capo ai creditori, in quanto la revocatoria potrebbe rappresentare lo strumento di tutela anche per i creditori anteriori([75]) che abbiano percepito il danno  una volta scaduto il termine per avvalersi dello strumento dell’opposizione, considerato che detto termine di sessanta giorni - «a fronte di un atto complesso a formazione progressiva i cui connotati potenzialmente lesivi possono non essere immediatamente percepibili sia nella fase di completamento procedurale dell’operazione, sia successivamente, anche per le variabili che possono contraddistinguere i momenti informativi del procedimento» ([76]) - è troppo esiguo per consentire ai creditori di valutare la reale portata dei contenuti dell’operazione di scissione.

Occorre, quindi, prendere in considerazione le diverse tesi che si sono formate in ordine all’idoneità del regime di responsabilità patrimoniale delle società partecipanti alla scissione ad elidere l’utilità dell’esercizio del rimedio di cui all’ art. 2901 c.c. e cioè se la permanenza in capo alle società interessate della responsabilità solidale ex art. 2506 quater , comma 3, c.c. nei limiti del “valore effettivo del patrimonio netto” assegnato alla beneficiaria o rimasto di titolarità della scissa possa valere ad escludere qualsiasi interesse a far dichiarare l’inefficacia relativa della scissione.

La giurisprudenza e la dottrina favorevoli alla revocatoria, a sostegno della loro tesi, hanno fatto proprio riferimento al fatto che i creditori della scissa, o di altra beneficiaria nel caso di scissione totale, non potrebbero fare reale affidamento sul patrimonio della società solidalmente responsabile, poiché all’eventuale pregiudizio arrecato con l’assegnazione del patrimonio a seguito della scissione si aggiungerebbe anche il rischio che la parte di patrimonio assegnata sia nel frattempo stata consumata o trasferita a un terzo, potendosi, di conseguenza, offrire una efficace tutela solo con l’azione revocatoria, con la quale si potrebbero promuovere nei confronti del terzo, avente causa del soggetto beneficiario della disposizione patrimoniale, le azioni esecutive e conservative ([77]). L’azione revocatoria, per coloro che ne sostengono l’ammissibilità, sarebbe giustificata dal fatto che il terzo acquirente non è solidalmente responsabile della prestazione dovuta al creditore e non è legato da alcun vincolo giuridico proprio in quanto soggetto “terzo”; per questa ragione, quest’ultimo è messo dal legislatore nella condizione di esperire l’azione revocatoria per poter ricondurre il bene nella disponibilità del creditore che potrà così aggredirlo con le azioni conservative ed esecutive. In realtà, i sostenitori dell’opposta tesi, evidenziano che la solidarietà passiva rende il patrimonio del terzo già passibile di essere aggredito poiché il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria è già nella disponibilità del creditore; questi ultimi, dunque, considerano sufficiente il rimedio della responsabilità solidale, in quanto nel caso in cui i creditori della società fallita, o comunque incapiente a seguito dell’escussione, fossero stati pregiudicati nella garanzia del loro credito, avrebbero la possibilità di agire nei confronti delle società beneficiate nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto e quindi nei limiti dell’effettivo pregiudizio, oltre al fatto che le società interessate rispondono - sempre nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto loro attribuito- anche degli elementi del passivo non desumibili dal progetto. Dunque, si è sostenuto che la corresponsabilità delle società partecipanti riproduce un meccanismo non dissimile da quello realizzato dall’azione pauliana, ossia quello di considerare inefficace le assegnazioni delle porzioni attive del patrimonio della scissa nei confronti di tutti i creditori pre-scissione, determinando una sorta di identità di fattispecie; così rappresentando la responsabilità ex art. 2506-quater c.c. «naturalmente solo in termini figurativi, una sorta di revocatoria implicita» ([78]), dal momento che le porzioni patrimoniali fuoriuscite dal patrimonio della scissa restano in ogni caso aggredibili dai creditori anteriori alla scissione ai fini della loro soddisfazione ([79]).

Ulteriore argomento addotto a favore della mancata sovrapponibilità tra i rimedi tipici del diritto societario e l’azione pauliana emerge se si considera l’oggetto dei due istituti: mentre la responsabilità solidale si esplica nei confronti del valore delle attribuzioni nei limiti del patrimonio effettivo attribuito o rimasto, l’azione pauliana ha come obiettivo quello di neutralizzare l’atto dispositivo che riguarda i “beni”, con accezione comprensiva anche di complessi aziendali o porzioni patrimoniali composte da attività e passività([80]).

Da ultimo, ulteriore argomento contrario all’ammissibilità dell’azione revocatoria si concentra, infine, sul rimedio risarcitorio previsto all’art. 2504-quater, comma 2, c.c., richiamato dall’art. 2506-ter, comma 5, c.c. che ha gli stessi termini di prescrizione della revocatoria e analoghi strumenti di tutela cautelare della garanzia patrimoniale e che viene ritenuto da molti il miglior mezzo per contemperare le esigenze di stabilità degli effetti organizzativi della scissione e la tutela dei creditori, ciò poiché il rimedio in parola, da un lato, amplia la garanzia dei creditori di fronte ad un comportamento negligente o fraudolento degli amministratori, ma dall’atro lascia impregiudicati gli svariati effetti dell’operazione, senza pregiudicare i soci e i creditori delle beneficiarie, anteriori e successivi al perfezionamento della scissione, che altrimenti vedrebbero «quanto ai primi un disequilibrio eccessivo dell’assetto organizzativo post-scissione, quanto ai secondi un pregiudizio delle loro ragioni di credito avendo fatto legittimo affidamento sulla stabilità degli effetti del patrimonio della riorganizzazione societaria derivante dalla scissione» ([81]).

Coloro che però negano la sovrapponibilità dei soggetti legittimati all’esercizio dell’azione pauliana rispetto a chi possa ricorrere al risarcimento di cui all’art. 2504-quater, comma 2, c.c. fanno leva sulla necessaria presenza di un nesso di causalità tra comportamento e danno tale da limitare l’esercizio dell’azione indennitaria ai soli creditori anteriori dell’operazione ([82]).  

 

6. La sentenza della Corte di Giustizia. –Ripercorsi gli orientamenti interpretativi più significativi , è ora il momento di analizzare, la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 30 gennaio 2020, n. 394, sez. II che ha fatto seguito al rinvio operato dall’ordinanza del 20 marzo 2018 della Corte d’Appello di Napoli, inserendosi nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale  e confermando quanto già stabilito poco prima dalla Suprema Corte con la sentenza 04/12/2019, n. 31654,  che è stata la prima pronuncia di legittimità in merito all'esperibilità dell'actio pauliana avente ad oggetto un atto di scissione societaria.

La Corte di Giustizia ha affermato che «l’art. 19 della Direttiva 82/891, come modificata dalla Direttiva 2007/63, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa direttiva 82/891, il quale prevede il regime delle nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte dei creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile ai creditori».

La Corte ha così fondato la sua decisione sulla differenza tra invalidità, nullità ed inefficacia dell’atto e dei suoi effetti, prendendo atto, fin da subito, che il termine “nullità” non viene definito all’interno della Direttiva e che i tre casi ostativi menzionati dall’art. 19 «attengono alla formazione della scissione e incidono sull’esistenza di quest’ultima. Si tratta dunque di casi che comportano la scomparsa di quest’ultima([83])». Il caso dell’azione revocatoria, secondo quanto sancito dalla Corte di Giustizia, dunque, non rientrerebbe nei casi di nullità previsti dalla norma perché l’accoglimento della pauliana comporterebbe solamente l’effetto di rendere inopponibile la scissione al creditore vittorioso e non si determinerebbe alcuna demolizione o scomparsa dell’operazione([84]).

Per quanto riguarda invece l’ulteriore e diverso quesito sottoposto alla Corte, la stessa ha ritenuto che il sistema di tutele previsto all’art. 12 della VI Direttiva non abbia valore tassativo e che l’espressione «quanto meno» contenuta nell’articolo in parola, debba essere interpretata come prescrittiva solo di un sistema minimo di tutela degli interessi dei creditori anteriori alla pubblicazione del progetto di scissione, i cui crediti non siano ancora scaduti alla data della pubblicità, non precludendo agli Stati membri la possibilità di fare ricorso al rimedio generale della revocatoria anche nel caso di mancato esperimento dei rimedi previsti da tale sistema.

 

7. Riflessioni conclusive. - Se, da un lato, alla pronuncia della Corte di Giustizia pare ad oggi essersi uniformata la giurisprudenza nazionale, sia di merito che di legittimità ([85]), dall’altro, come si era sopra accennato, il dibattito non sembra essersi sopito, essendovi autorevole dottrina ([86]) che considera la motivazione della Corte laconica e che - a causa delle difficoltà nel conciliare gli effetti dell’esperimento dell’azione revocatoria con gli obiettivi individuati dalla Corte nell’interpretazione delle fonti comunitarie – si attende una riapertura del dibattito, «opportunamente rimodulato», al quale ritiene possa essere posto fine soltanto con un intervento normativo ad hoc ([87]).

