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Il piano attestato di risanamento nel nuovo codice della crisi*


Daniela Carloni e Tommaso Iannaccone

Data pubblicazione
04 agosto 2022

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Sommario: 1 - Introduzione; 2 - Legittimazione e presupposti; 3 - Forma e contenuto; 4 - L’attestazione; 5 - La pubblicazione del piano attestato; 6 - La nuova esenzione da revocatoria per gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato; 7 - (Segue): l’eventuale sindacato giudiziale sul piano; 8 - Le “esenzioni dai reati di bancarotta”; 9 - Il piano divenuto inattuabile; 10 - Conclusioni.


1.    Introduzione.

È noto che i piani attestati di risanamento sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel 2005[1], con la previsione, al terzo comma [lett. d)] dell’art. 67 l. fall., di un’esenzione da revocatoria per gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione, per l’appunto, di un piano attestato di risanamento. Norma, questa, poi ulteriormente modificata dal c.d. “Decreto Sviluppo”[2] del 2012.

Nel Codice della Crisi, i piani attestati di risanamento sono disciplinati dall’art. 56 del CCII, rubricato “Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”.

Tale norma offre una disciplina “in positivo” dei piani attestati di risanamento, non più limitata quindi ad un comma dedicato alla esenzione da revocatoria fallimentare.

A ben vedere, tuttavia, anche l’attuale disposizione normativa è piuttosto concisa, limitata in particolare alla finalità dei piani di risanamento e ai conseguenti effetti. Del resto, come è stato giustamente osservato, la scelta del Legislatore è coerente con la finalità di non irrigidire entro schermi prefissati uno strumento destinato a non essere soggetto a un controllo giurisdizionale[3].

Come si vedrà, le novità del codice della crisi in materia di piano attestato di risanamento non sono particolarmente rilevanti, se non con riferimento all’esenzione da revocatoria.

In particolare e tra l’altro, il piano attestato di risanamento rimane una procedura negoziale priva di controllo giurisdizionale, salvo un controllo ex post in caso di successiva apertura della procedura di liquidazione giudiziale (si pensi soprattutto al giudizio di revocatoria).

Il piano attestato di risanamento rimane, inoltre, una procedura negoziale di natura prettamente privatistica, che quindi pacificamente non rientra tra le procedure concorsuali[4] ma semplicemente tra le procedure di risoluzione della crisi di impresa. Ciò implica che, in caso di eventuale successiva apertura della procedura di liquidazione giudiziale, non si avrà un fenomeno di consecuzione di procedure concorsuali e quindi “la data da cui calcolare a ritroso il cosiddetto periodo sospetto sarà quella in cui è stata presentata la domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, non potendosi ricollegare alcun effetto, a tal fine, alla stipula del piano od anche alla sua eventuale iscrizione nel registro delle imprese”[5].

Svolta questa premessa, occorre ora esaminare i principali profili del piano di risanamento così come disciplinato nel Codice della Crisi.  


2. Legittimazione e presupposti.

L’art. 56 del Codice della Crisi prevede che l’istituto in esame è riservato all’“imprenditore” in stato di crisi o di insolvenza.

Non è chiaro se per “imprenditore” si intende solo gli imprenditori assoggettabili alla liquidazione giudiziale o anche gli imprenditori agricoli e gli imprenditori c.d. “minori”.

In merito, l’articolo seguente (art. 57 del CCII), che disciplina l’accordo di ristrutturazione, prevede invece che quest’ultimo possa essere concluso anche dall’imprenditore “non commerciale” (e quindi dall’imprenditore agricolo), purché non “imprenditore minore”.  Anche in ragione della differente formulazione delle due norme, la relazione illustrativa del CCII giunge a concludere che, “poiché il beneficio arrecato dal piano [di risanamento] è l’esenzione dall’azione revocatoria disciplinata dalla sezione IV del capo I del titolo V”, il piano di risanamento sarebbe “riservato ai soli imprenditori assoggettabili alla liquidazione giudiziale”.

Tale conclusione non è tuttavia unanimemente condivisa.

È stato infatti correttamente osservato che l’art. 56 del CCII, individuando quale unico requisito soggettivo la qualifica di imprenditore, estende astrattamente la legittimazione all’adozione del piano attestato anche all’imprenditore agricolo e all’imprenditore c.d. minore[6].

Un ulteriore argomento a conferma di tale impostazione muove dal presupposto che la ratio del Codice della Crisi è quella di tentare il risanamento delle imprese in crisi per reinserire nel mercato l’imprenditore, garantendone la continuità, con la conseguenza che “l’esegesi normativa deve consentire un’applicazione ampia dell’istituto”[7].