Alcuni autori sostengono che la Corte, prendendo in considerazione solo quanto previsto dall’art. 12 della VI Direttiva (attuale art. 146 della Direttiva 2017/1132/UE) e non anche altre norme della stessa che assicurano indirettamente una tutela ai creditori successivi ([88]), abbia ritenuto che non vi fossero ostacoli nell’accordare una posizione privilegiata al creditore della società scissa che agisce in revocatoria, rispetto al complesso di creditori della società beneficiaria ed abbia, anzi, avuto fin da subito l’obiettivo di eliminare alla radice qualunque possibile obiezione, tanto da arrivare ad affermare esplicitamente una diseguaglianza nella tutela dei diritti dei creditori per il fatto che siano stati assegnati a una società beneficiaria o rimasti nella scissa, non tenendo in debita considerazione che - sebbene l’art. 12 non possa considerarsi d’ostacolo all’esperimento dell’azione revocatoria da parte dei creditori della scissa - la protezione di questi ultimi non avrebbe dovuto pregiudicare quella degli altri creditori previsti dalla stessa norma ([89]). Quest’ultima parte di dottrina è, quindi, propensa a ritenere che con la revocatoria si sia perseguita la repressione di fattispecie di abuso dello strumento riorganizzativo senza un solido fondamento giuridico e senza tenere in debito conto il polimorfismo dell’istituto e la portata della disciplina complessivamente offerta ai creditori, privilegiandone ingiustamente alcuni a discapito di altri([90]).

Non è però mancato chi ha interpretato quest’ultimo profilo della motivazione della Corte, escludendo che con la stessa si fosse legittimata una «prevaricazione» tra le due categorie di creditori, adducendo a sostegno di questa tesi il fatto che la possibilità di aggredire il patrimonio dei soggetti partecipanti all’atto non dovrebbe impedire la possibilità del concorso in sede esecutiva, proprio in considerazione della stabilità dell’operazione e degli effetti della revocatoria, in quanto «la stabilità della revocatoria non giustifica la sottrazione del bene o del diritto trasferito alla garanzia patrimoniale dal punto di vista dei creditori della beneficiaria» e «gli effetti dell’azione pauliana si limitano a creare una legittimazione ad agire in executivis quale conseguenza dell’inopponibilità» ([91]).

Oltre a ritenere condivisibile quest’ultimo approccio interpretativo, si ritiene, inoltre, innegabile l’esistenza di operazioni rispetto alle quali è assai dubbio che il legislatore abbia inteso dare prevalenza all’esigenza di stabilità delle stesse ([92]), proprio perché il loro effetto è stato quello di consapevolmente determinare un depauperamento della garanzia patrimoniale.

Sembra allora condivisibile la tesi secondo cui, non occupandosi il legislatore di tale patologia e non ritrovandosi nella normativa societaria alcun riferimento all’azione revocatoria ai fini della sua esclusione – e nell’attesa, eventualmente, anche di un suo intervento a riguardo - nell’ottica di un contemperamento tra esigenze di certezza ed equilibrio tra i contrapposti interessi, debba considerarsi operante, nel caso di scissioni in frode ai creditori, anche la revocatoria quale rimedio a carattere generale ([93]).

Ciò che, infatti, sembra necessario indagare è la reale finalità perseguita con l’operazione di scissione e cioè se alla base della stessa vi sia un riassetto societario vero e proprio o una preordinata riduzione della garanzia patrimoniale dei creditori mirante ad eludere o violare precetti fondamentali ([94]).

In particolare, è proprio la discrezionalità decisionale degli amministratori e dei soci a far sì che per comprendere se vi sia stato un abuso dell’istituto debba essere esaminata l’attività preparatoria di predisposizione del progetto, rappresentando - da un lato la scelta delle poste attive e passive da assegnare alle beneficiarie([95]) , dall’altro la relazione ai sensi dell'art. 2501-quinquies, c.c. - due evidenti rischi da ricollegarsi alla possibilità per i soci, all’unanimità, di ometterne la redazione. In proposito, il primo pericolo si ritiene possa essere evitato accertandosi che alla base della scelta in ordine all’assegnazione delle specifiche poste attive o passive alla società beneficiaria vi sia il rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Con riguardo, invece, alla relazione illustrativa dell’organo amministrativo, essa deve «illustrare i criteri di distribuzione delle azioni o quote e deve indicare il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie e di quello che eventualmente rimanga nella società scissa» (art. 2506-ter, comma 2, c.c.), quindi non solo illustrare, ma anche giustificare le ragioni giuridiche ed economiche dell’operazione, proprio perché è a partire dalla stessa relazione che è possibile verificare che ci sia stata corrispondenza tra i vantaggi economici e gestionali ivi indicati e quelli, poi, in concreto perseguiti. Secondo alcuni autori, infatti, la relazione degli amministratori, per via degli elementi informativi – ulteriori rispetto a quelli desumibili dal progetto e, ciò che più conta, in grado di far emergere eventuali deviazioni dell’operazione dallo scopo sociale - deve considerarsi di notevole interesse per i creditori sociali ([96]).

Il ruolo decisivo della relazione emerge soprattutto se si considera che è proprio grazie alla stessa che può trasparire il valore effettivo del patrimonio netto e che, di conseguenza, i creditori possono constatare se l’operazione di scissione risulta essere “in equilibrio” o se, al contrario, le finalità economiche dichiarate siano strumentali perché palesemente non raggiungibili in concreto ([97]).

Per queste ragioni, la previsione dell’art. 2506-ter, comma 4, c.c. , che sancisce la possibilità di omettere la relazione con il consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari, muniti del diritto di voto nelle società partecipanti alla scissione, dovrebbe interpretarsi come avente una valenza meramente “interna”, non idonea a far venire meno la soddisfazione dell’interesse dei creditori i quali devono essere posti nella condizione di decidere consapevolmente in ordine all’esercizio del diritto di opposizione che può essere vanificato proprio dall’omissione della relazione, ma anche da una relazione dai contenuti vacui([98]).

In conclusione, è innegabile che la scissione sia suscettibile di essere utilizzata per scopi diversi da quelli riorganizzativi, potendosi ravvisare, al ricorrere di determinate circostanze, come sopra evidenziato, financo il reato di bancarotta fraudolenta e risultando difficile escludere l’ammissibilità dell’azione revocatoria sulla base di un sistema endosocietario di tutele presuntivamente chiuso ed autosufficiente[99]. Da un lato, infatti, come sancito dalla Corte di Giustizia, la revocatoria non è preclusa dalla disciplina dell’azione di nullità e dall’altro non sembra potersi considerare “inutile”([100]), al contrario rappresentando una reazione legittima all’abuso dell’istituto della scissione nei casi in cui lo stesso sia utilizzato come strumento di frode.



([1]) Cfr. Portale, La scissione nel diritto societario italiano: casi e questioni, in Riv. soc., 2000, 440 ss.; Ferro Luzzi, La nozione di scissione, in Giur. comm., 1991, I, 1065 ss.; Belviso, La fattispecie della scissione, in Giur. comm., 1993, I, 521 ss.

([2]) V. Zanato, La scissione delle società all’interno del concordato preventivo con continuità aziendale, 2014, www.osservatoriooci.org, 66, per l’evoluzione normativa e giurisprudenziale.

([3]) V.: Portale, (nt. 1), il quale sottolinea che la tecnica legislativa del rinvio alle norme già previste in materia di fusione e la contestuale previsione di una disciplina specifica è dipesa dalla particolare configurazione ed ampiezza morfologica della scissione; Scognamiglio, Le Scissioni, in Fusione – Scissione, nel Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, Utet, 7**2, 2004, 4-5, in cui si sottolinea che, nonostante la dottrina abbia spesso definito la scissione come il fenomeno specularmente opposto alla fusione o come una sorta di fusione alla rovescia, solo un’analisi dei dati positivi può dare la misura dell’esattezza e della veridicità di tale affermazione. Infatti, se è vero che molte questioni sorte sul terreno della fusione si ripropongono anche con riferimento alla scissione, non sempre le soluzioni elaborate in rapporto al primo istituto sono idonee ad essere applicate all’altro, presentando la scissione aspetti e problemi peculiari che non trovano riscontro nella disciplina della fusione. Cfr. anche Sarale, Le scissioni, in AA. VV., Le operazioni societarie straordinarie, in Trattato di diritto commerciale, Padova, 2011, 605, secondo il quale sebbene il paragone contribuisca a spiegare chiaramente quali siano gli effetti finali delle due operazioni, esso non appare però del tutto esaustivo, soprattutto se si considerano gli aspetti strutturali e le tecniche per conseguire simili effetti, che nella scissione risultano essere molto più eterogenei rispetto a quelli previsti nella fusione.

([4]) Per un’analisi dei tentativi che la prassi aveva elaborato per ottenere risultati che determinassero l’effetto di disarticolazione del patrimonio sociale, in giurisprudenza v.: App. Genova, 9 febbraio 1956, in Giur. it., 1956 I, 853 s., e in AA.VV., Casi e materiali di diritto commerciale. Società per azioni, II, Milano, Giuffrè, 1974., 1903 s. e in dottrina v. Ibba, Scissione, scorporo e società unipersonali, Riv. Dir. Civ., 1991, II, p. 693 ss; Pedemonte, La scorporazione delle società commerciali, Genova, Di Stefano, 1956; Cabras, Scissione di società e concordato preventivo: un patrimonio “nuovo” per le imprese dopo la crisi, in Rivista ODC, 2019, 651; Cottino, Osservazioni in tema di “scorporo” di società, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 786 s.