Del resto, l’art. 166, comma 3, lett. D) precisa che l’esenzione da revocatoria - per gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento - vale anche per l’azione revocatoria ordinaria, con la conseguenza che anche l’imprenditore agricolo potrebbe avere l’interesse a stipulare un piano di risanamento. Lo stesso è a dirsi per l’imprenditore minore, il quale ha a disposizione apposite procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento in sostituzione delle omologhe procedure “maggiori”, ma non ha a disposizione un equivalente del piano di risanamento.

È, dunque, legittimo, a giudizio di chi scrive, ritenere che il piano di risanamento sia utilizzabile anche dagli imprenditori agricoli e dagli imprenditori minori.  


3. Forma e contenuto.

Quanto agli aspetti formali del piano attestato, l’art. 56 del Codice della Crisi prevede che questo debba avere data certa. L’ultimo comma dell’articolo in esame prevede poi che gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa.

Per vero, tale pur opportuna precisazione non introduce nulla di sostanzialmente nuovo, in quanto anche nella pregressa normativa era pressoché pacifico che il piano, l’attestazione dell’esperto e gli atti posti in esecuzione del piano attestato dovessero essere minuti di data certa. Ed infatti, nell’eventualità di un successivo fallimento (oggi, liquidazione giudiziale), era ed è necessario dimostrare la consequenzialità logica e cronologica tra il piano e l’attestazione, da un lato, e degli atti esecutivi del piano medesimo, dall’altro. Ciò, come era stato correttamente osservato, “al fine di attribuire al piano medesimo l’efficacia sostanziale di sottrarre alla revocatoria gli atti eseguiti per la sua attuazione, garantendo l’anteriorità del piano, dell’attestazione e degli atti esecutivi rispetto alla dichiarazione di fallimento”[8].

Su un piano contenutistico, il piano attestato di risanamento deve illustrare le condizioni in base alle quali si impegna a superare la situazione di crisi di impresa. Nel dettaglio, ai sensi dell’art. 56 del Codice della Crisi, quale contenuto minimo obbligatorio il piano deve indicare:

a) la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell'impresa;

b) le principali cause della crisi;

c) le strategie d'intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;

d) i creditori e l'ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché' l'elenco dei creditori estranei, con l'indicazione delle risorse destinate all'integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza[9];

e) gli apporti di finanza nuova;

f) i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto;

g) il piano industriale e l'evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario[10].

A riguardo, è stato correttamente osservato che i predetti elementi, pur non esplicitati nella pregressa normativa, erano già richiesti dalle best practice e dalle linee guida precedentemente emanate[11].

Di regola, il piano di risanamento è propedeutico ad accordi con i creditori[12], volti ad una rinegoziazione del debito. In questo senso, autorevole dottrina[13] ha osservato come ormai l’istituto sia bifasico: “accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento” (così testualmente la rubrica della norma).

Se questa è senza dubbio la regola, occorre tuttavia svolgere una duplice precisazione:

-            in primo luogo, è senz’altro ipotizzabile anche un piano che prescinda da pattuizioni con i creditori ed i terzi (si pensi ad un piano di ristrutturazione unilaterale della struttura finanziaria); del resto, nella normativa anteriore all’entrata in vigore del Codice della Crisi, era consolidato il principio secondo cui “il piano attestato è atto di formazione unilaterale del debitore che prescinde per il suo perfezionamento dall’accordo dei creditori”[14];

-            in secondo luogo, in esecuzione di un piano attestato non è necessaria la stipulazione di un contratto bilaterale o plurilaterale, essendo sufficiente anche un impegno unilaterale (ad esempio, un impegno del creditore a rinunciare o a ridurre la sua pretesa creditoria). Del resto, la norma all’ultimo comma prevede che “gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa” (enfasi aggiunta).

L’art. 56 del Codice della Crisi non precisa, invece, la durata del piano di risanamento.

A lato pratico, si è osservato che la durata tipica di un piano di risanamento è di regola individuata tra i 3 e i 5 anni. Trattasi, infatti, di durata “massima compatibile con un orizzonte di previsione concretamente verificabile da parte dell’attestatore. Infatti, è irragionevole pensare che oltre i 5 anni non vengano a crearsi fenomeni di discontinuità tali da rendere le previsioni di piano non più concretamente realizzabili”[15].

Sempre sotto il profilo del contenuto del piano di risanamento, occorre chiedersi se questo sia riservato alle ipotesi di continuità aziendale o se sia configurabile anche un piano di risanamento liquidatorio.

La norma espressamente prevede che il piano debba apparire “idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”, dal che pare logico ritenere che il piano sia riservato alle ipotesi di continuità aziendale. In questo senso, del resto, si esprime chiaramente la relazione accompagnatoria del Codice della Crisi, la quale precisa che “il piano mira al risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione finanziaria ed è riservato quindi alle ipotesi di continuità aziendale”.

Quanto, invece, alla nozione di continuità aziendale, l’art. 56 del Codice della Crisi non chiarisce se questa debba permanere in capo all’imprenditore (continuità diretta) o sia ammissibile un piano con continuità indiretta. Ciò, a differenza (ad esempio) di quanto avviene in tema di concordato preventivo, laddove l’art. 84 ben precisa che la “continuità può essere diretta, in capo all’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta …”. Alla luce del dato testuale, è stato sostenuto che la continuità indiretta sarebbe incompatibile con il piano di risanamento, fermo restando in ogni caso la possibilità che “il riequilibrio della situazione finanziaria sia propedeutico ad una successiva migliore allocazione sul mercato dell’azienda risanata a seguito del puntuale adempimento del piano”[16].

Tale impostazione non sembra condivisibile, in quanto la norma si limita a prevedere che il piano di risanamento deve essere idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’“impresa”, intesa da un punto di vista oggettivo non soggettivo. Il che autorizza a ritenere che il piano di risanamento possa prevedere la gestione dell’azienda in esercizio da parte di soggetto diverso dal debitore. Peraltro, è vero che la nozione di continuità aziendale è riportata all’art. 84 del Codice della Crisi, ma tale previsione pare avere una portata più generale. È stato infatti condivisibilmente osservato che la logica legislativa sottostante all’art. 84 sembra essere “quella di consentire l’applicazione di istituti alternativi alla liquidazione giudiziale con uno schema variegato che sia volto a limitare al minimo l’intervento della procedura che sostituirà il fallimento”[17].

A livello invece documentale, l’art. 56 del Codice della Crisi, nella versione iniziale, prevedeva che la documentazione da allegare al piano fosse quella prescritta per il debitore che chiede l’accesso ad una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza all’art. 39[18].

Tuttavia, il rinvio contenuto all’art. 56 alla documentazione prevista dall’art. 39 è venuto meno in occasione del c.d. decreto correttivo D.lgs 147/2020.

Dunque, la predetta documentazione non è più necessaria.

Va osservato che l’eliminazione del rinvio all’art. 39 non appare condivisibile, in quanto la predetta documentazione è rilevante ai fini della corretta informazione dei creditori in trattativa con il debitore in vista dell’eventuale stipulazione degli accordi collegati al piano di risanamento.

In questo senso, è stato correttamente messo in luce che “l’attuale versione dell’art. 56 non assicura, quindi, la medesima disclosure originariamente prevista dal precedente testo della disposizione”[19].    


4. L’attestazione.

L’art. 56 del Codice della Crisi prevede che un professionista indipendente dovrà attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano.

Tale disposizione va letta in relazione all’art. 2 comma 1, lett. o) del Codice della Crisi, a mente del quale, per “professionista indipendente”, si intende “il professionista incaricato dal debitore nell'ambito di una delle procedure di regolazione della crisi di impresa che soddisfi congiuntamente i seguenti requisiti”:

1) essere iscritto all'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali;

2) essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile;

3) non essere legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale; il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell'impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa.

Soffermandoci sul contenuto della attestazione, non costituisce una novità l’attestazione sulla veridicità dei dati aziendali.

È noto infatti che, nella pregressa normativa, tale obbligo era espressamente previsto, ancorché solo a seguito del c.d. “Decreto Sviluppo” del 2012[20], che aveva riformulato l’art. 67 l. fall. statuendo che la verifica sulla veridicità dei dati aziendali era un requisito della relazione di attestazione.

Tornando al testo del Codice della Crisi, va evidenziato che anche l’attestazione circa la fattibilità economica del piano (intesa come “realizzabilità nei fatti”[21] del piano medesimo), non costituisce una novità.

Con riferimento, invece, all’attestazione sulla “fattibilità giuridica” del piano (intesa come “verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili”[22]), questa era inizialmente richiesta dall’art. 56 del Codice della Crisi, con una disposizione ritenuta innovativa[23] rispetto alla pregressa normativa, in cui il generico riferimento -contenuto nell’art. 67, comma 3, lett. d) l. fall.- alla fattibilità del piano era generalmente inteso quale obbligo di attestazione sulla sola fattibilità economica[24].

Tuttavia, il c.d. decreto correttivo (D.lgs 147/2020) ha eliminato tale ulteriore attestazione.

In questo modo, è stato osservato che l’attestatore è stato liberato “da una attività da un lato lontana dal proprio bagaglio di competenze certamente concorsuali ma di matrice aziendalistica e dall’altro che può essere utilmente demandata alla libertà negoziale delle parti e alle specifiche competenze dei professionisti di area legale che li assistono in dette operazioni di risanamento”[25].

Pur essendo non più richiesta una attestazione sulla fattibilità giuridica del piano di risanamento, è comunque opportuno che l’attestatore esamini gli aspetti giuridici del piano di maggior rilievo, mediante ovviamente un necessario confronto con i legali che assistono l’imprenditore[26].