([5]) V. Scognamiglio, (nt.3), 10.

([6])V. sul punto D’alessandro, La scissione delle società, in Riv. not., 1990, I,874-875: «Ossia attraverso l’elencazione delle sub-figure, delle forme, come si esprime la rubrica, che la scissione può assumere»; per la definizione della scissione come un’operazione attraverso la quale un’impresa trasferisce dei beni a un’altra o più altre società, siano esse già esistenti o di nuova costituzione v. Fiori, Tiscini, Economia aziendale, Milano, Egea, 2014, 102. Cfr. poi Latella, Scissione di società e revocatoria: un arretramento della Corte di Giustizia nel processo di modernizzazione del diritto societario dell’Unione Europea, Studio n. 117-2020/A del Consiglio nazionale del notariato, in Studi e materiali, fasc. 1, 1 giugno 2020, 207, il quale ritiene che il dibattito circa l'esperibilità dell'actio pauliana avverso l’operazione di scissione - oggetto del presente lavoro e che verrà trattato nel prosieguo -  «scaturisce, in primo luogo, proprio dalla mancata definizione, a livello normativo, di ciò che la scissione rappresenta sul piano strutturale, essendosi il legislatore codicistico limitato a disciplinarne soltanto le modalità procedurali e gli effetti».

([7]) Invero, nella scissione le partecipazioni della/e beneficiaria/e sono attribuite direttamente ai soci della scissa, rendendo così evidente che la modificazione della consistenza patrimoniale delle società partecipanti non è che il frutto di un atto di riorganizzazione delle strutture societarie medesime.

([8]) Cfr. Magliulo, La scissione di società, Milano, Ipsoa, 2009, 32, il quale ha sostenuto che la fondatezza di una simile tesi sia rinvenibile nella logica complessiva della disciplina dell’istituto poiché se la scissione configurasse un fenomeno traslativo il soggetto beneficiario di tale atto avrebbe dovuto corrispondere la “contropartita” di tale trasferimento al soggetto che di fatto si è depauperato, ovvero la società scissa. V. anche: Ferro Luzzi, La nozione di scissione, in Giur. comm., 1991, 1068 ss., secondo il quale la scissione non è un fenomeno la cui essenza può essere colta in termini di trasferimento di beni tra soggetti, in quanto, al contrario, con tale operazione «si modifica, si aggrega, si separa l’organizzazione cui questi beni fanno capo».

([9]) Cfr. Scognamiglio, (nt. 3),200 ss. e Magliulo, (nt.8), 34, i quali precisano che se, dunque, l’operazione di scissione rappresenta una mera riorganizzazione aziendale, ne discende che l’operazione non può determinare l’estinzione della società scissa: le società derivanti dalla scissione operano in regime di piena continuità non solo economica ma anche giuridica con la società scissa.

([10]) Cfr. Scognamiglio, (nt. 3), 119; Picciau, Sub art. 2506, in Trasformazione – Fusione – Scissione, a cura di Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti – Bianchi – Notari, Milano, Giuffrè, 2006, 1025 ss.

([11]) Più precisamente, alla successione a titolo universale nel caso di scissione totale e alla successione a titolo particolare nel caso di scissione parziale; Cfr. Magrì, Natura ed effetti delle scissioni societarie: profili civilistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 41 ss.

([12]) In giurisprudenza v.: Trib. Roma, 2018, in foro.it, 2018, 10, 1, 3291; Cass. Civ., Sez. I, 13 aprile 2012, n. 5874; Cass. Civ., Sez. Lav., 6 ottobre 1998, n. 9897; in dottrina v. Terenghi, Il punto sulla revocabilità dell’atto di scissione societaria, in ilsocietario.it, fasc., 11 sett. 2017, 4 e Bertolotti, Scissione e Revocatoria – Corte di Giustizia e Cassazione: le norme in tema di scissione (e fusione) non precludono la revocabilità dell’operazione, in Giur. it., n. 8-9, 1 agosto 2020, 1919.

([13]) V. Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 685; Sarale, Scissione e azione revocatoria: richiesto l’intervento della Corte di Giustizia, 117, e cfr. anche Caruso, Osservazioni sul dibattito in tema di natura giuridica della scissione, in Giur. comm., 2002, II, 195: «se si ha riguardo alla organizzazione societaria, la scissione svolge una funzione modificativa, ma se si presta attenzione alla destinazione del patrimonio, la scissione adempie invece ad una funzione traslativa».

([14]) V.: Campobasso, Diritto Commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 2008, 664 ss.; Portale, (nt. 1), 480; Palmieri, Scissione di società e circolazione dell'azienda, Torino, 1999, 119; Magliulo, L'inammissibilità dell'esercizio dell'azione revocatoria, in Nuovo dir. soc., 2014, 24, secondo i quali né la tesi del trasferimento patrimoniale né quella della modificazione statutaria si rivelano in grado di cogliere appieno le peculiarità della scissione; v. anche in giurisprudenza:Trib. Milano, 22 novembre 2019, n. 10804, in Imm. e propr., 2, 2020, 115 ss e Trib. Bologna, 1° aprile 2016, in Not., 6, 2016, 604 ss; nonché in dottrina Bertolotti, Scissione delle società, in Commentario del Codice Civile e codici collegati, a cura di Scialoja, Branca, Galgano, 95, il quale sostiene che la scissione si riveli «espressione di una volontà di riordino di società, dunque di attività d'impresa, attuato con un amalgama di “trasferimenti” di parti di patrimonio, di attribuzione e redistribuzione di partecipazioni e di (eventuale) “estinzione di una società e di (eventuale) “costituzionedi altre».

([15]) Cfr. Perotta, Bertoli, Le operzioni straordinarie: conferimento d’azienda e di partecipazioni, fusione e scissione, Giuffrè, 2015 e v. Sarale, (nt. 3), 238, il quale nel descrivere la scissione la considera riconducibile al fenomeno dell’integrazione fra imprese e in grado di offrire in vario modo strumenti e soluzioni per contemperare le esigenze di cambiamento delle strutture organizzative con le istanze di semplificazione ed economicità degli atti giuridici.

([16]) V. Scognamiglio, (nt. 3), 67, la quale precisa che, trattandosi di funzioni eterogenee e molteplici, risulta impossibile e non corretto metodologicamente isolarne una soltanto, «elevandola a rango di funzione primaria o tipica ed utilizzandola altresì come modello o paradigma per l’interpretazione e l’applicazione della disciplina nel suo complesso».

([17]) Cfr. Bastia, Brogi, Operazioni societarie straordinarie e crisi d’impresa, dir. da Ferro, INSOLVENCY, Milano, Wolter Kluwer, 2016, 16, in cui si evince come la scelta di ricorrere ad un’operazione straordinaria sia condizionata, da un lato, da fattori endogeni, interni alla società stessa o al gruppo nel quale è inserita e, dall’altro, da fattori di tipo esogeno, ricollegati ad una determinata situazione economica o al particolare settore di mercato in cui l’impresa opera.

([18]) V. Fellegara, Bosoni, Scissione e tutela della continuità aziendale. Opportunità dell’istituto nella disciplina del concordato preventivo alla luce della recente riforma della legge fallimentare, in Riv. dott. comm., fasc. 2, 1aprile 2018, 281.

([19]) V. Scognamiglio, (nt. 3), 68.

([20]) Cfr. Cassani, Scissione e azione revocatoria, Le soc., n.1, 1 gennaio 2017, 67, il quale chiarisce che la prima e più intuitiva funzione rimane sempre quella di disarticolare rami d’azienda al fine di renderli autonomi sotto il profilo societario e aziendale e di frazionare il rischio di impresa, pur mantenendone immutata la struttura degli assetti proprietari. V. poi, Scognamiglio (nt. 3), 71, la quale sottolinea come la funzione di decentramento sia utile, oltre che nell’imprenditoria privata, anche per i processi di privatizzazione delle imprese pubbliche, poiché - essendo necessario, in questi ultimi, che tale processo avvenga gradualmente - consente la parziale privatizzazione anche di un solo ramo d’azienda.

([21]) Effetto che, non essendo esclusivo della scissione, può essere raggiunto anche con istituti come lo scorporo o il conferimento d’azienda; operazioni queste ultime, tuttavia, meno efficaci poiché - a differenza della scissione nella quale le quote o azioni delle beneficiarie sono distribuite ai soci della scissa in base al rapporto di cambio - non permettono ai soci di mantenere il controllo sulle beneficiarie.

([22]) Cfr. Fellegara, Bosoni, (nt.18), i quali sottolineano come il cd. spin-off aziendale è finalizzato, nella maggior parte dei casi, ad una maggiore redditività, sia con riferimento all’attività principale, sia con riferimento all’attività esternalizzata, rappresentandone un esempio tipico gli spin-off immobiliari che consistono in una scissione che determina il trasferimento del patrimonio immobiliare dalla società scissa ad una costituenda società beneficiaria, al fine di separare l’attività di tipo immobiliare da quella commerciale in senso stretto, continuando i beni immobili destinati alla società di nuova costituzione New Co ad essere oggetto di gestione imprenditoriale in forma societaria.