Tenuto conto infine che il piano è propedeutico agli accordi con i creditori, aventi ad oggetto la ridefinizione negoziale del debito e le conseguenti modalità di estinzione, ai fini dell’attestazione occorre distinguere il caso in cui le trattative per la ristrutturazione del debito siano già concluse o siano invece ancora in essere.

Nel primo caso, l’attestatore si dovrà limitare ad esaminare il contenuto degli accordi intervenuti con i creditori.

Nel secondo caso, invece, la fattibilità del piano dipenderà anche un evento futuro (la conclusione positiva delle trattative e la firma da parte dei creditori degli accordi esaminati dall’attestatore in bozza). Nel qual caso, se l’attestatore attesta che sussiste una elevata probabilità che tali eventi futuri (ma circoscritti nel tempo) si verifichino, l’attestazione sarà immediatamente efficace; se invece l’attestazione non formula alcun giudizio sulla probabilità che quell’evento possa verificarsi, allora fino a che quell’evento non si sia verificato la condizione non produrrà effetti (l’attestazione sarà quindi sospensivamente condizionata[27]).

In questo senso, è stato ineccepibilmente osservato che, più alto sarà il numero di trattative di ristrutturazione del debito ancora pendenti, maggiori difficoltà incornerà il professionista ai fini di una attendibile attestazione[28].   


5. La pubblicazione del piano attestato.

Il quarto comma dell’art. 56 CCII prevede che il piano, l’attestazione e gli accordi conclusi con i creditori possono essere pubblicati nel registro delle imprese su richiesta del debitore.

Così come avveniva nella pregressa normativa, la pubblicazione è finalizzata ad ottenere i benefici fiscali disciplinati nel Testo Unico delle imposte dirette di cui all’art. 88, comma 4-ter, ai sensi del quale non saranno soggetti a tassazione, per la parte che eccede le perdite pregresse di periodo, le sopravvenienze attive conseguenti alla riduzione dei debiti come previste nel piano attestato.

A riguardo, ci si limita a segnalare che, nella versione originale dell’art. 56 CCII, era previsto che il piano avrebbe potuto essere pubblicato su richiesta del debitore. L’attuale previsione della norma, risultante a seguito del c.d. decreto correttivo D.lgs 147/2020, estende la pubblicazione del registro delle imprese, non solo al piano, ma anche all’attestazione e agli accordi conclusi con i creditori.  


6. La nuova esenzione da revocatoria per gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato.

Il principale effetto del piano attestato attiene all’esenzione da revocatoria, nel caso in cui il piano attestato abbia un esito infausto e sfoci nella liquidazione giudiziale.

A riguardo, ai sensi del terzo comma, lett. d), dell’art. 166 del Codice della Crisi, non sono soggetti all'azione revocatoria “gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all'articolo 56 … e in esso indicati. L'esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell'attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell'atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L'esclusione opera anche con riguardo all'azione revocatoria ordinaria”.

Lasciando al prossimo paragrafo il tema dell’abusivo utilizzo del piano di risanamento, va osservato che la previsione appena riportata contiene almeno due novità significative rispetto alla previgente normativa.

In primo luogo e partendo dalla parte finale della disposizione, va evidenziato che la norma prevede espressamente che l’esenzione da revocatoria si applica anche alla revocatoria ordinaria. Si tratta di una previsione di portata senz’altro innovativa, in quanto, nella pregressa normativa, la Suprema Corte[29] aveva avuto modo di chiarire[30] che l’esenzione da revocatoria in esame si riferiva alla sola azione revocatoria fallimentare e non anche a quella ordinaria che, in base a quanto stabilito dal previgente art. 66 l. fall., era disciplinata integralmente secondo le norme del codice civile.

In secondo luogo, l’esenzione da revocatoria degli atti, dei pagamenti effettuati e delle garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato è concessa solo qualora tali atti siano “in esso indicati”.

Previsione, quest’ultima, non presente nel pregresso art. 67, comma 3 lett. d), l. fall.

Ne consegue che non basta che il compimento degli atti appena menzionati sia qualificabile come esecuzione del piano attestato ma occorre che tali atti siano chiaramente riconducibili alle operazioni indicate nel piano per dare attuazione al relativo programma di risanamento.

È appena il caso di osservare che, in conseguenza di tale previsione, il piano di risanamento dovrà essere assai analitico, al fine di “consentire un (successivo ed eventuale) adeguato giudizio in ordine alla riferibilità al piano medesimo degli atti posti in essere in sua esecuzione ai fini della loro esenzione dall’azione revocatoria”[31].

Peraltro, con specifico riferimento alla revocatoria dei pagamenti, quand’anche il pagamento non fosse ritenuto (nel successivo giudizio di revocatoria) effettuato in esecuzione di un piano attestato di risanamento o comunque non specificamente indicato nel piano medesimo, il pagamento medesimo potrebbe comunque essere ritenuto esente da revocatoria se effettuato “nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso” [art. 166, comma 3, lett. a) CCII].  


7. (Segue): l’eventuale sindacato giudiziale sul piano.

Si è appena rilevato che l’esenzione da revocatoria presuppone che (a) l’atto in questione sia esecutivo di un piano di risanamento attestato (nei termini di cui si è detto in precedenza) e che (b) l’atto medesimo sia “indicato” nel piano attestato.

In assenza di tali condizioni, l’esenzione da revocatoria non può operare.

Occorre ora appurare se l’atto, pur esecutivo di un piano di risanamento attestato (ed ivi indicato), possa risultare comunque suscettibile di revocatoria per l’effetto di un riesame giudiziale del piano attestato e della sua idoneità a risolvere lo stato di crisi dell’imprenditore. In altri termini, la questione si incentra sulla sussistenza in capo al giudice del potere di disconoscerne l'effetto protettivo in virtù di una valutazione diversa rispetto a quella resa dal professionista circa l'idoneità del piano a realizzare gli obiettivi di risanamento in esso indicati.

Nella precedente normativa[32], la Cassazione era giunta a ritenere che vi fosse un penetrante potere di indagine in capo al giudice investito dell’azione revocatoria. In particolare, tenuto conto della natura del piano attestato – predisposto unilateralmente dal debitore e non soggetto ad omologa, né ad alcuna forma di pubblicità – il giudice investito dell'azione revocatoria dell'atto attuativo del piano di risanamento era tenuto ad effettuare, oltre ad una verifica mirata al rispetto dei requisiti legali del piano e dell'attestazione, una valutazione, necessariamente ex ante, circa l'idoneità del piano, del quale l'atto impugnato costituisce strumento attuativo, a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa[33].

Questa impostazione rischiava di costituire un disincentivo per i creditori (in particolare le banche) “a concorrere nel salvataggio delle imprese, con una evidente ricaduta negativa per i soggetti economici e per il sistema nel suo complesso”[34]

Il legislatore del Codice della Crisi è intervenuto a riguardo, limitando il sindacato giurisdizionale sul piano attestato.

Come si è anticipato, infatti, il terzo comma, lett. d), dell’art. 166 del Codice della Crisi prevede che l’esclusione da revocatoria “non opera in caso di dolo o colpa grave dell'attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell'atto, del pagamento o della costituzione della garanzia”.

Non basta, dunque, che il piano sia manifestamente inidoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, ma occorre che “tale inidoneità sia stata voluta dal debitore o dall’asseveratore, ovvero gravemente e negligentemente non ravvisata dagli stessi”[35] (in questo senso, quindi, va intesa la norma laddove richiede che il debitore e/o l’attestatore abbiano agito con dolo o colpa grave).

Ma vi è di più.

Per escludere l’esenzione da revocatoria occorrerà dimostrare in giudizio anche che “il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell'atto, del pagamento o della costituzione della garanzia”.

La norma, quindi, richiede la dimostrazione di uno stato di scientia dell’altrui dolo o colpa grave. Dal tenore letterale della norma, è dunque da escludere che basti la dimostrazione di una mera conoscibilità, in quanto il creditore potrebbe anche non aver letto il piano e/o l’attestazione, né d’altra parte la norma chiama a rispondere il creditore per una propria negligenza[36].

Da ultimo, va osservato che la norma si riferisce espressamente al solo creditore, “dimenticandosi” così i terzi “che abbiano ad esempio acquisito beni dell’impresa in crisi all’interno di un programma di dismissione previsto nel piano attestato”[37].

È, dunque, lecito ritenere che la disposizione vada, in via interpretativa, estesa anche ai terzi.  


8. Le “esenzioni dai reati di bancarotta”.

Con una previsione che riprende il previgente art. 217 bis l. fall., l’art. 324 del Codice della Crisi dispone che le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3[38] e 323[39] non si applicano “ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione”, per ciò che qui rileva, “degli accordi in esecuzione del piano attestato”.

Se nella previgente normativa l’art. 217 bis l. fall. era in sostanza in linea con la previsione civilistica di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) l. fall., l’attuale previsione del Codice della Crisi non è perfettamente in linea con l’analoga previsione, in tema di revocatoria, di cui al terzo comma, lett. d), dell’art. 166 del Codice della Crisi.

Ed infatti, l’art. 324 del Codice della Crisi si limita a prevedere l’esclusione dai reati di bancarotta ivi previsti soltanto relativamente agli atti e alle operazioni “compiuti in esecuzione” degli accordi in esecuzione del piano attestato, senza richiedere la necessità che tali atti ed operazioni siano “in esso indicati”, come invece richiede il terzo comma, lett. d), dell’art. 166 del Codice della Crisi. Il sindacato del giudice penale non dovrà, quindi, essere focalizzato sul fatto che quello specifico atto posto in esecuzione del piano attestato fosse espressamente previsto e contemplato nel piano di risanamento, ma su aspetto più sostanziale: il giudice penale dovrà invece limitarsi a verificare l’esistenza di un collegamento causale tra il piano e l’atto esentato dai reati di bancarotta ivi previsti.  