([23]) V. Fiori, Le scissioni nell’economia e nei bilanci delle aziende, Roma, Giuffrè, 1995, 86.

([24]) V. Bastia, Brogi, (nt. 17), 17, secondo il quale la particolare duttilità dell’operazione di scissione, che costituisce una delle ragioni del suo impiego, è proprio la possibilità di incidere in modo significativo sulle strutture societarie senza la necessaria intermediazione di un’attività di liquidazione.

([25]) V. Fellegara, Bosoni, (nt.18), 283: «una società, avente una pluralità di business, potrebbe decidere di ricorrere alla scissione di un ramo di azienda in una beneficiaria, con successiva cessione della beneficiaria».

([26]) V. D’alessandro, (nt. 6), 886. 

([27]) Pototschnig, Le scissioni (e le fusioni) societarie quali strumenti di attuazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, in ilcaso.it, 12 aprile 2017, 2, il quale ritiene che sia «un dato fisiologico, almeno nella prassi, che le operazioni straordinarie si muovano nel solco della continuità aziendale perché presuppongono la prosecuzione dell’attività e non una prospettiva meramente liquidatoria: anche se una scissione o una fusione siano funzionali ad una dismissione dell’impresa o di una sua parte, l’elemento della continuità rimane immanente nella soluzione della crisi».

([28]) È proprio grazie alle operazioni straordinarie che, come sottolinea Ferri Sr., Manuale di diritto commerciale, Torino, 2002, 507, si colma «lo iato presente tra la staticità dell’organizzazione societaria e impressa dai soci in sede di atto costitutivo e l’evoluzione delle condizioni economiche della società, attraverso la modificazione dell’organizzazione societaria, oppure la sua compenetrazione in un’atra entità (societaria e non), oppure il frazionamento dell’organizzazione esistente in più distinte organizzazioni (societarie e non) nuove e preesistenti».

([29]) V. Rordorf, Prefazione a Operazioni societarie straordinarie e crisi d’impresa, dir., Massimo Ferro, INSOLVENCY, Milano, Wolter Kluwer, 2016; cfr. poi Vanetti, Operazioni straordinarie nelle crisi d’impresa: sono possibili scissione e conferimenti negativi?, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 24 settembre 2018, 2, il quale sostiene che il nucleo attorno al quale il diritto concorsual-societario sta iniziando a concretizzarsi sia proprio la disciplina delle operazioni straordinarie a causa degli stessi sviluppi del diritto concorsuale che «assume ormai come concetto di riferimento la salvaguardia della continuità aziendale, da valutarsi sulla base di dati prospettici, e come target principale non più l’imprenditore individuale insolvente, ma l’impresa in crisi in forma societaria (o addirittura di gruppo)» al contempo prendendo atto della necessità, per procedere a risanamenti e ristrutturazioni , di utilizzare, tramite operazioni straordinarie, la stessa organizzazione corporativa e finanziaria della società, e le relative opportunità, e non solo l’azienda sottostante.

([30]) Per tutti: art. 2501, c.2, cod.civ., prima della riforma del 2003: «La partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali[...]». V. Vanetti, (nt. 29): «All’origine di tale divieto, la circostanza che tradizionalmente le procedure concorsuali (un tempo fallimento, liquidazione coatta, amministrazione controllata e concordato preventivo) tendevano alla mera moratoria e liquidazione atomistica o, per evitare il fallimento, consentivano solo l’uso di schemi rigidi – garanzia esterna o cessio bonorum – che non contemplavano la cessione dell’azienda funzionante, o di suoi rami, nè l’utilizzo di operazioni societarie straordinarie»; v. anche Bastia, Brogi, (nt. 17),8, in cui si richiama Fauceglia, La fusione, in Manuale di diritto commerciale, a cura di Boncore, Torino, 2013, 655-666, per il quale il venir meno di tale divieto assolve alla finalità di ampliare il numero degli strumenti utilizzabili per il risanamento dell’impresa, consentendo di coniugare la ricerca delle soluzioni più idonee per il superamento della crisi con la conservazione dei valori produttivi dell’azienda.

([31]) L’operazione è stata successivamente ammessa anche dagli artt. 124 e 160 l. fall.

([32]) V. Bastia, Brogi, (nt. 17), 8, i quali illustrano i diversi livelli in cui si può articolare un progetto di riorganizzazione societaria, patrimoniale e finanziaria e cioè: nel riadattamento della struttura societaria, nelle nuove condizioni economiche e prospettive di continuità praticabili, nel cambio del management e nell’opportunità di razionalizzare l’ingresso di nuove risorse provenienti da terzi; cfr. anche Portale, (nt. 1), 480, il quale precisa che la scissione «configurando un fenomeno che si esplica a più livelli – quello della struttura organizzativa della società, quello del patrimonio e delle relative valutazioni, quello delle partecipazioni sociali – pone questioni giuridiche la cui soluzione non può prescindere dai principi e dalle norme che l’ordinamento appresta in relazione a ciascuno dei profili evidenziati».

([33]) Nell’ambito concorsuale la scissione risulta più duttile rispetto alla fusione poiché si pone nei confronti dei procedimenti concorsuali, sia come mezzo esecutivo della proposta, che inserita in un piano concordatario; essa inoltre offre la possibilità di poter plasmare gli effetti dell’operazione incidendo sia sulla compagine sociale che sul patrimonio; v. a questo proposito Magliulo, (nt. 8), 4.

([34]) V. Guerrera, Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di riorganizzazione, in Riv. soc., 2008, 94.

([35]) V. Galletti, Sub art. 160 l. fall. – Profili giuridici, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, coordinato da Fabiani, Bologna, 2007, 2299; Per quanto riguarda il rapporto tra l’operazione di scissione e il fallimento v. App. Torino 26 luglio 2016, in Pluris, in cui si è ritenuto che lo “scioglimento senza liquidazione” realizzato in forza di un’operazione di scissione possa essere assimilato alla “cessazione dell’attività” menzionata dall’art. 10 l. fall., legittimando così la dichiarazione di fallimento dell’entità scissa entro un anno dalla cancellazione dal Registro delle Imprese, ove ne ricorrano i presupposti. In ordine invece all’utilizzabilità delle operazioni di scissione come strumento di attuazione di un concordato in giurisprudenza v.: App. Firenze 8 marzo 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Catania 14 luglio 2016, in Pluris; Trib. Arezzo 27 febbraio 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Ravenna 29 ottobre 2015, in Fall., 2016, 12, 1355 ss.; Trib. Ancona 9 aprile 2015, in Fall., 2016, 3, 346 ss.

([36]) Per una disamina dei vari tipi di pregiudizi dei creditori nella scissione v. Magliulo, L’inammissibilità dell’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti della scissione, in Il nuovo dir. soc., 28 ss. V. poi   Scognamiglio, (nt. 3), 281 e v. Cassani, (nt. 20), 2, secondo il quale l’origine di tale rischiosità per i creditori sociali, sia della scissa, che della beneficiaria preesistente, in aggiunta a quanto accade con riguardo alle operazioni di fusione ove il pericolo deriva sempre e solo dalla confusione dei patrimoni dei soggetti partecipanti all’operazione, si possono vedere anche sottrarre frazioni del patrimonio sociale su cui soddisfarsi; cfr. anche Pinardi, Le opposizioni dei creditori del nuovo diritto societario, Milano, 2006, 235 ss.  

([37]) V. Rordorf, La scissione di società, in Società, 1999, 683.

([38]) V. De Pra, Scissione di società e protezione dei creditori, Pisa, Pacini Giuridica, 2022, 10.

([39]) V. Maltoni, Spolidoro, Revocatoria della scissione e direttiva europea, in Le soc., n.10, 1ottobre 2017, 1082: «la scissione può rispondere a una molteplicità di interessi pratici: in alcuni casi essa è una mera riorganizzazione che, almeno nell’immediatezza, non incide sulla materia economica dell’impresa (…), mentre all’altro estremo, in alcuni casi realizza una vera e propria “concentrazione” e dunque il trasferimento del controllo di un’impresa (o più esattamente di un ramo di essa) ad altro soggetto».

([40]) Sono molte le occasioni nelle quali la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di segnalare che le operazioni di scissione societaria “presentano connotati intrinseci di offensività [...] nei confronti della garanzia generica che il patrimonio dell’imprenditore, secondo la previsione dell’art. 2740 c.c., offre ai creditori, messa in pericolo dalla destinazione di componenti del patrimonio a finalità diverse da quelle inerenti all’attività imprenditoriale [...]; v. a tale proposito: Cass. 13 giugno 2014, n. 42272, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 3, 613 ss.; Cass. 13 febbraio 2015, n. 6404, in Pluris; Cass. 4 marzo 2013, n. 10201, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 3, 613 ss., ; Cass. 22 dicembre 2010, n. 45031, in Pluris.

([41]) Sono molteplici le pronunce giurisprudenziali che hanno affermato come qualunque negozio dispositivo e qualunque operazione societaria può assumere valenza distrattiva o dissipativa; a titolo meramente esemplificativo v: Cass. pen. Sez. 5, n. 1984 del 2019; Cass. pen. Sez. 5, n. 20370 del 10/04/2015, Sez. 5, n. 9398 del 18/12/2019.  Ciò tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente (v. Cass. pen. Sez. 5, n. 44891 del 9/10/2008) quanto in quello in cui l'operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (v.: Cass. pen Sez. 5, n. 44891 del 9/10/2008; Cass. pen. Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008; Cass. pen. Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998; Cass. pen. Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993).