9. Il piano divenuto inattuabile.

Come noto, uno dei profili più delicati del piano di risanamento attiene alla possibilità che, nella fase esecutiva, si verifichino dei disallineamenti tra la realtà effettiva e le previsioni originarie del piano.

Sul punto, si è visto che il Codice della Crisi richiede che il piano debba precisare, tra l’altro, “gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto” [art. 56 CCII, comma 2, lett. f)].

Si badi, la norma non si riferisce ai c.d. covenants, ossia clausole di allarme che legittimano i creditori a porre in essere azioni volte alla salvaguardia dei propri interessi in presenza di scostamenti delle previsioni contrattuali originarie. Come è stato osservato, i covenants sono “il limite, la misurazione, non gli strumenti/rimedi”[40].

La norma, invece, richiede proprio di prevedere nel piano dei rimedi, dei sistemi correttivi interni, dei meccanismi di aggiustamento o dei percorsi alternativi che consentano comunque di raggiungere l’obiettivo finale.

Per esempio, il piano resta attuabile, senza bisogno di una nuova attestazione, quando il piano stesso preveda che – in caso di impossibilità di realizzazione dell’ipotesi principale (e.g. vendita di un certo bene ad un certo prezzo), scatti in automatico l’ipotesi subordinata (e.g. decurtazione di una percentuale dei crediti, già a priori accettata dai creditori, o conversione di questi crediti in capitale dell’impresa).

In questi casi, il piano sopravvive perché è self –adjusting.

Diversamente, in mancanza di una specifica previsione di un rimedio o, comunque, laddove anche il rimedio previsto nel piano non appaia più praticabile, sarà necessario formulare un nuovo piano che tenga conto degli eventi verificatisi e che hanno reso impossibile seguire il piano originario.

Soffermiamoci ora sulle conseguenze degli scostamenti del piano sull’esenzione da revocatoria. Ad avviso di chi scrive occorre distinguere le seguenti due ipotesi:

(a)     il caso in cui, nell’esecuzione del piano, si sia verificato uno scostamento tale da rendere operante il rimedio previsto nel piano di risanamento;

(b)     il caso in cui, nell’esecuzione del piano, si sia verificato uno scostamento di portata tale da rendere del tutto inattuabile il piano, ivi compresi i relativi rimedi ove previsti.

Per quanto riguarda l’ipotesi sub (a), si ritiene che anche gli atti successivi[41] allo scostamento del piano siano da ritenersi esenti da revocatoria, in quanto si tratta comunque di uno scenario previsto nel piano, senza che sia necessaria una nuova attestazione.

Più complessa appare l’ipotesi sub (b).

Se, in seguito allo scostamento che ha reso il piano non più attuabile interviene un nuovo piano (e una nuova attestazione), ovviamente gli atti posti in essere successivamente saranno esentati da revocatoria in quanto atti esecutivi del secondo piano attestato. Se, invece, in seguito allo scostamento che ha reso il piano non più attuabile non interviene un nuovo piano e una nuova attestazione, occorre chiedersi se eventuali atti posti in essere successivamente all’evento che ha reso il piano non più attuabile siano esentati da revocatoria.

A riguardo, si potrebbe sostenere una perdurante applicabilità dell’esenzione da revocatoria, sul presupposto che l’art. 166 CCII condiziona la revocabilità dell’atto alla scientia del creditore o del terzo circa il dolo o la colpa grave del debitore o dell’attestatore. In questo senso, non essendo prescritto un onere di diligenza dei creditori nel valutare il piano nella sua attuazione, non potrebbe configurarsi una colpa grave (e tanto più un dolo) in capo al creditore o al terzo.

Tale impostazione non appare convincente.  

L’art. 166 CCII – laddove prevede che l’esenzione venga meno in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore ma solo quando il creditore ne fosse “a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia” – ha quale presupposto che l’atto sia stato posto in esecuzione del piano e che tale atto sia stato indicato nel piano. Nel caso ora in esame, manca questo presupposto fondamentale, in quanto si è verificato un evento che ha reso il piano non più attuabile. Dunque, l’atto non potrà certo essere considerato in esecuzione di un piano di risanamento attestato.  


10. Conclusioni.

Nel Codice della Crisi, il piano attestato di risanamento viene integrato all’interno di una più complessa fattispecie che, nella sostanza, recepisce le best practices applicate dai professionisti che hanno operato su questo strumento.

L’art. 56 del Codice della Crisi, dunque, non contiene novità significative.

Come in precedenza, l’elemento caratterizzante del piano di risanamento è quello funzionale: tra l’altro, va ancora una volta messa in evidenza l’esenzione da revocatoria, utilità da apprezzare in ottica futura, in caso di successiva apertura della liquidazione giudiziale.

In questa ipotesi, il Codice della Crisi ha previsto, all’art. 166, una disciplina innovativa rispetto a prima, in alcuni aspetti più limitativa dell’esenzione da revocatoria (non basta più che gli atti, i pagamenti e le garanzie siano esecutivi di un piano attestato, dovendo essere anche “in esso indicati”).

Più in generale, tuttavia, la nuova disciplina di cui all’art. 166 (cfr. la previsione secondo cui l’esenzione opera anche con riferimento alla revocatoria ordinaria, oppure la previsione sul limitato sindacato giudiziale sul piano) appare chiaramente diretta ad incentivare ulteriormente il ricorso a strumenti di regolamentazione della crisi, garantendo stabilità agli atti compiuti in presenza di una situazione di insolvenza o di rischio di insolvenza in caso di esito negativo della procedura.  



* Lo scritto è destinato, con qualche minima variazione, a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini, di prossima pubblicazione per i tipi della Zanichelli.

[1] Dal D.L. 14 marzo 2015 n. 35, convertito dalla legge 14 marzo 2005 n. 80.

[2] D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

[3] Il condivisibile rilievo è di A. Solidoro, Piani di risanamento nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, Crisi e risanamento n. 39/2020, pag. 25.

[4] Cass. 25 gennaio 2018, n. 1895. È noto invece che la giurisprudenza ha, di recente, ritenuto che l’accordo di ristrutturazione di debiti sia una procedura concorsuale. In questo senso, si vedano: Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1896; Tribunale Milano 4 dicembre 2019. Per un approfondimento, si veda S. Ambrosini, I piani attestati di risanamento, in Diritto dell’impresa in crisi di S. Ambrosini, 2022, 199-200.

[5] Così G. B. Nardecchia, Il piano attestato di risanamento nel codice, in Fallimento 2020, 12..

[6] Tra gli altri: G. B. Nardecchia, op. cit., 6; S. Pacchi, Il piano di risanamento, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, AA. VV., Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, 2021, 310 e 312; F. Santangeli, Il piano attestato di risanamento ex art. 56 D.lgs. n. 14/2019 a seguito del correttivo, in www.iudicium.it, pag. 5.

[7] F. Santangeli, op. cit, pag. 4.

[8] S. Ambrosini e M. Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in www.ilcaso.it, 14 e 15.

[9] La previsione secondo cui il piano debba contenere l’“elenco dei creditori estranei, con l'indicazione delle risorse destinate all'integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza” è stata introdotta dal c.d. decreto correttivo D.lgs 147/2020.  

[10] Trattasi anch’essa di disposizione introdotta dal c.d. decreto correttivo D.lgs 147/2020. A riguardo, è stato accuratamente osservato che tale previsione è piuttosto superflua, in quanto “non esiste previsione senza un piano industriale e ciascun piano industriale è redatto con lo scopo di prevedere i flussi economici e quelli finanziari. In assenza della cui determinazione è impossibile avanzare alcuna proposta che possa essere presa minimamente in considerazione dei creditori” (A. Solidoro, op. cit., pag. 31).

[11] R. Ranalli, I piani negli accordi di ristrutturazione e nei concordati preventivi in continuità tra il regime attuale e la loro evoluzione, in Il Fallimento 2018, 1477 e ss.

[12] È stato osservato che il piano è sempre caratterizzato da una “completa stragiudizialità”, in quanto “gli accordi tra debitore e creditori, pur indispensabili, stanno dietro le quinte …”, restando invece centrale la proposta del piano predisposta dall’imprenditore (S. Pacchi, op. cit., 309, la quale osserva altresì che “la minor invasività va però di pari passo con l’assenza di supporti per la continuità predisposti, invece, per gli strumenti più strutturati come gli accordi e i concordati”).

[13] G. B. Nardecchia, op. cit., pag. 10.

[14] Trib. Catania 11 gennaio 2019, in www.ilcaso.it.

[15] A. Solidoro, op. cit., pag. 29, il quale precisa altresì che “Sempre il dato esperienziale dice che non va confuso l’orizzonte temporale di piano con il tempo di esecuzione di tutti i pagamenti previsti in esito agli accordi conclusi con i creditori in attuazione del piano stesso. Ben può residuare il pagamento oltre l’orizzonte di piano di creditori che abbiano accettato un termine di dilazione più lungo. Occorrerà verificare e dimostrare che l’equilibrio patrimoniale esistente al termine del periodo di piano sia idoneo a sostenere, con il permanere della continuità aziendale, l’indebitamento atteso per allora”.

[16] G. B. Nardecchia, op. cit., pag. 9.

[17] F. Santangeli, op.cit., pag. 7.