([42]) V. Maltoni, Spolidoro, (nt. 39), i quali, commentando la sentenza del Tribunale di Pescara, 04 maggio 2017 in cui si dichiara che: «il tratto caratteristico della scissione è che a tale operazione è strutturalmente connaturata la oggettiva riduzione del patrimonio della società che resta direttamente debitrice, con l’effetto che la riduzione della garanzia non è una mera eventualità ma un effetto naturale dell’operazione», considerano il Tribunale di Pescara incorso in un errore evidente poiché «la scissione può benissimo aumentare, e anche di parecchio, la possibilità dei creditori attuali di essere pagati». Con questa affermazione gli autori si riferiscono a tutti quei casi in cui la scissione comporti il trasferimento di elementi del passivo da un patrimonio incapiente o insolvente, o comunque a rischio, a un patrimonio più capace di garantire il pagamento tramite asset patrimoniali o flussi e a supporto di tale tesi viene riportato l’esempio della scissione totale di una società Alfa, sovraindebitata, con trasferimento del patrimonio a due società preesistenti iperpatrimonializzate o in perfetta salute, reddituale e finanziaria.

([43]) Sul tema cfr. Fimmanò, La Corte di Giustizia chiamata a salvare la scissione societaria delle revocatorie, in Giur. comm., fasc. 1, 2019, 161; nonché sempre Fimmanò, La irrevocabilità della scissione societaria, in Crisi d’Imp. e fall., 2 agosto 2019, 25, il quale sostiene che sia la stessa disciplina civilistica della scissione ad impedire di predicare, anche solo in astratto, una pericolosità della scissione in sé e per sé rispetto agli interessi dei creditori; l’autore considera l’istituto oggetto di pregiudizi «anche in sede penale dove si assiste talora alla automatica ed errata equiparazione dell’operazione ad una distrazione in senso tecnico, dimenticando ancora una volta che l’attribuzione del patrimonio è in linea astratta una attribuzione di attività e passività di valore proporzionale». Cfr. anche Pamphilis, Ammissibile l’azione revocatoria ordinaria contro l’atto di scissione societaria, in cor. giur., n. 6, 1 giugno 2020, 825, il quale afferma che la natura multiforme del fenomeno scissorio impedisce di «instaurare una generalizzata equazione tra atto di scissione e ineludibile depauperamento della garanzia patrimoniale» e che «non è partendo da condotte di abusivo ricorso all’istituto che possono trarsi argomenti al fine della compiuta interpretazione della disciplina dello stesso».

([44]) Cfr. Cass, pen. Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013 in cui si evidenzia la necessità, ai fini del giudizio sulla ravvisabilità del reato, di una valutazione in concreto, che tenga conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione.

([45]) Cfr. Busani, Urbani, Operazioni straordinarie: la scissione, in Le soc., 12/17, 1422, i quali riportano quanto dichiarato in giurisprudenza, in particolare nelle sent. di cui alla nt. 40: «Tale dimensione di pericolosità, costantemente riconosciuta come tipica dell’offesa propria dei reati di bancarotta [...], assume, per effetto della previsione di punibilità del fatto a seguito dell’intervento della dichiarazione di fallimento o degli altri provvedimenti alla stessa a tali fini equiparati, il contenuto effettivo del pericolo che, nell’eventualità dell’intervento della procedura concorsuale, il soddisfacimento per quanto possibile delle pretese creditorie, a cui la stessa è funzionale, sia pregiudicato dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale». In giurisprudenza cfr. anche Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016 e Sez. 5, n. 24024 del 01/04/2015, in Pluris, in cui si evidenzia come «una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli delle ragioni dei creditori assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, quando ne abbiano messo in pericolo la soddisfazione, ed anche in presenza di un'iniziativa economica in sè legittima, che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori, anche quando siffatto effetto depressivo consegua a negozi traslativi e ad operazioni societarie che abbiano impedito alla fallita la possibilità di proseguire utilmente l'attività, con conseguente sottrazione di ogni garanzia per i creditori».

In dottrina, poi, cfr. Santoriello, Si può distrarre il patrimonio aziendale anche con una scissione societaria, in ilsocietario.it, 3 dicembre 2021, 2, il quale fa l’esempio del «fenomeno societario della scissione di una società in crisi, che, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l’impresa, separa la passività (il c.d. badwill), lasciato nella c.d. bad company, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. new company».

([46]) Così Cass. 13 giugno 2014, n. 42272, (nt. 40).

([47]) In giurisprudenza v. Cass. pen. Sez. 5, n. 1354 del 07/05/2014 e Cass. pen. Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013.

([48]) In dottrina v. Santoriello, (nt. 45), per il quale: «non può sostenersi che la scissione non possa assumere connotazioni di rilevanza penale in materia fallimentare, con particolare riguardo all’ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione», e v. Bello, Revocatoria dell’atto di scissione: una questione aperta, in Giur. comm., fasc. 2, 2019, 405, secondo la quale è chiaro che la scissione possa essere «scientemente e “fraudolentemente” utilizzata per scopi diversi da quelli riorganizzativi e, in particolare, proprio per sottrarre beni ai creditori» e la quale fa presente come tra i vari casi vi siano spesso analogie che possono esplicarsi in: «una “mirata” distribuzione degli assets e delle passività tra scissa e beneficiarie, sequenze di cessioni post-scissione, ed altre vicende palesemente orientate a sottrarre beni ai creditori»; in giurisprudenza v. a partire dalle più recenti: Cass. sez. V, 1 luglio 2020, n. 27930; Cass., sez. V, 17 aprile 2018, n. 17163; Cass., sez. v, 14 aprile 2015, n. 20370; Cass., sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13522; Cass., sez. V, 13 giugno 2014, n. 42272. Ciò che rileva, in altri termini, è che una determinata operazione, per le modalità con le quali è stata realizzata, si presenti come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio, (v. Cass. pen. Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990; Cass. pen. Sez. 5, n. 6462 del 04/11/2004) ed in prospettiva pregiudizievoli per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale.

([49]) V. Latella,(nt. 6), 207.

([50]) V. Picciau, Sulla difficile coesistenza dell’istituto della revocatoria con la scissione di società, in Riv. soc., 1 agosto 2019, 713, il quale sottolinea come l’interprete non possa sottrarsi ad una verifica analitica del sistema normativo «senza indulgere in concettualismi ed in semplificazioni argomentative che assumano come punto di partenza il valore della (adeguata e compiuta) protezione dei creditori sociali».

([51]) V. De Pra, (nt. 38), 15-18, il quale a sua volta richiama Denozza, La scissione di società, in AA.VV. Impresa e società. Nuove tecniche comunitarie, Milano, Giuffrè, 1992, 87: «i) in una prima fase un flusso di informazioni derivanti dalla pubblicazione del progetto di scissione, con l’indicazione dei dati che ne costituiscono il contenuto vincolante anche per la fusione aggiungendo “l’esatta indicazione degli elementi patrimoniali da trasferire a ciascuna delle società beneficiarie”, unitamente alla situazione patrimoniale (o bilancio) e alla relazione degli amministratori, la cui redazione era obbligatoria; ii) in una seconda fase (successiva alla pubblicazione della deliberazione di scissione nel registro delle imprese) legata alla legittimazione alla proposizione dell’opposizione alla scissione; iii) una terza attinente alla responsabilità delle beneficiarie e della eventuale scissa rimasta». Cfr. sul punto anche Pamphilis, (nt. 43), 826, il quale sottolinea come, sia i precedenti aderenti all’orientamento monistico, che quelli che ammettono l’esperibilità dell’azione revocatoria, sono concordi sul fatto che il legislatore della riforma del diritto societario abbia manifestato una «chiara esigenza di tutela degli interessi dei creditori, da bilanciare con l’opposto interesse alla certezza dei rapporti e dei traffici economici e alla stabilità delle operazioni di riorganizzazione societaria e imprenditoriale», divergendo soltanto «nell’individuazione del punto di equilibrio, superato il quale si giustificherebbe una degradazione della tutela accordata ai creditori dal piano reale a quello obbligatorio e risarcitorio».

([52]) Cfr. Bello, (nt. 48), 405, la quale, all’interrogativo se dalle norme sulla scissione si possa con certezza desumere che l’interesse al riordino della struttura societaria sia sovraordinato all’interesse dei creditori, risponde negativamente ed, anzi, riconoscendo che nel sistema è presente un riconoscimento implicito di pari dignità al diritto dei creditori, ne desume che il legislatore abbia posto sullo stesso piano i due interessi, considerando che l’esigenza di tutela dei creditori è potenzialmente in grado di impedire la realizzazione della scissione; cfr. anche: Picciau, (nt. 50), il quale evidenzia che le ragioni dell’impresa e l’interesse dei creditori è «una costante del diritto societario, destinata tuttavia ad assetti variabili nel tempo, in relazione ai quali il valore della tutela dei creditori non costituisce un generico a priori dell’ordinamento, bensì è l’espressione – mutabile – delle specifiche norme positive via via vigenti»; Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 813-851, per il quale «la corretta gestione societaria, quale aspetto del più ampio compito gestorio, implica anche la considerazione, in una prospettiva imprenditoriale, di interessi diversi da quelli riferibili alla società ed ai suoi soci». 

([53]) Fra i tanti v. Maltoni, Forme di scissione e disciplina applicabile, in Trasformazione, fusione, scissione, opera diretta da Serra, Bologna, 2014, 729 ss.

([54]) Scognamiglio, (nt. 3), 146.

([55]) V. Vanetti, (nt. 29), il quale ritiene che in taluni casi vi possa essere l’interesse all’acquisizione dei valori attivi (in particolare, un’azienda od un ramo aziendale), anche se ciò comporti il contemporaneo accollo di passività di maggior importo.

([56]) V. De Pra, (nt. 38), 111.

([57]) In ordine alla distinzione tra valori “contabili” e valori “reali”: i primi derivano dalla rappresentazione dei vari elementi patrimoniali nel sistema delle scritture contabili di una società, ovvero nel bilancio; mentre i secondi attengono al valore effettivo che tali elementi realizzano, o potrebbero realizzare sul mercato. Cfr. sul punto Lucarelli, La scissione di società, Torino, Giappichelli, 1999, 239 ss. e Colombo, Il bilancio d’esercizio, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 7*, Torino, Utet, 1994, in cui si evince come il valore dei beni talora può essere negativo solo contabilmente, quale conseguenza del criterio del costo e della iscrivibilità in bilancio di utili e proventi solo se effettivamente realizzati: art.2423-bis e 2426 cod.civ.

([58]) In senso contrario cfr. Consiglio Notarile di Roma secondo il quale è ammissibile la scissione mediante assegnazione di cespiti aventi valore contabile e reale negativi qualora: in caso di scissione parziale, si assegnino in concambio solo azioni o quote della scissa in favore dei soci della beneficiaria preesistente e non a favore dei soci della scissa; in caso di scissione totale, ai soci della beneficiaria preesistente vengano assegnate partecipazioni nelle altre beneficiarie; non sia necessario procedere al concambio poiché a) la beneficiaria preesistente è titolare dell’intero capitale sociale della scissa ovvero b) le compagini sociali di scissa e beneficiaria preesistente sono identiche dovendo, anche in questi casi, il patrimonio netto della beneficiaria preesistente dovrà essere in grado di assorbire il netto negativo assegnatole ovvero dovrà trattarsi di una scissione con scopo meramente liquidativo. Sul punto v. anche Magliulo, (nt. 8), 15 ss., e Fiori, (nt. 23), 282.

([59]) V. Vanetti, (nt. 29), 17.

([60]) V. Vanetti, (nt. 29), 21, il quale afferma che parrebbe corretto o comunque opportuno che la scissione realmente negativa debba restare confinata in ambito concorsuale «come una delle tessere destinate a dare forma ad un futuro diritto concorsual-societario».

([61]) V.: Bertoli, Scissione di un ramo di attività avente valore negativo (c.d. scissione negativa), in Giur. comm., 2011, I, 753; Maltoni, (nt. 53), 738, per il quale: «poiché l’aumento di capitale necessariamente alla beneficiaria non è coperto da valori già iscritti in bilancio della scissa appare necessario che il maggior valore degli elementi del patrimonio assegnati alla beneficiaria sia attestato tramite perizia ex art. 2343 o 2465 c.c., a garanzia dei terzi».

([62]) Tra i sostenitori della tesi favorevole si ricordano: Pin, Scissione e azione revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2018, II; Bello, (nt.48); Di Martino, La revocabilità della scissione supera il vaglio della Corte di Giustizia, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 2, 2021; De Luca, La revocatoria della scissione secondo la Corte Ue. Prime riflessioni, in foro.it, 2020, n.4, IV; Lentini, Revocatoria ordinaria della scissione e tutela dei creditori «assegnati»: frammenti di disciplina per un dibattito (ri)costruttivo, in Riv. soc., fasc. 2-3, 1 aprile 2021, 547; Pototschnig, Scissione societaria e azione revocatoria: un nervo scoperto per la tutela dei creditori, in il Fall., n. 1, 1 gennaio 2017; Terenghi, (nt. 12);

Tra i sostenitori della tesi contraria si ricordano invece: Latella, (nt. 6); Fimmanò, (nt.43); De Pra, (nt. 38); Picciau, (nt. 50); Cassani, (nt. 20); Rocco Di Torrepadula, Il nulla osta della Corte di Giustizia alla revocatoria della scissione, in Giur. comm., 2021, II, 967; Davigo, (nt. 69); Magliulo, (nt. 8).

([63]) Per la tesi favorevole all’esperibilità dell’azione revocatoria v.: Corte di giustizia dell'Unione Europea, 30 gennaio 2020, n. 394, in Giur. comm., 2021, 5, II, 964; Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, in Foro it., 2020, 1, I, 163; Trib. Roma, 12 giugno 2018, in Foro It., 2018, 10, 1, 3291; Trib. Bergamo, 28 febbraio 2018; Trib. Benevento, 12 ottobre 2017, in Giur. comm., 2019, II, 392; Trib. Napoli, 24 luglio 2017, in www.giustiziacivile.it; Trib. Pescara, 17 maggio 2017, in Soc., 2017, 1082; Trib. Roma, 18 novembre 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma, 16 agosto 2016, in Riv. not., 2016, II, 932; Trib. Venezia, 5 febbraio 2016, in Soc., 2016, 4, 503; App. Napoli, 17 ottobre 2015, in Rep. Foro It., 2016; Trib. Milano, 9 luglio 2015; Trib. Benevento, 17 settembre 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Palermo, 25 maggio 2012, in Pluris; Trib. Catania, 9 maggio 2012, in Fall., 2013, 983; Trib. Catania, 9 gennaio 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Palermo, 26 gennaio 2004, in Giur. comm., 2007, II, 250; Trib. Livorno, 2 settembre 2003, in Fall., 2004, 1138; Trib. Livorno, 19 agosto 2003, in Gius., 2003, 22, 2596.

Per la tesi contraria all’esperibilità dell’azione revocatoria v.:App. Roma, 27 marzo 2019; Trib. Napoli, 26 novembre 2018; App. Catania, 19 settembre 2017, in Fall., 2018, 902; Trib. Roma, 7 novembre 2016, in Giur. comm., 2018, 1, II, 136; Trib. Bologna, 1 aprile 2016, in Fall., 2016, 877; Trib. Bologna, 24 marzo 2016, in Riv. not., 2016, 3, 547; Trib. Forlì, 4 febbraio 2016, in www.tribunale.forlì.giustizia.it; Trib. Roma, 19 ottobre 2015; Trib. Napoli, 31 ottobre 2013, in Banca borsa tit. cred., 2014, 6, II, 671; Trib. Napoli, 4 marzo 2013, in Riv. dir. comm., 2014, II, 111; Trib. Napoli, 18 febbraio 2013, in Giur. comm., 2014, 6, II, 1040; Trib. Modena, 22 gennaio 2010, in ilcaso.it; Trib. Milano, 8 settembre 2003, in Giur. comm., 2005, II, 198; Trib. Roma, 11 gennaio 2001, in Dir. fall., 2001, II, 442.

([64]) Di seguito il testo dei quesiti delle questioni pregiudiziali: 1) «Se i creditori della società scissa, le cui ragioni di credito siano anteriori alla scissione, che non si siano avvalsi del rimedio dell’opposizione ex art. 2503 c.c. (e dunque dello strumento di tutela introdotto in attuazione dell’art. 12 della VI Direttiva), possano avvalersi dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. dopo che la scissione sia stata attuata, allo scopo di farne dichiarare l’inefficacia nei loro confronti e, quindi, di essere preferiti in sede esecutiva ai creditori della o delle società beneficiarie nonché di essere anteposti agli stessi soci di queste ultime».

2) «Se la nozione di nullità, contemplata dall’art. 19 della VI Direttiva, si riferisce alle sole azioni incidenti sulla validità dell’atto di scissione ovvero anche a quelle che, pur non incidendo sulla sua validità, ne determinano l’inefficacia relativa o inopponibilità».

([65]) Cfr.: Latella, (nt. 6), 207 ed anche Piccione, Scissione societaria e azione revocatoria, in ilsocietario.it, 06 maggio 2021, n. 12047, sez. III.

([66]) V. Bello, (nt. 48), 395.

([67]) Cfr. Bello, (nt. 48), 395, la quale a sua volta richiama: Pin, (nt. 62), 144, la quale ritiene che ammettere la natura meramente modificativa della scissione non per forza esclude l’applicabilità dell’art. 2901 c.c., e De Ritis, Scissione societaria e revocatoria: i limiti all’intangibilità dell’operazione, in giustiziacivile.com, 22 maggio 2018, il quale è concorde nel ritenere prive di utilità le affermazioni sulla natura giuridica della scissione; sempre sull’inutilità metodologica dell’adesione incondizionata ad una ricostruzione precisa sulla natura della scissione v. anche: Scognamiglio, (nt. 3), 124 ss.; Pototschnig, Il persistente contrasto interpretativo sull’ammissibilità dell’azione revocatoria della scissione societaria, in Fall., 2018, 907 ss. che sottolinea come ormai tutti i contributi convergono sull’inutilità dell’argomento della natura giuridica per risolvere la questione e Fimmanò, Corte di Giustizia e revocatoria preferenziale della scissione, in Not., n. 2, 1 marzo 2020, 120, il quale: «L’azione revocatoria può essere esperita, sia pure in ipotesi residuali, anche contro particolari effetti non propriamente traslativi. Dunque, la natura dell’istituto non impatta sull’ammissibilità dell’azione pauliana», «nessuno dubita ad esempio della esperibilità della revocatoria di atti che, senza produrre alcun effetto traslativo, si limitino a costituire cause legittime di prelazione ovvero vincoli di destinazione, come il fondo patrimoniale od il trust autodichiarato e persino modifiche statutarie a contenuto latamente dispositivo-patrimoniale».