[18] Si tratta in particolare di: - scritture contabili e fiscali obbligatorie; - dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti (ovvero l'intera esistenza dell'impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata); -le dichiarazioni IRAP e le dichiarazioni annuali IVA relative ai medesimi periodi; - i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi; -una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata; - uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività; - un'idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi; - l'elenco nominativo dei creditori e l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione nonché l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto; - una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore, anche in formato digitale.

[19] In questo senso, F. Santangeli, op. cit., pag. 9.

[20] Il testo ante 2012, invece, faceva riferimento ad “un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali e in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b), ai sensi dell’art. 2501 bis c.c., comma 4”. Sul punto e con riferimento alle attestazioni rese prima del 2012, un (maggioritario e preferibile) orientamento della Cassazione ha ritenuto che l’art. 67 l. fall., nel testo ante 2012, fosse da leggersi come limitato “alla verifica dei dati per una valutazione in chiave prospettica e non già ad una attestazione di veridicità dei dati aziendali, divenuto preciso dovere del professionista solo dopo il 2012” (così: Cass. civ. 5 luglio 2016, n. 13721; così anche Cass. civ. 13 giugno 2016, n. 13719; Cass. civ. 5 luglio 2016, n. 13720). Di contrario avviso la pronuncia della Cass. 10 febbraio 2020 n. 3018, secondo cui la modifica apportata all’art. 67 l. fall. dal Decreto Sviluppo del 2012 “non” avrebbe “portata innovativa, ma meramente esplicativa”.

[21] Cass. 5 luglio 2016 n. 13719.

[22] Cass. 5 luglio 2016 n. 13719.

[23] G. B. Nardecchia, op. cit., pag. 12.

[24] Contra, tuttavia, S. Ambrosini, I principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC e il ruolo del professionista, di S. Ambrosini e Alberto Tron, in www.ilcaso.it, 25 e 26.

[25] A. Solidoro, op. cit., pag. 29.

[26] S. Ambrosini, I principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC e il ruolo del professionista, di S. Ambrosini e Alberto Tron, in www.ilcaso.it, 26.

[27] Principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC con delibera del 16 dicembre 2020, art. 8.4.8.Trib. Milano, 8 aprile 2021 (Est. Luisa Vasile), inedita, ancorché in tema di concordato preventivo.

[28] G. B. Nardecchia, op. cit., pag. 13.

[29] Cass. 8 febbraio 2019 n. 3778. Per un approfondimento sul tema, comprensivo degli apprendimenti dottrinali, cfr. S. Marzo, L’incerta delimitazione dell’ambito di operatività delle esenzioni da revocatoria, il www.ilfallimentarista.it.

[30] Sia pur con riferimento alla analoga esenzione prevista per gli atti posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione.

[31] G. B. Nardecchia, op. cit., pag. 14.

[32] Per un approfondimento, si veda S. Ambrosini, I piani attestati di risanamento, in Diritto dell’impresa in crisi di S. Ambrosini, 2022, 214-216.

[33] Cass.  10 febbraio 2020, n. 3018. In precedenza, cfr. Cass. 5 luglio 2016 n. 13719, la quale faceva riferimento al dovere del giudice di compiere, con un giudizio ex ante, una verifica mirata “alla manifesta attitudine del piano di risanamento”.

[34] S. Ambrosini, I piani attestati di risanamento, in Diritto dell’impresa in crisi di S. Ambrosini, 2022, 215-216.

[35] F. Santangeli, op. cit., 18.

[36] F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Giuffrè, 2019, 82. Contra M. Sciuto, I piani attestati di risanamento, in Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria, a cura di G. Ferri jr. e Daniele Vattermoli, Pacina Giuridica, 2021, 20, secondo cui occorrerebbe che, agli occhi del creditore, “non potesse non risultare, secondo quel minimo di diligenza che può escludere la colpa grave, la manifesta inattitudine del piano, sulla base della evidente inattendibilità di quanto in esso, o su di esso, dichiarato (con dolo o colpa grave) da debitore o, rispettivamente, dall’attestatore”.

[37] F. Santangeli, op. cit., 17.

[38] A mente del quale: “È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore in liquidazione giudiziale che, prima o durante la procedura, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”.

[39] Reato di bancarotta semplice.
Tale articolo prevede:
“1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l'imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente:
a) ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale;
d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;
e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale.
2. La stessa pena si applica all'imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
3. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni”.  

[40] L. Busini, G. Peracin, Il piano attestato quale strumento per il risanamento delle imprese in crisi nella prospettiva del Codice della Crisi e della direttiva comunitaria 1023/2019, in www.fallimentiesocietà.it, 23.

[41] Per quelli precedenti allo scostamento, il tema neppure si pone, in quanto essi sono da ritenere (purché ovviamente posti regolarmente in esecuzione del piano) pienamente sottratti alla revocatoria: cfr. A. Zorzi, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giurisprudenza Commerciale, 2009, 1236 e ss.