([68]) V. Latella, (nt. 6), 207, il quale evidenzia che il dibattito circa l’esperibilità dell’azione revocatoria nasce, in primo luogo, dalla mancanza di una definizione, a livello normativo, di ciò che è la scissione sul piano strutturale, essendosi limitato il legislatore a disciplinarne le modalità procedurali e gli effetti, e che per la risoluzione del dibattito è necessario verificare, «da un lato, se vi siano elementi univoci ricavabili dal diritto positivo idonei ad escludere in radice l'ammissibilità di tale azione avverso l'atto di scissione, dall'altro la tenuta dei meccanismi rimediali già apprestati specificatamente dal diritto societario rispetto all'esigenza di tutela dei soggetti terzi in vario modo coinvolti nell'operazione de qua». Cfr. anche De Pra, Revocatoria dell’atto di scissione: limitata ammissibilità e rimedi “speciali”, in Giur. comm., fasc. 6, 2019, 1429, il quale sostiene che le posizioni sollevatesi sia in dottrina che in giurisprudenza «non risultano sempre pienamente convincenti perché appaiono ispirate a posizioni astratte e spesso “ideologiche” principalmente discendenti dalla “natura” della scissione».

([69]) Cfr. Di Martino, (nt. 62), 179.

([70]) In giurisprudenza v. tra i più recenti: App. Roma, sez. impr., 12 giungo 2018, in Giur. it., 2019, 1583; App. Catania, 19 settembre 2017, in Fall., 2018, 902; Trib. Catanzaro, 14 gennaio 2020, in www.ilcaso.it; Trib. Napoli, 26 novembre 2018, in Società, 2019, 469. In dottrina, invece, cfr. Davigo, Brevi spunti su alcune questioni relative all’ammissibilità dell’atto di scissione societaria, in Giur. comm., 2007, II, 265 ss.

([71]) In giurisprudenza v. Trib. Roma, 16 agosto 2016, in cui si evidenzia come «la revocatoria non si dirige affatto contro l'"atto di scissione", ma, esclusivamente, nei confronti delle assegnazioni patrimoniali ad esso conseguenti. Invero, la dichiarazione di inefficacia dell'atto dispositivo consistito nell'assegnazione alla società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa non interferisce sulla validità dell'atto di scissione bensì, in considerazione della natura relativa dei suoi effetti, consente ai creditori della società scissa ovvero al curatore del fallimento della società scissa di recuperare all'attivo del fallimento i beni che dal patrimonio della scissa sono usciti oppure, ottenuta declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c., di esercitare sui beni stessi, appartenenti alla società beneficiaria, azione esecutiva ex art. 2902 c.c.».

Tra le più recenti pronunce che hanno abbracciato questa seconda tesi v. poi anche: v.: Trib. Roma, 12 giugno 2018, in Foro it., 2018, 10, 1, 3291; Trib. Bergamo, 28 febbraio 2018, n. 513, in Dejure; Trib. Napoli Nord, 11 gennaio 2018, in Ilsocietario.it; Trib. Benevento, 12 ottobre 2017, in Giur. comm., 2019, II, 392; Trib. Napoli, 24 luglio 2017, in giustiziacivile.com; Trib. Pescara, 17 maggio 2017, in Società, 2017, 1082; Trib. Napoli Nord, 24 Luglio 2017, in GiustiziaCivile.com; Trib. Roma, 18 novembre 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it;

([72]) V. Fimmanò, (nt. 43), il quale individua il problema di fondo «nell’impossibilità di rendere invalida o inopponibile o inefficace “selettivamente” solo una parte dell’intera operazione societaria, destrutturando il patrimonio sociale e lasciando “pezzi di effetti” sul terreno dopo la sua circolazione» in quanto la revocatoria dell’attribuzione dell’intero patrimonio di una società beneficiaria di nuova costituzione lascerebbe una persona giuridica senza patrimonio e capitale sociale e i creditori successivi che hanno fatto affidamento su un patrimonio che si è rivelato solo successivamente inesistente, irrimediabilmente lesi dalla scissione; nonché v. anche: Davigo, (nt. 70); Paciello, La revocatoria della scissione, in Riv. dir. comm., 2018, I, 245 ss.; Rocco di Torrepadula, (nt. 62), 967; Picciau, (nt. 50), 709 s., secondo i quali l’accoglimento dell’azione revocatoria non è in grado di porre nel nulla la scissione ma incide sugli elementi dell’attivo e del passivo assegnati alla beneficiaria sino al punto di poter rendere inefficaci nei confronti del creditore vittorioso tutti gli asset della stessa.

([73]) V. Fimmanò, (nt. 43) il quale suggerisce di non commettere l’errore di analizzare i singoli strumenti di tutela ma di guardare al complessivo funzionamento delle tutele che non vanno mai viste separatamente per confutare l’assetto complessivo; in giurisprudenza cfr. Trib. Napoli 26 novembre 2018, in Le soc., 2019, 469, in ordine al carattere assorbente del regime societario derivante dal fatto che la disciplina della scissione delinea una sorta di sottosistmea di strumenti completo e di portata escludente rispetto ad altri mezzi di tutela, pur di carattere generale nel regime delle obbligazioni.

([74]) Pototschnig, (nt. 67), 905 ss. secondo il quale: «si continua ad avere l’impressione che i ragionamenti siano influenzati dalla convinzione che debba prevalere l’una o l’altra disciplina, come se l’impermeabilità delle materie fosse un dogma ineludibile invece che, come credo, un approccio decettivo rispetto a questioni che, sempre più frequentemente, impongono un coordinamento disciplinare dettato dalle evoluzioni storiche dei sistemi normativi e, prima ancora, delle relazioni sociali e commerciali».

([75]) In giurisprudenza sul punto v. Trib. Venezia, 5 febbraio 2016, in Soc., 2017, 67 che considera fondamentale l’aspetto della legittimazione attiva al fine di non escludere l’azione revocatoria a fronte della previsione dell’opposizione ex art. 2503 c.c. Cfr. poi, in dottrina, Fimmanò, (nt. 43), il quale sottolinea che l’opposizione tende a rendere inopponibile ex ante il compimento dell’atto pregiudizievole mentre la revocatoria lo rende inefficace ex post ed aggiunge, - richiamando a tale proposito Di Marcello, La revocatoria ordinaria e fallimentare della scissione di società, in Dir. fall., 2006, I, 68 - che «non è alla pari condivisibile l’approccio di chi rileva che i vizi considerati dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c. ai fini dell’invalidità della scissione, sarebbero quelli relativi alla deliberazione ed al procedimento, per cui rimarrebbe possibile l’azione revocatoria in quanto limitata a far rientrare nell’area della responsabilità patrimoniale della società fallita i beni assegnati alla società convenuta e non a cancellare la complessiva operazione».

([76]) Pototschnig, (nt. 62), 51, il quale sottolinea poi il sapore «ingiustamente discriminatorio» rispetto alla normale costituzione dei rapporti giuridici nel caso in cui venisse utilizzato per escludere l’azione revocatoria.

([77]) Sul punto v. Trib. Roma, 12 giugno 2018, 3291, in ilforo.it. L’azione revocatoria per coloro che ne sostengono l’ammissibilità sarebbe giustificata dal fatto che il terzo acquirente non è solidalmente responsabile della prestazione dovuta al creditore e non è legato da alcun vincolo giuridico proprio in quanto soggetto “terzo”; per questa ragione lo stesso è messo dal legislatore nella condizione di esperire l’azione revocatoria per poter ricondurre il bene nella disponibilità del creditore che potrà così aggredirlo con le azioni conservative ed esecutive.

([78]) Sul punto v.: Paciello, (nt. 72), 543 e Rivieccio, Tutela dei creditori sociali tra azione revocatoria e scissione societaria, in Giur. comm., 2014, II, 1050.

([79])V. Maltoni, Spolidoro, (nt. 39), 1089, secondo i quali accordare l’azione revocatoria ordinaria non è giuridicamente razionale poiché il creditore attraverso l’utilizzo dell’azione revocatoria esproprierebbe un bene che potrebbe comunque aggredire perché appartiene già al suo debitore.

([80]) V. Di Martino, (nt. 62), il quale richiama a sua volta De Luca (nt. 62), 206.

([81]) Così De Pra, (nt. 62).

([82]) V. Di Martino, (nt. 62), 177; in giurisprudenza cfr. poi Trib. Palermo, 25 maggio 2012, richiamato sul punto da Trib. Pescara, 17 maggio, 2017, che osserva che «il “danno revocatorio” ed il danno ex art. 2504-quater c.c. non sono concetti omogenei, in quanto definiscono entità sostanzialmente diverse: il primo (indiretto) deriva dalla lesione della garanzia patrimoniale, il secondo dalla lesione diretta del patrimonio del creditore».  

([83]) In giurisprudenza cfr. Cass. civ., Sez. III, 06/05/2021, n. 12047, in Pluris: «La tesi della non revocabilità della scissione si fonda, tradizionalmente, su considerazioni caratterizzate dal comune presupposto per cui i rimedi cd. "endosocietari" hanno natura tassativa, dando conseguentemente vita ad un sistema chiuso, di per se idoneo tout court a soddisfare anche le esigenze tutelate, al di fuori dell'ambito societario, con l'azione revocatoria. Corollario di tale affermazione, quello per cui un rimedio che non demolisca l'operazione, non ne comporti la scomparsa, e non produca effetti nei confronti di tutti non contrasta con la nozione di nullità come intesa dalla Direttiva».

([84]) Sul punto v. nt. 71 e cfr. in giurisprudenza App. Catania 19 settembre 2017, in Fall., 2018, 902 e Cass. civ., Sez. III, 06/05/2021, n. 12047, in Pluris nella quale «Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di gravame con il quale veniva ribadita l'eccezione di incompatibilità della revocatoria ordinaria con l'istituto della scissione societaria sulla base della (erronea) affermazione secondo cui l'azione revocatoria risulterebbe diversa per petitum e causa petendi rispetto ai rimedi cosiddetti endosocietari, poichè - a differenza di questi ultimi - essa non pone in discussione la validità dell'atto, ma soltanto la sua efficacia, e per di più limitatamente al solo creditore istante». Cfr. anche Trib. Roma, Sez. spec. impr., 23/02/2021, n. 3216, in Pluris; V. poi in dottrina, in senso contrario, anche: Pamphilis, (nt. 43), il quale fa presente come l’effetto restitutorio correlato alla revocatoria «comporta per la società bersaglio la privazione delle componenti positive del suo patrimonio, vanificando di fatto il senso dell’intera operazione societaria e potendo finanche segnare la fine della società esposta all’effetto restitutorio predetto» e Fimmanò, (nt. 43), per il quale «i giudici comunitari parlano del contenuto della società come se non esistesse il contenitore e come se le azioni in esame non producessero effetto sul valore e sulla esistenza delle partecipazioni risultanti».

([85]) App. Taranto, sez. III, 12/11/2021, n. 391; Cass. civ., Sez. III, 06/05/2021, n. 12047, in Pluris; Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 23/02/2021, n. 3216; Cass. civ. sez. III, 29/01/2021, n. 2153.

([86]) V.: Rocco Di Torrepadula, (nt. 61), 972, la quale sottolinea l’incompletezza e l’astrattezza del piano su cui si colloca la pronuncia della Corte e la produzione di effetti giuridicamente non determinanti che la stessa ha creato nel quadro del dibattito dottrinale nazionale; nonché rimarca il pericolo che si sia contribuito a creare un disincentivo a ricorrere all'istituto della scissione e al finanziamento delle società che risultano dall'operazione, «determinando un pregiudizio per lo sviluppo dell'impresa e del relativo mercato e un'eccessiva compressione della libertà di iniziativa economica»;

([87]) Cfr. Pamphilis, (nt. 43), 838, e Piccione, Scissione societaria e azione revocatoria, in ilsocietario.it, 23 dicembre 2021

([88]) V. De Pra, (nt. 38), 203, il quale si riferisce all’art. 153 par. 1 lett. h) della Direttiva 2017/1132/UE, che prevede che «ciascuna delle società beneficiarie è responsabile degli obblighi sorti a suo carico dopo la data in cui la scissione ha acquisito efficacia e prima della data in cui è stata pubblicata la decisione di nullità della scissione. Anche la società scissa è responsabile di tali obblighi; gli Stati membri possono prevedere che tale responsabilità sia limitata all’attivo netto attribuito alla società beneficiaria a carico della quale è sorto l’obbligo».

([89]) Sul punto v. De Pra, (nt. 38), 202-204, il quale riporta anche un passo della opinion dell’avvocato generale Spuznar il quale aveva per l’appunto evidenziato che l’art. 146 della Direttiva non era di ostacolo a che i creditori della scissa potessero attivare l’actio pauliana ma aveva anche aggiunto: «provided that such an action does not adversely affet the protection of the other creditors referred to in that provision, which is to the referring court to ascertain».

Cfr. poi tra tanti Fimmanò, (nt. 67) e Maltoni, Spolidoro, (nt. 39), in cui con toni ironici gli autori fanno presente che: « siccome gli effetti riorganizzativi sarebbero immutabili, mentre quelli patrimoniali potrebbero diventare inefficaci, si dovrebbe giungere a beffare gli incolpevoli soci di una società beneficiaria preesistente e ai creditori di essa successivi alla scissione, dicendo loro “Scusino tanto Li abbiamo ingannati: i creditori della società scissa vengono sempre e comunque prima delle Signorie Vostre, le quali tuttavia non possono disfare la scissione per quanto Li riguarda». Per la tesi contraria si rimanda invece a Lentini, (nt.56), 549, il quale cerca di dimostrare in che modo la parità della posizione di tutti i creditori sia già garantita dagli stessi principi di funzionamento dell’azione revocatoria ordinaria e dalla possibilità di attivarsi autonomamente.

([90]) Rocco Di Torrepadula, (nt. 61), 971, la quale evidenzia come non sia comprensibile anche sul piano costituzionale la compressione degli interessi degli altri creditori che sugli effetti dell’operazione avevano fatto legittimo affidamento.

([91]) Pototschnig, Corte di Giustizia e Corte di cassazione convergono sulla revocabilità della scissione, in Le Soc., n. 4, 1 aprile 2020, 473, il quale interpreta il passaggio motivazionale della sentenza in oggetto come «una sottolineatura di questa legittimazione, in ciò traducendosi l’elemento di “preferenzialità” che consente ai creditori pregiudicati di aggredire elementi patrimoniali di un soggetto che non è loro debitore diretto».

([92]) Pototschnig, Terenghi, (nt. 12), per il quale «una simile deviazione dalla causa concreta propria dell’istituto , che determina in ultima analisi un suo utilizzo in chiave sostanzialmente abusiva a danno della massa dei creditori, non può trovare un’adeguata sanzione nei rimedi di natura essenzialmente obbligatoria previsti dalla disciplina propria della scissione, ma richiede una tutela latu sensu “reale” quale quella apprestata dalla revocatoria, la quale, ferma restando la nuova struttura societaria ed aziendale derivante dall’attuazione dell’operazione, inertizza gli effetti patrimoniali di quest’ultima consentendo al creditore attore di espropriare i beni pervenuti alla beneficiaria come se questi ultimi non fossero mai fuoriusciti dalla sfera patrimoniale della scissa».

([93]) Sul punto v. anche App. Milano, 23 ottobre 2019, sez. IV, con nota di Marrollo, Revocatoria dell’atto di scissione, in Ilfallimentarista.it, 28 ottobre 2020.

([94]) V. sul punto Trib. Verona, 20 novembre 2012, in Not., 2013, 2, 157 ss., con nota di Sangiovanni, Indebitamento della società, scissione ed elusione della tutela dei creditori.

([95]) V. (nt. 57) per quanto concerne l’ammissibilità della scissione negativa solo se “contabile” e non invece se “realmente” negativa.

([96]) V. Spolidoro, Relazione degli amministratori, inSerra e Spolidoro, Fusioni e Scissioni di società, Torino, Giappichelli, 1994, 59 e Santagata, La fusione tra società, Napoli, Morano, 1964, 294; in senso contrario, e non condivisile, v. Picone, Commento sub art. 2506-ter, in Trasformazione – Fusione – Scissione, a cura di Bianchi, nel Commentario alla riforma delle società, dir. da Marchetti e altri, Milano, Giuffrè, 2006, 1142.

([97]) De Pra, (nt. 38), 125, il quale fa l’esempio di una scissione “contabile” negativa nella quale è possibile che all’interno del progetto di scissione sia stato indicato il valore economico ma la conferma finale della possibilità di attuare la scissione negativa sarà contenuta nella relazione degli amministratori nella quale dovrà essere esposto il valore effettivo.

([98]) V. sul punto Bello, (nt. 48), 405.

([99]) V. tra tante Cass. pen., Sez. 5, n. 1597 del 28/11/2013 nella quale si afferma come le descritte tutele normative per la posizione dei creditori, rispetto agli effetti della scissione, risultano inidonee ad escludere interamente il danno o quanto meno il pericolo per le ragioni dei creditori della società scissa, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di quest'ultima.

([100]) V. De Luca, Dell’inutilità del rimedio revocatorio e di altri preconcetti. Ulteriori riflessioni sulla revocatoria della scissione, in Riv. dir. banc. 2021, 215 ss., il quale, con efficaci esempi pratici, spiega come «l’affermazione secondo cui il rimedio dell’art. 2506-quater, comma 3, c.c., equivalga ad una revocatoria implicita – rendendo inutile il rimedio revocatorio – è errata in fatto, prima ancora di essere discutibile sul piano giuridico».